Il Tribunale di Ferrara, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Francesco Maria Caruso, alla pubblica udienza del 19 dicembre 2008 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
1. DAL FARRA TIZIANO, nato a Romanshorn (Svizzera) il 03.06.1957, res.te ed elett.te dom.to a Pagnacco (UD) via Colloredo, n.52/4
- libero presente -
2. TREVISANI LOREDANA, nata a Pagnacco (UD) il 06.10.1965, ivi res.te ed elett.te dom.ta in via Colloredo, n.52/4
- libera presente -
IMPUTATI
Del reato p. e p. dall'art. 110 595 comma III° c.p. per avere in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, offeso la reputazione del Sindaco di Longarone De Cesero Pierluigi pubblicando in rete giudizi diffamatori nei confronti dello stesso, del seguente
tenore: "mafie del nord-est?" "dal Sindaco di Longarone dott. Pierluigi De Cesero rampante
giovinastro di generazione fasulla..." o ancora "novello maramaldo", "bulletto inconsistente e bugiardo, senza storia e senza cervello", "... è il primo cittadino che rappresenta la collusione dei poteri pubblici e la protervia degli
interessi privati...".
In Ferrara, dal mese di ottobre al mese di novembre 2004.
Con l'intervento del Pubblico Ministero: dott. A. Rossetti V.P.O.
Del difensore di fiducia : Avv. Mery Mete del Foro di Udine
Del difensore della parte civile costituita dott. Pierluigi De Cesero: Avv. Maurizio Paniz del Foro di Belluno, sost. dall'Avv. Raffaella Mario, come da delega.
Le parti hanno concluso come segue:
Il P.M. chiedendo per Trevisani, l'assoluzione per non aver commesso il fatto; per Dal Farra, condanna a 30 giorni di reclusione.
Il difensore della parte civile costituita conclude chiedendo riconoscersi la penale responsabilità degli imputati. Condannarli al risarcimento del danni ed alla rifusione delle spese, come da conclusioni e nota che deposita.
Il difensore chiede per Dal Farra l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato; in subordine, in caso di condanna, minimo della pena e benefici di legge; per Trevisani chiede l'assoluzione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Tiziano Dal Farra e Loredana Trevisani erano tratti a giudizio per rispondere di diffamazione aggravate in danno del sindaco di Longarone Pierluigi De Cesero: nell'ambito di una comunicazione inviata al forum di discussione attivato nel sito www.vajont.net, dedicato ai disastro del Vajont, avrebbero offeso la reputazione e l'onore del sindaco, trasmodando nei giudizi critici con le espressioni riportate nel capo d'imputazione.
Il querelante Pierluigi De Cesero si è costituito parte civile.
Il dibattimento si è snodato nell'arco di tre udienze nel corso delle quali sono state assunte prove orali e documentali. Le parti hanno concluso come in epigrafe. Al termine della discussione la causa è stata decisa con lettura del dispositivo all'udienza del 19 dicembre 2008.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I fatti sono provati e incontestati per quanto concerne l'attribuzione al
Dal Farra delle espressioni che l'accusa ha giudicato offensive della
reputazione del sindaco.
Questi ha confermato che negli anni 2004-2005 sul forum di
discussione istituito dal Comune per conservare la memoria e
consentire il dibattito sui tragico avvenimento, apparvero plurimi
interventi firmati da Tiziano Dal Farra, aventi contenuto diffamatorio.
Nei mesi in cui si verificarono gli interventi dell'imputato, il forum aveva
una certa diffusione, con circa 3.000 contatti ed un numero assai più
consistente di visitatori. Gli interventi dell'imputato avevano tratto
spunto da una polemica pubblica, relativa alla concessione di un
locale del comune come sede di una delle due associazioni che
riuniscono i superstiti del disastro, il Comitato dei Sopravvissuti.
