Dal sito RAI TV

Sapeva Tina Merlin. La giornalista di Belluno che da anni scriveva sull'Unità cose scomode sulla diga e sulla Sade (l'ente elettrico proprietario della diga). Nel 1960 venne denunciata per turbamento dell'ordine pubblico e diffusione di notizie false e tendenziose e subì un processo, il cui esito raccontò a tragedia avvenuta: "i giudici mi assolsero con formula piena, anzi sentenziarono che quello che avevo scritto era la verità e che il pericolo quindi esisteva". Ma cosa sapeva Tina Merlin? Lo dichiarò ancora una volta, il 10 novembre 1963, in un'intervista per la televisione francese. Ma lo Stato italiano non diede mai l'autorizzazione per la messa in onda. Solo in seguito ad una campagna anticensura della stampa francese, l'intervista venne trasmessa, anche se solo una volta, in Francia. Racconta la Merlin "i cittadini dei paesi vicini erano convinti che se avessero costruito la diga sarebbero stati in pericolo, ... i contadini lo sapevano bene che quello era terreno franoso, ed un geologo da loro contattato aveva dichiarato che sarebbe stata pura follia costruire un bacino idroelettrico in quella località".

Sapeva Lorenzo Rizzato. Il disegnatore tecnico dell'Istituto di idraulica di Padova dove venne costruito, nel 1961, un modello che riproduceva esattamente la diga e la montagna, per simulare l'effetto di una frana. Nel 1962 le simulazioni fornirono delle diverse prove. Al ministero dei Lavori pubblici, arrivarono solo documenti con risultati attenuati. Il resto fu chiuso in un cassetto dell'Università. Da quel cassetto le estrasse il giorno dopo la sciagura Lorenzo Rizzato, per consegnarle ad un giornalista, che le pubblicò sul Corriere della Sera. Sospettato ed arrestato per furto, al processo, Rizzato fu assolto per mancanza di prove. Per trent'anni non ha mai ammesso di aver commesso il fatto, fino a questa dichiarazione: "davanti all'evidenza che quelle prove avevano a che fare con la tragedia avvenuta, uno si sente colpito, e vorrebbe che giustizia fosse fatta".

Sapeva la Sade. Quella diga era stata fortemente voluta dal conte Volpi di Misurata, fondatore e presidente della Sade, uno dei monopoli elettrici più potenti dell'epoca. Ex-ministro fascista, il conte Volpi riuscì a far approvare quel progetto degli anni Venti solo il 21 marzo del 1948, a meno di un mese dalle elezioni democratiche. Il progetto era dell'ingegner Carlo Semenza . Quest'ultimo aveva ricevuto relazioni, da parte dello stesso geologo della Sade Giorgio dal Piaz, i cui toni erano espliciti: "le confesso che i nuovi problemi prospettati mi fanno tremare le vene e i polsi". Ma esistono relazioni più dettagliate. La prima è del figlio dello stesso ingegner Semenza, Edoardo. Consultato dalla Commissione di collaudo del ministero dichiarava:"tutta la montagna chiamata monte Toc non è altro che una enorme frana preistorica, fratturata e instabile". La seconda, consegnata alla Sade nel febbraio del 1961, del professor Leopold Müller, illustre geotecnico di Salisburgo: "a mio parere il volume della massa di frana deve essere considerato di circa 200 milioni di metri cubi". E il professor Müller si sbagliò di poco, in realtà i milioni di metri cubi furono 260. Quindi la Sade sapeva, ma la consegna era fare presto, superare il collaudo e incassare i cospicui contributi ministeriali. E così fu. Nel marzo di quel 1963, senza nemmeno il collaudo, la diga passò all'Enel.

La gente sapeva? Certo gli abitanti dei comuni della valle non avevano accesso a quelle relazioni, ma se non sapevano con esattezza, di sicuro sospettavano e temevano. In quegli ultimi giorni arrivavano voci che qualcosa si stava muovendo lassù, anche dai tecnici che lavoravano alla diga e scendevano a valle la sera per incontrare le ragazze del paese. Il 4 novembre dell'anno prima si era staccata una piccola frana, e da quel momento il terreno cedeva a poco a poco, come testimonia Matteo Corona, la guardia comunale, incaricato dal sindaco di Longarone di controllare il monte Toc: "secondo lo spostamento dei bastoncini che mettevo in certi punti, io segnavo e riferivo al mio sindaco. Sicchè a un certo punto il sindaco si era molto preoccupato, e abbiamo mandato telegrammi di allarme a Trieste, a Belluno, ma nessuno ci rispondeva". Era stata una bellissima giornata di autunno, quel 9 novembre, a Longarone, e quella sera, pochi dormivano, erano tutti davanti alla televisione, in casa o al bar, per vedere la finale della Coppa dei campioni di calcio. Alle 22.15 una telefonista di Longarone intercetta una telefonata: "Sono il geometra Rittmeyer, qui dalla diga, volevo avvertirvi che stanotte non è escluso che fuoriesca un po' d'acqua a causa di un piccolo franamento. Eventualmente dica agli operai di non preoccuparsi". Alle 22.45, 260 milioni di metri cubi di montagna precipitano nel lago e un' onda di acqua e fango alta 200 metri passa sopra la diga e si abbatte sul paese di Longarone: duemila le vittime. Oggi restano le immagini, le testimonianze, i ricordi, e la sentenza di un processo lungo e controverso, che ha condannato Enel e Montedison (in cui è poi confluita la Sade) al risarcimento dei danni patrimoniali, extra-patrimoniali e morali.



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Poi, un giorno, De Cesero".

Dopo la "banda Semenza/Biadene", un'altra degna compagine SADica - colle carte da bollo in regola - viene ad occuparsi managerialmente della valle a distanza di 40 anni.

Gli italiani questo non lo sapevano. (Tranne il Comitato, te, e me.)

Tiziano Dal Farra.

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