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Una veduta dall'alto del Rocciamelone (foto Mercalli) A destra nella foto, indicata dalla freccia, è visibile la sagoma azzurra del nuovo lago.
Nell'immagine, (Mercalli) raffigurati i bizzarri canali che l'acqua 'scavà nel ghiacciaio per andare a formare l'invaso.
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Un Vajont da effetto serra

ROMA - - È l'incubo che gli uomini della Protezione Civile francese stanno cercando di scongiurare dal 5 ottobre 2004, svuotando un lago a 3.200 metri di quota nato dal nulla e gonfiato dalla spinta potente del cambiamento climatico. A creare l'allarme è stato lo scioglimento del ghiacciaio del Rocciamelone, in Savoia, proprio al confine con la Val di Susa, a 50 chilometri da Torino: il processo di fusione ha liberato schegge ciclopiche che galleggiano sull'acqua creando l'effetto «iceberg alpini».

Fino a 20 anni fa al posto del lago c'era una distesa di ghiacci. All'improvviso è comparsa una semplice pozzanghera; poi la pozzanghera si è lentamente trasformata in laghetto; infine la crescita è diventata sempre più rapida e ha portato il livello dell'acqua a sfiorare la sponda del ghiacciaio che fa da diga naturale al lago e che - a sua volta - continua a scendere a un ritmo impressionante (4 centimetri al giorno durante l'estate).

Se l'acqua arrivasse al bordo si aprirebbe un passaggio nel ghiaccio che, sotto la pressione crescente, fonderebbe. Il risultato sarebbe disastroso: una massa di mezzo milione di metri cubi d'acqua [il lago del Vajont era di 150.000 mc, N.d.R.] precipiterebbe nella valle d'Arc, dove vivono migliaia di persone, arrivando fino a Modane, il terminale francese del traforo del Fréjus.

Ed è esattamente quello che sarebbe già accaduto se gli uomini della Protezione Civile francese non avessero costruito un sistema di drenaggio con tubi di due metri di diametro che in pochi giorni ha abbassato il livello del lago di un metro e 20 centimetri: calcolando che anche così l'acqua è arrivata a 15 centimetri dal bordo si può facilmente immaginare cosa sarebbe successo senza l'intervento d'emergenza. Con le prime nevicate il lavoro è rallentato. Ma il problema non è ancora risolto: appena la temperatura risalirà il ghiaccio tornerà a fondere e perciò nell'estate 2005 bisognerà completare l'opera.

«La catastrofe è stata evitata solo grazie a un lavoro di monitoraggio durato tre anni e all'intervento efficace della Protezione civile» spiega Luca Mercalli, il presidente della Società Meteorologica Italiana. «La vicenda del Rocciamelone è emblematica perchè mostra come il cambiamento climatico lavori in profondità, indipendentemente dai picchi dei fenomeni estremi che attirano l'attenzione dei giornali. Ad esempio, è opinione comune che l'estate 2004 sia stata "più fresca" del normale. Non è vero. Sicuramente è stata più moderata rispetto all'estate del 2003 ma resta comunque ben più calda della media, classificandosi nel gruppo delle estati più calde mai verificatesi, in oltre due secoli, nel NordOvest italiano». L'estate scorsa è stata generalmente percepita come "più fresca" perchè [tutti]ci attendevamo il peggio; quella del 2003 era stata una calamità, con 4-5 gradi sopra la media stagionale in larga parte dell'Europa. L'estate 2004 invece è stata caratterizzata - spiega Mercalli - da una maggiore variabilità, con ondate di caldo intervallate da folate fresche portate dalle correnti atlantiche.

In realtà il termometro è complessivamente salito (a Torino è stata una delle cinque estati più calde dal 1753) ma la brevità delle ondate di calore ha evitato l'effetto accumulo: le città non sono così state sottoposte a un trattamento tropicale. Gli effetti sull'ecosistema alpino sono stati però ugualmente pesanti, e lo prova l'arretramento generale della linea dei ghiacci [perenni] che continua a procedere a ritmo allarmante.

Indicativi sono i dati rilevati dalla Società Meteorologica Italiana relativi al ghiacciaio Ciardoney (Gran Paradiso). Nonostante il buon innevamento dell'inverno 2003-2004, il ghiacciaio ha subito perdite consistenti con diminuzioni di spessore che vanno dai 40 ai 180 centimetri: una 'performance' che colloca l'estate scorsa al sesto posto tra le peggiori estati degli ultimi 13 anni.
«Dal 1992 ad oggi», si legge nella sintesi dei rilievi effettuati a settembre, «il ghiacciaio ha perso uno spessore equivalente a una lama d'acqua alta ben 15,40 metri, [e] distribuita su tutta la superficie».

 

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Fonte: La Repubblica [il quotidiano comunista del gruppo Caracciolo/Espresso], domenica 17 Ottobre 2004, pag. 31.
Articolo di Antonio Cianciullo. Foto del meteorologo Luca Mercalli.