A memoria delle vittime del Vajont e di Tina Merlin

 

"Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa",
10 ottobre 1963, Tina Merlin

Brevi note biografiche

Tina MerlinTina Merlin nasce a Trichiana (Belluno) il 19 agosto 1926.

Durante la guerra di liberazione è staffetta partigiana.
Dal 1951 al 1967 è corrispondente locale del quotidiano "L'Unità".
Sono questi gli anni in cui esordisce come scrittrice con il racconto pubblicato su "Noi donne", che le vale un premio.
Nel 1957 appare Menica (Renzo Cortina Editore, Pavia), raccolta di racconti partigiani.
tutti sapevano (bastardi)Nello stesso periodo segue da vicino le vicende del Vajont, prima e dopo la catastrofe del 9 ottobre 1963 che costò la vita a duemila persone.
Per i suoi articoli di denuncia della situazione pericolosa che si era andata manifestando con la costruzione della diga, e pubblicati sull'Unità già nel 1959, viene processata per "diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico", venendo assolta dal tribunale di Milano.

Dopo una breve attività all'estero, per la Radio di Budapest in lingua italiana, riprende la collaborazione con l'Unità da Vicenza.

Segue le lotte degli operai tessili di Valdagno che documenta nel volume Avanguardia di classe e politica delle alleanze (Editori Riuniti, Roma, 1969), e dei ceramisti di Bassano che racconta nel volume Siamo tutti una famiglia (Odeonlibri Editrice, Vicenza, 1982).

L'anno dopo, nel 1983, dopo essere andata per anni alla ricerca di un editore interessato, pubblica per le edizioni La Pietra di Milano Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe, in seguito ristampato da Il Cardo di Venezia, Cierre di Verona, ELLEU Multimedia di Roma.

Nel 1970 si trasferisce alla redazione dell'Unità di Milano e da qui, nel 1975, a Venezia dove dirige le pagine regionali del Veneto.
Collabora a varie riviste: Noi donne, Vie nuove, Rinascita, Patria indipendente, L'uomo e l'ambiente, di cui è direttrice, Veneto emigrazione, Vie nuove dell'agricoltura.
Socia fondatrice nel 1965 e per lungo tempo membro del Direttivo dell'Istituto Storico Bellunese della Resistenza (oggi anche dell'Età Contemporanea - I.S.B.R.E.C.), collabora alla sua rivista "Protagonisti" con saggi e interventi sulla storia della resistenza e la partecipazione delle donne, e sulla società locale tra guerra e dopoguerra.
Sempre per l'Istituto partecipa a vari convegni con contributi quali:
"Sulle motivazioni della rivolta popolare bellunese all'occupazione tedesca", assieme ad Aldo Sirena,
in "Tedeschi, partigiani e popolazione nell'Alpenvorland", Marsilio, Venezia 1984;
Le cooperative autotrasporti partigiane nello scontro politico-sociale del dopoguerra,
in Montagne e Veneti nel secondo dopoguerra, Bertani, Verona 1988;
La guerriglia delle donne: status, coscienza, contraddizioni,
in Aspetti militari della resistenza bellunese e veneta. Tra ricerca e testimonianza, Belluno 1991;
Come si demolirono gli ideali della Resistenza. Proposte di ricerca,
in Storia contemporanea del Bellunese. Guida alle ricerche, Pilotto, Feltre 1985;
Aspetti ed episodi del contributo delle donne alla resistenza bellunese,
in Le Donne nella Resistenza Bellunese, Belluno 25 aprile 1992.

Muore il 22 dicembre 1991 dopo un anno di malattia.

Nel 1993, l'Associazione culturale a lei dedicata, sorta nel novembre 1992, con l'aiuto dello scrittore Mario Rigoni Stern pubblica postumo per le Edizioni Il Poligrafo di Padova il volume autobiografico La casa sulla Marteniga, che riceverà un premio letterario.


Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont.

Il libro ha ispirato lo spettacolo teatrale di Marco Paolini "Vajont 9 ottobre 1963. Orazione civile", che ha il merito di aver fatto conoscere al pubblico televisivo e dei media la vicenda del Vajont, prende le mosse dal 1956, l'anno in cui nella storia tribolata dei paesi di Erto e Casso entra la diga.

Voluta dalla SADE, società privata per la produzione e l'erogazione dell'energia elettrica, come serbatoio che alimenterà la nascente industria metallurgica di Porto Marghera (Venezia), l'enorme manufatto alto 261 metri per una capacità di 168.000.000 di metri cubi d'acqua viene costruito in una zona geologicamente pericolosa.
Nonostante le perizie lo confermino, e segni premonitori segnalino sommovimenti del terreno, l'opera viene completata nell'autunno del 1959.
Da allora, e fino al 9 ottobre 1963, i timori crescono e trovano eco negli articoli di Tina Merlin.
Le sue denunce a nulla servono: la parola di una giornalista, per giunta comunista, non può che essere 'falsa e tendenziosa'. Di più: viene accusata di essere portatrice di una cultura economica conservatrice rispetto al modello di sviluppo che l'Italia adotta in quegli anni, e che avrebbe portato 'senza dubbio posti di lavoro e benessere per tutti'.
Ostinatamente i tecnici vanno avanti.
occhi PaoliniInvasi e svasi provocano scosse sempre più frequenti.
C'è chi vede gli alberi camminare, ma nessun allarme o scrupolo ferma i 22 esperimenti compiuti, nemmeno una simulazione di frana fatta a Nove (una località della zona) nell'estate del 1962, che lascia capire la portata della tragedia umana se la montagna dovesse cedere.

La decisione del governo di nazionalizzare l'industria elettrica accelera i tempi di consegna dell'opera "a collaudo avvenuto". Si comincia l'invaso finale, via via accompagnato da maggiori cedimenti e fessurazioni della roccia, col livello dell'acqua che arriverà a raggiungere i 710 metri s.l.m..
Il 7 ottobre le preoccupazioni diventate paura cominciano a prendere tecnici, progettisti, operai di sorveglianza e amministratori locali.
Si decide per uno svaso d'urgenza prima dell'irreparabile. Invece, a mano a mano che si abbassa il livello del lago, la montagna, non più trattenuta dalla spinta dell'acqua, comincia a scivolare lungo un piano inclinato.
Nessuno provvede ad allertare la popolazione. La sera del 9 ottobre, una massa di 250 milioni di metri cubi di rocce e terra precipiterà nel lago sollevando un'onda di 100 metri di altezza che si abbatterà in parte sui paesi di Erto e Casso, sulle frazioni di San Martino, Pineda, Spesse, Prada, Liron, Col della Ruava, Forcai, Valdapont, ma soprattutto su Longarone.

Il giorno dopo, di fronte al mare di fango e desolazione, giornalisti come Indro Montanelli e Dino Buzzatti grideranno alla rivolta della natura, alla perfezione dell'opera tecnicamente ineccepibile, bollando come sciacalli tutti coloro che osano parlare di responsabilità umane.

2000 morti - molti dei quali non si ritroveranno mai - saranno il tributo al cosiddetto "progresso".

Il libro della Tina Merlin è scritto con ampia e dettagliata documentazione sulle varie fasi di costruzione della diga, sulle lotte delle popolazioni locali per impedirla, sulle loro paure e sul disastro finale.

Fonte: www.alasinistra.it  >>  Per gentile concessione dell'Associazione Culturale "Tina Merlin"


Vedi anche:

indice "Vajont" su questo sito

Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe

www.patriciazanco.it

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