Archivi e documentazione

Per un archivio diffuso del Vajont.

Inventari e documenti degli archivi del processo penale e della Commissione parlamentare d'inchiesta

Saggio di Maurizio Reberschak. Parte prima.

La documentazione processuale

In seguito all'autorizzazione concessa per la prima volta per motivi di ricerca storica da parte del Presidente del Tribunale de L'Aquila a consultare la documentazione processuale sul Vajont, nel settembre 2002 chi scrive ha provveduto ad effettuare direttamente un primo sopralluogo e una iniziale consultazione dei documenti. Si è potuta eseguire una ricognizione completa, necessariamente sommaria all'approccio, sull'intera mole delle carte, nonchè una serie di studi diretti sui documenti del processo: questo impatto ha confermato e avvalorato quanto già si poteva conoscere e intuire sull'eccezionale importanza della documentazione raccolta nelle fasi processuali.

L'intera documentazione si compone di cinque sezioni di archivio:

- 1) i documenti predisposti dal Giudice istruttore di Belluno Mario Fabbri nella fase istruttoria (l'istruttoria formale, seguita all'istruttoria sommaria apertasi subito dopo il disastro del 9 ottobre 1963, duro dal 15 febbraio 1964 al 21 febbraio 1968);

- 2) i documenti raccolti dal Tribunale de L'Aquila in sede di svolgimento processuale di primo grado (dal 25 novembre 1968 al 17 novembre 1969);

- 3) i documenti messi insieme dalla Corte di appello de L'Aquila per il processo di secondo grado (dal 20 luglio al 3 ottobre 1970);

- 4) la documentazione provenuta dai sequestri operati dal Procuratore della Repubblica di Belluno Arcangelo Mandarino e dal Giudice istruttore Fabbri presso la Sade, il Ministero dei lavori pubblici, il Genio civile di Belluno, l'Enel, ecc. (a partire dal 12 ottobre 1963);

- 5) i fascicoli delle procedure di riconoscimento delle vittime.

Manca ovviamente la documentazione prodotta in sede di Suprema Corte di Cassazione, dove si svolse il procedimento di terzo e ultimo grado dal 15 al 25 marzo 1971, data in cui venne emanata la sentenza definitiva: quest'ultimo insieme di documenti si trova conservato naturalmente a Roma.

Si tratta complessivamente di 234 pezzi numerati, costituiti in maggior parte da faldoni o scatole di archivio. La documentazione collocata nei faldoni e nelle scatole occupa in tutto circa 40 metri lineari di scaffalature; quella sparsa e posta sopra alcune file superiori degli scaffali o in scatoloni. Vi è poi un'ulteriore documentazione sfascicolata e fuori collocazione, comprensiva della sentenza originale manoscritta (conservata negli uffici della Cancelleria penale), e di rubriche, registri, schedari, elenchi, una valigia (perlopiù collocati nei ripiani superiori delle scaffalature), lucidi, disegni, fotografie (che si presentano in quantità assai rilevante, tutti sfascicolati e posti - sarebbe meglio dire 'accatastati' - in scatole di grandi dimensioni collocate sul pavimento).
L'archivio attualmente è conservato nella stanza di un ammezzato del Tribunale dell'Aquila.

Il processo penale connesso al disastro del Vajont (9 ottobre 1963) si svolse, come noto, presso il Tribunale de L'Aquila, dove era stato trasferito per motivi di "legittima suspicione" connessa a ragioni di "ordine pubblico" dichiarata dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 715 del 10 maggio 1968: il processo quindi venne sottratto al giudice naturale e "rimesso" in sede distante, «fuori della regione veneta e di quelle limitrofe». La fase istruttoria si era tenuta nella sede naturale della procedura, a Belluno, dove il procuratore della Repubblica e il giudice istruttore avevano raccolto una mole rilevantissima di documentazione: ben 143 faldoni di documenti sottoposti a sequestro giudiziario (documenti numerati da 1 a 5202 [nota 1] ) nei confronti della Società Adriatica di Elettricità, dell'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica, del Ministero dei Lavori Pubblici, degli Uffici del Genio Civile di Belluno e di Udine, delle Prefetture di Belluno e di Udine, dei Comuni di Longarone e di Erto Casso, della Provincia di Belluno, dell'Osservatorio Geofisico di Trieste, dell'Istituto di Idraulica e Costruzioni Idrauliche dell'Università di Padova, della Società Telefonica delle Venezie [nota 2].
37 furono i faldoni di atti prodotti durante il procedimento istruttorio [nota 3], cui va aggiunta una serie di documenti rilegati in registri o inseriti in appositi raccoglitori di deposizioni, schede delle vittime, disegni, grafici, carotaggi, fotografie, ecc.
Spostato il processo a L'Aquila, il Tribunale e la Corte d'Appello produssero - per quanto di loro competenza - rispettivamente altri 18 e 9 faldoni di atti processuali. Passato il processo in terzo e definitivo grado, la sentenza della Corte di Cassazione del 25 marzo 1971 pose definitivamente fine al procedimento giudiziario in sede penale [nota 4]. Oltre il 90% della documentazione relativa al processo penale del Vajont quindi venne prodotta nella sede processuale originaria di Belluno.

Terminato l'iter giudiziario penale, la documentazione venne collocata in uno scantinato adibito ad archivio del Tribunale, in condizioni di precarietà conservativa. Molti faldoni subirono danneggiamenti provocati da umidità e infiltrazioni d'acqua, che arrecarono muffe e attecchimenti batterici e micotici. Finalmente tra il 1996 e il 1997 il cancelliere Guglielmo Grippo, che aveva seguito per dovere d'ufficio il procedimento Vajont, provvide a far trasferire la documentazione in un ammezzato del Tribunale stesso, dove tuttora si trova. Si tratta di documentazione tutta originale e in unica copia.
L'inventario sommario che si fornisce in questo saggio offre per la prima volta un quadro sullo stato della situazione dell'archivio processuale del Vajont.

