Vajont: genocidio di poveri

Parte 2

Guardare in faccia i responsabili: cosa sono la SADE, la Montedison, l'Enel

0Appunto, vediamole assieme queste "colonne della società" che sono protagoniste del processo: la SADE, le successive fusioni SADE-Montecatini, Montecatini-Edison e poi l'Enel e infine la Montedison.

Pietro Verri, citato da Rodolfo Morandi nella sua Storia della grande industria in Italia scrive nel volume Della economia politica, datato Milano 1781: «Nel passato secolo l'arte di reggere una nazione si definì l'arte di tenere gli uomini ubbidienti. Il cielo ci accorda un secolo ben diverso... si definisce l'arte di reggere un popolo, quella di rianimarlo alla prosperità».

La SADE, l'imputata numero 1, come ha 'rianimato alla prosperità'? Sappiamo che la Società Adriatica di Elettricità, come società per azioni, è scomparsa, ingoiata dalla Montedison. Ma i suoi uomini e il gruppo di potere che la dirigevano allora ed oggi sono in sella al potere.
- Vittorio Cini, il presidente, accanto al quale stavano i Gaggia, Luigi e Giuseppe, uno vicepresidente e l'altro consigliere;
- Enrico Marchesano, presidente della RAS uno dei più grandi assicuratori d'Europa;
- Tullio Torchiani, il personaggio delle più grandi holdings, dalla Bastogi alla Sviluppo Italia (creatura della SADE);
- Valeri Manera, al vertice della Confindustria;
- Giovanni Volpi di Misurata, il finanziere fascista e postfascista.

Questi nomi sono il Potere Economico. Sono coloro che non potevano non sapere che il monte Toc stava franando nel bacino del Vajont, ma che soprattutto sapevano che la nazionalizzazione aveva messo a disposizione duecento miliardi di indennizzo e che la cosa più importante del mondo era incassarli.

 

Sulle montagne bellunesi, per oltre mezzo secolo, dove arrivava la SADE tutto diveniva della SADE, anche l'acqua del cielo, tutta l'acqua pubblica avuta in concessione e che la SADE sfruttava per produrre energia da rivendere con un margine di guadagno. Che non è più margine, che non è più guadagno, ma che è decisamente solo rapina.
Gli impianti frutto di soprusi, di angherie e di illegalità portano le centinaia di miliardi di profitto e poi di indennizzo, quell'indennizzo che l'Enel imperterrito continua a pagare e continuerà a pagare, a quanto sembra, fino al 1972.
Leggiamo alcune righe del Salvalaggio sul Volpi:
«Con la SADE il Volpi si era fatto assegnare dal Governo il monopolio delle acque, inventando una delle più geniali gabelle di tutti i tempi: l'industria elettrica. Realizzava cosi' senza fatica e formule magiche il sogno degli alchimisti medioevali: l'acqua strappata ai contadini diventava oro. Il prezzo dell'energia elettrica lo stabiliva naturalmente Volpi che in 40 anni riuscì così ad accumulare una fortuna colossale. Diventò il Signore delle Acque e il "Vicerè" delle Venezie. Ci furono anni in cui la corrente elettrica costava a Venezia due volte quella di Parigi. Ma chi sapeva? Chi protestava?
In una regione povera, delusa da decenni, sfruttata da secoli, il vicerè creò una oligarchia potentissima, una specie di mafia elettrica che cristallizzò ogni impulso dal basso. Da una parte erano i padroni, con il loro codazzo di impiegati, di "chierici", di maggiordomi; dall'altra gli artigiani, i popolani, i gondolieri e i venditori di souvenir
». È questa la società che si convoglia nella Montecatini.

È difficile di questa protagonista numero 2 poter elencare anche sommariamente la sfera delle attività e delle interessenze. Diremo che alla Montecatini interessavano, a titolo esemplificativo:
rame, pirite, zolfo, fosfato, concimi, lignite, zinco, piombo, carburo di calcio, prodotti per l'agricoltura; cianamide, acido cloridrico, acido nitrico, trasporti;
industria della juta, costruzioni di porti e di ferrovie, produzione di sacchi, bianco di titanio, litopone e altri pigmenti; produzione del carburo, acetilene, aldeide acetica, acido acetico, anidride acetica, acetone, industria della vernice, solventi, raion; smalti alla nitrocellulosa, vernici sintetiche a fasi gliceroftaliche, rhodiaceta;
industria farmaceutica, industria dei colori, cloro, trielina, colle e gelatine, glicerina, zinco elettrolitico, alcool metilico, formaldeide, resine sintetiche, sali di cromo, barite, alluminio; alcuni decenni di attività per lo sfruttamento di materie prime nazionali ed estere (petroli albanesi, miniere etiopiche ecc.) con interessenze, solo per fare alcuni nomi, alla Pirelli, alla Banca Commerciale, al Credito Italiano e a decine di società consociate dipendenti o collegate.