L'assegnazione al Comitato di una sede da parte del Comune aveva
carattere provvisorio. Nel corso del 2004 il Comune aveva richiesto al
Comitato il rilascio del locale, dovendo provvedere alla parziale
demolizione e reimpiego nell'ambito di un progetto di sistemazione
urbanistica dei luoghi. Tale richiesta aveva suscitato polemiche e
contestazioni. Il rilascio non era stato poi eseguito perché il progetto
aveva incontrato difficoltà di realizzazione, in quanto avrebbe
comportato lo sgombero di famiglie con difficoltà economiche. Il Dal
Farra aveva inviato al forum numerosi messaggi di contestazione e
critica, tutti firmati, utilizzando espressioni offensive, segnalate al De
Cesero da "numerosi collaboratori, concittadini e altre persone che ne
avevano preso visione".
Va subito osservato come sulla provenienza dei messaggi in
contestazione non vi siano oggettivi accertamenti di polizia ma
semplicemente la conferma e l'ammissione dell'imputato Dal Farra e
della Trevisani, nei limiti che si diranno. È agli atti tuttavia
l'affermazione dell'imputato che ha riferito di accertamenti di polizia,
susseguenti alla querela, mirati all'identificazione della fonte dei
messaggi. Tale indagine, astrattamente insufficiente in caso di
contestazione da parte degli imputati, è risultata superflua a fronte
della leale ammissione da parte degli stessi.
Nel corso del suo esame la persona offesa ha sottolineato come le
espressioni offensive del Dal Farra l'avessero colpito nell'onore e nella
reputazione di amministratore serio e onesto, legato a solidi valori etici,
derivanti dalla sua origine familiare, creandogli notevoli problem! di
immagine con i conoscenti e gli amici, e forti sofferenze morali in
ambito familiare.
Le circostanze addotte dall'offeso sono state confermate dal teste di
parte civile Renato Migotti. Il teste, presidente dell'altra associazione di
superstiti, l'Associazione superstiti del Vajont, ha riferito di avere a sua
volta chiesto all'Amministrazione comunale una sede per la sua
Associazione nello stesso edificio nel quale si sarebbe insediato ii
Comitato dei superstiti; l'Amministrazione aveva risposto che la
concessione di un locale avrebbe avuto carattere temporaneo; preferì quindi risolvere diversamente il problema. L'altra associazione aveva un ridotto numero di aderenti (cinque o sei).
Tiziano Dal Farra si è difeso invocando il diritto di critica. A tal fine ha
ricordato le ragioni personali che lo avevano portato ad approfondire
la storia del disastro del Vajont ed il modo come lo stesso era stato
raccontato con specifico riferimento all'individuazione delle cause e
responsabilità. Una ricerca nella quale si era appassionato e nella
quale aveva profuso il massimo impegno civile. Studiando cronache ed atti processuali era venuto in contatto con la presidente di una delle Associazioni di Sopravvissuti sig.ra Coletti che gli aveva raccontato della richiesta del sindaco di "sfrattare" il Comitato dalla sede che era stata concessa. Aveva poi visto e ascoltato il Sindaco De Cesero partecipare alla commemorazione per l'anniversario del 9 ottobre e aveva trovato un'evidente contraddizione tra le parole ufficiali e lo sfratto ai Sopravvissuti che si ostinavano a mantenere alto l'impegno per la ricerca della verità. Aveva visto in quel piccolo atto
dell'Amministrazione la conferma di ciò che era arrivato a considerare
come "filo rosso conduttore" della condotta delle Amministrazioni
comunali di Longarone che, a suo dire, dal '64 ad oggi avrebbero
fatto di tutto "per depistare, coprire, occultare, morfinare la memoria,
tranne che il giorno del 9 ottobre..."
A domanda della parte civile ha chiarito che il messaggio inviato
dalla Trevisani era stato inserito in rete da lui stesso. Si trattava di un messaggio che la Trevisani gli aveva inviato personalmente e che egli
aveva successivamente mandato in rete con il nome della Trevisani,
modificandone parzialmente il contenuto. Aveva successivamente
inviato un messaggio di consenso a sua firma. La Trevisani al tempo
"non si interessava di internet" ma "ci teneva a far saper la sua
opinione", senza peraltro immaginare che sarebbe stata propalata.
Quest'ultima circostanza è stata confermata dalla Trevisani.