La straordinaria rilevanza dei documenti è costituita dal fatto che ci si trova di fronte a un completo e integro corpo di archivio sul Vajont, costruito durante le fasi delle procedure processuali. Ma soprattutto va rilevato che la documentazione presenta un sorprendente valore sotto il profilo storico, sia perchè le carte si trovano direttamente in originale (non solo quindi nelle trascrizioni di parti di documenti inserite nelle sentenze delle varie fasi processuali), dunque con pregnanza di rilievo anche museale, sia perchè vi sono contenuti documenti che, pur costituendo evidenza sotto il profilo processuale, non confluirono nell'utilizzazione diretta delle carte fatta dai giudici per ragioni e finalità attinenti appunto alla intrinseca procedura del processo.
Alcuni brevi esempi per chiarire tali aspetti:

- le migliaia di interrogatori delle parti offese, di esami dei testi, di rogatorie;
- 12 quaderni di lavoro manoscritti di Carlo Semenza sulla diga del Vajont dal 1941 al 1961;
- varie pellicole cinematografiche a passo 8 o 16 mm delle prove sul modello di Nove, delle prove della seconda perizia d'ufficio;
- le pratiche di riconoscimento delle vittime, le fotografie dei cadaveri o dei loro resti, ecc.
Tale corpo unitario e intatto di archivio è soggetto a deterioramento, a causa - come detto - della collocazione preesistente dell'archivio dalla fine dei processi (1971) sino al 1997. Risultano intaccate le carte di almeno 15 faldoni, con deperimento e parziale distruzione di alcuni documenti: questi faldoni andrebbero sottoposti a restauro il più presto possibile, pena l'irrimediabile perdita dei documenti. Per di più, le fotocopie prodotte negli anni sessanta del secolo scorso, con tecnica di riproduzione ad acido, stanno perdendo l'impressione, col conseguente pericolo di illeggibilità e progressivo dissolvimento totale della copiatura. Inoltre le immagini di copie uniche di film della Società adriatica di elettricità, di microfilm e lastre fotografiche prodotti dall'ufficio istruzione di Belluno per i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Vajont, di film delle prove sperimentali eseguite a Nancy dal secondo gruppo di periti giudiziali, nonchè di lastre realizzate dall'Ente nazionale per l'energia elettrica per perizie di parte, oltre ad essere rovinate, stanno perdendo l'incisione.

Tutti questi danneggiamenti non solo possono divenire irreversibili, ma presentano il pericolo di un ulteriore conseguente deperimento a catena, se non vi si ripara immediatamente per interromperne l'azione con un'adeguata opera di restauro e un idoneo intervento di salvaguardia. Si impone quindi un intervento urgente per rendere certa la conservazione di tutta la documentazione dell'archivio processuale del Vajont, ai fini della garanzia di salvezza e fruibilità storica, archivistica e museale, assicurando auspicabilmente anche il ritorno nella sede originaria di produzione dei documenti.

Va posto in evidenza che la normativa sugli archivi, comprendente anche quella degli organi giudiziari, prevede che la documentazione di merito venga versata agli archivi di Stato, che l'acquisiscono dopo 40 anni dall'esaurimento degli affari (nel nostro caso dal compimento di tutto l'iter giudiziario penale segnato dalla sentenza definitiva della Corte di cassazione del marzo 1971); tale scadenza può essere anticipata qualora «vi sia pericolo di dispersione o di danneggiamento», come si esprime l'art. 41 del Codice dei beni culturali (Dlgs 24 gennaio 2002, n. 41) recependo la precedente disposizione dell'art. 23 della Legge sugli archivi (DPR 30 settembre 1963, n. 1409, e art. 30 del testo unico sui beni culturali Dlgs 20 ottobre 1999, n. 490). Date quindi la situazione reale e obiettiva di danno dei documenti e la straordinarietà della vicenda Vajont, non è ipotesi irreale pensare che potrebbero essere avviate iniziative idonee da un lato a fare tornare l'archivio processuale del Vajont nella sua sede "naturale" di origine - alla quale appunto era stato sottratto con la "remissione" del processo da Belluno a L'Aquila, come detto - e dall'altro lato ad anticipare i tempi previsti dalla normativa, magari con il versamento o il deposito dell'archivio in una sede appropriata e prevista istituzionalmente: in questo caso l'Archivio di Stato di Belluno potrebbe esercitare la sua competenza, fornendo tutte le garanzie per la conservazione, tutela, salvaguardia e fruibilita della documentazione.

L'archivio processuale del Vajont dunque, una volta riacquisito nella sua "sede naturale", potrebbe essere sottoposto ad opera di restauro e inventariazione, mettendo così i documenti a disposizione degli studiosi: storici, giuristi, geologi, ingegneri, geofisici, economisti, ecologisti, ecc., potrebbero accedere a carte preziosissime per la conoscenza non solo della vicenda Vajont, ma anche per tipologie di studi generali in cui il Vajont si inquadra.
Tutti i documenti poi andrebbero inseriti in supporto informatico ai fini di una completa sicurezza di conservazione, di un'ulteriore garanzia di intangibilità delle carte, di migliore fruibilità nelle consultazioni.

Si dovrebbe infine recuperare la documentazione processuale in sede di Corte di cassazione, che, data la configurazione di questo organo della Magistratura, non potrebbe essere acquisita altro che su supporto informatico, poichè istituzionalmente la documentazione della Cassazione non può essere versata che all'Archivio centrale dello Stato che ha sede a Roma: difficilmente potrebbero essere concesse deroghe a questa disposizione normativa, in quanto costituirebbero una violazione dell'integrità e dell'unitarietà archivistica della documentazione della Cassazione stessa. Mentre infatti in sede di Tribunale de L'Aquila l'archivio processuale del Vajont rappresenta un corpo archivistico unitario e a sè stante, come si è detto, in sede di Cassazione la documentazione relativa al Vajont si presenta come una parte di un diverso corpo archivistico unitario di sezione nell'ambito dell'intero Archivio della Cassazione.

La mancata valorizzazione di questa documentazione e, ancor più, la deprecabile possibile perdita anche di una sola parte di essa dovuta ai danni subìti, i cui effetti però potrebbero moltiplicarsi, costituirebbe un'irrimediabile smarrimento della memoria e della cultura storica del Vajont, testimoniate in modo esclusivo da questa documentazione.
Recupero, salvaguardia, conservazione, valorizzazione dell'archivio processuale del Vajont significherebbe un doveroso e dovuto risarcimento alla memoria storica delle popolazioni colpite dal disastro che provocò 1.910 vittime.

