Yichang - Tre Gole

Figlia di contadini 3 GoleCi sveglia all'alba il fischio di una locomotiva in manovra. Il violento temporale della notte ha portato refrigerio, spezzando la calura che ieri soffocava la valle e lasciando il cielo velato da nubi sottili. Il frastuono fatto di stridii urla e fischi acuti proveniente dai binari giusto sotto la finestra della camera d'albergo rende impossibile ogni tentativo di riaddormentarsi. Sono appena le sei e già siamo nella hall a chiedere informazioni su come arrivare alla diga: pare sia impossibile raggiungerla con mezzi autonomi, l'unica via è affittare un taxi fino al punto raccolta visitatori una decina di chilometri più a monte ed aggregarsi poi ad una delle tante comitive guidate che salgono a Sandouping in occasione della festa del primo maggio.

Attraversata la periferia squallida di demolizioni e brulicante di lacera umanità che pare essere d'ogni città cinese di questo inizio secolo ci inerpichiamo presto sui primi contrafforti delle Tre Gole, lasciando ad occidente lo Yangtze con la grande diga di Gezhouba ed il suo tempio alle divinità dell'acqua. La vegetazione è fitta e fresca qui, di acacie soprattutto, e la guida del tassista al solito spericolata con gomme che scivolano sull'asfalto ed il clacson usato al posto dei freni. Il punto di raccolta non è altro che uno spiazzo a lato della strada, l'ufficio visite un edificio malridotto sormontato da una mezza dozzina di bandiere colorate al vento, tutt'attorno la montagna aspra ed abbarbicato ad essa un gruppetto di case di sassi e mattoni senz'intonaco. Una bassa drogheria poi, dal tetto in lamiera, sotto al quale gli adulti giocano a majiang, mentre bambini corrono intorno spaventati ed eccitati dagli insoliti barbuti stranieri che li stanno a guardare ridendo. Paghiamo una fortuna per farci portare alla diga, 168 yuan (circa 16 euro), vedendo tutti i nostri tentativi di contrattazione frustrati dalla inflessibilità cortese dell'impiegata che si occupa della vendita dei biglietti.

La strada tutta tornanti sale velocemente fino a scavalcare il crinale del monte, per poi ridiscendere dolce, laggiù in fondo il Lungo Fiume incassato tra boscose profondissime pareti con affioramenti di roccia rossastra. L'autobus fa una breve sosta per permettere ai gitanti cinesi di scatenarsi in un'abbuffata di foto ricordo con sullo sfondo il panorama delle Gole. Ne approfitto per allontanarmi un poco seguendo la strada in discesa. Massi infradiciati sulla sinistra, a destra un campo di granoturco da poco spuntato ed una casa sgangherata sul ciglio del precipizio. Sedie e ceste di bambù lungo la carrozzabile, un uomo e una donna sulla cinquantina vendono piccoli succosi frutti rosso pallido mentre la figlia di dieci o dodici anni se ne va in giro giocando con un lungo bastone tra mattoni e vetri rotti. I volti dei due vecchi sono bruciati dal sole, le mani segnate dal tempo. La terra coltivata dietro a loro ed il fiume lontano, le chiome alte, rade ed irregolari delle acacie a far da corona. Avviene qualcosa in quell'istante, quello che altri chiamerebbe un cortocircuito di memoria, come se quella storia già la conoscessi e ne fossi in qualche modo partecipe io stesso. Sulla strada la ricchezza, il contadino raccoglie le briciole sul ciglio ed osserva il mondo che gli corre dinanzi con occhio ironico e distaccato. È la gente semplice ed ignorante di queste montagne, poco più che una stonatura nel paesaggio per i ricchi turisti di Shanghai o Pechino, nient'altro che un impaccio da eliminare per i costruttori della Diga delle Tre Gole. Già, la diga ed il suo enorme bacino: che ne è stato degli abitanti dei villaggi a monte di Sandouping? «Tutti già trasferiti» mi aveva risposto il tassista lungo il tragitto per il punto raccolta, «non molto lontano da qui, in case nuove costruite dal governo».
presso Yichang, YangTZEÈ quello che risulta anche a me.
L'80% almeno degli yimin, gli «emigranti», sono stati spostati in aree non molto distanti da quella dell'invaso, lungo 500 chilometri circa. Soltanto una piccola percentuale ha dovuto prendere la strada di Shanghai o Chongqing, città in rapida espansione con forte necessità di manodopera, ed appena un 10% deve ancora abbandonare le proprie case. Su questo fonti governative e straniere sono concordi. Ciò che invece non collima sono le stime sul numero totale degli yimin: poco più di un milione secondo i cinesi, due milioni secondo gli osservatori indipendenti. Ma che importa tutto questo alla piccola bambina che gioca con sassi e bastoni in questo angolo perduto delle montagne? Certo lei preferirebbe una bambola di plastica fra le mani, e gli abiti belli della città tutt'intorno. I suoi vecchi? Loro forse soffrirebbero nel lasciare il campo alle sterpaglie in cambio d'un lavoro in fabbrica, o di un'altra terra che non sia questa. È tutta qui una delle grandi contraddizioni della Cina d'oggi, che è poi la grande contraddizione propria d'ogni paese in rapido sviluppo, quella tra terra e modernità, arcaicità e macchina. E questo lo si percepisce forte su queste montagne, luogo di poesia nebbie e natura remota nel passato, perno fondamentale del sistema energetico-industriale cinese con la realizzazione del progetto Tre Gole.

