Valle del Bélice, 15 gennaio 1968 - «Come per Longarone ... »

Per CAPIRE IL VAJONT, e ristabilire la verità STORICA: <DIV id="lib_scheda"> <H2 id="lib_titolo">L'anonima DC. Trent'anni di scandali da Fiumicino al Quirinale</H2> <H4 id="lib_edizione">di Orazio Barrese e Massimo Caprara</H4>Finestre sul '900 italiano: tra guerra fredda e anni di piombo - Anni '70
Storia del crimine organizzato in Italia - Mafia dei colletti bianchi

</DIV></DIV> <DIV id="lib_quartacopertina" class="evidenza-body"><IMG src="cederna/anonimaDC.jpg" alt="" class="lib_foto">   <B>Dalla quarta di copertina:</B>

«Forchettoni, vandali, corvi, avvoltoi» sono le etichette che la pubblicistica e la denuncia delle sinistre hanno affibbiato per oltre trent'anni, per tutto il corso della restaurazione capitalistica, ai responsabili dei maggiori scandali nazionali che venivano scoperti con le mani nel sacco. Gli autori di questo libro ricostruiscono l'occupazione del potere da parte della DC e i più gravi fenomeni degenerativi di lucro estorto e di corruzione che hanno coinvolto uomini e gruppi del partito dominante, centri economici pubblici e privati, banche e poteri dello Stato.
Una folla d'affaristi, profittatori, portaborse, guardaspalle e prestanomi di ministri, alti prelati, amministratori pubblici, generali e alti magistrati; un sottobosco di favori, protezioni, concessioni, benefìci indebiti occupano le pagine di questo libro con un crescendo che punta sempre più alto.
Dai primi scandali a ridosso degli anni Quaranta-Sessanta (monsignor Prettner che ricicla valuta attraverso i canali del Vaticano; il Giuffrè "banchiere di Dio", che incamera miliardi per le "opere di religione"; la grande casata dei conti Torlonia che s'impingua ulteriormente vendendo le "zolle d'oro" di Fiumicino), si arriva poi agli sfrontati profittatori di Stato (Trabucchi, il ministro delle banane e poi del tabacco messicano).

Vajont+GIOVANNILEONEMan mano, si sale ai "grandi elemosinieri", che dal torbido giro internazionale del petrolio gonfiano le tangenti per i partiti al governo (Valerio, Cazzaniga); si passa attraverso gli sportelli bancari dei santuari del capitale, custoditi da fiduciari di ferro della DC (Arcaini, Ventriglia); si tocca la complice "delinquescenza" dei boiardi di Stato (Cefis, Einaudi, Petrilli, Girotti); si transita nelle ville dei "robbery barons", i baroni ladri delle commesse militari (i fratelli Lefébvre D'Ovidio, Crociani), per sfociare nel gran mare, agitato da correnti in lotta, degli uomini politici coinvolti, da Andreotti a Fanfani, Cossiga, Zaccagnini, Colombo, Rumor, Preti, Tanassi, Gui fino all'apoteosi oscena del presidente Leone.
Questo libro solleva qualche lembo dietro gli "omissis" imposti al testo del rapporto della commissione del Congresso Americano (commissione Pike) che ha indagato sui finanziamenti della CIA agli uomini politici e ai partiti di vari paesi compresa l'Italia, riaprendo in tal modo il dibattito sulle dirette responsabilità del più alto vertice istituzionale.

Orazio Barrese, già redattore di politica estera di "Paese Sera", è stato per sei anni inviato speciale del quotidiano "l'Ora" di Palermo di cui è attualmente redattore capo e corrispondente da Roma. È autore de "I complici. Gli anni dell'antimafia" (Feltrinelli 1973) e del volume su Mancini (Feltrinelli, 1976).

Massimo Caprara è stato per circa dieci anni segretario di Togliatti e uno dei primi redattori della rivista "Rinascita". Sindaco di Portici e deputato di Napoli per quattro legislature, nel 1969 ha fatto parte del gruppo fondatore del "Manifesto". È stato collaboratore e poi redattore capo del "Mondo" e successivamente inviato speciale dell'«Espresso» e del settimanale "Tempo". È autore del volume "I Gava" (Feltrinelli 1975).