La Commissione parlamentare di inchiesta

L'archivio processuale del Vajont potrebbe formare la base di un ben più vasto e articolato "Archivio Vajont", nel quale far rientrare idealmente altri archivi, in originale o in copia, primo fra tutti quello della Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, che si trova nell'Archivio storico del Senato, riordinato e aperto alle consultazioni dall'aprile 2003 5. Anche in questo caso nel giugno 2003 lo scrivente è stato il primo ad accedere ai documenti della Commissione parlamentare d'inchiesta. Gli atti della Commissione parlamentare si trovano al Senato, perchè la commissione operò in forma mista con la partecipazione di 15 senatori e altrettanti deputati e la sua sede venne fissata nell'ambito del Senato per ragioni di competenza gerarchica e pratica, essendo la commissione stessa presieduta da un senatore, Leopoldo Rubinacci, nominato dai presidenti del Senato e della Camera.

Il fondo Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, dopo essere stato riordinato, è stato inventariato. Si è proceduto quindi alla pubblicazione di un inventario a stampa corredato dal supporto informatico di un CD Rom 6. L'inventario - una descrizione analitica o sommaria di un fondo d'archivio - è uno strumento tecnico di lavoro indispensabile alla ricerca, di cui costituisce una specie di guida perchè orienta la strada per rintracciare gli atti contenuti nell'archivio: la sua utilità si misura in rapporto alla funzionalità ai fini della consultazione dei documenti 7. L'inventario inoltre traccia una specie di storia dell'istituzione produttrice delle carte d'archivio, poichè fornisce i tratti specifici della sua configurazione. Quasi per paradosso è stato detto che «il vero "inventario" è la storia dell'istituzione che ha prodotto l'archivio» 8. Dunque il contesto e l'inquadramento storico risultano essenziali alla migliore comprensione dei documenti che costituiscono il contenuto dell'archivio e l'oggetto del suo inventario. E la ricostruzione storica naturalmente si avvale dei risultati delle acquisizioni di conoscenza realizzate dalla storiografia 9.

La Commissione parlamentare d'inchiesta venne istituita su base bicamerale con l. 22 maggio 1964, n. 370 10, con il compito di «accertare le cause della catastrofe e le responsabilità pubbliche e private ad esse inerenti», «esaminare la rispondenza della legislazione e della organizzazione e prassi amministrativa alle esigenze della tutela della sicurezza collettiva», «accertare l'idoneità delle misure adottate e preventivate a favore delle popolazioni colpite dal disastro», «formulare indicazioni di politica legislativa per la tutela della sicurezza collettiva e per il miglior funzionamento della Pubblica Amministrazione in ordine alle opere idrauliche a qualunque uso destinate ed alla sistemazione idrogeologica del territorio nazionale»11.

La commissione iniziò i suoi lavori il successivo 14 luglio. Si trattava del terzo caso di commissione bicamerale d'inchiesta nella storia del Parlamento italiano 12.

I fini principali della Commissione parlamentare consistevano nell'accertamento delle cause del disastro, ma solo come elemento di conoscenza per individuare i comportamenti degli organi delle amministrazioni pubbliche e formulare proposte di miglioramenti legislativi. Veniva messo in chiaro dunque, fin dall'inizio, che ambiti, materie e scopi della commissione erano ben distinti e diversi da quelli dell'autorità giudiziaria competente, che nella sede di Belluno stava operando con l'istruttoria formale avviata nel febbraio 1964, anche se ci si rese subito conto che, pur nel limite di un esclusivo «carattere istruttorio» e nel contesto di «una precipua funzione (...) essenzialmente conoscitiva»13, e quindi escludendo ogni interferenza, i rapporti reciproci di collaborazione tra due poteri autonomi dello Stato non solo non andavano esclusi, ma, anzi, dovevano essere valorizzati.

Oltre a raccogliere di sua iniziativa documentazione necessaria ai propri lavori, la Commissione si pose subito il problema dei sequestri giudiziali di atti e documenti operati dalla magistratura inquirente, di cui quindi la Commissione stessa non poteva disporre. Dopo opportuni contatti preliminari, il presidente della Commissione l'11 agosto chiese formalmente al gindice istruttore di Belluno Fabbri il rilascio di copie autentiche della documentazione sotoposta a sequestro. La questione si presentava piuttosto complessa e complicata, anche perchè toccava direttamente aspetti connessi al diritto penale e al diritto parlamentare. I precedenti giuridici nell'esperienza italiana erano sfavorevoli alla concessione in nome della tutela del segreto istruttorio, in base alla quale rientrava nella discrezionalità del giudice il rilascio di copie ma solo a favore di coloro cui gli atti erano stati sequestrati. Il precedente di maggior rilievo, quello relativo alla Commissione d'inchiesta della Camera dei deputati sulla costruzione del palazzo di giustizia a Roma (1913), appariva del tutto sfavorevole. Il pubblico ministero di Belluno, cui era stato richiesto il parere, espresse chiaramente il diniego alla richiesta. Ma il giudice istruttore non fu dello stesso avviso, ritenendo che la Costituzione repubblicana aveva innovato rispetto al passato, introducendo elementi di competenza del potere legislativo che andavano intesi non come contrastanti, bensì pienamente concilianti con il potere giudiziario in nome del comune perseguimento dell'interesse pubblico, fermo restando il principio della reciproca autonomia e indipendenza.

La segretezza dell'istruttoria - osservò il giudice istruttore - cade dinanzi alle predette Commissioni [di inchiesta parlamentare] in quanto le stesse perseguono un fine primario, seppure diverso, ed in ogni caso di pubblico interesse, in tutto sostanzialmente identico a quello che la legge domanda all'autorità giudiziaria ordinaria, di tal guisa che il potere punitivo di quest'ultima (potere sicuramente autonomo ed indipendente) può contestualmente sussistere e compatirsi con il potere di inchiesta (altrettanto primario, autonomo ed indipendente) proprio delle Assemblee legislative 14.
Le copie autentiche dei documenti con ordinanza 8 settembre 1964 vennero così concesse dal giudice alla Commissione parlamentare. Si trattò di un'importante innovazione giurisprudenziale, che avrebbe indicato la strada alle successive esperienze nei rapporti tra i due poteri, il giudiziario e il legislativo: si pensi - solo per fare qualche esempio - alla documentazione messa a disposizione del parlamento da parte della magistratura per le Commissioni d'inchiesta sulla mafia, sulla P2, sul caso Moro, sulle stragi, e così via 15.

