AscanioCelestini

E dopo Paolini, c'è Celestini,
che a teatro racconta gli operai.

28/11/03. Dagli studi da antropologo al teatro-verità.
Due anni di interviste, show in tutt'Italia e ora Ascanio Celestini porta "Fabbrica" in TV.
Prossima tappa? "Vorrei parlarvi dei manicomi..."

(di Carlotta Mismetti Capua).

Quello che si vede in uno spettacolo di Ascanio Celestini è poco. Quasi niente. Fa così buio, sulla scena, che anche lui si intravvede appena. Qualche lampadina da una trave, una sedia in mezzo. Ma quello che si vede in uno spettacolo di Ascanio Celestini è una Storia. Intensa come un racconto partigiano. Drammatica come un romanzo di guerra. Sempre piena di particolari, comunque.
Come "Fabbrica", il suo ultimo spettacolo con cui gira l'Italia da due anni: ieri era a Roma, a dicembre si replica a Venezia.
Veri e propri miniblitz: nei locali jazz, nelle fabbriche dismesse, nei festival, nei teatri. E adesso, l'incoronazione della TV, domani sera (sabato 29 Novembre 2003, per chi sta leggendo questa pagina) su RaiDue. Arriva tardi, lo spettacolo, in terza serata (a mezzanotte e mezza), ma vale la pena di aspettarlo. Perchè la storia della fabbrica per Ascanio Celestini - romano, studi di antropologia alla Sapienza di Roma, occhi chiarissimi, barba da elfo, il 'nuovo Marco Paolini' secondo molti critici, «Bravo, bravissimo: tra i migliori della sua generazione», secondo Dario Fo - è soprattutto la storia dei suoi operai.

La storia di Fausto, del padre di Fausto e prima ancora, del nonno di Fausto: così è Fabbrica - che per palcoscenico ha le ex-acciaierie Falck di Sesto San Giovanni, Milano, l'ex 'Stalingrado' d'ltalia - racconta del mondo contadino che diventa industriale, e delle città, come Torino o Pontedera, che prima si allargano a dismisura, e poi si svuotano.
Così Fabbrica racconta sessant'anni di storia del lavoro, oltre mezzo secolo di sindacato, le lotte operaie, il fascismo, la modernizzazione.

«C'è qualcosa di epico nella storia della fabbrica" spiega Celestini. "All'inizio l'età dell'acciaio, con operai d'acciaio che si chiamavano Libero, Ideo, Guerriero, Dinamo: gente che lavorava, appunto, l'acciaio ma si sentiva il costruttore del futuro.
Poi c'è stata l'età di mezzo, quella degli operai comunisti e anarchici. Gente che oggi ti racconta che - allora - pensava di cambiare la fabbrica per cambiare il mondo. Ma oggi quale operaio pensa queste cose? E soprattutto, oggi, dove sono gli operai?
Ecco, nell'età contemporanea la fabbrica è una scatola vuota, un posto senza operai. Oggi la nuova fabbrica sono i call center, dove contano i minuti che ci metti a rispondere al telefono, dove non ti puoi alzare senza permesso, dove ci sono le guardie come nelle fabbriche degli anni Cinquanta. Solo che allora gli operai avevano la politica, e il senso dei loro diritti. Oggi i ragazzi non hanno più nemmeno quello».

marcoPaoliniAscanio Celestini prima di fare teatro pensava di fare, appunto, l'antropologo. E come un antropologo registra nastri, suoni, racconti, testimonianze di operai (migliaia di nastri e due anni di lavoro) per l'attuale spettacolo. Proviene da infermiere, suore e medici il materiale per il prossimo, dedicato ai manicomi, che presenterà alla Biennale di Venezia.

«Come diceva Ernesto De Martino: la verità che noi cerchiamo non è quella dello storico: non la ricostruzione del passato, ma quello che nel presente è rimasto 'del' passato». Celestini quando parla è velocissimo, e magari sbaglia anche i verbi, perchè, dice, «quando si racconta si sbaglia». Si definisce un affabulatore, e dice che questa qualità l'ha appresa dalla nonna, «che raccontava in cucina le vite delle streghe» è dalla zia che «levava le fatture».

Come Paolini ha fatto con il "Vajont" e "Ustica", Celestini ha già raccontato in giro per l'ltalia la storia dei morti delle fosse Ardeatine (ispirata dal libro "L'ordine è già stato eseguito" dello storico Alessandro Portelli). E poi i sogni dei contadini in Vita Morte è Miracoli, le periferie di Pasolini in Cicoria.
Mentre le favole, quelle che Italo Calvino chiamava «il catalogo dei destini che possono capitare ad uno uomo e ad una donna», le ha raccolte nel libro Cecafumo (editore Donzelli, pp. 248, euro 24,50). «Raccontare, ricordare, significa evocare, cioè chiamare fuori. È come una seduta spiritica. Quello che si vede è quello che la gente immagina».

 

CARLOTTA MISMETTI CAPUA, su "Il Venerdì" di Repubblica, 28/11/03, pag. 101.

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