9 ottobre 1967, ore 20.10
Sono nella roulotte, guardo fuori le luci blu sulla diga. Dall'altro lato si vede la gente che arriva a gruppetti.
Nessun camerino di teatro potrà mai avere una finestra così: vedi di non dimenticartela più.
Si è calmato anche il vento, i fili d'erba vicino ai riflettori allungano le ombre fin sui ghiaioni di Rolling Stones. Si vedono i puntini rossi dei binocoli al laser degli agenti della forestale appollaiati lassù sul ciglio del dirupo, ognuno è al suo posto.
Gabriele e Francesco insieme a Felice Cappa hanno appena ricontrollato in monitor i titoli e gli inserti: siamo pronti.
Chicco Minonzio entra e si ferma a fumare una sigaretta, è il suo modo di farmi sapere che tutto è a posto. Chicco ha coordinato il lavoro di tutti e tutti si rivolgono a lui, ha una smorfia di sorriso fissa sul volto, se non lo conosci pensi che ti stia prendendo in giro. Ma non è vero, se c'è uno capace di prendere sul serio dal primo momento il compito di costruire un teatro sulla frana del Vajont è lui. Adesso che ha finito, fuma la sigaretta e se ne va.
Mi rilassa lavorare con lui.
Fuori c'è un gruppo di studenti che fanno un casino indiavolato, sono eccitati dalla Rai, da sè stessi, dalla diga... Tocca a me tirarli dentro.
Rileggo gli appunti sulla dinamica del passaggio del Vajont dalla Sade all'Enel: abbiamo tagliato varie parti per accorciare un po', ma è difficile resistere alla tentazione di spiegare tutto per bene.
È ora, metto i due microfoni e vado a salutare il pubblico in attesa che ci diano la linea. Se c'è una cosa sacra dei palinsesti televisivi è, credo, l'ora dei telegiornali: solo certe dirette sportive riescono raramente a scalzarli. Il racconto del Vajont deve durare due ore e venti, massimo due ore e trenta con inizio alle venti e cinquanta: ma l'inizio slitta di dieci minuti per il protrarsi del telegiornale con le novità della crisi di governo e del Nobel a Dario Fo. Quindi alle undici e venti noi non abbiamo ancora finito, ma il telegiornale incombe.
Nemmeno alle undici e mezza ho finito: perchè sì, ho fatto dei tagli, ho cercato di stringere ma ci sono dei respiri, c'è un modo di finire una storia così che ha bisogno di un po' di silenzio, di un po' d'attenzione. Dal camion con la parabola satellitare Arnaldo Bagnasco, responsabile del programma, rassicura quelli del palinsesto che in due o tre minuti finirò, e lo fa sapendo di mentire. La minaccia è quella che venga tagliato il collegamento. Problemi di satellite, oltre che di palinsesto, credo. Così, rubando minuto su minuto, siamo arrivati in fondo dopo due ore e quaranta minuti: roba che a chiedere prima tanto tempo ci avrebbero sparato.
A un certo punto mi viene lo spirito giusto per rendere omaggio a Dario Fo e al suo Nobel. Chi ha visto il Racconto sa che si mescolano il riso e la commozione, la farsa e la tragedia, così non è stato difficile trovare uno spunto. Dopo, qualcuno mi ha detto che ero stato abile a farlo perchè così era stato chiaro che si trattava di una diretta, senza quell'accenno non si sarebbe creduto...
A distanza di anni quello resterà probabilmente l'unico modo certo di datare quella diretta, e è inciso da qualche parte sul nastro.
Passo e chiudo.