L'OPERA DEL CORPO NAZIONALE VIGILI DEL FUOCO NELLA ZONA DEL VAJONT LONGARONE 9 ottobre - 23 dicembre 1963

Numero speciale della Rivista Mensile ANTINCENDIO E PROTEZIONE CIVILE - R O M A


Sommario

L'OPERA DEL CORPO NAZIONALE VV.F. NELL'OCCASIONE DELLA SCIAGURA DEL VAJONT

L'OPERA DEL CORPO NAZIONALE VV.F. NELL'OCCASIONE DELLA SCIAGURA DEL VAJONT

Andrea Pais: Longarone

RELAZIONE GENERALE

Stefano Gabotto: Le operazioni di intervento del Corpo Nazionale VV.FF. nelle nelle zone del Vajont

RELAZIONI DELLE FASI E SETTORI OPERATIVI

Antonio Bergamo: L'immediato intervento dei Vigili Volontari del Cadore

Paolo Bolzan: I VV.FF. bellunesi nella notte del disastro - La partecipazione dei VV.FF. trentini ai soccorsi

Adriatico Chiuzzelin: Le prime operazioni sul fronte di Erto e Casso

Virgilio Casablanca: Giorno per giorno alla base-nord

Fabio Rosati: La positiva prova della 1° Colonna Mobile di soccorso

Ernesto Lazzarotto: Sbloccato il Piave al ponte-diga di Sovérzene

Gino Lo Basso: I sommozzatori al bacino di Busche - L'attività di volo del gruppo elicotteri

Ernesto Lazzarotto: I collegamenti radio - La missione tecnica della protezione civile francese

UOMINI E MEZZI PARTECIPANTI ALLE OPERAZIONI

Comandi Provinciali che hanno partecipato alle operazioni

Ufficiali che hanno prestato servizio nei vari reparti

Automezzi e attrezzature impiegate

Elenco nominativo del personale VV.FF. intervenuto nella zona di emergenza

Riepilogo

RIASSUNTI DEL CONTENUTO DEL FASCICOLO IN 4 LINGUE ESTERE

Edizione speciale ampliata del n. 59 - novembre 1963 di ANTINCENDIO E PROTEZIONE CIVILE - Rivista mensile edita sotto gli auspici del Ministero dell'Interno, Direzione Generale Servizi Antincendi - Organo del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco - Direttore: dott. ing Fortunato Cini - Condirettore: dottore Andrea Pais, responsabile

Data di stampa: giugno 1964 - Tipografia S T I, via Casilina 767 - Roma.


ANDREA PAIS - L O N G A R O N E

Questo numero di «Antincendio e Protezione Civile» è dedicato alla parte avuta dai Vigili del fuoco nelle operazioni di soccorso per la sciagura del Vajont, una delle calamità più impressionanti di tutti i tempi, un'esperienza angosciosa già entrata nella storia dei grandi drammi umani.
Questo numero è dunque la triste rievocazione di un cataclisma portatore di distruzione e di morte. Ma è anche una testimonianza di amore e di solidarietà umana nella sventura. Alla notizia di quella catastrofe il mondo si è commosso, si è rivolto con cuore apprensivo e fraterno verso le vittime e i superstiti, la gente di tutti i Paesi ha fatto propria la sofferenza di quell'ora. Si è avuta la prova di com'è pronta a vibrare l'anima dei popoli al richiamo del dolore di quanta bontà vi si nasconda a dispetto della tensione e dell'ostilità che al livello politico sembrano opporre talvolta tra loro le nazioni.

vanto della ingegneria Italiana...
ma nel luogo sbagliatoI soccorsi sono stati fervidi e solleciti anche sul piano tecnico. Nei luoghi colpiti si è concentrata in poche ore una massa considerevole di uomini, di forze, di mezzi, in uno slancio di propositi e di azione generoso e commovente, seppure mortificato dalla immensità del disastro che aveva lasciato ben poco margine utile alle possibilità di aiuto. Uno slancio tuttavia ugualmente provvido e fecondo sul fronte dell'assistenza ai vivi e della pietà per i morti.
Tra i soccorritori i Vigili del fuoco hanno avuto il ruolo di protagonisti: non tanto perché professionalmente qualificati e adusi alle prestazioni d'istituto nell'occasione di ogni calamità; e non solo perché, giunti primi sul teatro della catastrofe, hanno potuto provvedere al salvataggio di decine di vite in pericolo; ma anche e sopratutto perché ad essi è prevalentemente spettata l'opera più difficile e dolorosa, di gran lunga la più importante agli occhi dei superstiti e nel quadro dei soccorsi: la ricerca, cioè, dei duemila e più cadaveri dispersi dentro e fuori la zona devastata. È stato questo un calvario lungo e tormentoso, un'impresa dura e disperata, che trova in parte la sua documentazione nelle relazioni dei Comandanti, pubblicate in questo fascicolo. Solo in parte, perché il sentimento è bandito, come d'uso, dai verbali d'intervento, redatti in stile scarno, essenziale. Invece è tutta sentimento la cronaca dei settanta giorni vissuti sotto la cupa e lugubre ombra del Vajont dagli uomini del Corpo Nazionale VV.F.

Per ritrovare il filo del sentimento basta del resto dare all'asciutto diario di quelle giornate la sua propria cornice, che è poi la tragedia medesima che fa da sfondo e premessa. Allora è facile interpretare e capire, nel grande quadro del dramma, il senso e lo spirito dell'opera soccorritrice. Su quest'opera vedremo così profilarsi - umile, sollecita, generosa - la figura del vigile del fuoco, anche in questa occasione coraggiosamente impegnato, come sempre, nelle battaglia dell'umano dolore e dell'umana pietà. Ubi dolor, ibi vigiles.

LA FRANA, L'ONDATA, LA STRAGE

Nella tarda sera del 9 ottobre 1963, verso le 22.40, sulla linea di confine tra le province di Belluno e di Udine, là dove si ergeva e si erge tuttora una delle più alte dighe del mondo a sbarrare la strada al torrente Vajont formando un bacino artificiale di 150 milioni di metri cubi d'acqua, il disastro si è scatenato improvviso, cogliendo di sorpresa i centri abitati a monte e a valle della diga, sui quali si avventava, irruente e fulminea, una mostruosa valanga d'acqua e di fango. La catastrofe è così descritta nei suoi termini puntuali e drammatici dalla Relazione della Commissione di inchiesta nominata dal Ministro dei Lavori Pubblici:

«Alle ore 22,39 del 9 ottobre 1963 il movimento franoso delle pendici del Toc, già in atto, da tempo, sulla sinistra del Vajont, assumeva un andamento precipite, irruento, irresistibile. L'acqua del lago artificiale, alla quota di 700,42 m. sul livello del mare subiva una formidabile spinta: con andamento pauroso, si calcola di 50 chilometri all'ora, la frana avanzava su di un fronte di circa 2 chilometri a monte della diga; raggiungeva, così, la sponda destra, urtava contro questa, vi scorreva sopra, superando, in alcuni punti, di 100 metri la quota iniziale.
La tremenda pressione della massa che aveva conservato la sua unità, spostava, con violenza mai vista, un volume di 50 milioni di metri cubi di acqua. Fenomeno apocalittico, un'onda si sollevava fino a 200 metri, per ricadere, paurosa, irradiandosi in parte verso la diga, in parte verso il ramo interno del lago.
Non più contenuta, la prima, con un volume di circa 25 milioni di metri cubi, superava la diga, si lanciava nella gola proiettandosi poi, tumultuosa, verso la valle del Piave irrompeva, così, sventagliandosi, flagellando, inesorabile, violenta, rapida i 600 metri in quattro minuti circa sull'ampio scenario che si schiude di sotto. Le luci, palpiti di vita, d'industrie feconde, operose, di Longarone, di Pirago, della sponda di Fornace, di Villanova, di Faè, dei borghi di Castellavazzo e di Codissago, della cartiera allo sbocco della gola, improvvisamente si spengono: e con esse, migliaia di vite umane.
Il fiume, improvvisamente ingrossato, assume aspetto di piena mai vista; danneggia Sovérzene, Belluno; prosegue, poi, dopo 80 chilometri, placato, a trovar pace verso il mare. Nell'interno del lago, l'acqua residuata dell'onda investe Pineda: l'onda si riflette, va a colpire S. Martino, risalendo verso il passo di Sant'Osvaldo. Case, borghi abitati da poveri contadini, sono distrutti: e con essi, altre vite umane. Cinque rapidi intensi minuti sono stati sufficienti al compiersi della tragedia.
Due umili spettatori, espressione di altissimi valori umani, assistono al fenomeno: a monte, il parroco di Casso don Carlo Onorini, il quale, trepidante, vigilava sulle luci dei riflettori che seguivano il movimento franoso; a valle, sotto la diga, il carabiniere Riccardo Aste, inviato pochi minuti prima in servizio di sicurezza. Una fiamma di luce bianchissima - la distruzione, in tempi brevemente differenziati, di due linee di trasporto ad alta tensione, a monte e a valle della gola - una colonna altissima di acqua mista a sassi, che assumeva, nel bagliore della bianca luce, un colore denso, lattiginoso, grigiastro; l'arco dell'onda, proiettantesi nella valle; un fragore assordante, un precipitare di massi, di pietre, di terra. Sullo scenario di morte sovrastava, intatta, la diga. Creazione umana, gloria della tecnica italiana: non vinta, ma superata dalla natura».

PER LA LIBERTÀ DAL PERICOLO.

L'OPERA DEL CORPO NAZIONALE VV.F. NELL'OCCASIONE DELLA SCIAGURA DEL VAJONTUna «gloria della tecnica» su cui si addensa l'ombra di tante vittime innocenti e grava il peso di tremende responsabilità a tutti i livelli, come un primo verdetto ufficiale ha già provato e come, con più precise indicazioni, non mancheranno di accertare l'inchiesta parlamentare e i giudizi aperti dinanzi alla magistratura. Non è questa la sede per anticipare sentenze e stigmatizzare le negligenze e le colpe che stanno alla origine della sciagura.
Ma al momento in cui ogni causa remota e prossima del disastro sarà stata messa a fuoco, e quelle responsabilità apertamente individuate, sarà molto utile anche per noi, osservatori interessati alla prevenzione e alla sicurezza dalla calamità, trarne lezione e ammonimento tanto sotto il profilo tecnico quanto, ancor più, sotto il profilo morale. E tuttavia fin d'ora la nostra voce si unisca agli appelli che chiedono giustizia per i vivi e per i morti. Il Vajont non rientra negli schemi della fatalità e della rassegnazione, non assomiglia per alcun verso ai cataclismi del passato - Pompei, Messina, Agadir - non è della famiglia dei cicloni terremoti eruzioni alluvioni, di quando cioè le arcane e incontrollabili forze naturali esplodono per proprio conto. Al Vajont la natura si è incattivita moltiplicando la sua violenza devastatrice anche perché l'uomo, fatto miope dal miraggio di un superba conquista tecnica e dalla avidità di alti profìtti, l'ha provocata e sfidata con insipiente temerarietà; e ne ha poi sottovalutato la potenza e il furore al palese annuncio del pericolo incombente, quando ancora era possibile scongiurare il massacro delle duemila e più vite umane travolte. Sia resa giustizia per la pace di quei morti, per l'angoscia dei superstiti, per il peso che grava su molte coscienze, per lo sgomento che la sciagura ha diffuso in tutto il mondo.
Una giustizia senza fiele che si risolva nell'obiettiva sanzione delle colpe, nella tutela dei diritti, nell'indennizzo dei danni, nella ricostruzione dei paesi distrutti, nella restituzione della speranza alle popolazioni colpite. Una giustizia che vada oltre il dramma contingente, in nome della libertà dalla paura, della libertà dal pericolo, come rispetto, garanzia, sicurezza della vita umana contro ogni insidia e minaccia che abbiano radice nell'imprevidenza, nell'incapacità, nell'incuria degli uomini.

BILANCIO DI UN'ONDATA.

Una tragedia in tre atti, di due minuti primi ciascuno: una montagna di roccia avariata che si spezza e cade; un mare d'acqua, scacciato dalla sua sede, che si scaglia sulle sponde e sulla valle; e nella valle, cinque chilometri di case e di gente schiacciati e spazzati via. Di quell'acqua che precipita da un'altezza di 300 metri i tecnici diranno che era una muraglia di acciaio della forza di centinaia di migliaia di treni in corsa, un bolide mostruoso sprigionante la stessa energia frantumatrice di una bomba termonucleare. Infatti l'alba del 10 ottobre si è alzata su di una seconda Hiroshima della quale erano polverizzati perfino i ruderi, su un panorama di sterminio e di sfacelo una spianata livida, livellata a zero, pavimentata di sassi e di fango. Longarone, con i suoi sobborghi lungo il fiume, era morta nel sonno, cancellata dalle fondamenta. Era nient'altro che una necropoli tra le macerie e la melma: solo e sempre morti fra i rottami, tra le umiliate armature di cemento armato, gli ammassi di legname accatastato, il groviglio degli arbusti sradicati, le rotaie divelte e contorte in spirale, le assi dei mobili in pezzi, le stoviglie, gli indumenti, i libri squinternati, i giocattoli, gli oggetti d'ogni sorta, e, come piattaforma, l'immensa pietraia, la distesa dei sassi e della poltiglia, le pozze d'acqua torbida, e ancora e sempre i grumi dei cadaveri imbrattati di fango, piccoli o grandi grumi secondo l'età delle vittime.

Ma è vano e ridicolo ogni sforzo di raccontare com'era la valle dopo il diluvio. Era la valle del nulla.
Un paesaggio tenuto a bagno in acido corrosivo e cancellato con la scolorina da tutti gli atlanti. Era il vuoto, sotto un cielo cinicamente terso e un sole sfrontato e assurdo come furono appunto il cielo e il sole del 10 ottobre, trionfanti sulla valle della morte.
Un bilancio? È come un inventario fatto tutto di zeri: Longarone sparita, sparite le frazioni di Malcolm, Rivalta, Pirago, Villanova, Faé. Seicento case fracassate e triturate in minutissimi frammenti da una sola zampata. Di Longarone capoluogo, soltanto 22 edifici in piedi all'estremo nord dell'abitato. Del grosso borgo di Pirago, posto a sottovento di una altura che sembrava fargli scudo, tre soli relitti superstiti: una casa sul colle, una chiesetta sventrata, un esile campanile rimasto a guardia del cimitero sconquassato ai suoi piedi.
Sulla destra del Piave cinque chilometri di rovine, un lenzuolo tessuto di sassi polvere e fango lungo cinquemila metri. Spazzati via in un amen 17 complessi industriali che davano lavoro a 600 persone, 56 aziende artigiane, opere, manufatti, telefono, ferrovia, acquedotto, attività, beni per diecine di miliardi.
Sulla sinistra del Piave, anche l'abitato di Codissago ha dovuto cedere ai gorghi una grossa frangia di case insieme alla gente immersa nel primo sonno, mentre più a sud, le frazioni di Dogna e Provagna e il paese di Sovérzene sono rimasti isolati per la completa distruzione delle strade e dei ponti sul fiume. In Val Cellina, a monte della diga, lungo i bordi del bacino artificiale, altro sfacelo: cinque nuclei di case travolti dalla frana o risucchiati dalle onde. Non ne leggeremo mai più il nome nelle carte geografiche: un requiem per Frassen, San Martino, Col di Spesse, Patata, il Cristo. E su in alto, arrampicati sui costoni, Erto e Casso, fortunatamente salvi, immuni da danni: invece no, sono stati segnati anche essi dal terrore, colpiti dalla morte civile, con lo sfollamento d'urgenza di 446 famiglie: un esodo disperato e senza ritorno.