Ed ora un'occhiata, sia pure di sfuggita, alla protagonista numero 1, la Montedison.
Il gruppo Montedison è oggi uno dei tre grandi dell'industria italiana: possiede oltre la MontecatiniEdison (presidente Giorgio Valerio), le Officine Galileo (presidente Vittorio Antonello), i magazzini Standa (Ferdinando Borletti, sono sempre i soliti nomi!), l'Acna (Gino Sfera), la Farmitalia (Carlo Faina), la Pavesi (Enrico Bersighelli), la Rhodiatoce (Carlo Faina), la Cokeitalia (Paolo Thaon de Revel), la Monteponi e Montevecchio (Carlo Faina) la Chatillon (Furio Cicogna), la Sisma (Alberto Ferrari), la Sincat (Vittorio Debiasi), la Magrini Scarpa & Magnano (Mario Marconi), e cosi via: sull'impero di Valerio non tramonta mai il sole.
Ricorderemo solo che sul ceppo dello stesso gruppo nascono le società finanziarie e assicurative, come la SADE finanziaria (Vittorio Cini), la Italpi (Galileo Motta), la Previdente (Giovanni Serra), la Fondiaria vita (Alberto Perrone), la Fondiaria incendio, infortuni ecc.
L'intera organizzazione produttiva italiana ruota attorno a questi gruppi industriali, l'industria dell'acciaio, della gomma, del petrolio, l'industria chimica e i grandi complessi commerciali.

Alcuni fatti.

Il prof. Feliciano Benvenuti è un amministratore dell'Enel, ed è stato sentito anche al dibattimento.
Ci ha dichiarato che l'ing. Biadene, dopo il passaggio della società all'Enel, veniva considerato come il futuro direttore del compartimento Enel di Venezia. Gli stessi uomini agli stessi posti, per una nazionalizzazione-beffa non ostacolata dai nazionalizzati: è stato infatti confermato dal Benvenuti che le direttive impartite dal Di Cagno per la nazionalizzazione precisavano «che l'organizzazione locale doveva restare come era nella SADE, senza alcuna innovazione, salvo le nuove relazioni con gli uffici centrali». «La direttiva era di non procedere ad innovazioni sulla struttura dell'impresa nazionalizzata e di continuare nelle attività seguendo quanto si era sempre fatto... dagli stessi organi, dalle stesse persone di prima e con gli stessi poteri».
- Come meravigliarsi che (se questa era in realtà la nazionalizzazione, sogno di riformatori, obiettivo della Resistenza, principio della Costituzione repubblicana) possa essere accaduto che l'Enel abbia sposato la tesi della SADE sulla imprevedibilità del sinistro? Questa nazionalizzazione sui generis, che ha finito economicamente per arricchire i nazionalizzati e per offrire nuove leve politiche ai gruppi al potere, doveva affondare in questo processo nella stessa melma della SADE, trascinando nel fango la dignità dello Stato e il prestigio della pubblica amministrazione.
- Come meravigliarsi se la mafia pubblica e privata si è messa subito efficacemente in azione quando si è trattato di sottrarre i due maggiori imputati "nazionalizzati" alla giusta espiazione del carcere?
Nasce qui il problema dei rapporti tra l'industria privata e l'industria pubblica, tra il monopolio privato e il monopolio pubblico nel nostro Paese.
La SADE e lo Stato sono stati assieme fascisti o democratici, obbedendo agli stessi suonatori della musica perchè la SADE e lo Stato appartengono allo stesso comitato di gestione di affari della classe dominante. L'Enel dimostra colla sua "ideologia" e col suo comportamento di essere l'erede e il continuatore delle idee, dei programmi e degli interessi della SADE; clamorosa quindi ma non inattesa la rivelazione dell'istruttoria che i pubblici funzionari prendevano i provvedimenti da imporre alla SADE dopo aver sentito dalla SADE stessa quali provvedimenti essa suggeriva di adottare.

