Media Mainstream e Vajont
Venerdì 10 Ottobre, 2003 ore 15:23

Intervista a Mario Corona sul Vajont

Dal quotidiano "Il Piccolo" di Trieste, del 06/10/2003

ERTO (PN) - L'hanno invitato Maurizio Costanzo, Piazza Grande, Corrado Augias. Ma Mauro Corona, lo scrittore che ha dato voce e volto a gente e paesi dimenticati nelle gole del Friuli, non andrà in nessun salotto televisivo a parlare dei morti del Vajont.

"Venite voi, quassù, dove le montagne urlano rabbia" dice, affondando gli occhi nel bicchiere di vino, in uno dei bar impersonali della Erto ricostruita. "Non mi va di fare di questa storia un mezzo per ottenere visibilità e successi personali. Morte le ultime generazioni degli anni '50, la nostra tragedia si leggerà in qualche trafiletto nei libri di storia. Ed è giusto che sia così. Il Vajont è tutti i giorni, guerre, bambini straziati... È ora di consegnarlo alla storia, un pensiero ai morti ogni giorno, una messa ogni anno e chiuso lì. Con questo sgomitamento sulla disgrazia stiamo perdendo dignità. Questo è un paese ripido, eravamo abituati a stare in equilibrio. Ora stiamo scivolando nella banalità".

Dopo che del Vajont si è tornato a parlare, in televisione e al cinema, lei ha detto: è nata una nuova professione, quella del "sopravvissuto". Che cosa significa?

"Per quasi quarant'anni siamo stati dimenticati da tutti ed era giusto che fosse così. Poi Marco Paolini ha scoperchiato la pentola e ha fatto sapere all'ltalia dei "grandi fratelli", all'Italia della televisione del nulla, che qui duemila persone sono state uccise in modo legale. Anche il Toc era una torre, come quelle di New York, ma qui gli attentatori erano abilitati e non è stata data loro nemmeno la caccia. Dopo Paolini è venuto il film di Martinelli e negli ultimi due anni sono stati scritti più libri che nei quaranta passati. È nata un'industria del dolore, con personaggi che non hanno perso nemmeno una scatola di fiammiferi eppure vanno lì, alla diga, quando ci sono mille persone, e raccontano storie di dolore, la loro storia, che non esiste. Poi ci sono gli altri, che i morti li hanno avuti, e questi sono ancora peggiori, perchè a maggior ragione dovrebbero avere la dignità di star zitti. È ignobile questa professione nuova di superstite, che non è a scopo di lucro, perchè allora la capirei, ma per suscitare pietà negli altri, per avere visibilità. Sono nati formaggi, purganti con la scritta "libera le barriere intestinali". Che lo facciano gli altri, mi va bene, ma gli interessati no, perchè il dolore e la morte hanno una dignità, nessuno può appropriarsene, ridicolizzarla e ridurla a macchietta".

Peggio adesso, di quando nessuno ricordava? ...

"Certo, così è uno sfascio senza senso. Invece i visitatori devono essere condotti con intelligenza sui luoghi del delitto. La gente non sa neanche qual'è la frana, non si accorge che ce l'ha sotto i piedi. Nessuno sa, per esempio, della 'famigeratà transazione, che ti pagavano un milione il papà, novecentomila la mamma, il figlio unico un milione, tre fratelli un milione e mezzo in totale. E molti hanno firmato, hanno accettato questo ignobile tariffario... O lo scandalo delle licenze: a te 500 mila lire a loro tre miliardi a fondo perduto di contributi, che finivano in Svizzera. C'era di mezzo anche un faccendiere di Pordenone. O il muro della vergogna: 400 metri per tutelare da eventuali, ulteriori frane gli abitanti di Cimolais e poi, qualche anno fa, un altro miliardo per smantellarlo. Oppure il tentativo di trasferire il comune di Erto a Vajont, con gli ertani che hanno combattuto otto giorni con le barricate per difenderlo... Per dissipare la nostra forza ci hanno diviso: un gruppo a Vajont, un altro a Belluno e qui. Siamo rimasti in trecento di tremila che eravamo...".

