La logica e la coerenza invocano verità

I-TIGI a Gibellina
di Tommaso Casini

"L'Italia - erano soliti dire i generali americani - è una portaerei sul Mediterraneo".











Marco_PaoliniQuesta tragica verità ebbe la sua inaccettabile conseguenza alle 20.59 del 27 giugno 1980 quando un aereo civile in volo da Bologna a Palermo scomparve dallo schermo dei radar. A bordo c'erano 78 passeggeri e 3 uomini dell'equipaggio. Il DC9 I-TIGI, della società Itavia, s'inabissò nelle acque dell'isola di Ustica. A più di vent'anni da quella tragica notte, "Ustica" non ha verità, non ha colpevoli. Eppure, anche senza una verità sancita, tutti abbiamo la più chiara consapevolezza di ciò che accadde: ci fu la guerra. Una guerra non dichiarata, di cui nessuno apparentemente sapeva nulla o se sapeva negò. Negarono, omisero, depistarono i capi di stato maggiore dell'Aeronautica, negarono i servizi segreti, negarono, in attesa di indagini, i politici che governavano il paese.
Un dubbio atroce ci assale: di quella guerra il DC9 era l'obbiettivo premeditato? Oppure l’aereo dell'Itavia fu abbattuto per un "errore collaterale"? Nessun'altra verità è ormai più ipotizzabile. Chi ancora afferma - con estremo sprezzo del ridicolo - di 'bomba a bordo' oppure di 'cedimento strutturale' deve solo fare i conti con la propria capacità psichica di auto-ingannarsi. Se le ipotesi di scenario si restringono a due, molti di più sono gli indiziati della strage: la NATO? L'aviazione americana? Quella francese? Quella italiana? Quella libica? Risposte certe non ve ne sono e come per i troppi misteri d'Italia chissà quando le avremo.

Per esigenza di verità e per ricordare il ventennale della strage di Ustica in cui persero la vita 41 uomini, 24 donne, 3 ragazzi e 13 bambini, Marco Paolini, il grande cantastorie civile del "Vajont", portò in scena nel 2000 in compagnia di Giovanna Marini uno spettacolo teatrale dedicato a quei fatti.
Nel 2002 una nuova versione è stata riportata a teatro e nelle piazze d'Italia. In occasione dell'esecuzione dello spettacolo a Gibellina per le Orestiadi, ne è stato tratto un film per la regia di Davide Ferrario, trasmesso su TelePiu' e presentato all'ultima edizione del "Torino Film Festival".

Il monologo di Marco Paolini è un lavoro di rara potenza espressiva che Ferrario ha saputo cogliere con grande acume, coadiuvato splendidamente dalla fotografia di Giuseppe Baresi. Destreggiandosi in un linguaggio tecnico con minuzia da filologo Paolini ricostruisce, sulla base delle carte processuali (5 mila pagine dell'istruttoria del giudice Rosario Priore), tutti i passaggi della vicenda. Lo scenario di questa ricostruzione è il Cretto di Alberto Burri a Gibellina in Sicilia, a pochi chilometri da Ustica, monumento simbolo ad un'altra ferita del nostro paese.
La più grande opera di Land art d'Europa ricorda infatti il terremoto della valle del Belice del 1968 dove per più di vent'anni i sopravvissuti hanno vissuto nei prefabbricati.
Nell'inquietante atmosfera che circonda i ruderi di Gibellina, viene intonato un canto che risveglia le memorie su una tragedia che mai verrà completamente sepolta, ma che mai avrà un suo compiuto epilogo. Il testo di Marco Paolini è coerente, non vuole svelare verità nascoste, perché nessuno vuole ascoltare banali polemiche o irritanti ipotesi personali, ma soltanto ciò che in questi 22 anni è stato e non è stato fatto e ciò che ha alimentato il "muro di gomma". Lo spettacolo finisce all'improvviso, così come era iniziato, e non dà il tempo al pubblico di rendersene conto.

“La storia del DC9 precipitato a Ustica - dice Marco Paolini - contiene tutti gli elementi della tragedia classica, come l'insepoltura, la mancanza di giustizia, il confronto impari tra vittime e potere, ma in più questa vicenda contiene alcuni argomenti distruggente attualità. Questa è una tragedia globale perché vittime, testimoni e colpevoli appartengono a paesi e sistemi diversi e non c'è nessun giudice che riesca ad erigersi al di sopra delle differenze e dei conflitti planetari fra ragione del diritto e ragion di stato, tra richieste di giustizia, esigenza di verità e convenienza del silenzio, inconfessabili decisioni, arroganza dei poteri. Bisogna recuperare la nostra memoria. In fondo la questione è sempre la stessa del 1980: se l'Italia sia soltanto "una portaerei nel Mediterraneo", come volevano i generali americani, o non piuttosto "un ponte di democrazia verso i paesi arabi", come diceva Sandro Pertini. Il modo in cui siamo entrati in guerra è da semplice portaerei”.


Per finire, un monito e una constatazione, citando sempre le parole di Marco Paolini:
"In Italia l'indignazione dura quanto l'orgasmo. Poi viene sonno..."

FONTE: http://www.altrocinema.it/archivi/i-tigi.htm


Einaudi propone in cofanetto la genesi e il testo completo del monologo
di Marco Paolini sulla tragedia del 27 giugno 1980.