L'imputata ha confermato di essere rimasta indignata di fronte alla
decisione del Sindaco di sfrattare il Comitato dei Sopravvissuti dalla
sua sede, e di essersi interessata da quel momento della storia del
Vajont. Il suo commento originale era peraltro leggermente diverso da
come il Dal Farra l'aveva inviato in rete: in luogo di "senza cervello"
aveva scritto "senza Memoria". Il commento l'aveva scritto su un
portatile al quale il Dal Farra aveva accesso e dal quale lo aveva
ripreso per inviarlo al forum. Non aveva chiesto al Dal Farra di inviarlo
al Forum. Peraltro la frase corrispondeva al suo pensiero sia pure con la
riferita variante.
I fatti di causa sono quindi agevolmente accertati anche per la piena
ammissione del Dal Farra.
In mancanza di prove di segno contrario, la versione dei fatti riportata
dagli imputati consente di escludere la responsabilità penale della
Trevisani. Nessuna indagine è stata svolta in ordine all'effettiva
provenienza del messaggio che reca la firma non certificata della
Trevisani sicché non si hanno ragioni decisive per contestare sul punto
la versione dei fatti resa dagli imputati. Alla luce di tali dichiarazioni ed in assenza di prova certa che il messaggio sia stato inviato dalla stessa Trevisani o su richiesta di quest'ultima e non dal Dal Farra come asserito da quest'ultimo, a conferma della tesi difensiva, la Trevisani va assolta per non avere commesso il fatto, dovendosi considerare la tesi alternativa proposta ragionevole e plausibile, tale comunque da introdurre nel processo un ragionevole dubbio rispetto alla tesi d'accusa ( concorso nel reato ).
Con riguardo alle espressioni che l'accusa reputa offensive, rivolte
all'indirizzo del sindaco De Cesero," ritiene il tribunale che esse, pur
nella loro pesantezza e durezza, non trasmodino dal diritto di critica; salvo che per la frase "bulletto inconsistente e bugiardo senza storia e
senza cervello", nella quale sono le parole "senza cervello" a produrre
il mutamento di segno dell'intera frase: se Dal Farra si fosse attenuto a
quella che pare essere stata la versione originale, "bulletto
inconsistente e bugiardo senza storia e senza Memoria", anche
questa espressione sarebbe stata coperta dall'esimente del diritto di
critica.
Ritiene anzitutto il tribunale che le diverse espressioni offensive riportate
nel capo d'imputazione per dimostrare la consumazione del delitto di
diffamazione, prese isolatamente, possiedono attitudine offensiva. Esse vanno quindi ricontestualizzate, per essere ricondotte alla loro
effettiva natura di manifestazione di pensiero critico, come tale
idoneo a giustificare l'uso di parole oggettivamente offensive.
Il tema del processo è la definizione dei limiti oltre i quali la giustizia
penale può censurare la critica politica. Ma ancor di più stabilire se
l'attacco e l'aggressione verbale, rivolti dal comune cittadino senza
risorse e senza potere, con il nuovo mezzo di democrazia diffusa, alla
rappresentanza politica eletta, allo scopo di esercitare il controllo
sulla gestione dei poteri affidati al rappresentante, debba tenere
conto del complessivo contesto in cui le espressioni diffamatorie sono
maturate.
Per dare risposta è necessario verificare se dette espressioni si
inseriscono in un dibattito di interesse pubblico, se hanno un
fondamento oggettivo, se oltrepassano quella soglia oltre la quale il
diritto di critica cede di fronte alla necessaria tutela del nucleo
minimo della dignità della persona, da tutelare anche nei confronti di
chi si espone all'agone politico, ricavandone vantaggi in termini di
affermazione della propria personalità e qualche inevitabile danno, in
certa misura necessario per selezionare il personale politico, favorendo
l'accesso di persone non solo capaci di attirare consenso ma anche
moralmente solide e in grado di affrontare la sfida durissima dello
scontro politico, mantenendo intatta la propria autostima.