Racconterà tutto questo nella piéce teatrale che sta scrivendo sul Vajont?

"Voglio fare un lavoro di riempimento, non di ripicca, perchè il Vajont è stato 'dopo', la frana. Lo scandalo del paese vecchio lasciato in rovina, perchè se lo aggiustavi spendevi mille lire, mentre se ne facevi uno nuovo, com'è avvenuto, spendevi centomila e così rubavi di più. Questo, è il 'dopo Vajont', una comunità che non c'è più. Usi, costumi, tradizioni, spazzati via in due minuti. Il nostro centro sociale era la cucina, mentre qui han fatto le case con la cucina che non esiste, un metro per un metro, e salotti dove le nostre vecchiette si sono smarrite. Sceglievano gli architetti puntando il dito sull'elenco telefonico, chi capitava veniva qui a progettare case. Il Vajont dei morti è terribile, ma qui parliamo della morte di una comunità senza più radici nè fondamenta. Siamo rinati in posti nuovi, in modi nuovi, con case che non conoscevamo, con culture e mezzi di lavoro che ci erano estranei. Siamo partiti da zero, ma non con le nostre rocce. Questo, è il vero dramma del Vajont, il disfacimento di un popolo".

La ricostruzione urbanistica è finita...

"Sì, orribile".

Mentre quella sociale non c'è mai stata...

"Nè mai ci sarà, a meno che le nuove generazioni non s'inventino un tipo di cultura loro. La nostra è finita quella notte. E la natura cos'ha insegnato? Nulla. C'è un dolo della memoria. I miei paesani che sono andati a Vajont e hanno costruito un paese nuovo, che cosa si trovano dopo quarant'anni? Un'altra diga alle spalle, quella di Ravedis, in linea retta sulle case. Non è allarmismo, è una riflessione spontanea. La storia non insegna, non perchè gli uomini abbiano la memoria corta, ma perchè non vogliono ricordare".

Eppure molti grandi giornalisti che arrivarono qui, subito dopo la tragedia, diedero la colpa alla natura...

"Non so se erano in malafede o ignoranti, in entrambi i casi non li stimo. O forse erano imbeccati. Ma se dai la colpa alla natura sei un povero imbecille. Qui è stata costruita la morte, mattone su mattone. Un sasso è caduto in un bicchiere, ha scritto Buzzati. Invece il sasso è stato buttato, di proposito, nel bicchiere. È diverso".

La verità è saltata fuori tutta?

"È venuta fuori a bocconi e non completamente. Credo che sotto ci sia ancora del marcio orrendo che nessuno conosce. C'è da dire una cosa, però, e io nel mio lavoro teatrale lo scrivo: nessuno ci ha rubato le terre, le abbiamo vendute noi. Questo nel film di Martinelli non appare. Noi eravamo felicissimi di non emigrare, benvenuta la diga: si lavorava e la sera si tornava a casa accanto alle cosce della moglie. Il 90 per cento gliel'ha consegnata in mano, la terra. E si stava bene perchè si comprava la radio, la motocicletta. Non era un dramma, anzi".

Lei cosa ricorda di quel 9 ottobre 1963?

"Avevo tredici anni, lavoravo già da parecchio. Ricordo il rumore, assordante, indescrivibile, diverso da quello del terremoto, un rumore come di un miliardo di aerei che ti passano sopra il naso. L'ho detto a Martinelli: stai attento al rumore. Ma non ha potuto ripeterlo nel film, perché se l'avesse fatto la pellicola sarebbe scoppiata. Sapevo che c'erano un sacco di morti, ma non me ne importava nulla. Solo dopo ho imparato a dare il peso giusto a quello che era successo. Allora paradossalmente stavamo bene, era tutto una novità, non si andava a scuola, ci davano la cioccolata. Noi che eravamo sempre bastonati, mandati a lavorare nelle malghe, all'improvviso scoprivamo che c'era gente che ci voleva bene".

E oggi come vivete quest'anniversario?