presso Jiujiang, YangTZEScatto alla vecchia alcune fotografie, e lei ride di cuore, protendendo di fronte a sé un grappolo di quella sua dolcissima uva selvatica.

Abbandoniamo le alte pendici del monte per portarci sul fondovalle, attraversando villaggi scalcinati e pieni di sporcizia e confusione, banchi di carne e tabacchi sotto i viadotti della grande strada che porta alla diga. La riva del fiume è vicina ora, sulla sponda meridionale si distinguono case sparse da cui partono fuochi d'artificio che esplodono alti nel cielo, in onore della festa dei lavoratori. È placido ora lo Yangtze, ma è facile immaginare con quanta impetuosità nei periodi di piena l'acqua debba scorrere in questo tratto così stretto.

Imbocchiamo presto la strada a quattro corsie porta d'accesso a Sandouping, distante dieci chilometri soltanto, e mentre la nostra guida corre in un piccolo ufficio prefabbricato per far controllare i documenti del bus posso con agio starmene ad osservare il balletto meccanico del piccolo soldato che, per lo più impettito sull'attenti di fronte alla sua minuscola garitta, al passaggio di auto guidate da superiori esegue una mezza giravolta, battendo i tacchi e portando la mano alla fronte nel gesto del saluto militare. Le misure di sicurezza sono strette in tutta l'area, e non c'è da stupirsene. Già negli anni '50, quando ormai da tre decenni si parlava della costruzione della diga, il sito di Sandouping pur se individuato come il più adatto alla realizzazione dell'opera venne scartato perché troppo vulnerabile a possibili attacchi militari. In seguito, dopo la morte di Mao nel 1976 e l'ascesa di Deng Xiaoping, il problema della sicurezza nazionale divenne gradualmente meno pressante rispetto all'obiettivo della crescita economica, e quando finalmente nei primi anni '90 l'ANP diede il via libera ai lavori fu proprio qui che si decise di costruire. Una minaccia però rimane, percepita molto chiaramente soprattutto di questi tempi, ed è quella terroristica. E davvero un attacco avrebbe conseguenze disastrose: la diga è fulcro della produzione di energia elettrica nella Cina centrale, oltre a permettere la navigazione lungo lo Yangtze fino ai porti fluviali del Sichuan. Quasi superfluo poi ricordare l'enorme potenziale distruttivo di tanta acqua contenuta da un semplice, per quanto resistente, muro di cemento armato, in un'area densamente popolata come quella del medio e basso corso del Fiume Azzurro.