Acquisiti i documenti necessari, la Commissione potè procedere nella pienezza dei lavori, che peraltro erano stati già formalmente avviati. L'11 agosto furono costituiti quattro gruppi di lavoro: il primo per «analizzare le risultanze tecniche e scientifiche delle precedenti inchieste», il secondo per «identificare le norme legislative e regolamentari (...), con particolare riferimento alle dighe di ritenuta e ai bacini artificiali», il terzo per «ricostruire cronologicamente tutti i procedimenti amministrativi intervenuti», il quarto infine per «fare un quadro delle diverse misure intervenute e preventivate in favore delle popolazioni» 16. Vennero nominati poi quattro comitati ristretti, con funzioni di allestimento pratico dei lavori, e un gruppo ristretto incaricato di «elaborare le proposte innovative concernenti la legislazione e l'organizzazione amministrativa» 17. Conclusa l'attività dei gruppi nel marzo 1965, la Commissione plenaria avviò l'analisi del materiale prodotto dai gruppi stessi e pervenne alla redazione di una Prima relazione - presentata al Parlamento l'11 maggio - sugli interventi di soccorso, assistenza, sicurezza, ricostruzione intervenuti dopo il disastro 18.

Il quarto gruppo di lavoro aveva deciso per proprio conto di procedere ad alcune audizioni, al fine di raccogliere le maggiori informazioni possibili sull'argomento di sua competenza, cioe l'analisi degli interventi adottati a favore delle popolazioni e la verifica dei provvedimenti ancora necessari [19]. Nella seduta plenaria della Commissione del 7 maggio i senatori comunista Mauro Scoccimarro e socialista Ercole Bonacina avanzarono la proposta di procedere ad audizioni anche da parte della Commissione stessa, suscitando subito alcune riserve da parte del presidente «in termini di opportunità» 70. La questione venne ripresa nelle sedute successive, finchè si pervenne alla decisione di procedere con un "supplemento di istruttoria" mediante alcune audizioni appunto, demandando le individuazioni delle persone e le modalità del procedimento a un comitato ristretto, composto, oltre che dal presidente della commissione Rubinacci, dai vicepresidenti Scoccimarro e Fortini, dal segretario Veronesi e dai commissari Ajroldi e Bonacina 21. Si convenne di escludere ogni audizione di persone sottoposte a procedimenti giudiziari sia sul piano penale che su quello civile, di procedere con criteri di «carattere eminentemente informativo», e di predisporre preventivamente in comitato ristretto le domande da sottoporre a coloro che sarebbero stati ascoltati 22.
Si trovò pertanto l'accordo su una rosa di nomi: gli ex sindaci di Longarone, Castellavazzo, Erto Casso 23, i prefetti di Belluno e di Udine all'epoca del disastro 24, l'ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici 25, l'ex direttore generale della Società adriatica di elettricità 26, il direttore del Servizio costruzioni idrauliche, elettriche e civili dell'Enel 27, gli ex ministri dei lavori pubblici Giuseppe Togni, Benigno Zaccagnini, Fiorentino Sullo 28.

La commissione quindi ritenne di avere acquisito tutti gli elementi indispensabili per giungere alla conclusione dei lavori. Le ultime riunioni, protrattesi in giugno e all'inizio di luglio, misero in evidenza le divergenze di valutazione sulle cause e responsabilità del disastro, che portarono ad una frattura sul voto della relazione conclusiva, approvata a maggioranza il 13 luglio 29. Vennero presentate 2 relazioni di minoranza, una predisposta dai commissari comunisti Busetto, Vianello, Gaiani, Lizzero, Scoccimarro, Gianquinto, Vidali, Alicata, l'altra dai socialisti Bonacina e Ferroni. Le due relazioni vennero respinte dalla maggioranza, ma furono pubblicate in appendice come allegati al volume contenente la Relazione finale della commissione, presentata alle presidenze delle Camere il successivo 15 luglio 30.

Il Parlamento prese atto del risultato dei lavori della commissione, senza procedere ad alcuna discussione. Nessun senatore o deputato quindi potè intervenire sulle affermazioni conclusive - quasi pilatesche - della maggioranza della commissione, di cui si riportano alcuni significativi esempi:

Non rientra nei compiti della Commissione parlamentare valutare se le caratteristiche della frana del 9 ottobre 1963 (che hanno determinato la catastrofe) avessero potuto essere previste. Siffatta indagine, in quanto dovrebbe accertare la colpa di non aver previsto per negligenza o per imperizia e, evidentemente, di pertinenza dell'Autorita giudiziaria.
La Commissione parlamentare - confrontando le caratteristiche accertate della frana, con tutte le ipotesi formulate - può e deve constatare che l'evento, così come si è manifestato, non fu previsto da nessuno e che le previsioni formulate, anche considerate nella peggiore combinazione, escludevano pericoli per la pubblica incolumità.

Può anche constatare che vi fu continuita di ricerche, che esse furono dirette a chiarire e ad approfondire gli aspetti nuovi dei fenomeni ed anche ad integrare indagini geologiche tradizionali con le nuove risorse della geofisica e della geomeccanica. (...)
La Commissione ha specialmente approfondito l'esame dei rapporti fra la Pubblica Amministrazione e gli enti concessionari, per accertare se l'attività amministrativa sia stata correttamente diretta all'interesse pubblico, consistente nella acquisizione di nuove fonti di energia, accompagnata dall'imprescindibile esigenza di tutelare la sicurezza collettiva.
(...)
Sotto questi aspetti si è constatato che, nè dall'esame dei comportamenti nelle varie fasi, nè dall'analisi dei singoli atti, emergono fatti o circostanze nelle quali sia possibile ravvisare condiscendenze della Pubblica Amministrazione verso la concessionaria, mentre da quasi tutti gli atti emerge un intento collaborativo. (...)
In concreto dall'analisi delle procedure non risulta che la Pubblica Amministrazione si sia dimostrata succube e compiacente. (...)
Tutto considerato sembra che la scienza e la tecnica non abbiano dato indicazioni illuminanti sulla prospettiva di una catastrofe, così come poi in realta si è verificata. Proprio dalle più accurate ed approfondite delle ricerche, è anzi, venuta l'insidia, che risulto tanto più grave in quanto ad essa si aggiunse quella della natura, che, con l'evoluzione dei fenomeni, andava delineando una quasi legge di correlazione degli invasi e svasi col fenomeno franoso, convalidando le valutazioni scientifiche tratte dalle indagini geomeccaniche e geologiche, le quali tutte, congiunte ai risultati delle sperimentazioni su modello, escludevano che, anche nella peggiore delle ipotesi, potessero sorgere pericoli per la pubblica incolumita 31.