Mario Passi nel suo volume "Morire sul Vajont" ha messo efficacemente in luce - con rigore scientifico e desumendo ogni dato fedelmente dalle risultanze istruttorie - quale è stata la politica della SADE verso i pubblici funzionari e l'impotenza (voluta) degli stessi ad imporre alla SADE qualcosa che essa non volesse accettare: è addirittura da manuale l'esempio della violazione della legge sui sovracanoni per cui la SADE, come tutte le altre imprese elettriche del Paese, ha potuto rifiutarsi di pagare ai comuni rivieraschi dei bacini idroelettrici montani i modesti contributi previsti da una legge del Parlamento. È stato detto che la SADE è uno Stato nello Stato: più giustamente si sarebbe dovuto dire che la SADE è lo Stato. Pagine insuperabili a questo proposito sono state scritte da uno dei più insigni economisti liberi, veramente liberi nel nostro Paese, Ernesto Rossi, di cui ricordiamo solo alcune righe, per il problema che ci interessa illuminare in questo momento:
«Oggi è difficile trovare pubblici funzionari che si mettano contro i monopoli elettrici per far rispettare capitolati e leggi da società che hanno a loro disposizione milioni da spendere e possono agevolare o controllare la carriera di quelli che dovrebbero essere i controllori, assicurare il posto ai loro figli e ai loro parenti».
Ancora una volta non sia inutile ricordare qui quell'ingegnere capo del Genio Civile di Belluno cacciato via solo perchè, mosca bianca, tentava di imporre alla SADE il rispetto di procedure imposte per legge
(Si trattava dell'Ing. Beghelli, sostituito dall'Ing. Violin, Nota).

Gervasoni nel suo libro "Il Vajont e le responsabilità dei managers" ha potuto scrivere: «La SADE è il padre, l'Enel il figlio;
corruzione intrallazzi carenze legislative interessi e frenesie di potere che uccidono la ragione e negano l'evidenza, sono lo Spirito Santo.
Si metta tutto assieme, si mescoli ben bene e si avrà il mistero del Vajont
».
Gervasoni era un giornalista cattolico e possiamo capire la profondità del suo tormento quando doveva giungere a certi paragoni e a certe conclusioni.
Incalza Passi: «L'Ente elettrico di Stato che a buon diritto poteva considerarsi fra i più gravemente danneggiati, almeno sul piano patrimoniale, dalla rovinosa distruzione dell'impianto del Vajont, non compiva alcuna azione di rivalsa verso la SADE: non dissociava minimamenre le sue responsabilità morali, legali, finanziarie dalla SADE che gli aveva ingannevolmente consegnato un impianto sicuramente condannato a sopportare le conseguenze di una frana dalle dimensioni catastrofiche». E non è, ci si permetta di aggiungere, l'ENEL un aspetto di quello stesso Stato che puntualmente invia ai processi davanti alla Corte Costituzionale il suo funzionario, l'avvocato dello Stato, a difendere le posizioni più retrive dei codici fascisti?
Il triangolo di ferro insomma tra Governo, alta burocrazia ministeriale e società concessionaria si è sempre saldato perfettamente con materiali omogenei. E su di tutti il re, il "conte Vittorio Cini", che non poteva essere che alto gerarca fascista e che non poteva essere altro che ministro fascista nell'epoca più buia per il popolo italiano.
Di lui è stato scritto (Guido Nozzoli, 11 maggio 1969 su "Il Giorno):
«Un simbolo vivente, e esempio da manuale, di quei capitani di ventura dell'industria e della finanza sempre propensi ad accettare la collaborazione dello Stato come sovvenzionatore delle loro imprese, ma rivendicatori dei più rigorosi principi del privatismo nella ripartizione degli utili; sostenitori e sovvenzionatori del fascismo quando ebbero bisogno di un "braccio secolare" per la repressione antioperaia e di un solido comitato di affari al governo (proprio loro, gli "idroelettrici", saranno i soli, attraverso il ministro Volpi, a imporre l'aumento delle tariffe dopo il discorso di Pesaro mentre Mussolini ordinava la revisione degli stipendi e dei salari) ma pronti a separare le loro responsabilità da quelle del regime quando la guerra mussoliniana starà per risolversi in catastrofe. Uomini disposti a inginocchiarsi devotamente davanti a ogni altare, a infiammarsi alla vista della bandiera, ma che in fondo restano fedeli al culto di un solo dio: il denaro, e ad una sola patria: la banca».

