3 Dicembre 2004. Vent'anni fa, Bhopal. La più grande catastrofe industriale della storia.

Warren Anderson, l'americano tranquillo

Una tragedia nel cuore del nostro tempo: dove c'è un colpevole, una condanna, e, purtroppo, nessuna giustizia.

di FRANCESCO NICCOLINI

Dillhi Hat a Nuova Delhi è un mercato serale: un'isola di tranquillità nel mare del disordine indiano, perche lì si paga, per entrare.
Un modo di tenere lontani mendicanti e storpi, così il visitatore occidentale può offrirsi qualche ora di libertà dall'assedio.

Ma questa sera, 2 dicembre 2002, ore 20 il turista ignaro è destinato a uno strano incontro all'ingresso del mercato: una manifestazione silenziosa, civilissima. Una decina di uomini che distribuiscono un volantino in inglese. Sono preoccupati, questi cittadini, perchè il governo centrale indiano non riesce a ottenere l'estradizione di un cittadino statunitense per un processo che qui considerano epocale: quello contro mister Warren Anderson, ex presidente della Union Carbide, ora in pensione e latitante, accusato di omicidio colposo e strage per il decesso di un numero imprecisato di persone, morte a Bhopal, Stato del Madya Pradesh, a partire dalla notte tra il 2 e 3 dicembre 1984.

2002 - Un giorno qualunque, Bhopal, India.

0A Bhopal migliaia di donne manifestano con cartelli tutti uguali 'YOU WANT OSAMA / GIVE US ANDERSON', richiesta semplice e ragionevole: signori della giustizia americana, voi che volete la consegna di Osama bin Laden per i tremila morti dell'11 settembre, permettete l'estradizione di mr. Anderson al fine di poterlo processare per la morte di 20 mila persone.
Impossibile, rispondono le autorità statunitensi: non sappiamo dov'è.

2002 - 29 agosto, Long Island Ny, Usa.
Esce di casa tranquillo. Solita passeggiata da pensionato. Un signore anziano, elegante, senza dubbio un pensionato di lusso.
Vive sotto falso nome da tempo, ma raccontano sia caduto nella più banale delle trappole: «Mr. Anderson?» gli hanno chiesto per strada e lui si è voltato. E la foto è stata scattata.

Dicono che Bhopal fosse una città bella. E poco incline alle esasperazioni etniche e religiose: in India basta poco perchè tra indù e musulmani scoppi il finimondo che si calcola a centinaia, se non a migliaia di morti.
Il 1984 fu terribile: Indira Gandhi era stata assassinata da due guardie del corpo sikh che volevano vendicare la strage del tempio di Amritsar: centinaia di fedeli massacrati dall'esercito governativo. E, dato che vendetta chiama vendetta, in tutto il Paese gli induisti orfani di Indira avevano linciato più di tremila sikh. Ma a Bhopal si viveva più serenamente.
Forse perchè era stata governata a lungo da una casta di donne ed era il regno di fiori e poesia.
O forse perchè il clima non è così torrido a Bhopal, la città dei due laghi cresciuta vicino alle foreste del grande fiume Narmada.

1962 - aprile, Kanhawa Valley, Virginia Usa.
Per questa dolcezza climatica o per l'abbondanza di acqua, la città fu scelta da una multinazionale per cambiare il volto all'agricoltura indiana: la Union Carbide, gigante della chimica, vuole costuirci la prima fabbrica indiano-statunitense di pesticidi. È la scommessa di arrivare primi sul mercato indiano dell'agricoltura, mezzo miliardo di potenziali clienti in lotta quotidiana con insetti di ogni tipo, e lanciare il Sevin, pesticida che stermina qualunque tipo di insetto ed è innocuo per piante ed esseri umani: l'ideale per liberare i contadini indiani dal flagello.
Sarebbe folle esportare il Sevin made in Usa a prezzi di manodopera americana: la Union Carbide decide di andare a costruire una fabbrica in India, a ridosso della Spianata Nera, la gigantesca bidonville di Bhopal. Le mura esterne della fabbrica confinano con l'Orya Basti, il luogo della disperazione cittadina: niente elettricità, acqua nè fogne.
Per la grande fabbrica servono muratori e operai, molte famiglie hanno ora lavoro e stipendio.