Così come nessun senatore o deputato potè confrontarsi con le opposte valutazioni delle relazioni di minoranza, che invece mettevano in evidenza le responsabilità della Sade, dell'Enel, delle istituzioni dello Stato. La prima di queste - quella presentata dai parlamentari comunisti - affermava:
Dall'esposizione dei fatti e dei comportamenti emergono pesanti responsabilità, in ordine alla catastrofe del Vajont, della Sade, dell'Enel-Sade e dello Stato.
La tragedia poteva e doveva essere evitata.
Respingiamo l'appello alla fatalità o alle forze scatenate della natura.
Respingiamo la negazione della responsabilità che, con pretesa di obiettività e di rigore scientifico, punta sull'eccezionalità del fenomeno insistendo sul simultaneo fondersi dei tre elementi: volume, velocità e compattezza della frana, per sostenere che ciascuno di questi tre elementi poteva anche essere previsto contemporaneamente, ma che non era prevedibile la fusione di tutti e tre.
Si deve distinguere tra prevedibilità e probabilità. Un evento produttivo di danno può essere prevedibile, ma non probabile; è sufficiente la sua prevedibilità per realizzare una situazione di responsabilità.
Nel caso del Vajont era certamente prevedibile e probabile un evento catastrofico (non si spiegherebbero altrimenti le numerose e costose ricerche fatte eseguire dalla società concessionaria Sade), anche se era poco probabile un certo tipo di evento catastrofico. (...) È emersa anche una sistematica carenza d'iniziativa da parte del potere politico di fronte allo stato di inadeguatezza, di confusione ed anche di menomazione della Pubblica Amministrazione.
Il Ministero ha operato in sostanza come uno strumento al servizio della Sade, attuandone direttive ed indirizzi, venendo meno proprio al suo compito di espressione del potere politico e annullando l'azione degli organismi democratici.
D'altra parte la tecnocrazia e la burocrazia hanno svuotato di contenuto l'autorità politica che rimase inerte pur avendo, essa sola, il potere di certe iniziative. Ora il giudizio politico deve assumere come sua componente il giudizio di tecnici, di giuristi, di competenti, ma ha una propria autonomia; quando questa viene a mancare, rimane un potere che non opera. Il Ministero è colpevole di non avere assolto alla sua funzione propria di controllo pubblico sull'attivita di un ente privato.
Risulta ampiamente documentato che la Sade durante tutta la vicenda si è servita dello Stato per i propri fini, imponendo il suo prepotere al Governo, al Ministero, come alle Assemblee locali elettive; perseguendo i suoi scopi fino ad arrivare a nascondere o sottovalutare il rischio per non compromettere il successo dell'opera in corso di realizzazione 32.
In conclusione, l'inventario dell'archivio della Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont costituisce una guida necessaria alla ricerca sui documenti e presenta le caratteristiche di un dispositivo scientifico sotto il profilo archivistico. Per fornire indicazioni utili ad un pubblico più vasto della comunità degli studiosi di carte d'archivio, si ritiene opportuno fornire un inventario sommario dell'archivio stesso, tratto dall'inventario a stampa e su supporto informatico e dal riscontro personalmente eseguito nelle ricerche dirette condotte nei documenti del predetto archivio. Si tratta complessivamente di 12 buste d'archivio, che si possono distinguere in due principali filoni: i documenti acquisiti dalla Commissione parlamentare per procedere all'inchiesta; i documenti prodotti dalla Commissione parlamentare nel corso dei suoi lavori.

Il primo gruppo di documenti forma la maggiore quantità degli atti raccolti nell'archivio della commissione, ben 10 buste su complessive 12. Rilevante a questo proposito è la documentazione proveniente dal Ministero dei lavori pubblici (relazione e documenti della Commissione d'inchiesta amministrativa del Ministero, più nota come Commissione Bozzi dal nome del suo presidente, Carlo Bozzi presidente del Consiglio di Stato), dall'Ente nazionale per l'energia elettrica (Relazione e documenti della Commissione sulle cause che hanno determinato la frana nel serbatoio del Vajont e di quella sul comportamento degli organi dell'Enel), dalle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, dagli enti locali, da enti pubblici e da istituti scientifici 33. Si tratta di documentazione nella maggior parte dei casi rinvenibile anche negli atti processuali conservati nel Tribunale de L'Aquila. Va notato a tale proposito che le copie dei documenti degli atti istruttori avrebbero dovuto essere restituite integralmente dai commissari alla presidenza della commissione per ragione d'ufficio e anche per vincolo istruttorio 34, ma non è possibile accertare se tale disposto sia stato seguito da tutti i membri della commissione 35.

Il secondo blocco di documenti rappresenta la parte più originale, essendo atti esclusivamente di provenienza della Commissione parlamentare o dei suoi organi. Notevole attenzione va riservata ai documenti "formati" dalla commissione (b. 1).
Di particolare interesse risultano i resoconti verbali delle sedute della commissione stessa (b. 4), di cui mancano però i primi tre che non sono stati rintracciati 36, nonchè quello di una delle ultime riunioni del luglio 1965 37. Non sono stati rinvenuti nemmeno i resoconti verbali delle sedute dei comitati ristretti e dei gruppi di lavoro, ad eccezione di un solo verbale del terzo gruppo (b. 1, sfasc. 1.8.7.) e dei verbali del quarto gruppo (b, 1, sfascc. 1.9.8-1.9.14) 38, peraltro non completi 39. Queste rilevanti assenze fanno dubitare che il comitato e i gruppi abbiano provveduto a redigere sistematicamente i verbali delle riunioni, limitandosi alcuni a operare i resoconti soltanto per sedute ritenute particolarmente rilevanti 40. Importanti poi sono le note e le relazioni compilate dal presidente o da singoli commissari, che aiutano a ripercorrere gli specifici punti di lavoro della commissione (b. 1).