Ciò premesso, occorre sottolineare come le espressioni per le quali il
Sindaco De Cesero si è sentito diffamato gli sono state rivolte in un
contesto di discussione pubblica in rete, avente al centro il tema della richiesta di rilascio di un locale che la stessa Amministrazione
comunale aveva concesso in uso al Comitato dei Sopravvissuti del
Vajont un'associazione che gode della considerazione degli imputati,
impegnati ancora oggi nella più ampia comprensione, attraverso lo
studio e la lettura, di responsabilità politiche giudiziarie e morali per
l'immane sciagura del Vajont e nella successiva ricostruzione,
anch'essa oggetto di severe critiche per il modo stesso in cui le
Autorità hanno inteso coniugare la ripresa della vita nella valle con la
conservazione della memoria e la ricerca storica delle responsabilità a
livello locale e nazionale.
A ragione o a torto, gli imputati hanno giudicato lo "sfratto" inoltrato
al Comitato, che il Sindaco ha in questa sede giustificato come atto
di buona amministrazione, come conferma della loro tesi sulla
cancellazione della memoria e delle voci dissonanti rispetto alla
complessiva interpretazione del tragico evento, nel contesto della
storia locale e nazionale.
Gli imputati hanno ritenuto di dovere manifestare con severità il loro
dissenso rispetto alla gestione dell'affare da parte dell'Autorità
comunale ed il tono della critica e della censura, dal loro punto di
vista, doveva essere proporzionato al peso e alla gravità che essi
attribuivano alla vicenda politico-amministrativa e alla loro condizione
di cittadini comuni, privi di altri mezzi di espressione, al di fuori della
propria voce. D'altra parte l'interesse pubblico della vicenda si
prestava particolarmente all'emersione di minoranze dissenzienti
rispetto alle politiche pubbliche sulla conservazione della memoria del
Vajont; tali minoranze, approfittando del sito e dell'occasione dello
"sfratto" intimato al Comitato dei Sopravvissuti, elevando il tono della
voce e la durezza delle espressioni critiche verso gli amministratori,
ritennero in tal modo di acquisire maggiore consenso alle tesi da
esse prospettate.
Le poche frasi dedotte nel capo d'imputazione risultano estrapolate
da un contesto più ampio nel quale gli imputati, mossi intellettualmente ed emotivamente dalla lettura di testi storici, politici e letterari che hanno denunciato la tragedia del Vajont come evento legato a responsabilità umane e politiche, stigmatizzandone la mancata denuncia ed il mancato accertamento, hanno interpretato la decisione del Sindaco come l'ennesimo atto di un pubblico potere, come tale particolarmente efficace ed incisivo, volto a far sì che di quelle responsabilità non si facesse, ancora una volta, ricerca e menzione.
Il senso della denuncia svolta dagli imputati si comprende perfettamente se si ha riguardo ad un altro passo di uno dei messaggi, da cui pure è tratta una delle espressioni incriminate ("novello maramaldo") nel quale si legge:
"Figuratevi per un istante che a
Roma vengano sfrattati per un qualsiasi motivo da un romano (e
sindaco!) i Sopravvissuti delle Fosse Ardeatine. O in Israele (da un
sindaco, figlio di deportati) i Sopravvissuti ai lager. A New York, dal loro
sindaco, un comitato dei parenti delle vittime delle Twin
Towers... Esagero? No, a pensarci bene è la stessa cosa..."
Va ribadito che del suo operato politico-amministrativo il dr. De Cesero
ha fornito un'ampia e plausibile spiegazione. Resta da un lato che
quella spiegazione avrebbe potuto anche fornire dialogando
democraticamente con i suoi contestatori e dall'altro sembra potersi
affermare che le critiche abbiano in certa misura raggiunto il loro
scopo, posto che ad oggi il Comitato è ancora al proprio posto nella
sede che avrebbe dovuto rilasciare (va dato atto che di questa
situazione il Sindaco ha fornito una spiegazione che esclude il
riconoscimento della pretesa del Comitato ).
