«Guarda, come si UMILIA un ITALIANO»

(lezioni di dignità istituzionale e civile)

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«In data 15.4.2003 presso il cimitero delle vittime del Vajont sito in Fortogna di Longarone mi sono reso autore di uno spiacevole episodio di ingiuria che ha visto quali vittime il Sindaco del Comune di Longarone, dott. Pierluigi De Cesero ed il Presidente dell'Associazione Superstiti del Vajont, arch. Renato Migotti, i quali erano sul posto al fine di controllare lo stato dei lavori di rimozione delle lapidi sepolcrali.

Con la presente intendo presentare pubblicamente le mie più sentite scuse per la condotta da me assunta in quel contesto in modo del tutto immotivato nonché per la situazione di disagio e difficoltà da me creata ai danni del Sindaco e dell'arch. Migotti, peraltro alla presenza di più persone.»

Gino Mazzorana


Non l'ha scritta lui, l'ha scritta il suo sadico sindaco e glie l'ha fatta avere tramite l'avvocato. E Gino si è piegato. Due lettere prima, invece, sullo stesso quotidiano, stessa pagina, e nella stessa rubrica trovavasi....

«Lezione di dignità dal popolo del Vajont»

IL 9 ottobre 1963 una gigantesca frana, staccatasi dal monte Toc, cadde nel lago artificiale del Vajont. La diga resse all'urto; ma la conseguente, poderosa ondata distrusse le parti inferiori di Erto e Casso, tracimò e rase al suolo il sottostante centro di Longarone e le frazioni vicine. Nella sciagura morirono duemila persone.

Nel volume "Le scarpette di vernice nera. Il mio Vajont: una superstite racconta" ed. Sovera, Roma, l'autrice Viviana Vazza, allora sedicenne, così descrive alcuni particolari del disastro: "A Fortogna c'era un via vai di camionette cariche di cadaveri, nudi, gonfi, infangati - con le bocche semiaperte - avvolti in sacchi di plastica, ammucchiati... Per il riconoscimento delle salme, venivano scaricati, lavati, ripuliti dal fango e liberati dagli oggetti rimasti, e sfuggiti al saccheggio degli sciacalli... Furono risarciti i danni aziendali. Inoltre, a tutte le famiglie colpite dal lutto vennero distribuiti: 1 milione di lire ogni capofamiglia scomparso, 750 mila per la morte della moglie, 100 mila per ogni altro componente".

L'autrice - angosciata, sradicata, incredula che tutto sia svanito nel nulla e non torni mai più - si domanda retoricamente se i longaronesi - laboriosi, positivi, non questuanti - meritavano tale sventura.

Dalla dignità, dall'onore e dalla nobiltà morale di questa gente scaturisce una lezione di vita, soprattutto per certi potenti, fortunati, privilegiati, pingui, intoccabili, talvolta immeritevoli eppure contestatori.

Gianfranco Nibale


Fonte: "Il Corriere delle Alpi", rubrica "lettere", mercoledì 23 Marzo 2005