2500 MORTI

Fosse tutto qui il disastro del Vaiont, fosse solo una storia di case e paesi abbandonati o schiantati o portati via. Ma c'è il resto, c'è il corollario spaventoso dei morti, la strage dei giusti. Centinaia di morti, ignudi, straziati, dilaniati, tumefatti, lividi, disseminati nel mare di fango o portati dalla corrente lungo il Piave ad accatastarsi contro le griglie, nelle anse, sugli argini, o navigare tra i flutti per decine di chilometri. I pochi redivivi non sanno ridire come si muore sotto un'ondata di quella sorte. Ricordano a stento: «Ho volato per 300 metri»; oppure: «Mi sono svegliato con la testa spaccata in mezzo al fango»; o ancora: «Non so, mi hanno trovato nudo, impigliato tra i rami, in cima ad un albero». Per la maggior parte delle vittime la diagnosi non sarà di annegamento ma di altre cause rivelate dalle ecchimosi, fratture, mutilazioni, chiazze, gonfiori: morti per lesioni da crollo, traumi da spostamento d'aria, polmoni scoppiati, asfissia.
PiragoQuanti morti? È un conto che non tornerà mai al centesimo. A parte la popolazione residente, chi può dire con esattezza qual'era, la sera del disastro, entro il perimetro maledetto, la gente provvisoria, gli operai di fuori, gli agenti ferroviari, i carabinieri, i forestieri in transito, i parenti in visita? Per la conta dei morti s'è dovuto fare l'appello dei vivi e procedere per sottrazione. Risultati: Longarone 1800 vittime, Castellavazzo 119, Erto 250, più quelle di provenienza extra locale, più quelle eventuali di cui non si ha traccia. Un totale - presunto - di 2500 morti. Sono tanti.
Ma fosse bastato il massacro. Invece la tragedia si è sommata alla tragedia: non tutte le salme sono state recuperate e fra quelle ritrovate ve ne sono centinaia senza nome, deformate, irriconoscibili. Così altre spine dolorose si conficcano nel cuore di chi resta, privato perfino di una tomba o una croce su cui piangere e pregare; e come solo ricordo l'immagine angosciata dei propri cari con i corpi che corrono trafelati fra i gorghi del Piave verso il mare, oppure, chissà, anch'essi sgretolati in briciole e cancellati nel nulla, come i ponti, le officine, gli alberghi, i negozi, le case, la chiesa.

PRIMO TEMPO.

La cronaca dei soccorsi ha come ora d'inizio le 22,45 del 9 ottobre, sei minuti soli dopo il cataclisma: appena il tempo di sentire il tremendo boato del Toc che crolla, l'urlo del vento che scuote le imposte e le case, appena il tempo di capire che il Vajont impazzisce, vedere dai vetri un'immensa nuvola bianca che si impenna altissima sulla verticale della diga e scavalca la gola puntando dritta su Longarone; poi il finimondo, lo schianto, il gorgogliare cupo della fiumana, e infine nuovamente il silenzio, rotto solo dal vento feroce che continua a soffiare sotto un cielo perfettamente stellato. La valle è ancora sommersa nella marea, l'aria è ancora tutta intrisa di acqua nebulizzata, e già alcuni uomini scendono da Pians e accorrono a Roggia per affacciarsi sbigottiti sulla soglia della città morta. Al presentimento del peggio muovono verso la propria gente o la propria casa in Longarone, sanno che il Vajont è scoppiato, che qualcosa di irreparabile è accaduto; ma adesso intravvedono soltanto la spianata, il vuoto, niente più case, niente più chiesa, niente più campanile; pensano a un miraggio, credono che il buio e la notte dia loro le traveggole. Ma da quel vuoto giungono gemiti, invocazioni, pianti, rantoli, e allora ecco che lo smarrimento lascia il posto alla disperata forza dell'uomo.
Di questa prima ora eroica, vissuta da un ristretto manipolo di soccorritori, nessuno ha mai fatto cenno nel pur straripante profluvio di parole e nel gran mare d'inchiostro versati per il Vajont. Eppure sono state quelle poche persone del luogo, gente col cuore in gola per la tragedia di cui era essa stessa vittima, a correre per prima in mezzo ai gorghi e al fango, a frugare all'oscuro le macerie e le acque, a estrarre ’ feriti di sotto le travi crollate, a strappare dalla morte le vite in pericolo, anteponendo queste azioni di altruismo ad ogni altro istintivo impulso per la ricerca dei propri familiari o parenti e della propria casa. All'ordine del giorno dei soccorsi, al primo posto assoluto - per coraggio, sacrificio, azioni compiute - è senz'altro questa pattuglia di longaronesi che si è prodigata da sola, al limite delle umane possibilità, sul teatro del disastro nella primissima ora dopo la catastrofe.

A capo di questi uomini figura il dottore Gianfrancesco Trevisan, medico condotto di Longarone, tempra nobilissima di sanitario e di uomo, cui si devono prodigi di soccorso e numerosi salvataggi personali. E con lui, pur essi meritevoli di un'ammirata segnalazione per come e quanto si sono dati da fare nel corso di quella notte, meritano di essere nominati Terenzio Arduini, Mario Laveder, Giorgio Pioggia, Osvaldo Gianmarco e Marcello Sacchet, Agostino, Luigi e Vincenzo Teza, Franco Tovanella, Francesco Casal, Guido de Bon, Gioacchino Bratti, Ado De Col, Ezio Zuliani, Attilio Maragna De Bastiani e pochi altri di cui ci manca il nome (manca certo il nome del fotografo bellunese Bepi Zanfron, nota di Tiziano Dal Farra).
Alcuni dei feriti tratti tempestivamente in salvo prima della mezzanotte del 9 ottobre devono la propria vita a questi animosi, che meriterebbero ora ciascuno un'alta distinzione al valor civile, se questo è il modo con cui l'autorità segnala e premia moralmente il senso di civismo e di solidarietà, lo sprezzo del pericolo e l'altruismo di chi si prodiga per il bene del prossimo in circostanze di emergenza.

IN SCENA IL PRIMO VV.F.

Fra quella gente che si è buttata allo sbaraglio dei primissimi soccorsi vi era anche un pompiere: Ado De Col, Vigile volontario del distaccamento di Longarone. O meglio, di quello che fu il Piccolo Posto VV.F. di Longarone, anch'esso andato all'aria quella sera con il resto del paese per l'ondata infernale. Era una bella bandiera di volontarismo questo minuscolo presidio del Corpo Nazionale, posto nella Valle del Piave, a cavallo di altre due valli, la Valle Zoldana e la Val Cellina. Aveva uno stato di servizio onorevole e godeva di un particolare prestigio in tutta la zona per due prerogative: di essere così pronto agli interventi da saper dominare e stroncare gli incendi di Longarone sul nascere, così che da anni non si registravano in loco sinistri di rilievo (anche l'incendio del Cinema Comunale, avvenuto due anni fa, era stato prontamente circoscritto e spento); l'altra benemerenza erano le sue tempestive prestazioni di rinforzo sugli incendi delle località vicine, come, tra i più recenti, quelli di San Vito di Cadore, di Pecol di Zoldo, di Zoppé e, ultimo della serie, nel settembre scorso, quello di Erto. Questo distaccamento VV.F. se l'è portato via l'ondata. Essa ha fracassato la piccola caserma, l'autorimessa, l'autopompa, la veloce Alfa di recente dotazione, le scale all'italiana, e ha disperso nella sassaia e nel fango gli elmetti, i cinturoni, le picozze, i tubi, le manichette, le lance.
E ha massacrato gli uomini: il Comandante Vigile scelto volontario Alberto Olivier, il vice comandante Roberto Teza (da appena venti giorni nominato vigile scelto), i Vigili volontari Antonio Bolzan e Antonio Teza. Due soli superstiti su sei: i Vigili volontari Raffaele Simonetti, da tempo invalido per una gamba spezzata, e Ado De Col, che quella sera si è fatto trovare sulla breccia dando prova di tale forza d'animo e di tale bravura da far pensare che attraverso di lui agisse l'intero distaccamento VV.F. distrutto.
La storia di questo pompiere volontario, nel quadro della tregenda di quella notte, è una storia patetica, degna di figurare tra le pagine de «Il Cuore». Questo giovane uomo di 36 anni - salda struttura fisica, viso aperto, sguardo franco e sicuro - abita con la moglie e un bambino a Pians, a nord di Longarone, poche diecine di metri più in là dal centro che è stato investito dalla fiumana.
Era stata una giornata come le altre. Aveva fatto il suo turno di fuochista alla Faesite. Al fratello, che gli subentrava in servizio per il turno di notte, aveva raccomandato di non andare al Vajont a pescare il giorno dopo, secondo il suo uso: «Non ti azzardare, dicono che il Toc oggi si è mosso di altri 75 centimetri, potrebbe capitarti il peggio». Quest'idea del Toc in cammino non lo lasciava tranquillo: aveva cenato, aveva acceso e spento la televisione, aveva spiegato il giornale sul tavolo, leggeva senza far mente locale, ascoltava i cani che abbaiavano inquieti, sentiva crescersi dentro il malumore, la tensione. Ed ecco il tremito, il boato.
Fa in tempo a vedere dalla finestra una grande massa bianca al di sopra della diga; ma subito fugge di casa con la moglie e il bambino, tutti e tre male in arnese, in corsa verso l'altura di Tormen, mentre dal basso sale il sordo muggito delle acque in rivolta. Ma non passano che tre-quattro minuti, il tempo di fare pochi metri, di rincuorare la moglie e il bambino a salire più in alto, poi Ado De Col, lascia il ruolo di padre di famiglia per tornare pompiere, e cioè uno che dimentica i fatti propri per correre in aiuto alla gente in pericolo. Egli è infatti, con i primi accorsi, alla fontana del bivio, là dove comincia l'apocalisse. Riesce a procurarsi (da una pattuglia della polizia stradale) una torcia a pila, presta aiuto sul posto al salvataggio di un bambino incastrato tra i pali (si chiamava Guido Marin e morirà otto giorni dopo per complicazioni). E subito dopo Ado De Col comincia la traversata li Longarone, primo e solo, una specie di odissea fra i ruderi e il fango, nel paese del niente. La molla che lo spinge ad annaspare nella melma, due passi avanti e uno indietro, a procedere ad ogni costo, è l'ansia per la sorte del padre, della madre, dei fratelli, dei cognati, dei nipoti, tutti abitanti a Pirago, all'estremo opposto di Longarone. Che sarà mai stato di loro?
Ma se questa è la voce del sangue, questo l'obiettivo il viaggio di Ado De Col - un viaggio di mille metri - è fatto di tante fermate e stazioni, ognuna delle quali segna un aiuto a persona in pericolo, la mano data a uno che geme, una trave spostata o le macerie rimosse colle mani per liberare un ferito, il ritorno sui propri passi per accompagnare una creatura malconcia a casa Lavedèr, il primo rifugio di emergenza per gli scampati. Le soste del viaggio sono state per l'esattezza 45, corrispondenti ad altrettante persone assistite, 35 delle quali sopravvissute.
Due ore e mezza per un chilometro di percorso che ha per méta la casa paterna di Pirago: un Pirago che non c'è più, una casa paterna che se n'è andata con Dio, portandosi via l'intera famiglia dei De Col: padre, madre, quattro fratelli, tre cognati, sei nipoti.
All'una di notte il pompiere longaronese Ado De Col, sfinito, affranto, può infine assidersi sulle rovine della casa in cui era nato. «C'era intorno - egli dice - un silenzio di tomba, e solo il maledetto vento continuava a soffiare, anch'esso senza far rumore».

LA LUNGA NOTTE DEI VV.F. DI BELLUNO - CADORE - AGORDO.

Ma intanto sui tre fronti di Longarone, al soccorso individuale subentrava il soccorso organizzato. Da nord erano giunti a tempo di primato i pompieri volontari del Cadore, sotto la guida di un animatore impareggiabile, Antonio Bergamo, e il lavoro da essi compiuto durante l'intera notte in salvataggi, trasporto di feriti, ricerca degli scampati, rimozione macerie, è stato superbo per tempestività ed efficacia. Altrettanto pronto è stato l'intervento dei Vigili agordini, scesi a Longarone per il Passo Duran e la Valle Zoldana; poco dopo l'una di notte essi erano già al lavoro sul fronte sconvolto di Pirago: pochi uomini ma moltiplicati per cento dall'abnegazione e dalla consapevolezza delle necessità. Da sud salivano intanto i VV.F. del Comando Provinciale di Belluno, capeggiati dal geom. Bolzan e dal M.llo D'Incà; essi avevano già provveduto a lanciare l'allarme e chiedere rinforzi all'Ispettorato della III Zona e ai Comandi di Treviso, Udine, Venezia, Gorizia, Trieste; avevano già fatto una prima ricognizione ai margini della zona devastata, fin là dove la campagnola aveva potuto avanzare; ed ora, passo passo, venivano avanti da Faé verso Villanova e Longarone raccogliendo feriti e superstiti, visitando le case diroccate, dirottando verso l'Ospedale di Belluno i bisognosi di cure; una marcia resa lenta ed esasperante dalla notte, dalle asperità, dal fango, dai mille ostacoli che bisognava rimuovere e superare ad ogni metro.

Fra le tre e le quattro di notte i Vigili clel fuoco bellunesi, agordini e cadorini potevano entrare in contatto e stabilire infine i collegamenti e gli accordi pcr la prosecuzione delle operazioni.

Come risulta dalle relazioni d'intervento, a questa ora il lavoro di prima istanza, è cioè il soccorso alle vite in pericolo. era stato portato avanti dai VV.F. della provincia; un lavoro che essi stessi proseguiranno e completeranno durante il resto della notte alla luce delle torce, con un bilancio finale di diecine di superstiti posti in salvo e degli 83 feriti raccolti fra i detriti e ricoverati negli ospedali di Belluno (41 ) Pieve (32) e Auronzo (10).

Il migliore elogio che si possa fare a questi meravigliosi Vigili del fuoco del Cadore, di Belluno e di Agordo, in massima parte volontari, sta nel fatto che al sopraggiungere dei soccorritori extra-provinciali il salvabile era già stato tutto salvato, non c'era più un solo segno di vita in mezzo alla distesa delle macerie o sui bordi del fiume o fra le barricate di legname a ridosso dei piloni. Tutto quel poco che c'era di vivo era già stato da essi rastrellato metro per metro e rudere per rudere. Sul teatro del cataclisma restavano soltanto le pietraie e i morti.