Sussistono quindi tutti i presupposti per concludere nel senso che le
affermazioni diffamatorie attribute agli imputati si inseriscono in un
contesto di critica politica che le giustifica anche in quelle parti in cui
per sostenere il proprio assunto essi svolgono un argomento 'ad
hominem', attaccando la personalità del sindaco e attribuendogli una
spiccata insensibilità alle tematiche che stanno a cuore ai suoi critici.
Tale valutazione è inserita in una valutazione complessivamente
critica degli atteggiamenti generali delle nuove generazioni, alle quali
appartiene il giovane quarantenne dr. De Cesero al quale vengono
attribuiti valori e atteggiamenti negativi che essendo propri, nella
generalizzazione degli imputati, di un'intera generazione, non
scalfiscono più di tanto la personalità individuale dell'imputato.
In realtà la rude espressione "rampante giovinastro di una
generazione fasulla" si stempera e rientra nei confini ( larghi ) della
critica politica se si ricontestualizza la frase con la quale gli imputati
intendono attribuire non al De Cesero come tale ma alla sua cultura
generale, propria di un'intera generazione di nati in una certa epoca
e ai valori ( negativi ) che la caratterizzerebbe, la decisione di
"sfrattare" il Comitato. Si tratta di affermazioni sicuramente discutibili e
debolmente motivate ma pienamente coperte dal diritto
costituzionale di critica. Tanto più quando tale critica si svolge in un
contesto di polemica politica e quando l'autore è il cittadino comune,
soggetto che è in qualche modo indotto a compensare il suo deficit di mezzi, risorse, influenza rispetto al politico, alzando il tono della voce
per farsi ascoltare e utilizzando, in un contesto che rimane
fondamentalmente critico-argomentativo, espressioni diffamatorie.
L'applicazione del principio di uguaglianza sostanziale ai nuovi mezzi
di comunicazione sociale impone di avere una particolare
considerazione per le espressioni forti e rudi adoperate dal cittadino
comune verso il politico in vista, trattandosi di un uso rude e greve
della parola scritta, in qualche caso inevitabile perché solo così, secondo un diffuso costume sociale favorito da leggi e scelte politico-gestionali dei mezzi di comunicazione di massa, il cittadino crede di ottenere ascolto e attenzione da parte dell'interlocutore e dall'uditorio.
Il solo rimedio contro l'uso di espressioni obbiettivamente sconvenienti
va riposto in un complessivo incremento del tasso di partecipazione
politica consapevole, che finirà inevitabilmente con l'espungere,
rifiutare e screditare le affermazioni critiche volgari, offensive e
scarsamente argomentate che per ciò solo dovrebbero essere
emarginate e giudicate inattendibili.
Sul punto la giurisprudenza è alla ricerca di un difficile equilibrio che
allo stato non è stato raggiunto e che non può comunque non tenere
conto della variabilità dei casi di specie. In questo senso, appurato
che sussistono tutte le condizioni esterne che giustificano il riconoscimento del diritto di critica (interesse pubblico della vicenda e coinvolgimento di personaggi pubblici rilevanti per la formazione della pubblica opinione in materia politica ) il limite della continenza finisce con l'essere individuato con riferimento a criteri generali che vanno di volta in volta calati nella concreta vicenda portata all'esame del
giudice, nel confronto tra le ragioni delle parti in conflitto.
Sta di fatto che nel caso sottoposto all'attenzione del tribunale si
versa in un ambito che si ritiene in larga parte coperto dal diritto di
critica, un fatto che consiste nella espressione di un giudizio o di
un'opinione, al di là dell'errata estrapolazione che se ne fa nel capo
d'imputazione.
Accertata la verità dei fatti e l'applicabilità del diritto di critica politica il limite della continenza deve tenere conto della perdita di carica offensiva di alcune espressioni nel contesto politico in cui la critica
assume spesso toni aspri e vibrati e può assumere forme tanto più
incisive e penetranti quanto più elevata è la posizione pubblica del destinatario il quale proprio per ciò deve accettare il rischio del
massimo allargamento dei confini dell'area del diritto di critica, con funzione di controllo e bilanciamento del maggior potere d'influenza sull'opinione pubblica del politico in carica, rispetto alla tutela della reputazione personale.