Vi sono poi dei documenti che si possono considerare "misti", in quanto presentano le caratteristiche di essere stati prodotti al di fuori dell'ambito della commissione e raccolti tra i documenti della commissione stessa. È il caso della documentazione fatta pervenire dagli ex prefetti di Belluno e Udine dopo le loro audizioni 41.

La consistenza dell'archivio della Commissione parlamentare in definitiva riguarda nell'insieme i documenti utilizzati dalla commissione per i lavori, i resoconti dei gruppi di lavoro, quelli delle riunioni plenarie, le audizioni delle persone ascoltate; i documenti elaborati dai gruppi e dai comitati ristretti; la documentazione utilizzata ed elaborata nelle varie sedi. Come già osservato, non di tutto esiste documentazione completa; tuttavia l'archivio nel suo complesso risulta di notevole interesse per l'atteggiamento delle istituzioni legislative e delle parti politiche di fronte alla vicenda del Vajont, e più in generale anche per le valutazioni inerenti a ipotesi di misure tutorie volte a garantire la «sicurezza collettiva» sia sul piano della legislazione vigente e di quella auspicabile, sia su quello della riorganizzazione della pubblica amministrazione in ordine alla prevenzione e agli interventi per calamità pubbliche, sia infine su quello delle procedure di «protezione civile», su cui per la prima volta un organo parlamentare intervenne nel merito.

Per l'archivio della Commissione parlamentare si tratterebbe di procedere non all'acquisizione diretta, data la competenza esclusiva dell'istituzione parlamentare e l'unitarietà dell'archivio complessivo del Senato, ma di ottenere copia informatica.

Si potrebbe infine pensare di rintracciare e recuperare anche le carte degli avvocati della difesa e delle parti civili. Questo complesso di documentazione risulterebbe di preminente importanza per la ricostruzione delle strategie processuali della parti in causa. Il valore di questi documenti è dato anche dal rilievo dei nomi degli avvocati presenti durante l'iter giudiziario del Vajont, basti ricordare ad esempio - solo per citare i piu noti:

Giandomenico Pisapia, Giuseppe Bettiol, Ettore Gallo, Giovanni Conso, Alessandro Reggiani, Lucio Luzzatto, Alfredo De Marsico, Luigi Degli Occhi, Alessandro Brass, Giacomo Delitala, Giuseppe Zuccala, Luigi Devoto, Antonio Gabrieli, Giorgio Malipiero, Luigi Bacherini, Gustavo Marinucci, Cesare Tumedei, Vincenzo Camerini, Giuseppe Donadio, Pietro Lia, Filippo Ungaro, Giuseppe Sotgiu, Arturo Sorgato, Giuseppe De Luca, Giuseppe Lavaggi, Alberto Scanferla, Giorgio Tosi, Sandro Canestrini, Odoardo Ascari, Giacomo Corona, Manlio Losso, Flavio Dalle Mule, Giovanni Carloni, Nery Pregaglia, Peppino Zangrando.

Alcune di queste carte cominciano già ad essere depositate in sedi diverse (carte dell'avvocato Tosi nell'Archivio della Fondazione Luccini a Padova; carte dell'avvocato Canestrini nell'Archivio dell'Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell'Età contemporanea - ISBREc - a Belluno).

Si potrebbe insomma costituire in tal modo un sistema di archivio diffuso del Vajont mediante l'individuazione, l'inventariazione, la regestazione della documentazione presente in altri archivi, come quelli dell'Enel (ricordo a tale proposito la numerosa documentazione allestita dall'Enel a fini processuali, conservata nell'Archivio dell'Enel a Venezia), della Montedison (la società acquistò l'archivio della Sade, di cui però si sono perse - o nascoste - le tracce) dell'Archivio Centrale dello Stato a Roma (si pensi agli importanti documenti del Ministero dell'interno).
Particolare attenzione poi dovrebbe essere data ad archivi privati, come quelli dei giornalisti Tina Merlin e Fiorello Zangrando, che seguirono con piglio e puntualità le vicende e i processi del Vajont.
Non andrebbero trascurati poi i documenti posseduti da istituzioni, enti, associazioni, anche pensando al "dopo Vajont", quali ad esempio l'archivio del Conib (Consorzio del nucleo di industrializzazione in provincia di Belluno), depositato nel Comune di Longarone, quello del Nip (Nucleo di industrializzazione in provincia di Pordenone), le carte lasciate da ex partiti politici o singoli parlamentari (la documentazione sul Vajont posseduta dalla Federazione del Partito comunista italiano di Belluno è stata depositata nell'Istituto storico bellunese della resistenza e dell'età contemporanea). Di questo archivio diffuso dovrebbe far parte come elemento essenziale anche documentazione già presente e allestita in altri spazi museali e documentali, come quello di Erto Casso.

L"'Archivio Vajont" potrebbe costituirsi autonomamente come progetto culturale in una idonea sede istituzionale, come già ricordato, e in ogni caso fare parte come sezione integrante del Museo del Vajont - programmato da oltre 20 anni dalle varie amministrazioni comunali succedutesi a Longarone - all'interno del quale potrebbe essere collocata tutta la documentazione acquisita, allestita un'esposizione a rotazione temporanea di documenti significativi, predisposto un itinerario audiovisivo sugli archivi "diffusi".
E la Fondazione Vajont, sorta il 18 ottobre 2003, potrebbe fare dell"'Archivio Vajont" un obiettivo di progetto culturale qualificante da includere nel suo programma e nelle sue finalità.