Prima edizione: giugno 1977 Copyright by Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

</DIV> <H4 id="lib_edizione">Feltrinelli Editore, 1977 - 293 pagine


(dal capitolo: I risanatori)

Agli abusi edilizi e ai massacri urbanistici si accompagnano dunque la tracotanza di chi li compie o li permette e la persecuzione di chi doverosamente li denuncia. È ciò che accade anche a Catania per lo scandalo del San Berillo, uno scandalo che vale la pena di ricostruire. Non tanto per l'entità "dell'affare" comunque ragguardevole, quanto per i meccanismi giuridici, i sofismi contrattuali, i falsi, che gli fanno da supporto.
La storia comincia nella prima metà degli anni '50, e trae origine dalla necessità di risanare il fatiscente quartiere di San Berillo, ubicato nel pieno centro della città, accanto a piazza Stesicoro e alla via Etnea, l'arteria più prestigiosa di Catania. Come e da chi doveva essere effettuato il risanamento? Doveva essere compiuto direttamente dal comune o affidato a imprese private?

Il Comune di Catania sceglie la seconda strada, ma senza dare alcuna pubblicità, senza indire un'asta, non prendendo neppure in considerazione un'offerta pervenuta da una solida ditta milanese, la "Morandi". Massima riservatezza e scelta dell'Istica, una società costituita il 27 novembre del 1950 con 55 milioni di capitale sottoscritto per 20 milioni ciascuno dalla società Immobiliare e dal Banco di Sicilia, per 10 milioni dalla Cassa di risparmio Vittorio Emanuele per le provincie siciliane e per due milioni e mezzo ciascuno dalla Camera di commercio e dall'Amministrazione provinciale di Catania. Consigliere delegato della società "di paglia" è Aldo Samaritani, direttore generale dell'Immobiliare, un nome che diventerà famoso nel caso Sindona. La scelta di questa società avviene attraverso trattative riservate e verbali tra il sindaco di Catania e il dottor Samaritani. La "pratica" sarà poi portata avanti da una cosìddetta commissione interna del Comune composta dal sindaco, Luigi La Ferlita, e dall'assessore ai Lavori pubblici, Bartolo D'Amico, dall'ingegnere capo dell'ufficio tecnico, Santo Buscema, dal segretario generale, dottor Michele Tudisco e dal capo dell'Avvocatura generale, dottor Alessandro De Felice. La commissione si è autonominata e non ha ricevuto nessun incarico ufficiale né dalla giunta né tanto meno dal consiglio comunale. Per parte sua, l'Istica non presenta mai ufficialmente al comune una richiesta di concessione. E inoltre non esiste neppure una relazione ufficiale e pubblica sul piano economico-finanziario dell'Istica. C'è solo una specie di appunto "riservatissimo" e non firmato il cui esame per esigenze di forma viene affidato dal comune ad Antonio Zizzo, docente di estimo presso il'università di Palermo, che lo contesta da cima a fondo. L'originale dei rilievi del professor Zizzo è scomparso. Si è trovata, comunque, una fotocopia.

L'Istica sosteneva che l'operazione di risanamento comportava grosse spese e grossi rischi per la società. Essa basava le sue argomentazioni su calcoli di comodo. Le demolizioni delle vecchie case e le opere di urbanizzazione erano costose. Cosa avrebbe avuto in cambio di questi costi? La proprietà delle aree di risulta era insufficiente, dal momento che il valore di un metro quadrato si aggirava sulle 70 mila lire. Il comune avrebbe quindi dovuto cedere all'Istica la proprietà delle aree e aggiungervi ancora tre miliardi.

In realtà il valore delle aree, spiega Zizzo, era molto più alto e alcuni anni dopo avrebbe superato le 500 mila lire al metro quadrato. Col risanamento, infatti, la zona dell'ex San Berillo, già centro del centro cittadino, sarebbe diventata la più ricercata. Non a caso vi sorgono edifici sontuosi, dove hanno le loro sedi le grandi banche, le grosse compagnie di assicurazioni, l'Alitalia, aziende commerciali e industriali di dimensioni nazionali e internazionali.
Nel febbraio 1956 il consiglio comunale approva una delibera della giunta per la convenzione con l'Istica.
Rileva il magistrato, Mario Busacca:


