Vajont: genocidio di poveri

Sandro Canestrini, avvocato di parte civile, denuncio' con altissima tensione morale e civile i soprusi e le manovre di un sistema colluso durante il processo del Vajont del 1969. Questa arringa fu una delle prime pronunciate dal collegio di difesa delle parti civili.

L'avvocato Canestrini la svolse, impiegando diverse ore, il 23 settembre 1969 a L'Aquila, temendo di essere interrotto e sollecitato dal presidente ad una argomentazione più strettamente giuridica.
Quest'ultimo però, dimostrando di rendersi conto del significato più ampio di tutto il processo, permise che l'avvocato portasse a termine tutto il suo discorso.

Perchè questo è un processo politico

0Signori del Tribunale dell'Aquila, vi è processo politico solamente quando le imputazioni sono ascritte a titolo del dolo? Questo processo dimostra il contrario e cioè che, anche quando i crimini sono contestati unicamente sotto il profilo della colpa, vi è ancora processo politico, solo che ne ricorrano i presupposti. Per noi il presupposto cardine è questo: che il fatto per cui si procede non si possa comprendere altrimenti se non calato nel suo tempo, necessitato e condizionato alla società del tempo e condizionatore a sua volta di altri "fatti" che rispondano agli stessi moventi e mirino agli stessi fini.

Ma sentiamo a questo proposito cosa scrive il Giudice Istruttore, addentrandosi nella "analisi del fatto" del Vajont: «La ricostruzione nel tempo degli atti amministrativi, dei fatti tecnici e degli eventi di ogni altro genere, nei quali si compendiano la nascita e la fine del bacino idroelettrico del Vajont, ha la funzione di consentire a chi legge la più esatta e completa visione del momento storico, del clima economico e dell'ambiente politico in cui la costruzione dell'opera venne ideata e realizzata. Tale analisi d'altra parte non può essere evitata da chi debba con obiettività e serietà valutare le altrui condotte quali appaiono attraverso gli eventi in qualche modo connessi con il fatto per cui è il processo...».

Il corsivo è nostro ma certamente non rappresenta delle forzature del pensiero dell'estensore della sentenza istruttoria. E se questo è il solco, non ci resta che percorrerlo. Diremo allora subito, signori del Tribunale, che vi sono risvolti giudiziari di fatti politici e sociali, destinati a lasciare un segno determinante nella storia dell'umanità. Vi sono processi che per loro natura mettono a nudo il fondo di una società, il significato di un'intera epoca storica. Perchè, come il processo Lambrakis, come il processo Matteotti, come il processo Dreyfus, come il processo Pisciotta, questo "fatto giudiziario" va al di là delle persone del Tribunale, degli avvocati, degli imputati, delle stesse parti lese, perchè diventa una sciabolata di luce su una vasta estensione di terreno storico. Nel processo Lambrakis la "questione" era quella del delitto politico allo stato puro, dell'omicidio politico calcolato a tavolino, in un groviglio di interessi ben più ampi di quelli locali, fin nei più minuti particolari; nel processo Matteotti il dibattimento celebrato dopo la liberazione era tutta un'accusa a un regime che al suo nascere aveva avuto bisogno di dare un terribile esempio di morte; nel processo Dreyfus la posta in gioco erano i legami, da ribadire o da tagliare, tra la casta militare e la politica dello Stato, attraverso i nodi dell'antisemitismo e del militarismo; nel processo Pisciotta veniva evidenziato lo spaccato della società meridionale vittima di una situazione storica ben determinata.
Il processo del Vajont è, per suo conto, anzitutto un discorso sulle responsabilità della scienza, della tecnica e della burocrazia nella proiezione degli interessi sociali e politici della classe dirigente. È un test che ancora una volta dimostra, attraverso un esempio enorme, come la politica sia economia e come la legge del profitto determini scelte politiche.