Maurizio Reberschak

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NOTE

Nota 1. Si riscontrano alcune interruzioni nella numerazione dei documenti, dovute probabilmente da una parte alla necessità della cancelleria istruttrice di predisporre serie numeriche compatte per acquisizioni archivistiche sequestrate, dall'altra al riaccorpamento di alcuni blocchi di documenti in buste diverse da quelle originali: dal 2480 si passa al 4000, dal 4672 al 4700, dal 4757 al 4800, dal 4914 al 4950, dal 4982 al 5000.
Per le medesime ragioni si verifica un salto nella numerazione delle buste, che passa dal numero 85 al 100. Vi sono altresì alcune buste numerate prive di contenuto (buste 64, 65, 74, 75): la documentazione venne accorpata in altre buste (buste 1, 5) per finalità processuali.

Nota 2. Molte di queste buste risultano essere quelle originali di istituzioni, enti, società presso cui vennero operati i sequestri; in tali casi anche le etichette e le indicazioni scritte sui dorsi sono quelle originali di provenienza. Per l'utilizzazione processuale di questi documenti si veda l'indice compilato dal giudice istruttore Fabbri: ARCHIVIO DEL TRIBUNALE DE L'AQUILA (ATLA), Processo Vajont (PV). Ufficio istruzione, Indice atti istruttoria.

Nota 3. Manca la busta 10.IV, concessa in deposito al Comune di Longarone.

Nota 4. Sull'iter giudiziario del processo penale del Vajont cfr. F. ZANGRANDO, Il lungo viaggio attraverso la colpa, in M. REBERSCHAK, Il Grande Vajont, Verona 2003, pp. 209-250. Le tappe sono scandite dalle sentenze:

PROCURA DELLA REPUBBLICA. BELLUNO, Requisitoria nel procedimento penale contro Biadene Alberico, Pancini Mario, Frosini Pietro, Sensidoni Francesco, Batini Curzio, Penta Francesco, Greco Luigi, Violin Almo, Tonini Dino, Marin Roberto, Ghetti Augusto, Il pubblico ministero Arcangelo Mandarino, Belluno 22 novembre 1963, n. 818/63 P.M., n. 85/64 G.I.;

REPUBBLICA ITALIANA. Sentenza del giudice istruttore presso il Tribunale di Belluno nel procedimento penale contro Biadene Alberico, Pancini Mario, Frosini Pietro, Sensidoni Francesco, Batini Curzio, Penta Francesco, Greco Luigi, Violin Almo, Tonini Dino, Marin Roberto, Ghetti Augusto, Il giudice istruttore Mario Fabbri, Belluno 20 febbraio 1968, n. 85/64 R.G.;

REPUBBLICA ITALIANA. TRIBUNALE DELL'AQUILA, Sentenza nella causa penale contro Biadene Alberico, Frosini Pietro, Sensidoni Francesco, Batini Curzio, Violin Almo, Tonini Dino, Marin Roberto, Ghetti Augusto, Presidente Marcello Del Forno, L'Aquila 17 dicembre 1969, depositata 20 aprile 1970, n. 104/68 Reg. Gen.;

REPUBBLICA ITALIANA. CORTE DI APPELLO DE L'AQUILA. SEZIONE PENALE, Sentenza nella causa penale a carico di Biadene Alberico, Violin Almo, Sensidoni Francesco, Frosini Pietro, Tonini Dino, Marin Roberto, Ghetti Augusto, Presidente Bruno Fracassi, L'Aquila 3 ottobre 1970, depositata 5 gennaio 1971, n. 288/70;

REPUBBLICA ITALIANA. LA CORTE SUPREMA Dl CASSAZIONE. SEZIONE IV PENALE, Sentenza nel ricorso proposto da Biadene Alberico, Frosini Pietro, Sensidoni Francesco, Violin Almo, Pubbblico Ministero, Ente nazionale per l'energia elettrica (E.N.E.L.), Avvocatura generale dello Stato, Presidente Giovanni Rosso, Roma 25 marzo 1971, depositata 20 luglio 1971, n. 31/1971.

Nota 5. SENATO DELLA REPUBBLICA. ARCHIVIO STORICO, Guida all'Archivio storico del Senato, Roma-Soveria Mannelli 2003; Repertorio delle Commissioni parlamentari d'inchiesta (1948-2001), Roma-Soveria Mannelli 2001 n.e., www.senato.it/ArchivioStorico/hom.htm

6. SENATO DELLA REPUBBLICA. ARCHIVIO STORICO, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont. Inventario e documenti, Roma-Soveria Mannelli 2004.

7. P. CARUCCI, Le fonti archivistiche. Ordinamento e conservazione, Roma 1983, pp. 171-172, 194-195.

8. E. LODOLINI, Archivistica. Principi e problemi, Milano 2002 1°, p. 248.9. L'assenza di tale apparato storiografico costituisce forse un limite dell'inventario dell'archivio della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Vajont, che privilegia l'aspetto tecnico archivistico su quello di inquadramento storico.

10. Fecero parte della Commissione 30 parlamentari, oltre al senatore democristiano Leopoldo Rubinacci, che venne nominato extra numero congiuntamente dai presidenti delle Camere: i senatori Ajroldi, De Luca, De Unterrichter, Genco, Oliva (sostituito poi da Lo Giudice), Vecellio per la Democrazia cristiana, Scoccimarro (nominato vicepresidente), Gaiani, Gianquinto, Vidali per il Partito comunista italiano, Bonacina, Ferroni per il Partito socialista italiano, Basso (poi sostituito da Zannier) per il Partito socialdemocratico italiano, Veronesi (nominato segretario) per il Partito liberale italiano, di Crollalanza per il Movimento sociale italiano, e i deputati Fortini (nominato vicepresidente), Bressani, Corona (sostituito poi da Baroni), Degan, Dell'Andro, Foderaro per la Dc, Alicata, Busetto, Vianello per il Pci, Mosca (nominato segretario) per il Psi, Luzzatto (poi sostituito da Curti) per il Partito socialista italiano di Unità proletaria, Zuccalli per il Psi-Psdi unificato, Biaggi (sostituito poi da Catella) per il Pli, Covelli per il Movimento sociale - Alleanza nazionale.
L'ufficio di segreteria venne assegnato a Gaetano Gifuni.
(ARCHIVIO STORICO DEL SENATO [ASS], Commissione parlamentare d'inchzesta sul disastro del Vayont [CPIDV, b. 1, fasc. 1.2., sfasc. 1.2.1.;
SENATO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, Legge 22 maggio 1964, n. 370. Relazione finale. Comunicata alla Presidenza delle Camere il 15 luglio 1965, Documento n. 76-bis, Roma 1965, pp. 1, 17, 21;
CAMERA DEI DEPUTATI IV LEGISLATURA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, Legge 22 maggio 1964, n. 370. Relazione finale. Comunicata alla Presidenza delle Camere il 15 luglio 1965, Documento XVII n. 1-bis, Roma 1965, pp. 1, 17, 21;
SENATO DELLA REPUBBLICA. ARCHIVIO STORICO, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont).