1980 - 4 maggio, Bhopal, Spianata Nera.
0Il presidente della Union Carbide, Mr. Warren Anderson, inaugura la fabbrica.
Sono quasi 20 anni che la multinazionale lavora al progetto eppure in tutto questo tempo non ha mai pensato di dover raccontare a qualcuno in India un dettaglio. Durante il ciclo di produzione uno dei prodotti intermedi è l'isocianato di metile (Mic): trasformato in Sevin è innocuo, ma finchè non reagisce con gli altri componenti è devastante, basta respirarne i vapori ed è morte certa. Va mantenuto lontano dall'acqua, allo stato liquido, refrigerato, in un sistema di contenitori a tenuta stagna con via di fuga: una torre dove, nel caso di reazione, venga immediatamente bruciato. Normalmente non viene mai stoccato: appena prodotto viene trasformato.
Così funzionano tutte le fabbriche di Sevin sparse per il mondo, unica garanzia per non tenere una bomba innescata a contatto con chi lavora e vive dentro e intorno la fabbrica.
La Union Carbide decide che non è il caso di far sapere queste controindicazioni nel Madya Pradesh: sospettano che anche uno Stato del terzo mondo avrebbe da ridire sull'ubicazione di una fabbrica così pericolosa, dato che ci vivono intorno decine di migliaia di persone.
Non è tutto: dato che la fabbrica inizierà a produrre piccole quantità di Sevin, viene decisa la costruzione di tre vasche per stoccare il Mic, sempre pronto all'occorrenza. Altro che trasformazione immediata.
Nel 1981 la commercializzazione del Sevin è soddisfacente. Ma già nel 1982 le vendite vanno a picco. L'anno seguente non ci sono dubbi: l'impresa è disastrosa. La Union Carbide taglia spese e posti di lavoro: la fabbrica va chiusa e, il più presto possibile, dismessa, smontata e rivenduta. La parola d'ordine è chiara: tagliare i costi e non manutenere.
Prima si rinuncia al personale specializzato, poi alla sicurezza, in base al principio che se la fabbrica non produce non può essere pericolosa: vengono staccati i sistemi d'allarme e di refrigerazione. Spengono la torcia della via di fuga. Poi smontano la via di fuga. Il 26 ottobre 1984 la fabbrica chiude, dimenticando che nelle tre vasche sono rimaste 60 tonnellate di Mic. D'altra parte nella fabbrica non c'è più un ingegnere o un addetto alla sicurezza: chi dovrebbe mai accorgersene?

1984 - 2 dicembre, Bhopal.
Dicembre è un mese speciale nel calendario indiano: i monsoni e le piogge sono passati, la temperatura è lontana dai 50 gradi dell'interminabile stagione calda. Dicembre è ideale per i matrimoni e per festeggiare. E a Bhopal oggi non si festeggiano solo matrimoni: è anche la giornata conclusiva di un festival di poesia e si apre un raduno islamico internazionale che porta in città fedeli da India, Pakistan e Afghanistan. Tutti si preparano a una notte di festa.

A lavorare nella fabbrica dismessa è rimasto qualche operaio distaccato da un'altra azienda per svolgere l'unica manutenzione sopravvissuta: la pulizia delle tubature che legano le tre vasche di MIC al resto dell'impianto. Vasche coperte da un sarcofago di cemento armato, a prova di esplosione: la minima impurità potrebbe innescare le reazioni tanto temute dagli ingegneri. Bisogna operare con cautela, perchè anche l'acqua usata per la pulizia potrebbe innescare la reazione.

Sembra che le incrostazioni fecero tappo in una di queste tubature e che un segmento di tubi, prima di essere lavato, non fu 'isolato' dal resto dell'impianto. Quando gli operai decisero che per sfondare il tappo bisognava aumentare la pressione del getto, l'acqua non trovò ostacoli e finì in una delle vasche. Il Mic reagì. Quaranta tonnellate di morte allo stato gassoso presero la via di fuga con la violenza di un geyser. Non trovarono la torcia, non trovarono nemmeno la via di fuga: dovettero solo sfondare una valvola chiusa e si riversarono nella grande notte di festa.

1984 - 3 dicembre, ore 00.05, Bhopal.
L'isocianato di metile è più pesante dell'aria e ricade lentamente a terra. Deve solo decidere dove vuole andare: verso i quartieri ricchi, oppure verso l'Orya Basti. Scelse le bidonvilles. L'apocalisse può cominciare. Prima ti bruciano i polmoni. Poi soffochi nelle tue secrezioni e, mentre la vista si appanna e diventi cieco, il cervello ti blocca il respiro.
Chi non muore sul colpo si riversa negli ospedali, dove i medici non sanno cosa fare, perchè nessuno è mai stato preparato a un intervento d'emergenza per la fuga di un veleno così devastante e totalmente ignoto. Migliaia di persone cieche, che sputano polmoni e secrezioni, vomitano e soffocano, cercano la salvezza senza sapere cosa fare. I medici intuiscono che l'origine della tragedia è dentro la fabbrica e provano a contattare la Union Carbide.
«Respirare il meno possibile», pare sia stata l'unica indicazione arrivata dai responsabili della multinazionale. Non possiamo rivelare la composizione chimica del nostro prodotto, sorry.

Quanta gente è morta a Bhopal? Intere famiglie, intere strade di senza tetto sono state sterminate. Migliaia di cadaveri senza nome che nessun orfano ha mai reclamato. Furono scattate migliaia di foto ai cadaveri recuperati, numerate e affisse alle pareti degli ospedali, sui muri dell'Orya Basti, con la speranza di effettuare qualche riconoscimento. Secondo lo Stato del Madya Pradesh i morti furono mille, cifra insignificante per un Paese dove un'inondazione qualsiasi ne provoca qualche migliaio. Altre fonti dicono tra i quattro e gli ottomila morti nelle prime ore e altri 15-20mila dal giorno dopo a oggi. Per non parlare di chi è nato malformato, di chi sopravvive con i polmoni bruciati, cieco o senza più dormire: perchè a Bhopal, da quella notte, sono moltissime le persone che, come Macbeth, per altri motivi, hanno perso il sonno: hanno paura di addormentarsi e che arrivi un'altra nube assassina.