" ... La predetta delibera, unitamente a vari altri documenti in copia, dei quali appresso si dirà, veniva inviata al prefetto per l'approvazione di legge con lettera 1° marzo 1956 n. 275, in cui si rifaceva la cronistoria delle trattative per dimostrare la bontà e l'utilità della decisione consiliare.
In particolare, dopo aver puntualizzato che mercé l'opera sagace della commissione interna il contributo preteso dall'Istica era stato ridotto da quattro a tre miliardi (affermazione ideologicamente falsa, perché smentita dalla copia fotostatica del conto economico-finanziario esaminato dal professor Zizzo, recante la cifra di tre miliardi) e dopo avere, altresì, precisato che sempre per il fattivo intervento di detta commissione il costo delle demolizioni era stato ridotto da 400 a 200 milioni, quello delle opere pubbliche da 2.000 a 1.650 milioni e l'importo delle spese generali da 1.384 a 1.000 milioni, il sindaco sosteneva la mancanza di convenienza per il comune di eseguire direttamente le opere pubbliche previste in progetto, sul rilievo che per l'espropriazione di mq. 59.000 di terreno (da aggiungersi ai mq. 67.400 di demanio stradale preesistente) occorreva affrontare una spesa di L. 1.569.400.000 che aggiunta a quella di lire 1.650 milioni per costruire le strade, faceva ammontare il costo complessivamente a 3.219 milioni. Si aggiungeva che, considerato l'importo degli interessi, calcolabili in lire 1.615.688.060 si aveva un totale di 4.835 milioni circa solo per opere pubbliche, mentre con i tre miliardi di contributo dati alla Istica si risolveva tutto il problema.

La gratuità di siffatto ragionare è sin troppo evidente per il macroscopico vizio logico da cui è affetto. Invero, non si poteva tenere conto del costo dell'esproprio delle sole aree occorrenti per le opere viarie, in quanto tale costo sarebbe rimasto ovviamente assorbito nel maggiore valore acquistato delle aree edificabili contigue. I piani di risanamento si "autofinanziano" appunto perché i costi vengono largamente coperti dal plus-valore "ipso facto" acquistato dalle aree. E ciò anche a tacere che il montante degli interessi passivi era calcolato in modo capzioso, posto che le opere dovevano essere compiute in un arco di tempo non inferiore ad un settennio e quindi nessuna necessità vi era di procacciarsi tutto il liquido occorrente all'inizio dell'operazione, anziché ratealmente. [...]

Né a dire che la consulenza di Zizzo era un semplice parere privato, come sostengono gli imputati, giacché, se così fosse stato, la giunta municipale non avrebbe deliberato di attribuire un compenso, regolarmente pagato dal Comune al redattore.
Essa non faceva comodo e fu pertanto fatta sparire. Fu parimenti fatto sparire l'originale piano economico-finanziario [...], fu operata l'alterazione delle relative cifre, come immediatamente si rileva dalla ispezione del documento che presenta anche diversi tagli e altre correzioni a matita. La copia conforme (anzi non conforme!), inviata al prefetto, si presenta appunto alterata, essendosi il compilatore materiale di detta copia evidentemente attenuto alle disposizioni di eseguirla in forma emendata. Risulta dunque, in maniera inoppugnabile, che al prefetto furono fornite notizie false e documenti alterati. [...]

Per quanto attiene alla trattativa per la determinazione del valore delle aree, risulta chiaramente che la valutazione fatta dalla commissione c.d. interna (in 7.338 milioni) fu, come s'è detto, inferiore a quella (già pessimistica) fatta dal professor Zizzo in 9.270 milioni e a quella (interessata) fatta dall'Istica in 8.112 milioni. E che la previsione dello Zizzo fosse pessimistica risulta con pienezza di prova dall'esame del consuntivo delle vendite effettuate dall'Istica a tutto il 1967, da cui si rileva che dalla vendita dei 2/5 delle aree (cioè mq. 48116,325 sul totale di 117.000 mq) era stato realizzato un guadagno di lire 6.764.200.000.