11. SENATO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, p. 9.

12. Le precedenti commissioni bicamerali erano state istituite per le inchieste sul comportamento degli organi della pubblica amministrazione in ordine alla "Anonima banchieri" (1. 18 ottobre 1958, n. 943) e sulla mafia in Sicilia (1. 20 dicembre 1962, n. 1720).

13. SENATO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, p. 10.

14. Ordinanza del giudice istruttore Mario Fabbri, Belluno 8 settembre 1964 (ASS, CPIDV, b. 1, fasc. 1.2., sfasc. 1.2.22.; SENATO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vayont, p. 14; M. FABBRI, Processo penale e inchiesta parlamentare. Rapporti, interferenze, conflitti tra autorità giudiziaria e commissione, in REBERSCHAK, Il Grande Vajont, p. 177).

15. Ivi, pp. 168-207.

16. SENATO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, pp. 17-20.

17. Ivi, p.24.

18. SENATO DELLA REPUBBLICA. IV LEGISLATURA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont. Prima relazione. Comunicata alle Presidenze delle Camere l'11 maggio 1965, Documento n. 76, Roma 1965.

19. Erano stati ascoltati Giuseppe Samonà, incaricato dal Ministero dei lavori pubblici di redigere il piano comprensoriale del Vajont, Danilo De' Cocci sottosegretario ai lavori pubblici, i sindaci di Longarone, Erto Casso, Castellavazzo e di altri comuni della vallata del Piave, della val Belluna, della val Cellina e della piana friulana sottostante tale valle interessati dal piano comprensoriale; i presidenti delle amministrazioni provinciali di Belluno e di Udine, il presidente e l'assessore all'urbanistica della Regione Friuli-Venezia Giulia, i prefetti di Belluno e di Udine, il responsabile dell'Ufficio per il coordinamento degli interventi nell'area del Vajont, il presidente del Magistrato alle acque di Venezia, il responsabile del Provveditorato alle opere pubbliche di Trieste, gli ingegneri capo del Genio civile, i responsabili degli Uffici tecnico-erariali e gli intendenti di finanza di Belluno e di Udine, il dirigente dell'Ispettorato dipartimentale delle foreste di Udine, il dirigente del Centro di progettazione e costruzioni del Compartimento Enel delle Venezie (ASS, CPIDV, b. 1, fasc. 1.9.; SENATO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, p. 20).

20. ASS, CPIDV, b. 4, fasc. 4.15., Processo verbale 7 maggio 1965, n. 17, p. 8-11.

21. Ivi, b. 4, fasc. 4.18., Processo verbale 18 maggio 1965, n. 20, p. 2.

22. Ivi, b. 4, fasc. 4.19., Processo verbale 20 maggio 1965, n. 21.

23. Rispettivamente Terenzio Arduini, Rino Zoldan, Giovanni De Damiani.

24. Domenico Caruso e Francesco Vecchi.

25. Giovanni Padoan.

26. Roberto Marin. Questi non risutava ancora formalmente inquisito.

27. Giacomo Baroncini.

28. Ivi, b. 4, fascc. 4.19.-4.24., Processi verbali 20, 25, 26, 28 maggio 1965, nn. 21-26; SENATO DELLA Repubblica, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, pp. 22-24. La Commissione invece rinunciò per ragioni di indisponibilità a procedere alle audizioni del ministro dei lavori pubblici in carica Giuseppe Mancini e dei presidenti delle amministrazioni provinciali di Belluno e di Udine.

- 29. 19 voti favorevoli e 8 contrari (i comunisti Busetto, Gaiani, Gianquinto, Lizzero, Scoccimarro, Vianello, Vidali, e il socialista Bonacina) (ASS, CPIDV, b. 4, fasc. 4.29., Processo verbale 13 luglio 1965, n.32, pp. 14-15; SENATO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, p. 26).

30. Ivi, Allegato 1. Relazione di minoranza presentata dagli onorevoli Busetto, Vianello, Gaiani, Lizzero, Gianquinto, Vidali e Alicata, pp. 1-33;
Allegato 2. Relazione di minoranza presentata dagli onorevoli Bonacina e Ferroni intorno alle cause e alle responsabilita del disastro, pp. 1-10.

31. Ivi, pp. 178-180.

32. Ivi, Allegato 1, pp. 24, 27.

33. L'elenco completo dei documenti acquisiti agli atti della Commissione e riportato nella relazione finale: SENATO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, pp. 27-44.

34. Ivi, p. 26.

35. A tale proposito va notato che l'on. Busetto dichiarò «di non sentirsi vincolato alla segretezza della documentazione in suo possesso e di assumersi la completa responsabilità dell'uso che egli riterrà di fare della documentazione stessa» (ASS, CPIDV, b. 4, fasc. 4.29., Processo verbale 13 luglio 1965, n. 32, p. 16).

36. Riunioni del 14 e 31 luglio, 16 settembre 1964 (cfr. SENATO DELLA REPUBBLICA, Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, pp 9, 17).

37. Riunione dell'8 luglio 1965 (cfr. Ivi, p. 25).

38. Va corretta quindi l'indicazione riportata nell'inventario dell'archivio della Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont (p. 15-16) di verbali di riunioni della Commissione, in quanto si tratta appunto di verbali dei gruppi di lavoro indicati.

39. Mancano quelli della prima (25 settembre 1964) e della maggior parte delle ultime riunioni (28 gennaio; 3, 11, 12 febbraio; 17 marzo 1965).

40. L'ipotesi è avvalorata dal fatto che i verbali esistenti del terzo e quarto gruppo sono tutti stenografici e non sommari.

41. ASS, CPIDV, b. 11, fascc. 11.3, 11.4.