Inserimento originale: 10/10/2003

Piave, fiume Saccheggiato alla Patria. Paolo Rumiz, evidentemente stimolato dall'intervento dell'ENEL, successivo al suo articolo uscito su Repubblica il giorno 08/10/2003, aggiunge questo preoccupante viaggio alla ricerca del fiume Piave. Anche Rumiz concorda sul fatto che il Vajont NON HA INSEGNATO NULLA.
"Povero fiume" scrive Paolo. Poveri tutti, aggiungo io.

ENEL risponde

Il Piave, fiume saccheggiato, nuova minaccia per Longarone

di Paolo Rumiz, la Repubblica, 10 ottobre 2003.

LONGARONE - Un allucinante letto di ghiaie sollevato fino a otto metri rispetto al '63. La minaccia che torna ad ogni pioggia d'autunno. La paura per industrie e capannoni costruiti sul greto, all'italiana. Ancora il Vajont? No, il Vajont non c'è piu'. Stavolta è il Piave, il Fiume Sacro della Patria. È lui la nuova bomba a tempo di Longarone. I prelievi d'acqua a scopo irriguo e idroelettrico lo hanno hanno svuotato al punto da azzerare le piccole piene stagionali, indispensabili a sgomberare gli accumuli di ghiaie. Risultato: oggi la valle è di nuovo a rischio. Come se non fosse accaduto nulla.

In pieno autunno il viaggio sul Piave è una ricerca surreale di un'acqua che non c'è. Già alle sorgenti. Affluenti come il Fedaia o il San Michele il fiume non lo vedranno mai. Intubati subito, scaricati altrove. Il lago del Centro Cadore è semivuoto, riempito di terra. Non è vuoto per la siccità ma per il supersfruttamento. Andando a Cortina, la perla delle Dolomiti, devi fingere di non vederlo. I turisti se ne vanno, non sopportano piu' quel paesaggio lunare. Per i laghi del Mis e del Corlo, stessa storia, stessa montagna di terra.

Scopri che il Piave è il più disidratato - e di conseguenza il piu' imbrigliato - dei corsi d'acqua d'Europa. A fronte dell'8% della portata idrica nazionale, fornisce il 15% della produzione idroelettrica. Il resto va ai consorzi d'irrigazione. Non una goccia arriva piu' direttamente al mare. Risultato: se dovesse tornare il diluvio del '66, i danni sarebbero « dieci volte maggiori ». Parola di Luigi Dal Paos Tra Ospitale e Perarolo il viaggio prosegue tra paesi-fantasma, in un traffico bestiale di camion. Li' scopri che il letto si è alzato di otto metri e che, nonostante questo, la nuova statale "Alemagna" è stata costruita tre metri piu' sotto rispetto a quella vecchia. Tanto che importa, ti dicono, piove sempre meno. In nome della stessa filosofia, accanto al rio Padola, trovi una falegnameria sotto un ponte. E a Cencenighe, sul fiume Cordevole, una bella caserma dei Carabinieri. Fuori c'è scritto "Limite invalicabile", ma l'acqua se ne fotte dei cartelli.

Vajont lezione inutile? Peggio. Il Vajont ha fornito l'alibi alla devastazione. « Il bacino idrico del Piave - spiega Walter Bonan, responsabile del Parco delle Dolomiti bellunesi - considera ancora disponibili i 150 milioni di metri cubi della diga maledetta». Così si è potuto legalmente prosciugare piccoli e grandi corsi d'acqua della zona. Insomma la tragedia ha accelerato, anzichè frenarlo, il dissesto idrogeologico.
occhi PaoliniE anzichè imporre la definitiva messa in sicurezza del territorio, ha dato via libera al saccheggio. Arrivi a Longarone e scopri che fanno monumenti alla memoria, ma alla memoria corta. La diga della morte è stata disattivata, ma il paese stesso è diventato una diga, con l'occupazione industriale del greto che blocca il Piave in caso di piena. Nessun Monte toc incombe piu' sulla valle, ma il Piave stesso si è trasformato in una frana che nessuno riesce piu' a sgombrare, una pietraia che ripropone, lungo tutto il fiume, qualcosa di simile al paesaggio del 10 ottobre 1963.
A valle, il lago di Santa Croce inghiotte in ghiaia l'equivalente di un camion al minuto. Diverrà anch'esso una distesa di pietre, un immenso Vajont. E ancora, avanti, verso Mel, greti coperti di foreste e argini di cemento in mezzo ai paesi - come Sedico - dove non distingui piu' la zona industriale e il centro storico, monumenti all'anarchia urbanistica del Veneto. A Lentiai, le pietraie in mezzo al fiume sono piu' alte che addosso agli argini.
Cosa possa accadere in caso di piena, nessuno se lo chiede. Tanto, c'è lo 'stato di calamità.

Povero fiume.
In località Miniere è una cava di ghiaia, con acqua stagnante, bulldozer in azione, polvere e alberi calcinati attorno. A Vas sbancano il letto per un metanodotto, un lavoro ciclopico, dove l'acqua non trova piu' il suo alveo. Allo sbarramento di Fener partono i canali per l'irrigazione della Bassa. Ormai non resta quasi nulla, l'acqua non basta a ad alimentare la falda e i fiumi di risorgiva in pianura. E contrastare la penetrazione sotterranea dell'acqua di mare.

vajont 2003Allora ti mostrano la carta del bacino, colorata di nero rosso e blu. Vedi tutti i prelievi, le dighe, i by-pass e i travasi, i generatori, i canali per la grande sete della pianura. Un labirinto piu' complicato di un albero genealogico. Un capolavoro di idraulica, un'opera ingegneristicamente eccezionale. Poi guardi il paesaggio, e scopri la devastazione.
Esattamente come la diga del Vajont, intatta dopo il crollo del Toc e citata ancora oggi come vanto italiano nonostante i 2000 morti. Due anni e mezzo fa, nel Febbraio 2001 si è tentato di salvare il salvabile stabilendo - caso unico in Italia - il flusso del minimo vitale del fiume.
Sergio Reolon, che su questo punto ha quasi dichiarato guerra all'ENEL e ai consorzi irrigui, spiega che «per la prima volta si è pensato di restituire qualcosa a un fiume. Si è pensato cioe' all'acqua come a una cosa da difendere, non a una cosa da cui difendersi» Il vero monumento al Vajont, insiste, sarebbe rinaturalizzare le sponde del Piave. Ma di mezzo c'è la Regione, che sta con l'ENEL e i consorzi, i quali, elettoralmente, pesano dieci volte più della montagna.

«È una lotta impari, quella con gli agricoltori della pianura» spiega Oscar De Bona, presidente della Provincia, il quale non vuole inimicarsi ne' l'ENEL ne' la Regione. Intanto, il Fiume della Patria è diventato un fiume osceno, uscito dal paesaggio e perfino dal nostro immaginario.