Siamo vicini ormai, e la mano dei pianificatori è evidente nella monotonia dei viali alberati fiancheggiati da alberghi e residence per accogliere turisti, tecnici e businessman ai piedi dello sbarramento. Finalmente vedo con i miei occhi il sistema di chiuse su cui tanto avevo fantasticato: traghetti, portacontainer e chiatte fluviali come giocattoli tra le pareti ciclopiche di metallo e calcestruzzo salgono lentamente, marinai e passeggeri alle balaustre ridono e si scambiano allegri saluti. La guida con un pizzico d'orgoglio ci informa che tre ore sono sufficienti a superare il balzo di più di cento metri. L'occhio è confuso dai canali di diversione delle acque, i tralicci e le mastodontiche chiuse, tanto da non concentrare immediatamente la propria attenzione sulla vera protagonista, la diga, il cui apparire improvviso lascia come interdetti. Non è concesso tempo allo stupore però , poichè rapida la corriera si inerpica sul promontorio che divide la via di salita per le imbarcazioni dal serbatoio vero e proprio. Sulla sommità la "Three Gorges Project Model Room", sala d'accoglienza con al centro un grande plastico dell'area attorno a cui si accalcano turisti cinesi e stranieri. C'è anche una piccola libreria: pare che a godere del maggiore successo siano i volumi dedicati all'architettura tradizionale del bacino delle Gole. Eppure l'acqua ha già sommerso gran parte dei villaggi risalenti alle dinastie Ming e Qing ritratti in quelle fotografie! Poco importa se alcuni degli edifici più antichi dopo essere stati smontati verranno ricomposti pezzo per pezzo altrove, come sembra possa accadere per la perla delle gole, Dachang. Viene naturale pensare davanti a quelle immagini che sia la fusione di natura ed umanità a dare anima all'architettura, anima che nessuna riproposizione museale potrà mai restituire. Non pare avere di queste preoccupazioni la nostra giovane guida, che si lancia in un elenco di dati tecnici tanto noioso da spingere i pur entusiasti visitatori cinesi a disperdersi in cerca di sigarette, snack o souvenir. C'è una retorica anacronistica nella maniera in cui vengono esposte quelle cifre, come retorico è il giardino antistante la sala del modello, con i suoi giochi d'acqua e due enormi pupazzi di operaio che, piccone in mano ed elmetto giallo sul capo, protendono il braccio sinistro ad indicare la diga, il cui corpo tozzo e grigiastro si allunga ai nostri piedi perdendosi nella foschia del mattino. Quello che al mio occhio occidentale pare un obbrobrio non dispiace evidentemente ai figli del drago, che fanno la fila davanti al baracchino dove un vecchio scatta foto ricordo con impressa la scritta «Three Gorges Project» .

diga3gole, YangTzeA pochi passi dalla sala del plastico c'è quella che sulla mappa della zona viene definita «area ecologica»: alberi bassi da poco piantati ed erba all'inglese, con l'intento di rendere chiaro lo sforzo da parte del governo per la conservazione del territorio, sulla falsariga di un cartellone a caratteri cubitali affisso all'ingresso della strada a scorrimento veloce che abbiamo percorso per arrivare sin qui, il quale recita testualmente «Il rispetto della terra e delle risorse idriche è una delle politiche fondamentali del governo». Una presa di coscienza postmoderna del rapporto sempre più fragile fra uomo e natura? Non proprio.
Le nozioni di centralità ed equilibrio stanno nel nome stesso con cui cinesi chiamano il proprio paese: Zhongguo, ovvero 'Terra di mezzo'. Per duemila anni, fino all'alba del Secolo breve, l'imperatore in persona aveva dovuto farsi carico di mantenere l'armonia fra uomo e natura. Egli ne era custode agli occhi del popolo, e catastrofi naturali segnavano spesso la caduta in disgrazia del «Figlio del Cielo», con la revoca del Tianming, il mandato celeste. Tutto ciò aveva la sua radice nella realtà, nella pratica millenaria dei popoli cinesi come nella loro cultura intrisa di confucianesimo, con l'umanità elemento centrale ed un senso del divino spoglio di qualsiasi trascendenza. Il divino più che scendere dal cielo era nella terra stessa, e guidava il destino degli uomini. E come tradurre nel concreto il concetto di destino? Fiume!