Orbene, se anche il generico accostamento imprecisato è
aspecifico, della condotta del De Cesero a non meglio identificate
"mafie del nordest", formula che nel contesto è espressiva di una
critica generica e non equivale all'attribuzione della concreta
adozione da parte dell'offeso del c.d. "metodo mafioso" implicante
l'attribuzione specifica di condotte che a quel metodo riconducono,
situazione non rilevabile nella specie nella quale si comprende
all'evidenza come le condotte censurate nulla hanno a vedere in
concreto con le prassi mafiose in senso stretto, sicché la formula
equivale ad una generica attribuzione dei caratteri della prepotenza,
dell'illegalità, dell'arroganza nell'esercizio della funzione politico
amministrativa, concetti che possono avere cittadinanza nella sfera
del diritto in esame, va ribadito come anche nella più lata accezione
di tale diritto, funzionale al massimo dispiegamento della democrazia
partecipativa e argomentativa, vi è un limite invalicabile da parte
dell'espressione critica.
Tale limite attiene al rispetto della dignità della persona in quanto
tale, avulsa e slegata da qualsiasi connotazione nella sfera pubblica.
Si tratta di quelle espressioni che degradano il soggetto colpito, ne
negano gli attributi fondamentali dell'umanità. Lo avviliscono al rango
di soggetto immeritevole di considerazione come parte dell'umanità,
di cui non possiederebbe gli attributi fondamentali e le caratteristiche
minime che ne impongono la considerazione ed il rispetto minimo ma
fondamentale in quanto uomo.
L'espressione "bulletto inconsistente e bugiardo, senza storia e senza
cervello" alla luce di questo criterio merita la censura del giudice penale perché finisce con il ricondurre le condotte censurate e le immagini usate per condannarle non a scelte, valori; atteggiamenti "umani" del soggetto passive ma a carenza di una della qualità umane fondamentali che vanno riconosciute e garantite a ogni
interlocutore, il possesso del "cervello", caratteristica che distingue l'essere umano da ogni altro essere vivente, comune a tutti gli uomini e che ne comporta il riconoscimento come uguale, come essere umano raziocinante, alla pari di chiunque altro, meritevole come tale di una considerazione alla pari sul piano delle qualità umane minime.
La frase nel suo complesso manifesta un disprezzo che va ben oltre la critica dei comportamenti e delle condotte poste in essere esercitando la propria volontà libera e consapevole che come tale può e deve essere oggetto di valutazione critica o di severa censura ma finisce con il negare la qualità umana in quanto tale sicché la critica finisce con il basarsi sulla negazione delle qualità umane, del ché non può essere in alcun modo ammessa, finendo con il ledere il nucleo minimo della coscienza di sé che ciascun individuo conserva gelosamente e che va fondamentalmente tutelata in quanto ne consente il riconoscimento come componente della comunità di tutti gli uomini, indipendentemente da qualsiasi distinzione per razza, opinioni politiche, sesso, religione e quant'altro.
Ne segue che per tale parte la critica del Dal Farra nei confronti del De Cesero va considerata effettivamente diffamatoria perché pericolosamente negazionista del nucleo fondamentale della sua umanità e della sua dignità.
Il trattamento sanzionatorio può peraltro essere mite, dovendosi
ritenere l'accertamento e l'affermazione di responsabilità di per sè stigmatizzanti e dissuasivi nei confronti di un soggetto, il Dal Farra, che ha dimostrato dal suo canto di agire per movente altruistico e disinteressato, mosso da coscienza civile e da una grande passione per l'umanità e i suoi diritti, per il che l'intensità del dolo va considerata minima, dovendosi considerare l'errore commesso frutto di accesa passionalità e della intensa partecipazione al tema dibattuto e quindi all'inadeguato controllo del peso delle espressioni utilizzate e al mancato riconoscimento ( che non esclude il dolo ) dell'efficacia lesiva delle stesse.