0Ma noi dobbiamo capire bene attraverso quali vie, per quali ragioni e su quali motivazioni gli uomini che voi ora giudicate vanno puniti e perchè la loro punizione debba essere e debba rimanere esemplare.
Dal punto di vista tecnico-geologico i periti hanno già messo in evidenza che il fenomeno del Vajont con la sua frana e con le sue caratteristiche non era nuovo, perchè aveva avuto numerosi precedenti nella storia delle grandi frane: ebbene, il fenomeno del Vajont, neppure sotto il profilo sociale e politico, è eccezionale e "fuori dal sistema", perchè nasce e si sviluppa in concomitanza ed in armonia con i fondamenti e con i presupposti della 'sua', società. La sua storia, che inizia nel primi anni di questo secolo, è tutt'altro che conclusa, oggi, in un arco di tempo che ha visto modificazioni anche profonde degli aspetti esterni della vita politica ma che ha lasciato intatte radici sociali ed economiche. Diamo per conosciuto tutto il materiale del processo, le prove raggiunte e le riprove ottenute e ci poniamo immediatamente la domanda che ci interessa: come si situa questo crimine nella società nella quale viviamo, quali conferme ed indicazioni ne dobbiamo trarre e ne deve trarre il Paese?

Ma forse è opportuna una osservazione preliminare.
Un avvocato dell'altro collegio di parte civile e quindi "insospettabile'', e per giunta assai autorevole, ha esclamato in una delle udienze di questo processo: "Si è detto che qualcuno qui ha fatto dei comizi: niente di strano. Il processo è veramente un comizio, cioè uno strumento di persuasione. Ed è anche, a suo modo, una sacra rappresentazione".
Potremmo aggiungere che comitium è assemblea di popolo riunita per decisioni di comune interesse, ma ci preme completare il nostro pensiero: perchè questo processo è ancora di più, è anche un contributo che dobbiamo dare ad una battaglia per l'onestà, per la dignità, per la società nuova che dovrà pur nascere anche dal sangue e dalle sofferenze di questi bellunesi, di questi udinesi, di questi pordenonesi, di questi uomini e di queste donne delle province degli alluvionati, dei silicotici, degli emigranti.

Certo, non è un compito facile. Agli avvocati della difesa e ai loro tutelati diremo chiaramente il nostro disagio per essere costretti a batterci nel campo d'Agramante (e non solo giuridico) del sistema.

Infatti l'imputazione (colpa con previsione, concetto cosi' strano e dai confini cosi' labili) è quella che piace a voi, al posto della incriminazione per omicidio volontario per dolo eventuale;
- il codice penale e la giurisprudenza sono quelli che piacciono a voi, quel codice spietato con un piccolo furto e di manica larga con gli omicidi colposi, quel codice (residuato fascista) che deve regolare un processo come questo che è tutto un grido di rivolta;
- una sede che piace a voi, per la legittima suspicione che avete in mille modi e attraverso mille vie voluta e ottenuta;
- i tempi di celebrazione che piacciono a voi, e cioè al limite della prescrizione;
- di fronte a dei magistrati, della cui personale preparazione ed obiettività non vogliamo neppur parlare, tanto è cosa ovvia, ma che nascono dal vostro mondo e dalla vostra società;
- il tutto condito da un formidabile collegio di avvocati difensori scremati dal meglio ufficiale e in un clima di potere politico che vi è assai gradito (1).

NOTE
(1) Il collegio di difesa degli imputati è costituito da una quarantina di avvocati, fra cui i nomi di spicco abbondano: Degli Occhi, Ungaro, Delitala, Pisapia, Conso, Marinucci, Devoto, Brass, Zuccalà, Romualdi, Malipiero, Sorgato, Tumedei. Si tratta non solo del fior fiore del foro ufficiale italiano, ma di una serie di avvocati piuttosto noti anche per le loro simpatie e per i loro legami politici chiaramente rivolti verso destra o comunque verso le correnti dominanti.