I SOCCORSI IN MASSA

Da mezzanotte in avanti la notizia del Vajont era entrata nel circuito dei telefoni, delle radio-onde, delle telescriventi, rimbalzava nell'aria dall'una all'altra parte d'Italia, si propagava nel mondo, ancora incerta e imprecisa, ancora minimizzata nelle proporzioni e tuttavia sufficiente a suscitare vasta emozione e vivo allarme. A poco a poco il disastro sarà visto e capito in tutta la sua tremenda configurazione, e allora scatterà la macchina dei soccorsi alle zone colpite, una macchina spettacolare, grandiosa, toccante nel suo impeto di pietà e di solidarietà. In primo luogo l'Esercito. Cinquemila soldati, al comando di un capo che ha rivelato un'anima di missionario, il Gen. di C. d'A. Carlo Ciglieri, hanno combattuto sui ghiaioni di Longarone la loro memorabile «battaglia della bontà».
Prima dell'alba del 10 ottobre mentre già sul posto era accorso qualche reparto isolato della Guardia di Finanza, giungeva per prima (ore 3,30) la Brigata Alpina «Cadore», seguita man mano da molte altre unità del IV e V Corpo di Armata e anche di altre provenienze, in rappresentanza delle formazioni che qui vogliamo singolarmente nominare a loro onore e a più precisa documentazione della nostra cronaca:

I Brigata Meccanizzata, III Brigata Corazzata, Legione Carabinieri di Bolzano, 59° Regg. Fanteria «Calabria», 76° Regg. Fanteria «Napoli», 114° Regg. Fanteria «Mantova», 182° Regg. Corazzato «Garibaldi», 183° Regg. Fanteria «Nembo», 8° Regg. Bersaglieri, 5° Regg. Alpini, 6° Regg. Alpini, 7° Regg. Alpini, Regg. Savoia Cavalleria, Regg. Genova Cavalleria, Regg. Lancieri di Novara, 33° Reggimento Artiglieria, 132" Regg. Artiglieria Corazzata, 41° Regg. Artiglieria Pesante Campale, 1° Regg. Genio, 2° Regg. Genio, 5° Regg. Genio Pionieri, 3° Regg. Pionieri d'Arresto, 82° Regg. Fanteria «Torino», Legione Guardia di Finanza di Trento, 101° Btg. Carri Gruppo Squadroni Cavalleggeri Guide, Btg. Genio Pionieri «Folgore» e «Ariete», IV Btg. Trasmissioni, V Btg. Autogruppo, IV Reparto Elicotteri, IV e V Sezione Disinfezione, compagnie Genio Pionieri, Trasmissioni e Unità Servizi delle Divisioni «Mantova», Folgore», «Ariete» e delle Brigate «Cadore», «Tridentina», «Orobica».
È la grande, pacifica mobilitazione dei soldati senza fucili né cannoni, armati di zappe e pale, di coperte e medicinali, di barelle e riflettori. La mattina del 10 ottobre la piana di Longarone battuta dal sole era ormai tutta punteggiata di alpini, artiglieri, fanti, genieri, bersaglieri che rimuovevano macerie, riaprivano la viabilità, stendevano collegamenti, scavavano nel fango, trasportavano gli emigranti in arrivo, distribuivano viveri e generi di conforto, mentre i loro escavatori meccanici erano al lavoro nei vari settori, gli autocarri e i cingolati si muovevano in continuo tramestio, gli elicotteri compivano la spola dalla diga alla valle, dal fiume ai comandi, per lo sfollamento degli abitati in pericolo, per il soccorso alle popolazioni rimaste isolate, per la localizzazione dall'alto delle salme, che alla fine risulteranno ritrovate, a cura dell'Esercito, in numero di alcune centinaia.

Resterà scritto per sempre che l'opera dei nostri soldati - solerte, paziente, fraterna - ha fatto da antidoto e contrappeso al dramma spaventoso del Vajont, togliendo gli scampati dall'incubo della paura e della solitudine, recando loro ogni possibile sollievo morale e materiale, sostenendoli ad uno ad uno nelle prime disperate giornate dopo la sciasgura, aiutandoli nel graduale inserimento nella normalità e in un coraggioso ritorno verso la vita e l'avvenire.

All'esercito si sono affiancati, in una gara di provvidenze ispirate ad umana pietà, numerosi enti ed istituzioni: la Sanità con i suoi specialisti e attrezzature di disinfezione, la Polizia, la Croce Rossa Italiana la Pontificia Opera di Assistenza; le forze americane della Setaf hanno posto a disposizione i propri mezzi aerei; la Nato ha inviato sul posto un servizio «piani civili di emergenza»; accorrono sul posto gli scouts, i medici, i sacerdoti, le autorità civili, politiche, religiose. Come ad un pellegrinaggio di dolore sono accorsi il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, i Ministri. Anche i giornalisti, i fotografi, i cineasti, abituati a tutti gli orrori, qui avevano l'aspetto esterrefatto, smarrito.

Si sono organizzati i centri di raccolta, i posti di assistenza, i trasporti, i vettovagliamenti, la distribuzione di indumenti legna medicinali, l'accoglienza a chi torna da fuori ai luoghi di origine Sono giunte le autocolonne dei soccorsi con tende, letti, viveri, cucine da campo. Uno slancio e un'abbondanza quasi sproporzionati alla situazione, qui dove occorrevano assai più bare per i morti che cibo e medicine per i pochi superstiti.

Anche questo è stato il Vajont: un plebiscito di generosità e di solidarietà, uno spettacolo di bontà e di gentilezza, il miracolo dell'amore fiorito sulla sofferenza. Anche questo è stato il Vaiont: aiuti da tutte le nazioni; gesti di carità e di pietà, come quelli compiuti da gente venuta da lontano per lavare i cadaveri, pettinarli, vestirli; sottoscrizioni e oblazioni di considerevole entità, cui hanno concorso con uguale cuore ricchi e poveri, enti, collettività e privati, studenti operai, detenuti, gente anonima di ogni classe, in uno spirito mirabile di emulazione e di altruismo.

Tanto calore umano ha ridato fiducia a chi aveva perduto i familiari, gli affetti, i beni, li ha consolati, li ha instradati sulla via della rassegnazione e della speranza. A Natale chi ha partecipato ai soccorsi per la sciagura del Vajont o è vissuto accanto ai superstiti nei giorni della sventura, ha ricevuto da Longarone un biglietto che dice: «Siate benedetti voi che ci soccorreste nella tribolazione e ci infondeste coraggio quando ci stringeva il terrore e cercaste e seppelliste i nostri morti e foste i nostri tratelli quando tutto era crollato intorno a noi».

L'OPERA DEL CORPO NAZIONALE VV.F.

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Queste parole valgono più di un nastrino al valore anche per i 600 e più uomini del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco che hanno preso parte alla «campagna» del Vajont. Ai pompieri non si dovrebbe mai dire bravi o grazie. È la loro professione di vivere in mezzo alle disgrazie, di correre dove succede un disastro, dove la gente soffre e il pericolo incombe. È un semplice loro dovere il darsi da fare, portare in salvo le persone, rimuovere le macerie, soccorrere, proteggere.

Ma ciò che i pompieri hanno fatto questa volta è assolutamente nuovo nella storia delle loro imprese, tra le quali pur figurano calamità pubbliche di grosse e grossissime proporzioni, i bombardamenti di quattro anni di guerra, le alluvioni del Polesine e dell'Olanda, i terremoti, gli incendi. Fra tutte queste prove del passato l'esperienza di Longarone è stata senza possibilità di confronto la più dura.
E non per la fatica di scavare giorno e notte fra le macerie, o di stare ore ed ore a mezza gamba nel fango e nell'acqua; o di manovrare le pale meccaniche, i mezzi cingolati, le ruspe, le gru, i bulldozers; o di bruciare con i lanciafiamme le carogne delle bestie al fine di scongiurare il pericolo della putrefazione e delle epidemie; o di andare per giorni e giorni lungo il fiume alla disperata ricerca dei barili verdi contenenti cianuro di potassio in quantità bastante ad avvelenare per mesi tutta l'acqua del Piave; o di compiere il lavoro massacrante e le manovre acrobatiche necessarie a liberare i ponti, il fiume, i torrenti dalle ostruenti barriere di travi e legname, o di affannarsi, infine, nelle migliaia di interventi di soccorso e di assistenza prestati in oltre 260 mila ore/uomo lavorative.
Non è questo che ha reso improba la fatica di Longarone, poiché tutto questo non è che ordinaria amministrazione e lavoro corrente per i Vigili del Fuoco.

La novità questa volta erano tutti quei morti. Settanta giorni di cadaveri. La novità questa volta era il navigare nel lago e nel fiume alla pesca delle salme; erano i morti in catasta, i morti all'ingrosso nelle anse di Cadola e di Sovérzene; o i morti al minuto cercati e trovati lungo un tragitto di cinquanta chilometri dai luoghi della sciagura, nascosti tra i cespugli o scavati con le mani sanguinanti da sotto le pietre o tenuti a bagno dalle travi sovrastanti.
La novità era questa lenta sfibrante ricerca, era lo scandagliare e dragare il fiume, la caccia ai morti nascosti annusandone nell'aria l'odore dolciastro e seguendo questa pista. Ogni salma trovata una vittoria, come un trofeo, come un gol segnato. La novità era quella Via crucis, erano le braccia e le teste staccate dal tronco, le carni infangate e decomposte, i camioncini carichi, le aspersioni di insetticidi e disinfettanti a guisa di acqua santa, le bare in fila, le grandi fosse sul pianoro di Fortogna, la processione dei familiari, le scene strazianti della ricognizione, i qui pro quo dei riconoscimenti, le inumazioni, le riesumazioni.

Ecco che cosa è stato il Vajont per i Vigili del Fuoco: un massacrante, ingrato, disgustoso lavoro di becchini. Ma un disgusto vinto e superato dalla pietà, un lavoro compiuto in mestizia, mormorando le preghiere dei morti: un rito ripetuto 1.243 volte, tante quante sono state le salme ritrovate dai Vigili del Fuoco e alle quali essi hanno dato sepoltura e pace.
A questo paragone tutto l'altro lavoro è stato niente, anche se ha destato l'ammirazione delle popolazioni sinistrate, delle autorità, degli osservatori. Si veda, ad esempio, il non convenzionale, caloroso elogio del Ministro dell'Interno, la cui lettera è riprodotta in queste pagine. O si leggano le seguenti espressioni di compiacimento rivolte, in austero stile militare, dal Gen. Carlo Ciglieri all'Ing. Gabotto, Comandante delle operazioni del Corpo Nazionale:

«Dopo il rientro del personale del Corpo dei Vigili del Fuoco impegnato nella zona del Vajont, mi è doveroso esprirmerLe il mio più vivo compiacimento per la costante, fattiva e altamente redditizia collaborazione da Lei offertami nella dolorosa circostanza. La prego di estendere a tutti i Suoi collaboratori, Ufficiali del Corpo di ogni grado e Ufficiali dei Vigili Volontari, della Colonna Mobile e dei vari Comandi Provinciali, che ai Suoi ordini hanno contribuito così brillantemente all'opera di soccorso, il mio vivo plauso ed il mio sentito ringraziamento».
A parte gli autorevoli riconoscimenti ufficiali, l'attribuzione di plausi e di distinzioni (come i «premi della solidarietà alpina» attribuiti ai VV.F. di Belluno e di Pieve di Cadore), innumerevoli sono state, anche da parte di persone umili e oscure, le testimonianze di schietta ammirazione per quanto hanno saputo fare i Vigili del fuoco al Vajont sul piano dell'abnegazione, dello spirito di sacrificio, dell'im'egno più generoso e instancabile. La radio, la televisione, la stampa si sono fatte portavoce di questi unanimi sentimenti di plauso e di riconoscenza.
Si legga, ad esempio, questo brano di articolo (da «il Giorno»):
«A un certo momento si è avuta la sensazione che avessero ceduto molte maglie della rete organizzativa e tutto si muovesse su un piano di sbigottito stordimento. In quell'atmosfera di tensione e di enorme confusione, due piloni hanno resistito all'urto dell'orribile disastro e alla piena del nervosismo: l'Esercito e i Vigili del Fuoco. I giovani, umili, infaticabili soldati di tutte le guerre e i modesti, silenziosi, abilissimi Vigili del fuoco, soldati anche loro che sul bavero dei blusotti di fustagno color tabacco portano due accette di ottone incrociate invece delle stellette».
E più oltre, nello stesso articolo a firma dell'ex partigiano Guido Nozzoli:
«Da quel momento, questi soldati senza fucili non hanno abbandonato il fronte neppure per un istante. A vederli a ogni ora del giorno e della notte, lungo le strade devastate, sulle due sponde del Piave, sugli spalti della diga, sulle pendici del monte maledetto attorno agli ospedali, fra brandelli di muri cadenti, sulla sommità di quelle smisurate cataste di legna che potrebbero rovinare da un momento all'altro, sprofondati fino alla cintola nel fiume, si direbbe che fossero migliaia e migliaia. Invece, sono sempre gli stessi che si moltiplicano impegnandosi sino allo spasimo, accorrendo ovunque, capaci di operare autonomamente anche a piccole squadre isolate, anche senza attendere altri ordini oltre a quelli di un modestissimo brigadiere, con un senso di iniziativa in ogni circostanza che è, a dir poco, sorprendente.
Senza alterigia, senza pose eroiche, senza burocrazia, questo pugno di uomini, comandati da 25 ufficiali che sono tutti ingegneri, hanno fatto letteralmente miracoli, lavorando sino al limite estremo dell'energia, in condizioni materiali e psicologiche disastrose. Vigili del Fuoco? È una definizione impropria e molto limitativa. Vigili di tutto, diciamo piuttosto
».

IL VAJONT INSEGNA

La morale che discende dal Vaiont è stracarica di ammonimenti, e ce n'è per tutti.

Anche sul piano dei soccorsi il Vajont insegna. Viene ad esempio da chiedersi se le cose avrebbero avuto lo stesso andamento con un impianto in Italia di difesa civile in atto, di quei servizi cioè di protezione civile la cui istituzione nel nostro paese viene palleggiata da tredici anni fra potere esecutivo e potere legislativo senza giungere a nulla di fatto.

Ci sarebbero stati tutti quei morti? Si sarebbe potuto dare in tempo utile l'allarme alle popolazioni in pericolo? Vi sarebbe stato l'intervento preventivo e lo sgombero di autorità delle zone minacciate? Si, a giudicare dalle autorevoli deduzioni delle Commissioni d'inchiesta. Sì, se gli organi, gli enti, i funzionari, i tecnici non fossero stati paralizzati dalla pavidità, dall'indifferenza, dal fatalismo, dall'incapacità. Sì, aggiungiamo noi, se della questione avesse potuto essere investito tempestivamente un efficiente sistema tecnico-organizzativo di sicurezza e di intervento.

Da noi si continua a pensare che la protezione civile sia tutt'uno con le bombe atomiche, una faccenda opinabile, remota, improbabile, che si può benissimo accantonare o rinviare alle calende greche. Invece è lo scudo elementare che ogni collettività moderna deve darsi a difesa dalle grandi calamità naturali o derivate dalle insidie insite nel progresso, la cui minaccia è incombente, una possibilità di ogni giorno, di ogni ora, con le premesse e le conseguenze di cui si è avuta una tragica dimostrazione a Longarone e dintorni. Fu proprio l'attuale Ministro dei Lavori Pubblici a lamentare, parlando di questo disastro, la grave carenza di tecnici modernamente preparati al servizio dello Stato, a mettere sul conto di questa lacuna anche le situazioni del tipo Vajont. E che cos'altro è la protezione civile se non una strada per colmare quel vuoto nel campo della prevenzione dalle calamità, della sicurezza, dei soccorsi, secondo l'esempio già praticato nelle nazioni più avvedute e progredite?

Anche al Corpo Nazionale la severa prova del Vajont ha dato preziosi insegnamenti. È stata collaudata nella sua struttura e nel suo impiego la I Colonna Mobile di soccorso, la cui validità incoraggia ora la creazione di formazioni analoghe. È stato confermato il prezioso ruolo degli elicotteri nelle operazioni d'intervento e verificata la opportunità di migliorarne l'impiego con particolari modalità. E mentre si sono felicemente sperimentate nuove tecniche d'intervento e nuove attrezzature, si è anche intravista la soluzione idonea a qualche problema di equipaggiamento, di collegamento radio-telefonico, di documentazione foto-cinematografica, di apparecchiature e mezzi speciali, e forse dell'utilità che al seguito dei reparti impiegati in grandi sinistri possano figurare un medico, un cappellano, un addetto stampa.