E devesi tener conto che tale valore non corrisponde a quello effettivo, dovendosi tener conto che mq. 1.259 furono gratuitamente ceduti all'arcivescovado ed altri due importanti lotti (rispettivamente di mq. 2.136,4 e mq. 4.444,27) alla Società generale immobiliare a prezzi evidentemente di favore, se si considera che erano i migliori lotti, giacché latistanti il corso Sicilia e Piazza della repubblica. ... "


Ma vi è uno scandalo nello scandalo. La denunzia di questa operazione viene fatta da un tecnico comunale, l'ingegnere Giuseppe Mignemi, che pubblica anzi un suo giornale rivelando irregolarità e complicità varie e prendendo di petto anche il procuratore generale della Repubblica di Catania.
E Mignemi finisce in carcere per calunnia e deve sottoporsi a perizia psichiatrica, prima di essere liberato.

La denuncia sui fatti dell'Istica è del 1965. Quattro persone sono accusate di concorso in peculato: Luigi La Ferlita (sindaco di Catania), Michele Tudisco (segretario generale del Comune), Bartolo D'Amico (assessore ai Lavori pubblici e alla polizia urbana) e Alido Samaritani. Ma passano nove anni, di interferenze, avocazioni, insabbiamenti e l'affare del San Berillo è diventato a Catania una chiacchiera da caffè. Quando si arriva finalmente al processo, il reato di falso è già caduto in prescrizione e il peculato viene derubricato in concussione.
Sei imputati verranno tutti assolti, sia pure per insufficienza di prove.

"Misure eccezionali come per Longarone": questa fu la promessa che, con tono vagamente da esorcista ma già contraddetto dall'esperienza, l'onorevole Aldo Moro, allora presidente del Consiglio, fece immediatamente dopo il terremoto che aveva sconvolto tra la domenica 14 ed il lunedì del 15 gennaio del 1968 le colline e la valle del Belice: 44 mila profughi in quattordici paesi diroccati in una zona compresa fra le province di Palermo, Trapani ed Agrigento.
"Verrà tutto", aveva insistito l'onorevole Moro, durante la sua visita, promettendo misure urgenti a chi non aveva più niente, ed era sistemato nei bivacchi allestiti in pieno gelo sulle rocce, dove erano state appena distrutte cinquemila case rurali.
Una madre ed una bambina erano state appena salvate, per morire subito dopo, dalle macerie di Montevago dove erano rimaste per trentasei ore. Altri, più di duecento vittime, erano allineati, rigidi cadaveri avvolti in ruvidi panni, nel giardino di Donnafugata, a Santa Margherita, dentro le mura del palazzo dei principi Filangieri di Cutò, nell'ala leopoldina dove alloggiò il consorte di Maria Carolina e dove Giuseppe Tomasi di Lampedusa collocò, nel suo Gattopardo, la torre di stile composito, fra il romanico ed il moresco dalla quale il principe Salina scrutava stelle e pianeti.
Il 22 gennaio arrivano i primi prefabbricati. Poi via Parigi, e mittente la NATO, le baracche usate in Corea.
"Ce le hanno offerte gratis gli americani", aveva spiegato il prefetto di Palermo. "Paghiamo solo il nolo di trasporto fissato dai mercantili degli Stati Uniti".
A conti fatti, si scopre che esse vengono a costare di più di quelle commissionate in Italia ad enti pubblici e privati. Lungo i ventisei chilometri della strada dissestata e franosa che si snoda da Alcamo a Gibellina, transitano i ministri rassicuranti e consolatori come l'onorevole Lorenzo Natali o come l'onorevole Donat-Cattin il quale proclama: "Ho tanti fondi inutilizzati al ministero del Lavoro. In quindici giorni li utilizzerò per aprire scuole professionali". Intanto nel fondo valle, spuntano plinti faraonici che sostengono campate d'acciaio: è l'autostrada tra Mazara e Punta Raisi che porterà, una volta agibile, i turisti da Selinunte ed il pesce fresco da Capo Granitola a Palermo. L'onorevole Giacomo Mancini, ministro socialista dei Lavori pubblici, è molto esplicito: "Il programma dello Stato si compone di due punti. Provvedimenti urgenti per cui sono stati stanziati i primi 6 miliardi per assicurare 5215 ricoveri unifamiliari, oltre 40 miliardi per servizi vari. Nuova ristrutturazione urbanistica con residenze, depositi per scorte e servizi pubblici con un piano globale di ricostruzione e di sviluppo economico, già allo studio".
Il ministro del Lavoro, senatore Giacinto Bosco, stanzia altri 15 miliardi per costruzione di alloggi affidati alla GESCAL.
Con successivi comunicati, i miliardi salgono a 38 per il triennio '68-'70, di cui 6 miliardi e 291 milioni assegnati alla zona compresa nella provincia di Palermo, un miliardo e 779 milioni a quella di Agrigento, un miliardo e 595 milioni a Trapani.
Per realizzare tutti i piani preventivati, promessi, sbandierati, inaugurati, vengono promulgate otto leggi 'statali, due regionali, cinque decreti del presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, tre decreti ministeriali, dieci circolari ministeriali, dieci modelli per rimborsi, domande di risarcimenti. Il volume del Ministero dell' interno, che diligentemente ne divulga l'illustrazione, si compone di 125 pagine con un indice minuzioso di 91 voci, dagli interventi per gli allevamenti avicoli a quello per i farmacisti, a quello per infrastrutture, attrezzature scolastiche, collettive, per il verde pubblico: in tutto 445 miliardi.
Dopo un lustro, si tirano le prime somme. L'impegno dell'onorevole Aldo Moro è stato mantenuto.