Potrebbe stupire invece aver notato nel collegio di parte civile un uomo come l'on. avv. Bettiol, celebre notabile della destra democristiana.
Ma si trattava di un equivoco della sorte che non avrebbe potuto restare tale, come infatti ha recentemente dimostrato lo sbalorditivo voltafaccia del Bettiol che nella sua arringa, passando disinvoltamente dalla parte opposta, ha chiesto lo scagionamento degli imputati e si è quindi praticamente allineato con gli avvocati della difesa, in una zona politica e a sostegno di tesi a lui sicuramente più omogenee.

(Le note sono di Adriana Lotto).

Anche per tutte queste ragioni un processo come questo deve adempiere a molte funzioni. Anzitutto quella elementare e istituzionale di accertare per tabulas delle verità e sulla base di queste verità intese nel senso della tecnica giudiziaria (verità documentali, verità testimoniali, verità peritali, verità logiche) emettere una sentenza nei confronti delle persone chiamate a rispondere di gravissimi fatti. Ma poi deve sottolineare ben altri aspetti senz'altro più importanti. Qui si vede infatti uno spaccato della vita italiana nel quale si evidenziano (esattamente come in uno spaccato geologico si identificano gli strati di materiali, di detriti, di rocce sovrapposte nel corso del tempo) tutte le varie componenti temporali e spaziali del gioco, del tristo gioco del potere.

E di ciò parleremo quando cercheremo di esaminare queste componenti, per cercare di renderci conto di che natura siano gli interrogativi e le questioni che il processo ha portato in primo piano e che deve imporre alla coscienza civile del Paese.
Ancora: le vittime vogliono che si dica della loro testimonianza qui, a livello individuale e collettivo, ad altissimi ideali, quali sono la fiducia nella Giustizia, in una Giustizia davvero sostanziale; la sicurezza che anche attraverso questo teatro giudiziario siano demistificati i 'padroni del vapore' e le baronie tecniche al loro servizio; la speranza che scoprirne i nessi e le complicità tra potere pubblico e privato aiuti la rivoluzione della verità.

Signori Giudici, sono sicuro che abbiate piena coscienza che voi state giudicando qui non solo la più grande tragedia causata da qualcuno da quando lo Stato italiano esiste, ma anche il più grande episodio giudiziario che si sia mai discusso in Italia: il più grande ma anche il più emblematico, il più grande processo emblematico dei primi settant'anni di questo secolo.

Certo, ve ne sono stati altri, ma la somiglianza maggiore che siamo riusciti a trovare, meditando e ricercando, è, con singolari affinità, quella con i processi di mafia. Anche negli aspetti nascosti: infatti, sia nel processo del Vajont che in quelli di mafia, restano nell'oscurità i dirigenti di fondo della "onorata società" dalla quale nascono i crimini. O, per dir meglio, i responsabili principali sono da tutti conosciuti ma non vengono incriminati: perchè il sistema puo' giungere persino ai suoi estremi confini, come prova il rinvio a giudizio di questi imputati (sia pure, ricordiamolo sempre, grazie all'eccezionale tenacia di due magistrati), ma non mai oltrepassarli, pena l'autodistruzione. E una società non si autodistrugge mai.

Verso il 1880 Werner Sombart, il sociologo economista autore de "Il capitalismo moderno", dedicò la sua indagine anche ai fattori che in Italia avvantaggiavano particolarmente gli operatori economici privati:
«Vogliamo parlare della mancanza quasi assoluta di legislazione industriale e della conseguente libertà assoluta dell'imprenditore nell'utilizzazione, per non dire nello sfruttamento, della manodopera; della larga estensione che ha in Italia il lavoro domestico, importantissimo per l'industria tessile e finalmente ... della mancanza di pretese dell'operaio italiano, del suo modesto tenore di vita, fatti espressi ambedue dai salari, quasi più che in ogni altro luogo, bassi».