All'imputato può quindi infliggersi la pena minima di 500 euro di multa,
tenendosi conto delle attenuanti generiche per non essere l'imputato un raffinato intellettuale, circostanza che non gli ha consentito di fare miglior governo delle parole e per l'incensuratezza, e dell'attenuante di cui all'art 62 n. 2 c.p. che per le ragioni in precedenza esposte si deve riconoscere nella fattispecie in esame.
Si ritiene in conclusione opportuno rimettere al giudice civile competente la questione relativa al risarcimento dei danni spettanti all'offeso, dovendosi tenere conto nella valutazione di siffatti danni del complesso degli elementi di fatto considerati in precedenza, aventi indiscutibile rilievo per la determinazione del danno e dovendosi al fine procedere ad accertamenti ulteriori non praticabili in questa sede.
Alla parte civile spetta viceversa la piena liquidazione delle spese di costituzione e difesa in giudizio.
P. T. M.
Visti gli artt. 533 e. ss. c.p.p.
Dichiara
Dal Farra Tiziano responsabile del reato ascrittogli limitatatamente
alle espressioni "bulletto inconsistente ... senza storia e senza cervello"
e riconosciute le attenuanti generiche nonché l'attenuante dei motivi
di particolare valore morale ex art. 62 n.1 c.p., prevalenti
sull'aggravante lo
Condanna
alla pena di euro 500 di multa oltre al pagamento delle spese
processuali.
Visti gli art 538 e ss. dichiara detta pena interamente condonata.
Condanna
Dal Farra Tiziano al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita De Cesero PierLuigi, da liquidarsi in separato giudizio.
Condanna
Dal Farra Tiziano al pagamento delle spese di costituzione e difesa della parte civile che liquida in complessivi euro 3.330 ( tremilatrecentotrenta ) di cui 830 ( ottocentotrenta ) per esborsi ed anticipazioni; il resto per onorari e diritti oltre spese generali nella misura del 12,5% sull'imponibile, IVA e CPA. Fissa in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione.
Visto l'art. 530 cpp
Assolve
Trevisani Loredana dal reato ascrittole per non avere commesso il
fatto
Ferrara, 19 dicembre 2008
presidente F.M. Caruso.
=======================================
REGISTRAZIONE (ART. 60, 61 d.p.r. 26.4.86 n.131)
Parte obbligata al risarcimento del danno nei cui confronti deve essere recuperato l'importo.
> DAL FARRA TIZIANO, nato a Romanshorn (Svizzera ) il 03.06.1957,
res.te a
Pagnacco (UD) via Colloredo, n.52/4
================ F I N E =======================
(l'ex "vajont2003" di www.wineathomeit.com) si trova tuttora sotto "sequestro preventivo" su querela per presunta "diffamazione" del presidente della «Fondazione Vajont 9 ottobre 1963 ONLUS, nonché - all'epoca - sindaco di Longarone.
Io (Tiziano Dal Farra) sulla base della documentazione raccolta, nonché dei reati commessi dai miei avversari ho denunciato per falsa testimonianza e associazione a delinquere di stampo mafioso il sindaco uscente De Cesero e mezza sua giunta.
Ora (2009) la magistratura si sta occupando di loro.
E del loro avvocato, L'On.(?) Paniz Maurizio, oggi addirittura "presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere". E in Commissione Giustizia alla Camera da lustri, a creare le leggi per i magistrati e per il resto degli ITALIANI.
"In tempi men leggiadri e più feroci, i ladri si appendevano alle croci.
In questi tempi, men feroci e più leggiadri, le CROCI si appendono su ladri." (R. Marchini, nel 1961, così si riferiva al Partito della D.C., di cui vediamo gli "eredi" odierni all'opera)
Pierluigy De Cesero, mentre effettua con Pierferdy questo "tour" bellunese, è da me stato denunciato per mafia, falsa testimonianza ed altri reati ...
Ascolta lo spot elettorale 2009 di De Cesero Pierluigi, che nella vita, dopo essere stato eletto Sindaco di Longarone (1999) è poi diventato genero, e dipendente, di uno speculatore del Vajont.
Mentre intanto, nella $ua "LaNuovaLongarOne" ... pro$egue così.