Infine, un fatto che a nessuno è passato inosservato e che reca anch'esso un prezioso insegnamento, è la prova superba data anche in questa occasione dai Vigili del fuoco volontari appartenenti ai distaccamenti e ai piccoli posti limitrofi alla zona disastrata. È chiaro che senza il loro intervento immediato e fattivo a Longarone ci sarebbe stato un largo vuoto fra l'ora del sinistro e l'arrivo dei soccorsi organizzati. Un vuoto che invece è stato colmato in piena regola dai pompieri volontari, nello spirito e nella lettera della loro gloriosa tradizione, che specie tra quei monti continua ad essere rispettata e onorata. E questo sia detto e ricordato sopratutto in vista di quelle migliaia di Vigili ausiliari di leva che si trovano in congedo nei paesi grandi e piccoli di tutta Italia, abbandonati al loro destino. Se essi fossero opportunamente inquadrati sotto la bandiera del volontarismo, potrebbero costituire per ogni evenienza la grande riserva sempre pronta dei soccorritori professionalmente addestrati.

Proprio da Longarone arriva l'esempio: distrutto quel Piccolo Posto, morti quattro di quei Vigili su sei, invalido il quinto, ecco già arrivate sul tavolo del Comandante Provinciale di Belluno cinque domande di longaronesi, che chiedono di ricostituire, quali VV.F. volontari, il piccolo presidio locale sotto la guida del Volontario Ado De Col, che la notte del Vaiont si è laureato - se non ancora per decreto ministeriale, certamente per voce di popolo - vigile scelto.

ADDIO LONGARONE.

Postilla per fatto personale.

Per chi scrive Longarone Anno ZeroLongarone era un paese importante. Era il paese della casa paterna, là in fondo, dopo le scuole, a pochi metri dal semaforo, Via Roma, 20 B. Si saliva una scala di pietra, si bussava al portone. Ad aprire veniva un tempo mia madre, alta e bianca nel viso, vestita di nero, sempre in trepida attesa del nostro ritorno. Dopo che la portammo al cimitero di Pirago, sulla soglia compariva mio padre. Adesso da qualche giorno, non si affaccia più nessuno. Quella porta era il nostro approdo. Da trenta anni Longarone era parte in causa della nostra vita, gioie e dolori, feste e funerali.

Era un bel paese, vivo, prospero, moderno. Fatto e abitato da gente salda, brava, pulita. Erano occorsi per costruirlo e crescerlo venti e più secoli, cento generazioni in fila, una dopo l'altra, in un'altalena di sole e di pioggia, di amori e di dolori, di riso e di pianto. A primavera si concimava la poca terra disputata alla montagna, con la fatica e il sudore. Ii monte, a ridosso delle case, era tenuto a bada da ciclopici apprestamenti di sostegno, i murazzi, un'opera da giganti. S'era fatta cittadina fresca e ospitale, era la ridente porta d'ingresso alle Dolomiti. Qui come altrove, si nasceva, si moriva, si tornava a nascere, si portavano avanti dal tempo dei tempi, di padre in figlio, i beni preziosi del sangue, della vita del lavoro, della fede, dell'onestà, delle tradizioni.

Un paese per bene, un paese innocente. È stato ucciso nel sonno all'ora dei delitti, in piena notte. Se ne è andato per sempre. E per me se n'è andato un pezzo d'anima. Addio vecchia Longarone, povera terra nostra, paese santo.

Andrea Pais



Relazione Generale

dott. ing. STEFANO GABOTTO
Ispettore Generale della III Zona Antincendi
Comandante dei Settori Operativi di emergenza Vajont

Le operazioni di intervento del Corpo Nazionale VV. F. nella zona del Vajont

L'opera compiuta dal Corpo Nazionale Vigili del Fuoco nelle zone colpite dalla furia distruttrice degli elementi scatenatisi nella notte del 9 ottobre 1963 per l'enorme frana precipitata dal monte Toc e per la conseguente violenta tracimazione clelle acque del Vajont, si riassume in queste cifre:

- impiego di una forza che nei giorni di punta ha raggiunto le 850 unità tra Vigili, sottufficiali e ufficiali (questi ultimi in numero di 33);
- partecipazione alle operazioni del personale afDuito da 42 Comandi Provinciali, oltre che dal Centro Studi ed Esperienze e dall'Ispettorato Regionale di Trento;
- intervento della 1a Colonna Mobile di Soccorso nella completa struttura clei suoi reparti e dei suoi mezzi;
- utilizzo di 271 mezzi motorizzati, ivi compresi 3 elicotteri, 32 barche, 3 autogru, 6 pale meccaniche, 7 seghe a motore;
- 26.000 chilometri di percorrenza totalizzati dai mezzi di terra e di fiume;
- 214 ore di volo totalizzate dagli elicotteri - 72 giorni d'impiego nelle zone sinistrate, dalle ore 23.30 del 9 ottobre al 23 dicembre 1963;
- 260.000 ore/uomo lavorative;
- innumerevoli interventi di soccorso ed assistenze, prestazioni di sgombero, riattivazione opere e impianti, tempestiva rimozione di pericoli incombenti, quale, ad esempio, il recupero della quasi totalità di cianuro di potassio e sodio dispersa nelle acque e nell'alveo del Piave, sollevando clal rischio le popolazioni rivierasche poste in allarme lungo l'intero corso del fiume fino alla foce;

- e infine, più di ogni altro dato importante e significativo, il numero delle vite umane poste in salvo e l'alta cifra dei morti pietosamente rintracciati: all'opera diretta del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco si deve infatti ascrivere il salvataggio di 73 persone e il recupero di 1243 salme.

Allarme e primi soccorsi

Il comando e il coordinamento delle operazioni d'intervento del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco è stato da me assunto, quale Ispettore Generale della III Zona, competente per territorio, nelle primissime ore del 10 ottobre e mantenuto fino al compimento della missione, 23 dicembre 1963.

L'azione dei Vigili del Fuoco, affluiti nella zona colpita dalle sedi viciniori, ha anticipato ogni altro intervento e si è quindi svolta in forma autonoma nelle ore immediatamente successive al sinistro. Detta azione si è in seguito inserita nel più ampio quadro degli interventi e soccorsi, la cui principale struttura risultò costituita dalle unità del IV Corpo di Armata, al comando del Gen. Carlo Ciglieri, agli ordini del quale mi sono quindi posto per l'adempimento dei compiti attribuiti alle formazioni del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco.
Nella relazione generale che qui viene data delle operazioni di intervento, l'ordine logico di esposizione appare quello cronologico, con punto di partenza dall'allarme e dai primi soccorsi per giungere alle progressive fasi dell'attività svolta nei vari settori e nel suo insieme. Tale relazione sarà, nelle sue linee, schematica e sommaria, trovando essa il suo completamento e la sua analisi nei rapporti particolari elaborati, settore per settore, dai rispettivi Comandanti, e dei quali si ritiene opportuna la pubblicazione quali parti integrative della presente relazione generale.

SETTORE SUD

Dato l'improvviso irrompere del disastro nessuno dei colpiti ha avuto la possibilità di far giungere ai centri vicini l'eco del suo disperato appello e solo con notevole ritardo si è potuto avere sentore di quanto si era oramai verificato e disastrosamente concluso. Risulta dai due rapporti dei Comandanti le unità di soccorso dei Vigili del Fuoco, giunti per primi e quasi contemporaneamente dal Nord e dal Sud, che le prime notizie del disastro si ebbero verso le ore 22,55. A tale ora il Sig. Carlo Vicentini, residente a Ponte nelle Alpi, telefonava al Comando dei Vigili del Fuoco di Belluno dichiarando di sentire cupi boati, di vedere saltare le linee elettriche e di osservare il Piave che ingrossava a vista d'occhio, il tutto come se si verificasse un terremoto.

Fu questo il segnale d'allarme per cui, presumendo la rottura di una diga a monte, il Vice Comandante di Belluno, Geom. Paolo Bolzan, presente in sede in sostituzione del Comandante in licenza, partì immediatamente in ricognizione sui luoghi, disponendo le operazioni di richiamo di tutto il personale libero e facendo dare l'allarme alle Autorità locali. Il rapporto circostanziato del vice Comandante di Belluno, allegato alla presente relazione, elenca molto chiaramente le fasi organizzative susseguenti per il coordinamento del richiamo e dell'invio sul posto dei 200 volontari discontinui di Feltre, Pedavena, Agordo e Forno di Canale, i quali con i 60 Vigili di Belluno operarono nella nottata a Sud di Longarone effettuando 19 salvataggi di persone ed il ricupero di circa 200 salme.

SETTORE NORD

L'allarme al più vicino distaccamento a Nord di Longarone, ossia a Pieve di Cadore, pervenne alle ore 23.15 allorquando un privato, su automezzo targato Savona avvisò il gestore dell'albergo Cadore, sig. De Polo, della sciagura e questi avvertì telefonicamente il Capo Distaccamento dei Vigili del Fuoco, Cav. Antonio Bergamo, il quale immediatamente si portò sul luogo, avendo lasciato disposizioni di richiamare di urgenza i volontari dell'Ampezzano e di tutti i Comuni del Cadore e di avvertire il Comando del Presidio Militare. Già alle 23.40 l'autoambulanza del Distaccamento VV.F. di Pieve faceva pieno carico di feriti a Longarone, che si provvedeva a trasportare alla Casa di Cura di Pieve. Alle 24 cominciarono ad affluire i distaccamenti di Auronzo, Santo Stefano, Cortina, Lozzo, San Vito e Valle, mentre il Battaglione Alpini di Pieve di Cadore, al Comando del Maggiore Bossetti, potè giungere alle soglie di Longarone verso le ore 3.45 del 10 ottobre.

I Vigili provenienti dal Nord, agli ordini del Capo distaccamento Cav. Bergamo, operarono in quella notte il salvataggio ed il trasporto di 54 feriti agli Ospedali di Pieve e di Auronzo, il trasporto di 27 sfollati ed il recupero di 46 salme.

Verso le ore 4 del mattino si verificò a Longarone il congiungimento dei due settori di soccorso e dopo le 5, quando già avevo potuto raggiungere da sud la zona sinistrata, potevo io stesso registrare il progressivo affluire dei reparti del Veneto mobilitati durante la notte per ordine della superiore Direzione Generale.

ISPETTORATO III ZONA

La prima segnalazione telefonica mi aveva raggiunto a Mestre, al recapito dell'Ispettorato Generale della III Zona, alle ore 1.45. La comunicazione proveniva dal Comando Provinciale di Treviso: venivo informato che, per un sinistro imprecisato, quel Comando era stato invitato ad inviare una squadra di partenza a Longarone. Pochi minuti dopo, alle ore 1.50, il Distaccamento di Mestre mi rendeva noto che la Questura di Belluno aveva consigliato di inviare dei mezzi a San Donà di Piave, onde avvertire le popolazioni di non allarmarsi per una ondata di piena che sarebbe sopravvenuta a seguito della rottura di una diga a monte.

Non risultando pervenute altre segnalazioni di allarme dalla vallata del Piave e onde poter raccogliere informazioni esatte, mi portavo immediatamente al distaccamento di Mestre al fine di stabilire gli indispensabili collegamenti telefonici, mettendomi contemporaneamente in collegamento radio con le «partenze» inviate a San Donà di Piave.
Le prime notizie sulla natura e la portata del disastro, provenivano dal Ministero a mezzo del Segretario particolare del Direttore Generale il quale, nell'informarmi delle allarmanti segnalazioni giunte a Roma sul probabile crollo della diga del Vajont, mi trasmetteva l'incarico di mobilitare tutte le forze e tutti i Corpi del Veneto e di assumere immediatamente la direzione delle operazioni. Mi raggiungeva in segulto una telefonata del Capo distaccamento di Pieve di Cadore il quale, per essere stato sul posto, era in grado di darmi notizie circostanziate e più esatte sulla gravità del disastro. Dopo aver impartito le disposizioni del caso partivo immediatamente per Longarone con il Comandante del Corpo di Venezia Ispettore Capo, Ing. Catalano Claudio, e giunto sul posto poco dopo le 5 del mattino, assumevo la direzione delle operazioni, coadiuvato dal predetto Comandante.

SETTORE EST

Il Comando Provinciale di Udine fu messo in allarme dal Capo di Gabinetto clella Prefettura di Belluno verso le ore 1.30 circa del 10 ottobre.
L'allarme, sommario e generico dato che non chiarita l'entità e l'esatta natura del sinistro, indusse il Comandante Provinciale di Udine ing. Chiuzzelin a far partire immediatamente una autolettiga del distaccamento di Pordenone e ad approntare una seconda squadra. Le due squadre partirono a distanza di poco tempo l'una dall'altra e raggiunsero il settore Nord di Longarone, poco dopo le 5, via passo della Mauria, essendo la strada di Alemagna interrotta.

Lo stesso Comandante di Udine, avuta notizia più esatta del disastro, partì anch'egli alla volta della zona disastrata ove giunse alle ore 11 del giorno 10 ottobre. Da qui si diresse verso la zona di Erto-Casso rimasta isolata. In un primo momento, data l'impossibilità di raggiungere dette zone a causa dell'interruzione stradale, le opere di soccorso furono limitate alla ricerca delle salme e dei feriti ed allo sgombero della strada, onde consentire il passaggio degli automezzi dirottandoli nel Comune di Erto-Casso. Usando una barca a motore vennero raggiunte anche le località oltre il lago.
Col passare delle ore e mercé l'arrivo di altre squadre di Vigili del Fuoco provenienti dal Comando di Gorizia ed in seguito dalla Colonna Mobile, le operazioni di soccorso si svolsero in modo continuo e senza eccessive difficoltà.

Coordinamento e direzione delle operazioni

Alle ore 5 del mattino del 10 ottobre lo scrivente, giunto in località Villanova in piena zona devastata e lasciato l'automezzo, iniziava a piedi la lunga ricognizione sul centro del disastro, accompagnato dall'Ing. Catalano, incontrando per primo il Generale Cavanna, Comandante la Divisione Cadore che sopraggiungeva, anch'egli a piedi, alla testa dei suoi reparti.
A Longarone, in prossimità della sede municipale rimasta illesa con pochissimi altri fabbricati, rintracciato il Capo Distaccamento di Pieve di Cadore, potevo ricevere tutti i ragguagli, risultati poi esattissimi, relativi alla topografia dei luoghi ed ai danni riportati, cosicché ero posto in grado di inviare poco dopo alla Direzione Cenerale Servizi Antincendi un circostanziato marconigramma informativo, trasmesso attraverso la Prefettura di Belluno. Reso edotto oramai delle circostanze e degli avvenimenti, provvistomi di un apparecchio radio portatile, fornito dal Comando di Venezia, e utilizzando la stazione costituita con la «mobile» installata dai Vigili del Fuoco di Belluno in nottata sul vicino monte Visentin, lo scrivente poté in breve convocare in località Villanova in un ampio spiazzo destinato a primo campo base di emergenza gli ufficiali convenuti alla testa dei reparti affluiti dal Veneto.

CENTRI OPERATIVI E CONCENTRAMENTO DEI REPARTI

Furono così costituiti tre centri operativi:

A) uno a Nord, ove confluivano tutte le squadre provenienti dal settentrione e quindi impossibilitate a raggiungere le altre unità operanti, situato a Castellavazzo agli ordini del Comandante di Trieste, Ispettore Superiore Ing. Virgilio Casablanca;

B) uno a Sud, presso Villanova, agli ordini del Comandante di Vicenza, Ispettore Superiore Ing. Federico Fondelli;

C) uno ad Est, sopra la diga in località Erto e Casso, con i reparti di Gorizia ed Udine affluiti via Cimolais agli ordini del Comandante di Udine, Ispettore Superiore Ing. Adriatico Chiuzzelin.