          Come per Longarone, nessuna nuova iniziativa è stata varata ed il denaro speso è andato a serpeggiare lontano. In contrada Madonna delle Grazie a Gibellina, le baracche si dividono in "americane", cioè NATO, "di Roma" cioè dell'Iri, e "di Palermo" ossia private: tutte sono ugualmente insufficienti, scoperchiate dal vento, infradiciate dalla pioggia, spaccate dal sole, fatiscenti per le fogne intasate a cielo aperto, e maleodoranti.
          Come per Longarone, la popolazione è costretta a scendere in piazza, a viaggiare fino a Roma per manifestare il proprio malcontento dinanzi a Montecitorio dove si accampa sotto tende improvvisate con la sola solidarietà della minoranza di sinistra. Più di trecento persone fra vecchi e giovani sono denunciate per assembramento, comizi non autorizzati, blocchi stradali, schiamazzi ed altri perversi disturbi al traffico. Decine di persone sono incarcerate e processate su rito formale dinanzi al tribunale di Marsala. L'emigrazione cresce sino a toccare il quaranta per cento delle persone abili che lasciano la zona e l'isola. I soli a guadagnare sono stati gruppi di privati speculatori che hanno ottenuto per pochi soldi dagli aventi diritto, stanchi di attendere, i titoli per gli speciali risarcimenti a carico dello Stato.
Gli organi incaricati di applicare i provvedimenti di ricostruzione non hanno funzionato con la rapidità, la coerenza, il rigore tecnico ed amministrativo necessari.
Eppure, nel momento del disastro, gli enti incaricati erano ben nove: assessorato alla Regione delegato per le zone terremotate; assessorato allo sviluppo economico; ispettorato generale del Ministero dei lavori pubblici per le zone terremotate; ufficio speciale per la grande viabilità dell'Anas; provveditorato per le opere pubbliche; Istituto per l'edilizia sociale, Ises; Enel ed Ente siciliano di elettricità; Ente di sviluppo siciliano, Espi, Ente di sviluppo industriale dotato di uno stanziamento straordinario di 17 miliardi; Ente di sviluppo agricolo, Esa, impinguato di uno stanziamento di oltre 37 miliardi. Nel 1976, a otto anni dal terremoto che ha distrutto le abitazioni con i 348 miliardi stanziati dallo Stato, sono state assegnate 266 case delle 14.000 preventivate, sono stati spesi 6 miliardi e 300 milioni per una strada di soli 5 chilometri, all'Ises sono stati pagati oltre 10 miliardi per la progettazione di opere che potranno essere portate a termine non prima dell'anno 2015.

          Nel maggio 1977, le Camere decidono di compiere un'inchiesta parlamentare che dovrà presentare le sue conclusioni entro sei mesi. Tutti gli enti dovranno rispondere per la parte che li riguarda e, tutti assieme, li condanna.


Libere opinioni, ricerche e testi di: Tiziano Dal Farra (se non diversamente specificato e indicato nel testo)

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