A Erto nasce una nuova Resistenza: quella di chi non vuol essere scacciato


Il quesito sulle reali intenzioni che gli organi ministeriali nutrono sull'avvenire del lago del Vajont è tornato a riproporsi con forza in questi mesi, da quando se ne é iniziato lo svuotamento da parte dell'ENEL senza, peraltro, nessuna ufficiale autorizzazione governativa. L'ENEL agisce di propria iniziativa, come un tempo la SADE. Malgrado ciò che è accaduto quassù oltre due anni fa, lo Stato non dice una parola precisa per chiarire le sue intenzioni a questa gente. Dopo due anni dalla promessa che il lago sarebbe stato subito svuotato è piuttosto logico, essendo le operazioni iniziate da poco, che la popolazione nutra delle perplessità.

Il problema, comunque, ora, si pone in termini diversi da allora. La popolazione di Erto e Casso, come si sa, ha fatto le proprie scelte sul luogo dove vuole andare ad abitare. Un travaglio lunghissimo e difficile, nel quale ad elementi positivi se ne sono aggiunti altri negativi che hanno creato confusione (la confusione è stata la caratteristica costante del dopo-Vajont), col risultato di smembrare la comunità ertana, in tre tronconi e ogni singola famiglia in diverse unità cosiddette familiari, ognuna delle quali ha deciso per il trasferimento in luogo diverso. Basti osservare i dati dei vari referendum indetti allo scopo. Gli abitanti di Erto e Casso erano in tutto 1684 alla data della tragedia, con 325 nuclei familiari stabiliti ad Erto e 83 a Casso, in tutto 408 nuclei familiari.
Essi sono diventati 1140 col referendum del '64, avendo 642 di questi optato per Maniago, 343 per Erto a monte e 155 per Ponte nelle Alpi. Nel successivo referendum dell'ottobre scorso risultavano aver votato per Maniago 287 nuclei familiari, per Ponte nelle Alpi 44, per Erto a monte 99, ma ben 327 nuclei non si erano nemmeno recati alle urne, probabilmente sfiduciati nel proprio avvenire.

In questa incredibile situazione è difficile trovare una logica, il filo conduttore di una matassa che deve essere sbrogliata se si vuole camminare avanti, sul piano di una realtà vera e non artefatta. Chi deve mettere ordine è soprattutto la Giunta comunale, ma essendo alcuni suoi membri portavoci del gruppo che intende insediarsi a Maniago ha tutto l'interesse, e lo dimostra, ad ingrandire le sue cifre e a sminuire quelle di Erto; a trattare chi vuole tornare nella località dove è nato (e in pratica è già tornato malgrado il divieto) da anti-civile, quando addirittura non lo taccia da sperperatore dei denari dello Stato, ché non vale la pena d'investire sui grebani del diroccato paese natio.

Tutti questi elementi sono condensati in diversi servizi che il «Gazzettino» ha pubblicato ultimamente, ispirati, si sente lontano un miglio, dai sopraddetti membri della Giunta comunale. Ed è di fronte a questo modo di fare, in contrasto con una propaganda elettorale condotta un anno fa sul tema della più ampia libertà di scelta per tutti e della difesa dei diritti d'ognuno a tale scelta, che coloro che hanno optato per tornare ad Erto e che in realtà ci stanno fin dallo scorso anno, sentono tutta l'ambiguità del comportamento di alcuni amministratori nei loro contronti. Perché tanto malanimo, si chiedono gli ertani, se si avesse effettivamente accettato, con convinzione, l'idea di rifare Erto a quota di sicurezza per quegli ertani che intendano stabilirvisi? Il dubbio del gruppo di Erto nasce da qui, dalla volontà reale che li si voglia lasciare veramente ad Erto, malgrado le promesse e i piani sulla carta.

Il sindaco Corona e il vice-sindaco Martinelli hanno iniziato una battaglia che non è certo foriera di buone speranze. E se l'hanno fatto, hanno certo qualcuno che li spalleggia. Tanto oramai si sa, che la loro conclamata professione d'indipendenza politica, sbandierata fino agli ultimi giorni della campagna elettorale, altro non era che un paravento per imbrigliare nella rete della Dc quanti più voti possibili. Subito dopo la nomina a sindaco, Corona si è recato a Canossa o per essere chiari nella sede provinciale della Dc a prelevare la sua brava tessera, in cambio dell'appoggio dato dalla Dc alla sua lista. E, come la regola vuole, della Dc egli osserva ed impone le direttive. È perciò la Dc che parla per bocca del sindaco Corona, ecco perché le sue ultime prese di posizione sono allarmanti.