L'Ispettore Superiore Ing. Ambrogio Cappuccini, Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco di Padova, ebbe l'incarico di coordinare i servizi logistici, per le telecomunicazioni ed informazioni servendosi della collaborazione dei seguenti ingegneri:
- 1° Ispettore Ing. Giuseppe Barone del Corpo di Venezia, per servizi logistici e di sussistenza;
- 1° Ispettore Ing. Luigi Cogo, Comandante di Treviso, per i servizi di maggiorità e relativi al personale;
- 1° Ispettore Ing. Ernesto Lazzarotto, del Corpo di Padova per i servizi di collegamento radio e trasmissioni.
Più tardi, con l'arrivo di tre elicotteri inviati per disposizione del Ministero fu possibile assegnare un elicottero pilotato dal 1° Ispettore Ing. Antero Buzzelli al Settore Nord e due elicotteri al Settore Sud del cui impiego fu reso responsabile il 1° Coadiutore pilota Rag. Franco Coppi.

La mattina del 10 ottobre, suddivisi nei tre settori operativi costituiti come sopra, erano già in opera 500 uomini con 15 Ufficiali provenienti dalla mobilitazione dei Comandi locali e dei Comandi Provinciali del Veneto. Presso la località di Ponte nelle Alpi venne istituito per 24 ore il centro di ricognizione e smistamento delle unità fatte affluire per ordine del Direttore Generale dei Servizi Antincendi, unità che cominciarono ad arrivare anch'esse nelle prime ore del mattino del 10. Tali forze erano costituite: dalla Colonna proveniente dall'Ispettorato della Lombardia (110 unità) e più tardi, dai reparti della Colonna Mobile provenienti da Roma (114 unità).

Tutte le squadre, con relativi mezzi e materiali sono giunte in perfetto assetto e nei tempi prestabiliti, cosicché furono subito avviate per l'impiego senza indugi né contrattempi. Nella giornata del 10 ottobre completarono l'arrivo tutte le squadre della colonna della Lombardia, mentre la colonna mobile partita da Roma alle 10.00 del 10 ottobre, dopo aver fatto tappa per la nottata a Padova, giunse a Ponte nelle Alpi nelle prime ore del giorno 11, attestandosi poi a Faé, dove era stato predisposto il campo base presso lo stabilimento della Faesite. Alla colonna mobile si è aggregato volontariamente il dott. Fabris Ugo Francesco di Genova che ha prestato servizio per oltre un mese disinteressatamente corne sanitario del campo base e che dopo aver dato la sua opera preziosa di benemerito cittadino è ripartito quando oramai era cessata la urgenza dei soccorsi.

Per quanto attiene all'organizzazione e all'impiego particolareggiato della Colonna Mobile (e al riguardo non si può che lodarne l'istituzione, voluta dalla D.G.S.A., l'organizzazione curata con avveduta praticità dall'Ispettore Generale ing. Giuseppe Oriani, Comandante Provinciale di Roma), essa ha effettuato in 24 ore uno spostamento di circa 700 Km., vedasi la relazione a parte dell'Ispettore Capo Ingegnere Fabio Rosati, Comandante della Colonna, pubblicata nelle pagine che seguono.
Nelle prime 24 ore dal disastro sono entrati così in azione circa 650 uomini e dopo 36 ore il numero era già salito ad altre 750 uomini, con 29 Ufficiali, 250 automezzi e tre elicotteri, tutti distribuiti nei rispettivi settori di impiego ed alacremente impegnati. La loro dislocazione immediata sul posto è dovuta al fatto che le varie unità sono affluite gradualmente ed il servizio radio, predisposto la prima notte fra il 9 ed il 10 ottobre, funzionando egregiamente, ha dato la possibilità di assistere le unità nella fase di arrivo evitando inutili percorrenze ed ingorghi di traffico, convogliandole direttamente sul posto di impiego e fornendo i dati e le notizie necessari per un lavoro coordinato ed organico.

L'OPERA SVOLTA

Va tuttavia sottolineato che l'effettivo e valido soccorso ai pochi scampati è stato solo quello efficacemente e tempestivamente partato nelle prime ore del disastro dalle valorose e generose unità presenti sul posto a Belluno ed integrate dai volontari dei distaccamenti del Cadore, dell'Agordino e dell'Ampezzano immediatamente accorsi. L'opera di quanti sono giunti successivamente è stata prevalentemente svolta al recupero e trasporto delle numerosissime salme, al trasporto viveri, medicinali, sanitari ed all'evacuazione delle masserizie e delle persone rimaste isolate nelle frazioni più colpite; alla ricerca e recupero di fusti di cianuro di potassio; allo sgombero di legnami e materiali che ostruivano le dighe e opere idrauliche poste sul Piave scampate al disastro, alla distruzione di carogne di animali e, non ultimo, allo scavo di fosse ed alla più ampia assistenza per la pronta costruzione del nuovo cimitero di Fortogna.

I tre elicotteri giunti in appoggio ai reparti lo stesso giorno 10 ottobre, sono stati di validissimo aiuto nell'intervento diretto per soccorso, trasportando sanitari, ammalati, medicinali e viveri, sia per le ricerche e perlustrazioni, sia per la sorveglianza della diga e per i rilevamenti di carattere tecnico necessari a seguire la evoluzione dei fenomeni tettonici della zona.

Collaborazione di tecnici francesi e di sanitari jugoslavi Il mattino del giorno 11 si è presentata al campo base di Fae', e si è messa a disposizione dello scrivente, una missione tecnica del Servizio Nazionale della Protezione Civile Francese arrivata in aereo da Parigi ed inviata dal Ministro dell'Interno della Repubblica Francese. La missione era composta: dal sig. Deslignes, Capo di Gabinetto del Prefetto preposto alla Protezione Civile, in rappresentanza del Ministro; dal Comandante Gaunay, Capo del Dipartimento Tecnico, dal Comandante Besson, Consigliere tecnico; dal Capitano Bailly-Maitre, Capo dei Reparti Ricercatori di vittime sepolte; e infine da dieci istruttori di salvataggio, costituenti un distaccamento del Centro Nazionale di Studi della Protezione Civile di Nainville-Les-Roches.
La missione francese, equipaggiata con cinque geofoni e tre speciali apparecchiature elettroniche, sulla scorta delle segnalazioni ricevute ha potuto in breve effettuare i suoi accertamenti e concludere che non vi potevano più essere dei sopravvissuti seppelliti fra le macerie o nella zona colpita.

Pertanto, conclusi i suoi preziosi ed apprezzati accertamenti, la missione è ripartita il giorno successivo. E' da considerare che, pur se non si era potuto far luogo ad alcun salvataggio sul piano degli accertament tecnici, il compito dei tecnici è stato per lo meno molto fruttuoso, perché ha loro consentito, da una parte, di fare delle considerazioni interessanti sulle cause e le modalità della catastrofe, come pure della organizzazione generale dei soccorsi, e dall'altra, di raccogliere una buona documentazione in foto e films
Sempre il giorno 11 si sono volontariamente presentati allo scrivente e messi a disposizione per collalorare nelle cperazioni di soccorso il Prof. Janosz Milcinski e il Dott. Dovut Furlan, medici jugoslavi della Università di Lubiana. Trattandosi di Periti Settori lo scrivente li ha avviati alla Procura della Repubblica e successivamente fatti assistere dai Vigili perché con la loro preziosa competenza potessero collaborare all'opera di ricomposizione, disinfezione e riconoscimento delle numerose salme che dai Vigili stessi venivano recuperatece trasportate all'aperto sul luogo ove doveva poi sorgere il nuovo cimitero di Fortogna, creato per la sepoltura delle vittime.

Recupero delle salme e prestazioni tecniche

Il giorno 13, arrivata una nuova colonna di rinforzi dai Corpi della Liguria e del Piemonte si è costituito un ulteriore comando operativo, con sede a Feltre, cui è stato affidato il Settore del Piave che dalla Diga di Soverzone, passando a Sud di Belluno, giunge fino quasi a Feltre alla Diga di Busche. In tale settore, devastato con minore violenza, si presumevano difficoltose le ricerche per la vastità della zona, per il tortuoso andamento dell'alveo fluviale e la conseguente esistenza di numerose anse morte, ingombrate da enormi accumuli di detriti e legnami che impedivano la ricerca ed il recupero delle salme.

Con l'arrivo dei rinforzi, essendo venuto a diminuire il flusso disordinato e spesso inesatto delle richieste di intervento, si è iniziato il metodico rastrellamento della intera zona devastata riservando ai vigili del Fuoco i lavori di più specifica natura tecnica, continuando però sempre nel penoso ma essenziale lavoro cli recupero, composizione e seppellimento delle salme, tutte oramai in stato di iniziata decomposizione.
Le località ove in questa fase sono stati operati gli interventi più importanti per l'impiego di uomini e mezzi o per la difficoltà di situazioni sono state le seguenti:

Frazione di Codissago: traghetto di oltre un migliai,o di persone, assistenza totale per viveri e sanitari ai civi,li rimasti ed ai sopraggiunti, rimozione massiccia di macerie, ccllaborazione al ripristino dell'acquedotto;

Dơga di Soverzene: sgombero di migliaia di metri eulli di legnami e rip,ristino delle opere idrauliche di presa della traversa di sbarramento alla centrale elettrica;

Località di Cadola: sgombero degli immensi depositi legname accumulati nelle anse del Piave per il recupero di numerose salme;

Ponte di Maè: operazioni miste di rocciatori e di anfibi per la rimozione di legnami da una scoscesa gola montana; recupero numerose salme;

Diga di Busche con antistante bacino: dragaggio per ricerca salme e fustame di sostanze tossiche, successiva perlustrazione con sommozzatori del Corpo di Genova e finale rimozione dei fanghi a bacino prosciugato;

Località Pineda sul Lago (Erto): evacuazione di persone e di bestiame con natanti sul lago, perdurando il pericolo di frane;

Frazoni di Provagna e Dogna: costruzione di una passerella sul Piave e assistenza ai traghettanti;

Longarone: appoggio di mezzi speciali ai militari collaborazione al ripristino stradale, sgombero macerie, vuotabilità scantinati, sorveglianza ai fuochi per distruzione materiali infetti, particolari ricuperi e rimozione di pesanti strutture in cemento armato di ingombro agli scavi, recupero di campane.

Verso il 25 di ottobre è cominciata a diminuire la richiesta di interventi, anche per il subentro della organizzazione civile coordinata dal Commissariato del Governo per la zona sinistrata; essendo, oramai più di quindici giorni che la maggioranza del personale veniva impiegata in condizioni di sensibile disagio, accentuandosi l'abbassamento della temperatura, si sono cominciati gli avvicendamenti degli uomini riducendo gradualmente la forza, che nei cinque giorni successivi è stata portata a 250 unità.

Ritorno alla normalità

Poiché le autorità locali continuavano a segnalare la eventualità che nel bacino antistante la diga di Busche potessero trovarsi salme o fusti di cianuro, dal 22 ottobre al 5 novembre fu fatta intervenire una squadra di sommozzatori del Corpo di Cenova agli ordini dell'Ispettore Superiore Ing. Gino Lo Basso, che utilizzando anche i sommazzatori di Vicenza e Venezia (in tutto una trentina di uomini), provvide a scandagliare tutta la zona con esplorazioni subacquee consentendo di accertare la oramai ristabilita normalità nella zona. Praticamente con la fine del mese di ottobre e dopo ventidue giorni di lavoro si poteva considerare superata la fase acuta dell'intervento dei Vigili e passare ad una nuova organizzazione di lavoro con personale regolarmente accasermato ed impiegato in normali turni giornalieri di attività.

Dal 1 al 10 novembre sono stati quindi fatti gradualmente rientrare la maggioranza dei rinforzi giunti dalle diverse perti d'Italia e si è mantenuta sui luogo solo la Colonna Mobile, accasermata, se pure in modo precario, nei locali di una colonia montana di Pieve di Cadore; venne pure predisposto un rinlforzo di circa trenta uomini forniti a turno dai limitrofi Comandi del Veneto, accasermato in un primo tempo nella scuola elementare di Ponte nelle Alpi e successivamente sistemato alla meglio nelle casermette del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Belluno.

Dal 15 novembre fino al 21 dicembre sono rimasti di rinforzo nella zona i suddetti due contingenti con un organico di 160 uomini in totale (a parte la forza effettiva di 60 uomini del Comando Provinciale di Belluno).

Il 21 dicembre anche la Colonna Mobile ha fatto rientro in sede.

L'apporto dei soccorsi in questa seconda fase delle operazioni, cessata oramai l'urgenza, è stato più che altro effettuato in appoggio alle autorità civili subentrate nella organizzazione con la costituzione del Commissariato speciale del Governo per il Vajont.

Comportamento del personale e considerazioni con clusive

Durante tutto il periodo di impiego, dal 10 ottobre al 21 dicembre, il personale intervenuto, dal più umile Vigile al più elevato grado fra gli Ufficiali, si è comportato in maniera veramente encomiabile. Il coraggio, l'abnegazione, la infaticabilità sono stati da ciascuno profusi senza limiti né tentennamenti.
E' più che mai gradito mettere in evidenza il fatto che nella innegabile e inevitabile confusione che regnava sovrana nella zana colpita nei primi giorn.i del disastro del Vajont, i Servizi Antincendi hanno funzionato con una regolarità ed una precisione assoluta. L'autonomia e l'autosufficienza che hanno le squadre di intervento, così come sono oggi organizzate, la provvidenziale abbondanza di apparecchiature radio, la presenza degli elicotteri e dei mezzi speciali della Colonna Mobile, l'abbondanza dei mezzi e dei materiali fatti affluire dal centro, lo spiccato spirito di iniziativa e la solida esperienza del personale hanno permesso di costituire con immediatezza una complessa unità operante di magnifica efficienza, di elastico impiego ed adeguantesi automaticamente alla evoluzione della situazione.

Ne dà una riprova il fatto che nessuna richiesta di intervento è rimasta inevasa; non si sono verificati incidenti sul lavoro; il parco automezzi non è stato eccessivamente degradato in relazione al suo impiego; la salute del Personale, pur provato in una contingenza così gravosa, è sempre stata ottima; il morale è sempre stato elevatissimo.

Lo scrivente, avendo la possibilità di rendersi conto di persona di tutta la situazione e disponendo di un gruppo di Ufficiali di provata capacità tecnica, dotati di qalità veramente eccezionali, non ha avuto alcuna difficoltà per dirigere le operazioni, tenere informati giornalmente i suoi superiori, curare l'organizzazione dei servizi e mantenere i quotidiani contatti con il Capo della Provincia di Belluno, con il Comandante del IV° Corpo d'Armata, e con il Commissario Straordinario per il Governo.

Questi ultimi, in occasione delle visite al campo, hanno rivolto ai reparti riuniti per l'occasione espressioni di vivo elogio e di alto compiacimento per la funzionale organizzazione del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e per l'opera meritoria svolta dai suoi componenti. Invero, nell'esecuzione di un'enorme mole di opere e di lavoro, per quanto ognuno abbia cercato di dare il meglio di se stesso, non sono mancati casi particolari di impegno e di maggior rilievo che meritano una specifica menzione di apprezzamento per cui lo scrivente ha già inoltrat e fatto pervenire numerose proposte di encomio e di elogio alla Superiore Direzione Generale dei Servizi Antincendi.

E poichè risulta che sono stati compiuti particolari atti di valore e di eroismo nelle prime ore del disastro, quando maggiormente incombeva il pericolo, atti compiuti in prevalenza dal generoso personale volontario accorso che ha salvato la vita a 73 persone, molto spesso rischiando la propria, riterrò doveroso sollecitare presso le Autorità competenti le eventuali proposte di ricompense al valore, non appena abbiano potuto completare la necessità dettagliata documentazione dei singoli casi.

