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La tragedia dei salvatiNel 1999 il Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatra dell'Università di Padova ha condotto una ricerca sulle conseguenze psicologiche a lungo termine nei sopravvissuti del disastro.
«Il nostro studio ha evidenziato che il disastro del Vajont èstato un'esperienza traumatica che ha lasciato, in molti casi, ferite profonde. Dal punto di vista psicologico si sono rilevate conseguenze a lungo termine, culminate in molti casi in diagnosi di disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e disturbo depressivo maggiore (MDD)» dice Cristina Zaetta, autrice dell'indagine con Angela Favaro, Giovanni Colombo e Paolo Santonastaso. Non è stato facile contattare i sopravvissuti perchè non è mai stato stilato un loro elenco e inoltre molti non abitano più in questa zona. Alcuni non hanno accettato di partecipare alla nostra indagine in quanto hanno dichiarato che non se la sentivano di parlare. Anche questo è comunque un dato siqnificativo, in quanto manifesta che a così lunga distanza dalla tragedia non sono ancora riusciti ad elaborare il trauma. Abbiamo lavorato con trentanove sopravvissuti, che hanno partecipato ad un'intervista ed alla somministrazione di due questionari. I sintomi che lamentano sono tipici delle due patologie. ricordi spiacevoli ed intrusivi dell'evento, flash-back, difficoltà o tendenza ad evitare di parlare dell'accaduto, disturbi del sonno.
Per i sopravvissuti la frana ha rappresentato un vero e proprio olocausto.
Anche Germano Rimini aveva otto anni e si salvò per miracolo grazie a un materasso che creando un'intercapedine gli permise di respirare fino all'arrivo dei soccorritori. Perse lo mamma, la sorellina di quattro anni, i nonni, gli zii e i cugini. Tra le cause all'origine dei tumori, oltre al dolore per le perdite subite si dice ci siano state le soluzioni disinfettanti erogate quotidianamente con un apparecchio automatico su tutta l'area disastrata, in particolare a Fortogna dove vennero raccolti i corpi poi inumati in quello che diventò il cimitero delle vittime. Il disinfettante fu messo a disposizione dal Ministero della Sanità, tranne una quantità di cloruro di calce donato da vari enti che venne distribuito sulle macerie. Durante il recupero dei cadaveri fu utilizzata una soluzione di formaldeide, mentre le pozzanghere vennero irrorate di creosolo. Lungo tutto il greto del Piave fu spruzzato cloruro di calce. Nei mesi successivi, nonostante il freddo numerose mosche cominciarono a infestare i campi di inumazione. Si dovettero usare altri disinfestanti soprattutto per rispondere alla crescente preoccupazione degli abitanti della zona e al trauma psicologico causato ai visitatori del cimitero. Un'ulteriore fonte di preoccupazione fu la perdita di 61 fusti di cianuro di sodio prodotti dallo stabilimento Faesite e finiti nel Piave.
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