Ernesto Rossi nel suo 'Padroni del vapore e fascismo', descrive e documenta l'entusiasmo fascista e patriottico (ma non è già stato detto due secoli fa che "patriotism is the last refuge of a scoundrel", Samuel Johnson, 1775?) dei Volpi e dei Cini, assieme a tutti coloro che detenevano le chiavi economiche politiche e sociali dei regime: gli Agnelli, i Borletti, i Puricelli, i Falk, i Donegani, i Piaggio, i Marzotto, i Conti, gli Zegna, i Pirelli.
Ernesto Rossi ce li descrive in biografie allucinanti, questi banchieri, questi finanzieri, questi industriali, questi agrari per i quali sono tutte vere le ricerche di Adorno sulla "personalità autoritaria", con il suo fondamento di repulsione per il concetto "utopistico" di una società ideale e la disposizione ad accettare "realisticamente" il dominio dell'esistente sull'individuo (da allora, il quadro di fondo non è cambiato, anche se si apre tutto un discorso sulla predominante influenza del capitale straniero).

0Ma è ancora Ernesto Rossi che subito dopo aggiunge:
«Molte delle responsabilità che solitamente vengono attribuite alla classe politica vanno fatte risalire all'oligarchia industriale, come la responsabilità delle ingiurie e delle bestemmie gridate da un pappagallo ricade sul proprietario che lo ha ammaestrato...»
L'uomo della strada, che conosce luoghi e date di nascita, carriera, gusti, abitudini, avventure coniugali ed extraconiugali di tutte le stelle del cinema, dei campioni di calcio e dei canzonettisti più in voga non sa neppure che faccia abbiano, anzi neppure conosce i nomi delle poche decine di persone dalle cui decisioni molto spesso dipende in Italia l'occupazione o il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori, i prezzi dei generi di più largo consumo, lo sviluppo o il ristagno dell'economia di intere regioni, la formazione dell'opinione pubblica attraverso i giornali, la RAI e la TV, i nostri rapporti con l'estero ed anche la nomina dei ministri: niente sa, insomma, su quelli che sono i veri "padroni del vapore".

Guardare in faccia i responsabili: cosa sono la SADE, la Montedison, l'Enel

Appunto, vediamole assieme queste "colonne della società" che sono protagoniste del processo: la SADE, le successive fusioni SADE-Montecatini, Montecatini-Edison e poi l'Enel e infine la Montedison.

Pietro Verri, citato da Rodolfo Morandi nella sua Storia della grande industria in Italia scrive nel volume Della economia politica, datato Milano 1781: «Nel passato secolo l'arte di reggere una nazione si definì l'arte di tenere gli uomini ubbidienti. Il cielo ci accorda un secolo ben diverso... si definisce l'arte di reggere un popolo, quella di rianimarlo alla prosperità».
La SADE, l'imputata numero 1, come ha 'rianimato alla prosperità'? Sappiamo che la Società Adriatica di Elettricità, come società per azioni, è scomparsa, ingoiata dalla Montedison. Ma i suoi uomini e il gruppo di potere che la dirigevano allora ed oggi sono in sella al potere.
- Vittorio Cini, il presidente, accanto al quale stavano i Gaggia, Luigi e Giuseppe, uno vicepresidente e l'altro consigliere;
- Enrico Marchesano, presidente della RAS uno dei più grandi assicuratori d'Europa;
- Tullio Torchiani, il personaggio delle più grandi holdings, dalla Bastogi alla Sviluppo Italia (creatura della SADE);
- Valeri Manera, al vertice della Confindustria;
- Giovanni Volpi di Misurata, il finanziere fascista e postfascista.
Questi nomi sono il Potere Economico. Sono coloro che non potevano non sapere che il monte Toc stava franando nel bacino del Vajont, ma che soprattutto sapevano che la nazionalizzazione aveva messo a disposizione duecento miliardi di indennizzo e che la cosa più importante del mondo era incassarli.

 

"Vajont: genocidio di poveri", di Sandro Canestrini 122 pagine, Euro 11,50
CIERRE Edizioni, Sommacampagna, Verona.

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