"I vecchi sono indifferenti, hanno la vita alle spalle. Per i giovani è una novità piacevole, diventano visibili. A me dà fastidio questo fare il bagno alla morte, metterle l'abito nuovo. Han pulito le gallerie, le hanno illuminate, han tirato via le macchie con le pompe. È un'ipocrisia. Lasciamo che il presidente Ciampi veda tutto com'è. Perché quando arriva l'autorità gli abbellisci la situazione? Lascia che venga a vedere le magagne, i 400 Tir al giorno che passano, che asfissiano la gente, perchè la strada non contiene questo traffico".

Qual è il modo migliore per ricordare?

"Il paese vecchio sta cadendo, è disabitato. Se i privati non intervengono, lo faccia lo Stato. Si potrebbe darlo in affitto simbolico a studenti di geologia, di scienze naturali, creare una scuola d'arte, del legno, per esempio, così salviamo la manualità. Il futuro è il turismo, ma un turismo educato. E allora realizziamo l'albergo diffuso, difendiamo l'artigianato. Questo direi a Ciampi: salvi il nostro vecchio paese per l'onore dell'Italia. Se questa è la Lourdes del terzo Millennio, sfruttiamola, non a scopo di lucro, ma per dare un mestiere ai giovani. Istruiamo delle guide, che portino la gente a vedere i posti, che insegnino agli estranei cos'è stato il Vajont, prima e dopo. È il miglior modo di ricordare. Altrimenti qui continuerà ad arrivare una massa di gente che non sa dove andare e che se ne va via più confusa di prima. Quest'estate c'erano ragazze che prendevano il sole, in bikini, sulla frana. Non che mi dispiacesse, anzi, le guardavo. Ma quello è un cimitero".


Bella intervista, belle parole.
Peccato solo che Mauro Corona, quando (stra)parla di "... personaggi che non hanno perso nemmeno una scatola di fiammiferi eppure vanno lì, alla diga, quando ci sono mille persone, e raccontano storie di dolore, la loro storia, che non esiste ... stia facendo autobiografia.

Mauro Corona, falso superstite, due anni dopo questa marchetta in forma di intervista, confesserà nero su bianco di aver usato esattamente questa tecnica per schivarsi alcuni mesi di carcere militare. Tardi, male a mio parere e anche 'per LUCRO', chiede scusa autocriticamente attraverso un libro della sua nuova 'scuderia Mondadori'. Togliersi questo dubbio costa all'acquirente 16,50 Euro e deve poi andare a pagina 146.

"Aspro & dolce", sotto il profilo dei contenuti e del piacere della lettura, a mio avviso, non vale certo il prezzo cui viene messo in vendita (e lo so perchè l'ho preso). Nemmeno tenendo conto del valore documentale straordinario del paragrafo della "confessione" (nel genere "Vajont", finora l'unico).

"Un buon tacer non fu mai scritto": la frase "Che lo facciano gli altri, mi va bene, ma gli interessati (i Sopravvissuti veri?, nota mia) no, perchè il dolore e la morte hanno una dignità, nessuno può appropriarsene, ridicolizzarla e ridurla a macchietta" si commenta da sè. Tutti i particolari in questa pagina.

A meno che non si riferisca ad un altro paio di colleghi (nell'immaginario collettivo) rappresentanti dei virgoletteSuperstitivirgolette del Vajont: il damerino sindaco pro-tempore De Cesero Pierluigi e il suo responsabile degli "Informatori" tal Danielis Giovanni. Ai miei occhi delle penose macchiette davvero, nella Storia e nel loro paese, che non se li meritava.

Spero solo che Mauro nei prossimi incontri col pubblico e coi "giornalisti" si ricordi di specificarla, la vera natura sua e di questo tipo di "superstiti professionisti" di cui lui costituisce l'icona piu' nota e gaglioffa. Tutto il "Vajont" dico io, ne trarrà tardivissimi ma enormi benefìci. E pure lui.

Tiziano dal Farra, Udine.

P.S.= Cominciando a bere meno, magari.

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