È la sera del 27 giugno 1980. Una bella sera, calda e chiara. Un DC9 dell'Itavia, volo IH870 da Bologna a Palermo, interrompe di colpo le comunicazioni con il controllo di Roma. Alle 20.59, completamente disintegrato, finirà nel profondo mare fra le isole di Ponza e Ustica. Muoiono tutti: ottantuno persone.

Poteva essere la solita, disgraziata, fatale, “normale” tragedia dell'aria. E si parlò infatti di cedimenti strutturali, di esplosione a bordo dovuta alla rottura di chissà che, infliggendo il colpo di grazia alla sfortunata compagnia aerea che già non navigava in buone acque e che, dopo il disastro, non tardò a chiudere i battenti.







Invece no, quella di Ustica non fu una normale sciagura aerea. Il DC9 contrassegnato dalle marche I-TIGI, quattro lettere registrate in un elenco burocratico che sono la “targa” degli aeromobili civili (la “I” sta per Italia) venne abbattuto. Per errore, per disattenzione, per criminalità, non lo sapremo mai. Pare che in quel momento, in quel tratto di cielo ci fosse di tutto: aerei militari americani, italiani, libici, francesi.
Forse ci fu uno scontro fra un libico intruso e i suoi intercettatori, quali che fossero.
Forse il DC9 si trovò per caso sulla traiettoria di un missile destinato ad altri.
Forse, l'aereo braccato si “nascose” accanto al grosso aereo di linea, facendone uno scudo fra sè stesso e la traiettoria dell'ordigno in arrivo.
Forse, forse, forse. Non lo sapremo mai.
Perché l'unica cosa certa della sciagura di Ustica è che appartiene a quel genere di accadimenti che non avranno mai una spiegazione certa, definitiva e credibile. Dopo ventun anni, dopo infinite bugie, false testimonianze, depistaggi, manipolazione e distruzione di prove, nulla e nessuno può avere oggi la credibilità assoluta. Ogni nuova testimonianza può essere artefatta, ogni nuovo “scoperta” manipolata. Non ne sapremo mai nulla. Come per tanti altri fatti della Storia, che so? L'assassinio dei Kennedy, o la morte di Marylin Monroe. Tutto resterà pura speculazione.
Sì, ma quegli ottantuno morti sono veri. I loro parenti lottano da vent'anni per la verità, mentre altre decine di persone si affannano a nasconderla.
Questa non è speculazione: è carne, sangue, dolore, disperazione che il tempo ha forse lenito ma non cancellato.

Poteva sfuggire il senso di tanta tragedia, tanto oscurantismo, tanta disonestà (personale, privata e di Stato), tante complicanze internazionali a Marco Paolini? Certo che no. E infatti un paio d'anni fa l'attore bellunese cominciò a votarsi anima e corpo al difficile compito di creare un involucro drammaturgico alla sciagura di Ustica. Le sue credenziali, dopo il folgorante “Vajont”, erano impeccabili: nessuno come lui aveva saputo trasformare un racconto di cronaca in puro dramma spettacolare. Lui, da solo. Parlando e parlandoci, elencando nomi, date, cifre, incrociando gli eventi, raccogliendo i fili sparsi e annodandoli in una terribile matassa. Dimostrando come in un'equazione chi, come, quando e perché aveva condotto a una catastrofe che aveva causato duemila morti.
Molti di noi conoscono “I-TIGI canto per Ustica”, messo in scena sulle piazze di Bologna e di Palermo e passato anche in televisione. Appassionante, anche se meno perfetto di “Vajont”: comunque un monologo che gela il sangue. Bene, Einaudi propone da oggi un cofanetto con una videocassetta e un piccolo libro. Le immagini sono la registrazione dello spettacolo di Bologna, quello visto in tv, per intenderci. Nulla di nuovo, dunque, a parte il piacere di averlo sottomano a volontà.

Il libro invece, si intitola “Quaderno dei Tigi”, ed è a cura di Daniele Del Giudice e dallo stesso Paolini. È una sorta di diario che contiene la gestazione dello spettacolo e poi il testo del monologo. La prima parte è di gran lunga la più emozionante: le indagini degli autori prima di mettersi a tavolino e districare, per poi scrivere, una storia tanto intricata e allucinante. Ci sono i loro dubbi, le loro testimonianze, i sopralluoghi (compreso quello a Pratica di Mare, nell'hangar dove giacciono i resti del DC9 e del Mig27 libico); i lunghi colloqui, i momenti di impotenza dinanzi a quel “muro di gomma” che una decina di anni fa è stato anche oggetto di un film di Marco Risi.

È un piccolo, prezioso vademecum dell'infamia e dell'arroganza del potere, quale che sia la sua bandiera, visto che nella tragedia di Ustica ficcarono il naso tutti, soprattutto i vertici dell'Aeronautica italiana e della Nato. Segreti militari? Certo, sono sacrosanti. Ma quando qualcuno, in tempo di pace, ammazza ottantuno povere persone che pensavano di essere a cena di lì a un'oretta, almeno scusa bisognerebbe chiederla. E se qualcuno ha sbagliato dovrebbe pagare. Il che non è successo e non succederà più.

Articolo di Fausto Serra su "IL SECOLO XIX" di Genova del

07/11/2001

 Altri documenti online: Il sito dell'associazione bolognese

Il manifesto dello spettacolo "I-TIGI/canto per Ustica" di Paolini.

0