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Mr. Anderson, presidente della Union Carbide, si precipita a Bhopal: viene arrestato e dopo qualche ora rilasciato. Riparte a razzo verso luoghi più sicuri, promettendo che si sarebbe presentato per il processo. Ma, da allora, mr. Anderson è irreperibile.
Alle richieste di estradizione del tribunale indiano, la giustizia statunitense risponde laconicamente: non sappiamo dov'è, sorry.
Di fronte alle azioni penali e civili negli Stati Uniti, i tribunali americani rispondono: il crimine non è accaduto in territorio americano, sorry.
Alle richieste di risarcimento le assicurazioni statunitensi frenano in base a un semplice principio: i loro parametri valgono per i cittadini statunitensi, mentre la vita di un senza tetto indiano è praticamente senza valore, sorry.

Qualche anno fa, dato che il tribunale indiano competente non ha mollato la presa su Mr. Anderson, la Union Carbide ha patteggiato con il governo indiano un risarcimento di 470 milioni di dollari (contro i 3 miliardi e 300 chiesti in un primo momento), in cambio della promessa governativa di mutare l'accusa da omicidio a negligenza. Ma il tentativo è fallito. L'accusa per Mr. Anderson è omicidio colposo. Purtroppo l'ex presidente continua a restare irreperibile.

2004 - 3 dicembre, Bhopal.
A Bhopal si muore ancora per le conseguenze dell'incidente. Nessuno ha mai bonificato la zona e la falda acquifera resta così ricca di mercurio, piombo e altre sostanze tossiche che continua a essere una garanzia di morte e malformazioni di ogni genere. I malati cronici sono 150 mila ed e davvero difficile immaginare cosa è la vita là, in quel luogo di sonnambuli, storpi e orfani che ha più ospedali e posti letto di New York.

Un fotografo indiano, Raghu Rai, sostenuto da Greenpeace, continua a documentare (vedete le foto in queste pagine) le condizioni dei sopravvissuti e la loro agonia ricordando che Bhopal non è una tragedia del passato, ma un incubo che decine di migliaia di persone continuano a vivere ogni giorno senza che nessuno si preoccupi di trovare una soluzione, ovvero i soldi per la bonifica.
La fabbrica resta lì, in preda alla ruggine e all'oblio.
La Union Carbide non esiste più, assorbita dalla Dow Chemical, multinazionale ancora più grande e potente, dove nessuno vuole pagare per quanto accadde nel 1984: dicono che loro non c'entrano nulla con i pasticci che mr. Anderson e la Union Carbide hanno combinato prima della fusione.

È di pochi giorni fa la notizia che si provvederà ai risarcimenti delle 566.876 vittime ufficiali di Bhopal: poco più di 500 dollari a persona. Qualche buontempone della burocrazia indiana ha proposto di liquidarli in dieci anni, rate mensili da 4 dollari, al cambio attuale 200 rupie: meno di 7 rupie al giorno, con le quali puoi pagarti, in strada, al massimo tre tazze di tè. E sapendo con che acqua viene fatto il tè nelle strade di Bhopal, non ci sono dubbi, è tè all'isocianato di metile: evita i parassiti nello stomaco.

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Osama in cambio di Anderson.

Questa foto fa parte del progetto in cui è impegnato da molti anni l'indiano Raghu Rai con il sostegno di Greenpeace, per documentare le condizioni dei sopravvissuti e la loro agonia, ma anche le strutture fatiscenti da cui partì la nube di Bhopal e che ancora incombono sulla cittadina indiana.
E anche le tante manifestazioni di protesta, come quella qui sopra, che dal 1984 si svolgono in tutta l'lndia.

Manifestazione.
0A destra, un'altra immagine delle proteste organizzate in India.
Se il mondo conosce la tragedia di Bhopal, gran merito va allo scrittore francese Dominique Lapierre autore, collo spagnolo Javier Moro, della bellissima inchiesta «Mezzanotte e cinque a Bhopal» (pubblicata in Italia dalla Mondadori).

Un lavoro durato quattro anni dal quale è stato tratto un documentario molto esauriente.

Francesco Niccolini - tra altro - ha raccolto e coordinato il materiale di repertorio servito a Marco Paolini per il monologo "Vajont 9 ottobre 1963".

Marco Paolini ha raccontato Bhopal nella trasmissione 2004 "Report". Il monologo "Bhopal" - assieme ad altri 4 presentati nella trasmissione - è disponibile in DVD.
Nel 2004 Marco si è impegnato ne "Il sergente", tratto da "Il sergente nella neve" di Mario Rigoni Stern.