L'imperatore per preservare l'equilibrio ed evitare che una sorte infausta si abbattesse sulla sua casa e sul suo popolo non doveva far altro, si fa per dire, che assicurare continui interventi di manutenzione e perfezionamento alle opere idrauliche che regolavano il corso dei grandi fiumi che sfociano nel Mar Cinese Orientale, al fine di contenere le conseguenze delle piene più disastrose. Non era dunque un caso che spesso la caduta di una dinastia o una detronizzazione coincidessero con inondazioni devastanti: semplicemente in tempi di decadenza era più difficile curare assiduamente argini e canali e quant'altro servisse allo scopo di rendere docili gli impetuosi corsi d'acqua.

Il sole è a picco ora, e tutto è pallido ed appiccicoso, gli aceri rossi sono solo macchie sbiadite tra piccoli cespugli di bambù. Tutto pare sottile, come fatto di cartapesta, una quinta che nasconde il muraccio scuro della diga e con esso la realtà delle cose. Mi sorprendo immerso in un fantasticare esotico, fatto di imperatori avvolti da gialli drappi, mandarini dalle lunghe code, santi taoisti e saggi confuciani. La realtà oggi è un'altra davvero, e trova la sua radice nell'introduzione di forme di governo occidentali dopo la rivoluzione del 1911, un'attitudine nuova che venne a cambiare anche le politiche di gestione del territorio, non più conservato grazie a pratiche millenarie ma visto come risorsa da sfruttare pienamente, all'inseguimento degli standard di produzione europei. Il morbo instillato con le Guerre dell'Oppio a metà '800 aveva finalmente attecchito, e la malattia poteva seguire liberamente il suo decorso.
È nella detronizzazione dell'ultimo imperatore Pu Yi che si trova il discrimine fondamentale degli ultimi due millenni di storia cinese.

Inizia qui la resa incondizionata al modello occidentale di quella che è la cultura ad aver avuto la continuità storica più lunga. Una poderosa e paziente spugna iniziò a lavare via i raffinati preziosi ideogrammi espressione di una sapienza millenaria dalla lavagna della storia. L'avvento del comunismo non fece altro che imprimere una potente accelerazione al processo, basandosi anch'esso su concezioni della società e della storia di chiara derivazione europea, un'impronta che neppure il lavoro di adattamento di Mao riuscì a cancellare. La Cina è un paese vastissimo, ma quella spugna ha oramai quasi esaurito il suo compito. Le peculiarità e le differenze un tempo appiattite in nome della lotta di classe e della dittatura del proletariato vengono oggi emarginate dal mercato, per essere infine espulse come un corpo estraneo e nocivo al bene comune. Ecco allora che quel giardino, quel cartellone paiono non essere altro che un puro esercizio di propaganda, che ripone la sua efficacia nel richiamo ad un passato di cui nei fatti si sta cancellando il ricordo, il significato.

Non è necessario alzarsi e guardare oltre i cespugli verso quel muraccio per stracciare la quinta di cartapesta. È sufficiente starsene seduti a piedi nudi nel sole pieno del pomeriggio, l'aria immobile tra le macchie rosse degli aceri, e tendere l'orecchio allo sfrigolio dei cavi dell'alta tensione. Da Sandouping a Yichang, Yichang Nanchino poi, ed infine la Testa del Drago, Shanghai. Eppure sembrava tanto lontana da qui...

Dal diario di viaggio di Wu Ming

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