Stefano Gabotto



I primi soccorsi dei VV.F. limitrofi

L'IMMEDIATO INTERVENTO DEI VIGILI VOLONTARI DEL CADORE

Relazione del Com.te del Distaccam. VV.F. di Pieve di Cadore,
Brig. Antonio Bergamo

Alle ore 23.15 del 9 ottobre, un privato, giunto a Pieve su automezzo targato Savona, ha avvisato il gestore dell'albergo Cadore, sig. De Polo, della sciagura avvenuta a Longarone. Tempestivamente, lo stesso sig. De Polo ha comunicato la notizia al Distaccamento VV.F. di Pieve di Cadore ed al sottoscritto. Venne predisposta subito la partenza di una autolettiga e della campagnola per l'esame della situazione e nel contempo avvisata la Tenenza dei Carabinieri di Pieve di Cadore. Nel frattempo era arrivato un secondo automezzo privato con persona che confermava il disastro avvenuto. Si provvedeva subito ad avvisare il Comando di Belluno e i Distaccamenti di Auronzo, S. Stefano, Valle, S. Vito, Cortina e Lozzo, disponendo che questi ultimi affluissero immediatamente a Longarone, col maggior numero di personale disponibile.
Alle ore 23,40 l'autoambulanza V.F. 5423 arrivava alle prime case, ancora in piedi, di Longarone e provvedeva alla raccolta di feriti, trasportandoli alla casa di cura di Pieve di Cadore, preventivamente avvertita. Alle ore 23,45, giunto io stesso a Longarone con la campagnola, mi resi conto della gravissima situazione. Raccolta una donna ferita, feci subito ritorno a Pieve per sollecitare i già richiesti aiuti agli altri Distaccamenti del Cadore ed informare le autorità militari ed in particolare il comando del presidio della paurosa calamità verificatasi. Si tentò più volte di comunicare con il Comando Provinciale VV.F., senza potersi mettere in comunicazione, essendo i numeri telefonici del Comando stesso sempre occupati.
Ho ritenuto allora mio dovere informare i Comandi di Padova e Vicenza, i quali erano già in stato di allarme, per avviso dato dall'Ispettorato di Zona. Entrai quindi in comunicazione con detto Ispettorato e trasmisi personalmente all'Ispettore Generale ingegnere Gabotto i primi dati in mio possesso. Alle ore 24 cominciarono ad affluire i Vigili dei Distaccamenti di Auronzo, S. Stefano, Cortina, Lozzo, S. Vito e Valle e successivamente la colonna del Battaglione Alpini Pieve di Cadore, al Comando del Maggiore Rossetti, colonna arrivata verso le ore 9.45 del 10 ottobre 1963.

escavatrici. La Ditta Olivotto aderì subito alla richiesta; lo stesso titolare si è recato a Cibiana e a Domegge, ove erano dislocati gli escavatori e ha provveduto a traslocarli sul luogo, ove alle ore 7 potevano iniiziare l'opera di sgombero, proseguita ininterrottamente fino alle ore 20 del 10 ottobre; dopo tale ora i mezzi mobilitati passarono alle dipendenze dell'A.N A.S.
Date le spaventose proporzioni del disastro, fu anche ritenuto opportuno l'impiego di un autopullman per il trasporto urgente dei feriti agli Ospedali; in conseguenza ho provveduto a richiedere alla Società Carnica di Pieve di Cadore il mezzo suddetto che mi venne immediatamente messo a disposizione. Purtroppo i feriti sono stati in proporzione insignificanti in confronto all'altissimo numero dei morti, conseguentemente l'autopullman non è stato utilizzato come sarebbe stato auspicabile. Alle primissime ore del 10 ottobre arrivarono dai diversi distaccamenti del Cadore, altri Vigili Volontari, praticamente tutti quelli presenti noi Comuni e non impediti da ragioni di forza maggiore. Nella prima mattinata, alle ore 4 è giunto dal Settore Sud il Vice Comandante Provinciale Bolzan ed il M.llo D'Incà, ai quali resi una sommaria relazione e in accordo con i quali si predisposero i diversi servizi per il soccorso dei superstiti e la raccolta dei cadaveri.

Alle ore 8.55 mi incontrai con l'ing. Casablanca giunto a Longarone con i reparti del Comando Provinciale di Trieste. Ad esso esposi la situazione e rassegnai le consegne del settore Nord, il cui comando egli si apprestava ad assumere. In precedenza era giunta, via Passo della Mauria, la prima squadra del Comando Provinciale di Udine. Per quanto riguarda le operazioni svolte dai Distaccamenti del Cadore dopo le ore 8.55 del 10 ottobre, si richiamano le relazioni del Comandante del settore Nord.
Dalle ore 23,40 del 9 ottobre alle are 9 del giorno 10, con i soli mezzi dei Distaccamenti Cadorini, sono stati trasportati: n. 39 feriti alla Casa di Cura Pieve di Cadore e n. 15 feriti all'Ospedale di Auronzo di Cadore. Sono state ricuperate, e trasportate alla Chiesa di Castellavazzo, n. 46 salme, e n. 27 sfollati. Alle 23,45 del 9 ottobre, la campagnola V.F. 5309 lasciava lo scrivente sul ciglio della strada di Alemagna, a Nord di Longarone, oltre il quale la carreggiata era completamente scomparsa.
La scena era apocalittica: un vento gelido spazzava la zona, e alla luce di poche torce elettriche le ombre delle macerie erano ancora più terrificanti; le urla dei feriti e degli scampati rendevano agghiacciante la situazione, mentre l'acqua defluiva in centinaia di piccoli torrenti dalle pendici della collina sovrastante il paese e attraverso le macerie si gettava nel Piave il livello del quale era di poco al disotto di quellop della strada Nazionale. L'entità del disastro, più che vederlo, si intuiva, per l'angosciosa intuizione che ci rende consapevoli dell'immensità di una sventura quando le forze della natura si sono scatenate senza freno.
Superato il primo attimo di sbigottimento, lo scrivente ha subito provveduto a coordinare le operazioni di soccorso. L'ambulanza V.F., giunta pochi minuti prima sulla zona, venne riempita di feriti e subito avviata alla casa di cura di Pieve di Cadore. Dalle ore 24 in poi, con l'affluire dei Vigili da tutti i distaccamenti del Cadore, lo scrivente poteva contare su ottanta uomini e quattordici automezzi, che hanno operato da soli fino alle ore 9.45 ora in cui è giunta la colonna degli Alpini del battaglione Pieve di Cadore al comando del Maggiore Rossetti. In queste prime ore i Vigili dei distaccamenti del Cadore hanno compiuto autentici atti di eroismo. Ci giungevano da Codissago, il grosso abitato situato sull'opposta sponda del Piave, incessanti invocazioni di aiuto; ma purtroppo, avendo la piena del fiume travolto e asportato il ponte e non disponendo di natanti, fummo costretti, impotenti, ad attendere che il livello dell'acqua calasse alquanto.
Verso le ore 1.30 venne tentato il guado e una squadra di cinque Vigili volontari del distaccamento di Valle, con l'acqua che arrivava alle ascelle, raggiunse l'altra riva appena in tempo per salvare cinque feriti che la corrente stava ormai trascinando via. Intanto altri Vigili guadavano il fiume e l'opera di soccorso a Codissago veniva organizzata e coordinata, mentre il livello del Piave diminuiva sempre di più.

Ciò permise al Vig. Sc. Volontario Faè Franco, del Distaccamento di Pieve di Cadore, di entrare coraggiosamente in acqua con la campagnola e portare così, da solo, in salvo tre feriti trascinati dalla corrente. Nonostante la limitata potenza dei gruppi elettrogeni e la mancanza dei collegamenti radio, l'opera di soccorso dei Vigili del Fuoco permanenti e volontari dei distaccamenti del Cadore, pur soli e senza troppe attrezzature, si svolse celermente. Tanto che alle 3.45 ora in cui giunse la colonna degli Alpini, la quasi totalità dei feriti era già stata trasportata in salvo a Pieve di Cadore e ad Auronzo con gli automezzi del Corpo.

Alle ore 4.10 venne stabilito il primo contatto fra le nostre squadre e quelle del Comando di Belluno che operavano a Sud di Longarone, mentre anche gli Alpini coordinavano ormai la loro azione.

In quelle prime allucinanti quattro ore dal dramma il sottoscritto ritiene di aver assolto onorevolmente alla responsabilità di iniziare e guidare le prime operazioni di soccorso, e ritiene doveroso segnalare il comportamento ammirevode di tutti i Vigili dipendenti, i quali, indistintamente, hanno operato al limite delle possibilità di resistenza, fornendo una prova di raro coraggio e di intraprendente e encomiabile spirito di iniziativa.

Antonio Bergamo

I VV.F. BELLUNESI NELLA NOTTE DEL DISASTRO

Relazione del Vice Comandante Provinciale di Belluno, Uff. Vol. Per. Ind. Paolo Bolzan

All'ora corrispondente al disastro del Vajont mi trovavo al cinema nel teatro Comunale di Belluno. Essendo venuta improvvisamente a mancare l'illuminazione interna del locale, mi avviai dopo qualche istante verso l'uscita. Giunto all'esterno e constatato che l'intera città era completamente avvolta nel buio ebbi la sensazione che qualche cosa di grave poteva essere accaduto, in quanto, ben sapendo che l'impianto di illuminazione di Belluno è suddiviso in settori, non potevo trovare giustificato il sopravvenuto oscuramento totale.

Dopo breve riflessione, mentre mi avviavo verso la Caserma per chiedere al Sottufficiale di servizio le possibili novità, data che in quei giorni sostituivo il Comandante in licenza, sentii l'urlo della sirena e vidi la campagnola radio passare a velocità sostenuta.
Il Sottufficiale di servizio brig. D'Incà Amerigo mi informò della presunta rottura della diga del Vajont, aggiungendo che tale informazione gli era stata comunicata per telefono alle ore 22,55 dal signor Vincenzo Carlo residente a Ponte nelle Alpi. Ricevuta la notizia egli cercò di mettersi in comunicazione, tramite la Telve, con la Stazione dei Carabinieri di Longarone e sentito dal centralinista che non era possibile per la rottura della linea, provvide ad inviare una prima pattuglia di Vigili del Fuoco, con campagnola-radio, ad avvisare le popolazioni ubicate lungo l'alveo del fiume Piave che si mettessero in salvo; lo stesso brig. D'Incà stava provvedendo ad informare le competenti Autorità del Capoogo di quanto era ventlto a conoscenza. A questo punto provvidi ad inviare altre pattaglie di Vigili del Fuoco in rinforzo alla prima, ordinando di telefonare alle stazioni dei Carabinieri del basso Piave perchè dessero l'allarme e aiutassero la popolazione nell'opera di sfollamento lungo quel tratto di fiume; in pari tempo si avvertivano i Capi Distaccamento dei Vigili del Fuoco della Provincia affinchè inviassero tutti gli uomini sia volontari che permanenti disponibili con gli automezzi in dotazione. Accompagnato dal M.llo D'Incà Ugo, giunto nel frattempo in Caserma, mi accingevo a partire verso il luogo del disastro, quando ricevemmo la prima chiamata di soccorso dalla frazione di Socchèr nel Comune di Ponte nelle Alpi. Erano le ore 23,05 quando la prima squadra di intervento, al comando del V. Brig. Bellotto, partiva alla volta di quella località per portare i primi soccorsi. Finalmente alle ore 23,07, partii con autovettura verso Longarone onde potermi rendere conto sul luogo di ciò che stava accadendo e poter disporre in proposito, data l'impossibilità di precise informazioni telefoniche, mentre il centralino della caserma era oramai bloccato dalle continue richieste di notizie.
A circa cento metri dall'abitato di Faè, la strada era interrotta da un ammasso di legname e di fango. Mi inoltrai a piedi verso il paese, accompagnato dal M.llo D'Incà, dal Capo di Gabinetto della Questura di Belluno Dott. Di Mambro, dal Cap. di P.S. D'Angelo e dal medico Bortoletto Senes, giunti anch'essi nel frattempo.

Le abitazioni che si trovavano sul lato sinistro e quello destro del luogo lungo la traversa del paese erano state completamente spazzate via dalla massa d'acqua. A quel momento nessuno poteva ancora sapere se si era trattato di una valanga d'acqua fuoriuscita dal bacino del Vajont per tracimazione a causa della frana o per la rottura della diga.
Proseguendo lungo la strada devastata, in prossimità della curva oltre l'albergo di Faè, che si trovava sulla sinistra tra la strada e la ferrovia, potemmo compiere la prima azione di soccorso, porgendo aiuto per salvare un bambino di circa otto anni che si trovava sotto le macerie di una casa crollata; avvolto in un nostro cappotto, il ragazzo fu trasportato a braccia dal M.llo D'Incà verso una autoambulanza e avviato all'Ospedale di Belluno. Mentre il M.llo D'Incà faceva ritorno a Belluno col preciso incarico di ritornare con tutti gli uomini arrivati nel frattempo in caserma, e con le radio portatili e le campagnole radio, il Cap. di P.S. D'Angelo proseguiva verso Longarone; lo scrivente in accordo col Dott. Di Mambro, funzionario della Questura, iniziava via radio la richiesta di militari, medicinali e coperte, nonchè l'avviso di sospensione del traffico ferroviario sulla linea Ponte nelle Alpi-Calalzo. Dalla gente del posto fui informato che alcuni feriti tratti in salvo si trovavano nelle abitazioni situate nella parte alta dell'abitato. Mi avviai in quella direzione per provvedere al trasporto degli stessi, sistemati su barelle dalle nostre squadre ormai sul posto, operanti nella quasi totale oscurità, lungo gli scoscesi sentieri che si dipartono dalla nazionale.
Ripresi poi da solo la strada per Longarone, incontrando in prossimltà della falegnameria Faini, devastata ma ancora in piedi, il sig. De Bona Pietro residente a Ponte nelle Alpi e successivamente il M.llo della Polizia Stradale Caldart con alcuni agenti. Dopo circa dieci minuti di esplorazione nel luogo, riscontrato che non esisteva alcun segno di vita, proseguii con i suddetti verso Villanova, dove al piano primo di un fabbricato con struttura in cemento armato, costruito a ridosso della roccia, c'era la famiglia del sig. De Bona Arcangelo miracolosamente illesa ma impossibilitata a scendere per la mancanza della scala interna portata via dall'ondata.

Rassicurato il De Bona Arcangelo sulla stabilità del fabbricato e promessogli l'invio sollecito di alcuni Vigili con scala italiana per porlo in salvo insieme ai familiari, fui poco dopo raggiunto dagli accorrenti Vigili del Fuoco di Pedavena, da militari, carabinieri, polizia e guardie di finanza.
Questi uomini senza frapporre indugio cooperarono con i nostri Vigili allo sgombero della devastata sede stradale, cosicchè le nostre prime macchine poterono avvicinarsi alla frazione di Villanova, sobborgo di Longarone, e raccogliere sul ponte del Maè i primi feriti.
Al Maè si unì allo scrivente anche il Capo del Genio Civile di Belluno, Dott. Ing. Violin, giunto in quel momento. Fermato un automezzo militare, proseguimmo insieme fino in prossimità del Ponte sul Maè, sul quale tuttavia non era possibile transitare per l'ammasso enorme di legname su di esso accatastato dall'ondata. Sul posto, il Vigile Sacchet, arrivato da Belluno col M.llo D'Incà e altri Vigili, dopo aver messo in funzione un gruppo elettrogeno per illuminare il limiite di strada oltre il quale era impossibile procedere, mediante la radio della campagnola stabiliva i contatti con la Caserma del Capoluogo. Provvedevo poi, mediante radio portatile affidata al Vigile Pastori, a completare i collegamenti e quindi raggiungevo il M.llo D'Incà, che nel frattempo si era avviato verso Longarone centro.