Perchè la logica del profitto non ha nulla di romantico, di grandioso, sia pure sotto il profilo del "male" secondo una certa concezione moralistica; la logica del profitto è soprattutto la logica della più bassa speculazione: Volpi e i suoi uomini hanno costruito la diga quasi interamente con denaro pubblico di contributi e poi hanno riavuto tutto questo denaro, abbondantemente maggiorato al momento dell'indennizzo per la nazionalizzazione. Mario Passi è molto preciso in questi calcoli, che si spiegano, nell'anno del disastro, proprio perchè «alla SADE preme giungere alla massima quota, per poter finalmente chiudere con il collaudo questa interminabile storia del Vajont». Dietro la nazionalizzazione si è giocato senza pudore onde evitare quel "severo controllo sul Vajont" che avrebbe potuto comportare, come giustamente osserva il Giudice Istruttore, "la revoca della concessione per grave inadempimento alle leggi, con le relative conseguenze d'ordine patrimoniale e politico".

La responsabilità dei tecnici, protagonisti di questo processo

0Questi erano i dirigenti che avevano in pugno, assieme ai loro tecnici e ai loro burocrati, la vita di intere popolazioni.abr>Ebbene quando "TV 7" andò a intervistare alcuni superstiti il 14 ottobre 1963, pose la domanda: «Ma perchè non ve ne siete andati via prima del disastro?» (e la domanda era piu' che legittima, dato che il monte Toc aveva preavvisato da moltissimo tempo ciò che si stava preparando). La spaventosa risposta è stata questa: «Per la speranza che loro sapessero più di noi». Loro sapevano più dei contadini e degli operai di Longarone, ma hanno taciuto, hanno mentito, hanno smentito. In queste mani era riposta la speranza dei morti del cimitero di Fortogna.

Ma in mani non diverse era stata posta anche dopo la notte dell'orrore l'altra speranza, quella di ottenere almeno giustizia: i politici della commissione parlamentare di inchiesta, gli scienziati della commissione ministeriale, gli specializzati della commissione tecnica dell'Enel, i geologi e gli idraulici della prima perizia dovevano anche saperne di più dei morti di Fortogna: ma non hanno voluto sapere di più e si sono allineati ancora una volta sulla posizione della SADE e dell'Enel.
Bertolt Brecht nel suo intervento al Primo Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura (a Parigi nel 1935) non aveva avuto timore di affrontare il problema del perchè certi fatti accadono. E non aveva avuto neppure timore di riconoscere amaramente che: «Quando i delitti si moltiplicano, diventano invisibili. Quando le sofferenze diventano insopportabili non si odono più grida. È naturale che sia così. Quando i crimini vengono come la pioggia, nessuno più grida 'basta'».
Affrontando il problema del perchè delle grandi tragedie politiche e dei grandi drammi in cui viene stritolata carne e anima di tanta parte dell'umanità, Bertolt Brecht analizzava le possibili risposte. Perchè cade il colpo? Una risposta puo' essere questa: perchè i potenti sono malvagi, perchè alla base della loro azione vi è la brutalità individuale. E a questo proposito nasce immediatamente dopo un'altra risposta: il colpo cade perchè i potenti sono frutto di una imperfetta educazione della stirpe umana. A ventaglio potrebbero ora aprirsi i sottoperchè, ma è ora che diciamo qual è invece la verità, qual è la risposta esatta ai perchè; e citiamo ancora testualmente l'autore tedesco: «La brutalità non viene dalla brutalità, ma dagli affari che senza di essa non si possono più fare» e così continua: «un grande insegnamento, che sul nostro ancor molto giovane pianeta penetra sempre più grandi masse di uomini, afferma che la radice di tutti i mali sono i nostri rapporti di proprietà. Questo insegnamento, semplice come tutti i grandi insegnamenti, è penetrato in quelle masse di uomini che più soffrono degli attuali rapporti di proprietà e dei barbari metodi con i quali quei rapporti vengono difesi».

Abbiamo dunque visto assieme a Bertolt Brecht come la questione debba porsi. Ma insistiamo su questo tema perchè ci è parso di capire nel corso di questi mesi di processo che gli imputati attraverso i loro difensori vogliono anche sottolineare benemerenze personali sul piano persino umano (a parte la imperdonabile gaffe, su cui torneremo, dell'imputato ing. Sensidoni che ricorda come un merito la sua fede e la sua tecnica al servizio di quella fede nella guerra di aggressione fascista).

Quale moralità ?

Ecco: in quale modo i sadici (ossia gli uomini della SADE) e i loro correi possono essere delle "brave persone"?

 

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"Vajont: genocidio di poveri", di Sandro Canestrini 122 pagine, Euro 11,50
CIERRE Edizioni, Sommacampagna, Verona.

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