Abbiamo iniziato a parlare del lago per parlare dell'avvenire della nuova Erto. Una parte della Giunta spinge perché gli ertani che vogliono ritornare ad Erto se ne vadano via. Ma il gruppo di Erto s'impunta, avendo dalla sua parte le promesse che il paese verrà rifatto, per chi vuol tornare, a quota di sicurezza 830. Ora si sta finalmente svuotando il lago, molto a rilento, anche per questioni tecniche di verifica della stabilità delle sponde. Era un lavoro da iniziare subito dopo la tragedia, ma nessuno aveva le idee chiare sull'avvenire del bacino o, meglio, non si voleva rivelarle.

La battaglia condotta un tempo dalla comunità ertana ancora unita, era per lo svuotamento e la non utilizzazione del lago. Non c'erano ancora i decreti di trasferimento in altri luoghi e la popolazione voleva, tutta, tornare al proprio paese. Il lago rimaneva, perciò, una terribile minaccia, così come costituiva una minaccia per il versante di Longarone, se l'acqua fosse rimasta al livello dei giorni dopo la tragedia. Ora il problema può apparire diverso se studiato con buon senso. Si tratta di vedere se un eventuale «invaso di sicurezza» o di «minore capienza», sul quale gli organi tecnici devono essere in grado di pronunciarsi, può costõtuõre motivo di pericolo per i due versanti o no.

Il problema del bacino artificiale si pone evidentemente per tutta la popolazione del Vajont. Ma al punto in cui siamo bisogna cercare di essere chiari e di avere senso reale delle cose, altrimenti tutte le questioni, ricostruzione di Longarone e di Erto comprese, si protrarranno fino alle calende greche. Questo è perciò un punto che va definitivamente chiarito, da chi ha la responsabilità di farlo.

E per rispondere a coloro che gridano tanto sullo «sperpero» che lo Stato si addosserebbe costruendo la nuova Erto a monte, al di là di una facile risposta polemica ma tanto seria sulle responsabilità dello Stato a proposito di quanto è accaduto quassù e sul dovere, perciò, di prodigarsi per ristabilire la normalità, se così si può dire, diciamo che non tutta Erto è da demolire. Molte case, situate sopra l'attuale strada della valle, possono essere abitate dai proprietari un domani che ad essi si procurerà il contorno necessario alla vita: il lavoro, le attrezzature civili ecc. Rispondiamo ancora che facciano un po' i conti, questi signori, dei denari spesi finora dallo Stato per l'assistenza agli ertani, raminghi in ricoveri di fortuna, nelle case private di Claut e Cimolais, dove ricevono non pochi malevoli e giustificati apprezzamenti dai proprietari.
Da un conteggio medio - naturalmente come tutte le statistiche, c'è chi ha mangiato cinque polli e chi una zampa di gallina - ogni nucleo familiare di Erto e Casso ha percepito finora in sussidi e assistenza varia, doverosamente dovuta intendiamoci, 5 milioni e 250 mila lire. Sommando il tutto ci si accorgerà quanto lo Stato ha «sperperato», senza contare Longarone, in oltre due anni dalla catastrofe.
Tutto ciò per non aver avuto idee chiare, per intrallazzi di natura politica, per mancata capacità d'imporsi di fronte ad un evento di cui, a un certo momento, i governanti se ne sono lavati le mani. Per quanto tempo si vuol ancora continuare così, determinando oltretutto nelle popolazioni uno stato d'animo di «menefreghismo», di cui si ha anche il coraggio d'incolparle dopo che, sistematicamente e con lo scopo ben preciso di sradicare in esse ogni coscienza civile, le si è gettate in questa situazione?

Il piccolo gruppo che ancora resiste ad Erto è perciò degno del massimo rispetto. 68 famiglie ad Erto vivono nelle loro case dalla scorsa estate, comprandosi le lampadine elettriche che il Comune non passa, ritrovandosi nel bar del piccolo abitato, che chiude al calar del sole perché dopo, «ufficialmente», nessuno dovrebbe più circolare per il paese, secondo una «legge italiana» che c'è, ma sulla quale si chiude un occhio. A Natale hanno innalzato un albero con una scritta patetica: «Benvenuti a voi che siete tornati», e ogni giorno parlano del proprio paese, del suo avvenire come se, all'indomani, dovessero dare battaglia a chissà chi. È una resistenza dura, tenace, che un giorno o l'altro si scontrerà certamente contro chi li vorrebbe espellere «per far risparmiar soldi allo Stato» da una terra a cui sono attaccati non solo affettivamente, ma in cui vedono anche prospettive di vita future, se a Longarone risorgeranno le fabbriche, se si rimboschirà tutt'attorno al lago, se le attività economiche locali verranno ripristinate. Ad Erto è come essere tornati al tempo di quell'altra resistenza, quella partigiana, in cui ogni famiglia si aiutava a vicenda e il fuggiasco trovava ospitalità sicura. È sempre, in fondo, la stessa resistenza: per il diritto alla civiltà, al rispetto della persona umana, alla giustizia.

(30 gennaio 1966)


FONTE: se non altrimenti specificato, dal giornale «L'Unità». Articoli a firma della giornalista Tina Merlin.

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