Alle due del mattino ero finalmente in grado di disporre, da Longarone stessa, la trasmissione via radio di un marconigramma informativo alla Direzione Generale Servizi Antincendi e all'Ispettorato Generale della III Zona, a Mestre.
Comunicai al II° Uff. Geom. De Paoli, giunto al Comando Provinciale di Belluno dal Distaccamento di Feltre, l'incarico di coordinare e disporre, in collaborazione col Brig. D'Incà Amerigo, l'invio di uomini, mezzi e materiali a seconda delle richieste che pervenivano dalla zona del disastro, lavoro che fu eseguito in modo lodevole.
Arrivato nella zona di Pirago e Longarone, mi si presentò, man mano che mi inoltravo con il faro portatile, lo spettacolo rabbrividente della totale scomparsa dell'intero centro abitato, fra una marea di sassi e di fango. Sul luogo già operavano alcuni gruppi di Vigili del Fuoco, di militari e civili, che cercavano di trarre in salvo eventuali feriti rimasti sotto le macerie.

Proseguendo col M.llo D'Incà incontrai il Comandante del Distaccamento dei Vigili del Fuoco cli Pieve di Cadore, cav. Bergamo, sul posto già da più ore con tutti gli uomini disponibili, effettivi e volontari, accorsi da tutti i centri del Cadore. Queste squadre avevano già portato in salvo numerosi feriti, avviandoli con autoambulanza alla Casa di Cura di Pieve di Cadore, mentre venivano anche recuperate sempre più numerose le salme delle vittime.

Non vi era possibilità di scelta nel lavoro da compiere, se non proseguire nell'operazione di rimozione delle macerie di ricognizione continua fra i detriti, tanto più necessaria e urgente per il forte vento che spirava quella notte e che limitava la possibilità di percepire eventuali gemiti, sotto le macerie stesse. Al Comandante Bergamo confermavo l'incarico dell'esecuzione del coordinamento di tutte le operazioni che si rendevano necessarie nella zona Nord. Mentre venivo informato via radio che le prime squadre di Vigili del Fuoco stavano giungendo nel capoluogo dai centri del Veneto in attesa di essere impiegate nella zona disastrata, potevo conferire in Longarone stessa con il cav. Monti Attilio di Auronzo, noto impresario, il quale aveva già compiuto nella notte un sopralluogo alla diga ed era così in grado di assicurare che essa non aveva ceduto nè presentava segni di ulteriore pericolo. Tali assicurazioni contribuivano a rasserenare l'animo dei superstiti e dei soccorritori sui quali gravava fino a quel momento l'incubo di ulteriori minacce dalla gola del Vajont.
All'alba giungeva a Longarone l'Ispettore Generale ing. Stefano Gabotto, accompagnato da altri ufficiali. Ad essi riassumevo la situazione, aggiornandoli su quanto era stato fatto durante la notte, sia nel settore Sud che in quello Nord. Quindi proseguii con le squadre di Belluno nella opera di recupero salme nella località di Villanova e nell'ansa di Pirago. A sera, su richiesta dell'ing. Casablanca, giunto da Trieste, al quale era stato affidato il comando del settore Nord, mi recai con il brig. Bergamo presso il distaccamento di Pieve di Cadore per concentrare l'organizzazione delle operazioni successive in detto settore. Rientrai da Pieve di Cadore in Caserma a Belluno a sera inoltrata, ed i giorni successivi 11 e 12 attesi al coordinamento dei servizi tra la caserma e i due settori Nord e Sud della zona sinistrata, nonchè al recupero di salme con nostre squadre, lungo l'alveo del Piave tra Ponte nelle Alpi e Lentiai.
Lasciai il servizio il giorno 12 alle ore 22. Pur non potendo comunicare i nomi delle persone salvate nella prima notte, posso precisare che, per quanto riguarda il settore Sud, esse furono in totale 19. Nell'impossibilità di poter qui registrare voce per voce le azioni di soccorso e l'opera svolta dagli addetti ai servizi di emergenza presso il Comando Provinciale di Belluno, opera risoltasi in favore dei feriti e degli scampati, mi sia consentito dire che gli episodi di solidarietà e di aiuto furono innumerevoli, e che tutto il personale fu all'altezza, per perizia e per spirito di iniziativa, dei compiti a ciascuno affidati.

Paolo Bolzan

LA PARTECIPAZIONE DEI VV. F. TRENTINI AI SOCCORSI

Anche i Vigili del Fuoco della Regione Trentino Alto Adige, degnamente rappresentati dai volontari di Fiera di Primiero e dai permanenti di Trento, hanno preso parte attiva alle operazioni di intervento nella zona del disastro durante il periodo dal 10 al 24 ottobre.
Alla mezzanotte del 9 ottobre un Vigile Volontario appartenente al Corpo di Fiera di Primiero, trovandosi nei pressi di Agordo, si univa ai carabinieri del luogo in partenza per Longarone e, giunto alla confluenza del torrente Maè con il Piave prestava qui la sua opera durante la notte per la ricerca di feriti e il recupero di salme. Alle ore 7 del mattino raggiungeva Fiera di Primiero per informare il Comandante locale della gravità della situazione. In accordo con il Comando Provinciale di Belluno, veniva deciso l'invio di uomini e mezzi. Alla spedizione partecipavano 20 Vigili di Fiera di Primiero, al comando del geom. Saverio Bancher, 19 di Canal San Bovo al comando del sig. Giacomo Mioranza, 6 di Mezzano al comando del sig. Enrico Zeni e 4 di Imer al comando del sig. Giacomo Brandstetter.
I mezzi erano costituiti da 5 campagnole con carrello, 1 Unimog e 4 autovetture.
Partenza da Fiera di Primiero: ore 9; rientro ore 23. Durante questa prima giornata le squadre si sono prodigate nel recupero salme al Ponte sul Maè, al, loro trasporto e sistemazione. Con forze più ridotte, anche per poter stabilire dei turni fra il personale volontario, le operazioni sono proseguite nei giorni successivi, prevalentemente rivolte al recupero delle salme e alla loro consegna ai vari Cimiteri della zona. Dal 14 al 24 ottobre, oltre ai Vigili volontari di Fiera di Primiero e delle località già ricordate, ha prestato servizio anche una squadra di Trento, al comando del Vice Brig. Rosario Bellin. Un sopralluogo è stato fatto in data 18 ottobre dall'Ispettore Regionale ing. Slomp. La ricerca e recupero salme, a cura dei Vigili trentini o realizzati con la loro collaborazione, hanno dato questi risultati:

10 ottobre: salme recuperate ........ n. 52
11         »                  »              » . .» 18
12         »                  »              » . .» 8
13         »                  »              » . .» 7
14         »                  »              » . .» 8
15         »                  »              » . .» 8
18         »                  »              » . .» 3
19         »                  »              » . .» 4
20         »                  »              » . .» 1

Complessivamente:                  »    n. 110.
Tra i lavori svolti figurano anche i seguenti: spostamenti tronchi e materiali, taglio piante con motosega, operazioni nel bacino del Maè con anfibio, barche e canotto pneumatico, perlustrazioni varie.



LE PRIME OPERAZIONI SUL FRONTE DI ERTO-CASSO

Relazione del Comandante Provinciale VV.F. di Udine,
Ing. Adriatico Chiuzzelin

Alle ore 1.30 del giorno 10 ottobre 1963, giungeva al Comando Provinciale di Udine, la prima segnalazione telefonica dal Capo Gabinetto della Prefettura annunciante un grave sinistro verificatosi nella zona del Lago di Erto-Casso nonché l'ordine di predisporre l'invio di squadre di soccorso.

Le notizie pervenute alla Prefettura di Cimolais erano confuse e contraddittorie, in quanto non erano note le cause del sinistro né si sapeva se fosse o meno crollata la diga del Vajont.

Venne subito dato l'allarme previsto nei casi di calamità e fu dato inizio al caricamento del materiale ritenuto utile per un sinistro non meglio precisato. Nel frattempo il sottoscritto si metteva in comunicazione telefonica con il Comando VV.F. di Belluno per avere altre notizie; apprendeva così che Longarone era stata distrutta da una valanga d'acqua provocata, secondo le prime ipctesi, dalla rottura della diga del Vajont, che la strada d'Alemagna era stata interrotta e che non si avevano notizie della zona a monte di Longarone stessa. Alle ore 2 partiva dal distaccamento di Pordenone una prima squadra, con autolettiga, diretta a Erto. Alle ore 3.10, appena pronta, partiva la prima squadra dalla Caserma Centrale di Udine con destinazione Nord Longarone, via Passo della Mauria. Stabiliti intanto i contatti telefonici con i Comandi VV.F. di Gorizia e Trieste, si invitava gli stessi ad avviare le squadre, già in allarme, a Nord di Longarone via Passo della Mauria. Si provvedeva quindi ad informare l'Ispettorato della III Zona sull'andamento delle operazioni predisposte finc a quel momento. Il Capo Gabinetto della Prefettura di Udine, infor mato sui provvedimenti presi, consigliava di non far partire le squadre per Erto-Casso in attesa di notizie più precise in quanto sul posto si erano recati di persona S.E. il Prefetto e il Questore.

Avuta conferma che nel Lago di Erto si era verificata una ondata di notevole entità e che, in seguito a questa, i paesi del comune di Erto-Casso erano rimasti isolati, fu fatta partire (erano le ore 3.30) la quadra già approntata e attrezzata. Alle ore 6 circa giungeva, da parte del Sig. Questore, richiesta telefonica di barche ed elicotteri per soccorrere i paesi rimasti isolati al di là del lago; veniva quindi fatta partire un'altra squadra con barca e fuoribordo.

Il sottoscritto si rivolgeva nuovamente ai Comandi VV.F. di Gorizia, Trieste e Treviso per ottenere altre barche ma con esito negativo in quanto quelle in dotazione a detti Comandi erano già state inviate nella zona di Longarone. Dopo aver cercato di mettersi in contatto telefonico con l'Ispettorato di Zona per ottenere l'invio di elicotteri, il sottoscritto raggiungeva. alle ore 11 circa, le squadre VV.F. impegnate nella zona del Lago di Erto. Dette squadre erano giunte sul posto alle ore 5/6 del mattino ma non avevano potuto svolgere appieno il loro compito, perché la strada tra il Passo S. Osvaldo e la località di S. Martino era stata interrotta da macerie e frane e quindi, in un primo tempo, le operazioni di soccorso furono limitate alla ricerca di salme nella Frazione di S. Martino e all'allontanamento dei feriti mediante l'autolettiga. Quando i mezzi dei VV.F. effettuato lo sgombero della strada, poterono accedere fino a Erto e il personale fu in grado di rendersi conto del lavoro da svolgere, si provvedeva a mettere in acqua la barca con il fuoribordo per raggiungere le sponde opposte del lago portando così soccorso anche alle persone rimaste colà isolate. Nei giorni seguenti le operazioni di soccorso si svolsero in modo continuo e regolare, senza difficoltà anche perché fu possibile ottenere rinforzi dalla zona di Longarone, da dove l'Ispettore fece giungere due squadre del Comando VV.F. di Gorizia ed una della Colonna Mobile, dotate di barche con fuoribordo e apparecchiature radio, nonché un'altra squadra direttamente da Gorizia.

Adriatico Chiuzzelin



L'opera dei settori operativi di emergenza

GIORNO PER GIORNO ALLA BASE NORD

Relazione del Comandante Base Nord
Ispettore Superiore Ing. Virgilio Casablanca

Per disposizione telefonica dell'Ispettorato Generale della IIIà Zona Antincendi, lo scrivente veniva incaricato di convogliare verso la zona di Longarone squadre di Vigili del Fuoco dei Comandi Provinciali di Trieste, Udine e Gorizia, con i mezzi e personale più adeguati al tipo di soccorso che questo settore avrebbe dovuto affrontare. Successivamente alla comunicazione telefonica, si faceva scattare il dispositivo disposto per le grandi calamità per i reparti VV.F. di Trieste, curando nel contempo che altrettanto fosse operato presso i Comandi VV.F. di Udine e Gorizia. Mentre questi ultimi provvedevano a far partire le squadre di soccorso verso Longarone, il Comando di Trieste organizzava un convoglio più consistente che seguiva poco dopo le squadre dei primi due Comandi.
La partenza avvenne dopo circa un'ora ed un quarto dall'ordine dì mobilitazione, mentre Gorizia ed Udine anticipavano il movimento di una buona mezza ora. Si giunse nel settore operativo alle ore 8.55, percorrendo il tragitto con media convoglio di circa 45 kmh. Qui si trovavano già operanti, fin dal momento del sinistro, squadre dei distaccamenti del Cadore, guidate dal Brig. Vol. Bergamo Antonio, il quale con precisa cognizione dell'accaduto mi ragguagliava su quanto era stato operato e sui soccorsi più urgenti da attuare nelle prime fasi operative. Sul comportamento, sull'ardimento e coraggio, sull'elevato spirito di abnegazione e sacrificio, sulle alte qualità morali del Brig. Bergamo, questo Comando si riserva di formulare proposta a parte di giusta ricompensa a riconoscimento di quanto da lui dato nelle prime, difficili e pericolose ore, nelle quali ebbe a operare in quella tragica notte.
Immediatamente dopo l'arrivo, provvidi a programmare e coordinare le operazioni di soccorso con le disponibilità di mezzi e di personale fatti affluire dai tre Comandi Provinciali di Trieste, Udine e Gorizia e quelli dei distaccamenti volontari del Cadore, che avevano già effettuato soccorsi a feriti, per complessive n. 54 persone, trasportate alla Casa di Cura di Pieve di Cadore ed all'Ospedale di Auronzo. Si poteva così disporre di una forza iniziale di 120 unità e di 28 mezzi, così suddivisi:

- Comando Provinciale Trieste: n. 85 unità e n. 9 mezzi;
- Comando Provinciale Gorizia: n. 16 unità e n. 2 mezzi;
- Comando Provinciale Udine: n. 7 unità e n. 2 mezzi;
- Distaccamenti del Cadore: n. 62 unità e n. 16 mezzi.
Le operazioni di soccorso tesero nella prima giornata operativa del 10 ottobre al raggiungimento dei seguenti obbiettivi:
- Collegare il paese di Codissago, che era stato isolato a seguito del crollo del ponte di collegamento con Castellavazzo, allo scopo di consentire i primi contatti con quella popolazione e accertare il bisogno di soccorso, trasportare i feriti, permettere il trasporto di viveri e persone;
- Provvedere al recupero delle salme che da termine di Cadore fino all'ingresso di Longarone affioravano lungo il greto del Piave;
- Provvedere, se necessario, all'approvigionamento idrico delle popolazioni che non avessero risorse efficienti;
- Trasportare le salme ai Cimiteri segnalati, suggerendo che venissero effettuati rilevamenti foto, grafici utili successivamente per il riconoscimento delle salme stesse.

Nella giornata del 10, dopo un febbrile lavoro, durato ininterrottamente fino all'imbrunire, gli obbiettivi prefissi erano stati raggiunti, anzitutto con la realizzazione del traghetto a mezzo barca fluviale in materiale plastico, che servì al trasporto tra Codissago e Castellavazzo di persone e viveri; poi con il recupero di 42 salme e con l'effettuazione di numerosissimi interventi vari, quali venivano ritenuti utili nell'interesse della popolazione sopravissuta alla catastrofe. Le operazioni effettuate successivamente sono riportate nel seguente ordine giornaliero:

Giorno 11 ottobre:
- Collegamento con imbarcazione tra Codissago e Castellavazzo, e trasporto, fino alle ore 16, di 700 persone, oltre ad una notevole quantità di acqua potabile;
- ricupero e trasporto al Cimitero di Tai di n. 20 salme;
- posa in opera, in collaborazione con i reparti del Genio, di una condotta idrica attraverso il Piave per rifornire l'abitato di Codissago;
- rifornimento idrico al forno di panificazione di Castellavazzo;
- demolizione di muri pericolanti di edifici nell'abitato di Longarone.

Giorno 12 ottobre:
- continuazione del servizio di traghetto per Codissago, con il trasporto di 800 persone, oltre a materiale vario, viveri e medicinali;
- demolizione di strutture pericolanti nell'abitato di Longarone, con recupero di materiale di arredamento;
- trasporto di persone, feriti, viveri e medicinali;

Giorno 13 ottobre:
- 22 unità con 2 AG, ed una APS dislocate nell'abitato di Longarone per demolizione muri pericolanti, ricupero masserizie, verifiche a scantinati;
- È stato effettuato il recupero di una salma; altre 5 salme sono state ricuperate a 2 Km. dal paese di Castellavazzo; si è provveduto al prosciugamento di locali interrati a Codissago;
- due squadre del settore si sono portate ad Auronzo, dove hanno provveduto allo spegnimento di un incendio di olio combustibile, verificatosi nel reparto forni di una fabbrica annessa ad una miniera di piombo e zinco.

Giorno 14 ottobre:
- nella zona di Longarone è continuato il lavoro per la demolizione di muri e strutture pericolanti, per il rifornimento idrico, per lo sgombero di macerie e ricerca di salme; nella zona di Codissago si è continuato il lavoro di prosciugamento, di puntellamento, ricerca salme e sgombero masserizie; sono state recuperate n. 6 salme ed effettuato il trasporto di n. 2 persone inferme.

Giorno 15 ottobre:
- continuazione dei servizi vari negli abitati di Longarone e Codissago; è stato effettuato il trasporto di n. 2 persone inferme ed il recupero di 3 salme;
- 24 bambini sono stati trasportati da Codissago a Belluno.

Giorno 16 ottobre:
- lavori di demolizione e sgombero di macerie a Codissago;
- recupero di una salma e trasporto di una persona inferma.

Giorno 17 ottobre:
- località di Longarone: prosciugamento di 2 acquitrini, sistemazione monumento ai caduti, verifica di stabilità Caserma Carabinieri;
- località di Codissago: lavori di demolizione, sgombero masserizie, rifornimento idrico, rimozione ostacoli per consentire l'impiego di una pala meccanica, trasporto persona inferma.
Giorno 18 ottobre:
- rimozione di materiale nelle vie di Longarone, Codissago e Castellavazzo; demolizione edifici pericolanti negli abitati di Codissago e Longarone; Puntellamenti nel paese di Codissago; Ricupero di una salma e trasporto di una persona inferma; sistemazione traghetto con battello pneumatico nella zona di Castellavazzo per segnalazione presenza fusto cianuro.

Giorno 19 ottobre:
- ricupero di n. 8 salme e n. 1 troncone; trasporto, n. 1 persona inferma; sgombero materiali a Longarone e Codissago; demolizione case pericolanti a Codissago e Longarone; puntellamento strutture pericolanti a Codissago; sbancamento di terra negli abitati di Longarone e Codissago con l'impiego di pala meccanica.

Giorno 20 ottobre:
- ricupero di una salma;
- sgombero materiali a Codissago e Longarone;
- demolizione edifici a Codissago e Longarone;
- puntellamenti a Codissago e sbancamenti di terra.

Si conclude, significando che il comportamento del personale, come d'altronde l'Ispettorato Generale della IIIa Zona ha avuto modo di constatare ed apprezzare, è stato superiore ad ogni elogio ed il rendimento è stato altresì in ogni giornata operativa sempre adeguato alla situazione, non venendo mai meno alle unità operanti quello impegno, quella operosità, quell'elevato spirito di sacrificio e di abnegazione, nonchè quell'alto senso di umana solidarietà che hanno nobilitato, anche in questa circostanza, la tradizionale nobile figura del Vigili del Fuoco.

Virgilio Casablanca

LA POSITIVA PROVA DELLA Ia COLONNA MOBILE DI SOCCORSO

Relazione del Com.te la I colonna Mobile di Soccorso
Ispett. Capo Ing. Fabio Rosati

In conseguenza del disastro del Vajont la Colonna Mobile fu posta in stato di allarme dalla Direzione Generale Servizi Antincendi alle ore 3,30 del 10 ottobre. Un'ora dopo, alle ore 4,80, potevo comunicare alla stessa D.G.S.A. che uomini e mezzi erano su strada in attesa dell'ordine esecutivo per la partenza. Talo ordine venne confermato alle ore 9,80 del mattino e la Colonna iniziò immediatamente la marcia di trasferimento.
La C.M. dispone di attrezzature specLalizzate per disastri dovuti a terremoti o ad alluvioni; tuttavia, considerata la particolare natura della sciagura verificatasi nel bacino del Vajont, che lasciava prevedere la necessità di interventi sia dell'ultimo che dell'altro, si decise di portare sul posto una formazione mista, comprendente due gruppi con attrezzature per terremoti e due gruppi con attrezzature per alluvioni. Un quinto gruppo di mezzi speciali fu composto, escluse autoscale, mezzi anfibi, etc., con sei autocarri ribaltabili di grande portata, ciascuno dotato o di una pala meccanica caricatrice o di un apripista montati su cingoli. Per questi mezzi fu data la preferenza alle pale meccaniche, nella proporzione di 5 ad 1, ritenendosi esse di più pratico impiego e suscettibili di adempiere, almeno in parte, anche ai lavori propri degli apripista. L'utilizzazione pratica ancora una volta ha confermato la validità dell'ipotesi.
La composizione della Colonna inviata era la seguente:

autovetture . . . . . . . . . n. 2
campagnole . . . . . . . .» 5
autocarri leggeri attrezzati per soccorso . .» 4
autocarri pesanti attrezzati per soccorso . .» 8
autocarri pesanti con attrezzature speciali. .» 6
carro comando . . . . . » 1
carro tende . . . . . . . » 1
autolettighe . . . . . . .» 2
autogru . . . . . . . . . .» 1
autocarri per magazzino viveri, vestiario ed attrezzature varie di soccorso . . . .» 7
Tutti gli automezzi erano provvisti di radio ricetrasmittenti.
A bordo degli automezzi furono allocati n. 4 Ufficiali, n. 12 Sottufficiali, n. 128 Vigili. Per il trasferimento della Colonna, nonostante si trattasse di una distanza notevole, pari ad oltre 700 km, si preferì rinunciare al trasporto per ferrovia e muoversi per via ordinaria. Ciò per evitare i tempi morti connessi inevitabilmente all'approntamento dei beni, alle operazioni di carico e scarico e alle soste. Anche in questo caso l'esperienza ha confermato che per distanze inferiori ai 1.000 Km, anche se comprendenti tratti montuosi come quello dell'attraversamento dell'Appennino, è sempre conveniente, ai fini della celerità, il movimento per via ordinaria. La marcia, usando le disposizioni proprie della C.M. avvenne per gruppi di sei o sette automezzi, distanziati fra loro di 10-12 minuti (equivalenti, alle velocità ordinarie di trasferimento, a 6-10 Km.) per evitare inutili intralci al traffico ordinario e per consentire una maggiore elasticità di movimento. Le macchine di ciascun gruppo si mantennero in costante collegamento radio fra loro. Le macchine capo-gruppo, su un apposito canale, furono collegate per tutta la marcia col carro comando.
Ciò consentì di non utilizzare motociclisti o macchine staffetta, che nel traffico possono risultare pericolosi. La scorta della Polizia Stradale fu predisposta ed utilizzata soltanto nelle strade della Valle Padana, da Cesena a Padova, essendo quelle più intensamente battute dal traffico automobilistico e soprattutto con maggior numero di attraversamenti di centri, abitati. La scorta risultò in effetti molto utile anche in funzione di guida. I rifornimenti di carburante furono preventivamente predisposti dal Comando in due punti del percorso (Todi - Cesena) ed ebbero luogo senza difficoltà. Durante la marcia il personale utilizzò viveri a secco in dotazione. La Colonna raggiunse Padova alle ore 23 circa, e cioè 12 ore e mezzo complessive dalla partenza, comprese le soste per i controlli e i rifornimenti, alla media oraria di circa 45 Km.
Questa prestazione è più che notevole sia da parte dei mezzi che dei conducenti, considerato il fatto che venne tenuta da autocarri del peso complessivo di oltre 220 ql. Alle prime ore del giorno 11 la C.M. raggiunse Faè, a 5 Km da Longarane ed ivi diede immediato inizio alle operazioni dl soccorso ed alla installazione del campo base. Tale campo fu istallato nel piazzale di una grande fabbrica (Faesite) in fregio alla strada statale e fu pienamente efficiente nel giro di 2 ore. Le sue installazioni principali furono:
a) Comando
b) Attendamento per il ricovero del personale con relativi servizi igienici
c) Cucina da campo e tende per la mensa
d) Magazzini per vestiario e materiali per interventi.
Secondo le disposizioni dell'Ispettorato Generale, che aveva già assunto la direzione delle operazioni di soccorso, venne fissato il settore operativo, della Colonna Mobile comprendente il tratto del fiume Piave delimitato a nord dall'abitato di Longarone e a sud da quello di Cadola. Per le operazioni in tale settore furono aggregate alla C.M. numerose squadre di vari Comandi Provinciali di VV.F. per un totale di 300 Vigili e sottufficiali e 5 ufficiali. Il Comando della C.M. provvide ai servizi generali per tutto il personale aggregato ed ad indirizzarne l'azione secondo un unico piano di lavoro. Tutto il materiale di scorta della C.M. venne posto a disposizione anche delle squadre aggregate che finirono col costituire un unico reparto organico. Per l'impiego nel mentre in generale si utilizzarono le squadre di altri Comandi senza romperne la unità, a ciascuna di esse fu in ogni caso aggregato qualche elemento della C.M. al fine di ottenere un migliore coordinamento ed un più unitario indirizzo del lavoro.

Per i collegamenti radio non si ebbero difficoltà e l'opportuna disposizione, in zone altimetricamente idonee, di mezzi radio con funzione di ripetitori assicurò una perfetta rete di collegamenti sia con le varie zone di operazioni sia ccn i Comandi di Belluno, Padova e Venezia. Nella stessa mattinata del giorno 11 il carro comando fu collegato alle linee telefoniche civili e al centralino del Comando Militare della zona. In tale modo non si ebbero mai a lamentare deficienze di collegamenti tanto più che le radio portatili in dotazione alle squadre, obbligate a lavorare a distanza dei propri automezzi, permisero di ricevere notizie e impartire istruzioni a tutti indistintamente i reparti operanti. La economia di uomini e di mezzi, la più elevata efficienza del lavoro e la maggior sicurezza del personale conseguenti alla perfezione e alla capillarità della rete di collegamenti furono più che notevoli ed ebbero in molte occasioni, nei primi giorni di più intensa attività, valore determinante. All'atto dell'entrata in azione della C.M., esclusa ogni e qualsiasi azione di salvataggio di persone dato che la natura del disastro fu tale da distruggere completamente gli edifici asportandone perfino le macerie e senza che si avesse, quindi, la possibilità materiale di trovare persone vive sotto macerie o case crollate, gli interventi si presentarono essenzialmente di sei categorie:

a) Opera di assistenza agli abitanti di centri isolati per crollo di ponti e distruzione di strade come Dogna, Provagna, etc.
b) Ripristino di alcuni tratti di strada di più immediata necessità e rimozione di macerie per assicurare il transito e l'attività dei mezzi, di soccorso.
c) Recupero di salme o sotto le macerie o soprat tutto negli anfratti e terreni cespugliosi del Piave.
d) Trasporto di salme a vari centri di raccolta, prima, e al cimitero centrale di Fortogna, poi.
e) Recupero dei numerosi fusti di cianuro di potassio dispersi lungo il Piave.
f) Rimozione di legnami e detriti, ammucchiati sotto i ponti, per assicurare il regolare decorso del fiume ed eliminare il pericolo di piene localizzate.
Per diversi lavori furono in generale costituite squadre specializzate, fornite di adeguate attrezzature opportunatamente integrantesi a vicenda, a secondo delle necessità, in modo da avere un costante elevato coefficiente d'impiego sia del personale che dei mezzi. Ogni giorno alcune squadre di pronto intervento e mezzi di ogni tipo furono tenuti in riserva al campo base in modo da poter esaurire con la maggiore sollecitudine le inevitabili richieste di interventi particolari e urgenti, sia da parte di privati che di autorità. Per facilitare la richiesta degli interventi anzidetti furono installate due tende, una presso il nodo stradale di Faè ed una a Longarone, che opportunamente indicate a mezzo di cartelli stradali, funzionarono da centri di raccolta delle segnalazioni e delle richieste. L'accentramento delle squadre di riserva per interventi urgenti consentì un notevole risparmio di personale e di mezzi ed evitò ritardi anche solo psicologicamente dannosi in circostanze così drammatiche. In moltissimi casi, laddove la necessità di disporre di personale numeroso anche se non altamente specializzato lo richiese, si instaurò una utilissima e fattiva collaborazione con reparti dell'Esercito. Questi infatti, indirizzati nel lavoro da piccoli nuclei di Vigili, forniti delle attrezzature speciali necessarie, poterono utilmente portare a compimento molti lavori, specie di sgombero, senza che ci si trovasse nella necessità di dover impegnare grosse squadre di Vigili del fuoco. Uno dei criteri base dell'impiego dei reparti della C.M. e delle squadre ad essa aggregate fu proprio quello di utilizzare sempre unità per quanto possibile piccole, ma numerose, facendo affidamento soprattutto sulla elevata preparazione del personale e nella efficienza delle attrezzature. Questo criterio ha spesso reso meno appariscente l'opera de Vigili, ma certamente l'ha sempre resa più efficace.

Gli specchi allegati riportano giorno per giorno l'attività delle squadre della C.M. e di quelle dei vari Comandi ad essa aggregate. Lo specchio riassuntivo compendia tutta l'attività delle squadre di cui sopra fino al giorno 27 novembre. Da tale data l'attività è andata rapidamente scemando e si è limitata essenzialrnente ad opere di assistenza tecnica specializzata agli enti di ripristino dei vari servizi e allo sgombero massiccio delle macerie. A prescindere da altre considerazioni particolari, relative ai singoli tipi di mezzi utilizzati ed ai criteri d'impiego dei reparti, che faranno oggetto di un apposito e più approfondito studio, si ritiene, a conclusione della presente relazione, mettere in risalto tre considerazioni di valore generale e cioè:
a) In pratica si è ancora una volta dimostrata la necessità di disporre esclusivamente di mezzi a trazione integrale.
b) Il trasporto e la disponibilità di propri mezzi cingolati per la rimozione di macerie si sono rivelati preziosi sia per la rapidità dell'intervento sia per la necessità che il Comando del reparto ha di impiegare detti mezzi anche in condizioni ed in circostanze molto pericolose, cosa che risulterebbe piuttosto problematica qualora si dovessero utilizzare mezzi requisiti in sito.
c) La assoluta necessità, più che la utilità, di disporre di elicotteri propri perchè in effetti il coordinamento con altri enti risulta non sempre agevole ed i criteri d'impiego dei Vigili del fuoco non possono sempre essere fatti propri da altre autorità.

QUADRO RIASSUNTIVO DEGLI INTERVENTI EFFETTUATI DALLA
I COLONNA MOBILE DI SOCCORSO E DALLE SQUADRE AGGREGATE

1) Traghettamento di civili ed evacuazione sinistrati da località isolate n. 44.
2) Recupero capi di bestiame.
3) Costruzione passerelle di fortuna sul Piave, n. 3.
4) Prosciugamento di abitazioni . . n. 16
5) Ripristino provvisorio di acquedotti n. 3
6) Recupero salme n. 691
7) Trasporto salme recuperate da altri reparti ai centi di raccolta . . . n. 370
8) Distruzione carogne n. 91
9) Scavi eseguiti per il seppellimento di salme e trasporto di terreno per l'interramento mc. 8.500
10) Strade di accesso a terreni golanali aperti e ripristino strade Km. 7.500
11) Materiale rimosso per il ripristino strade e apertura vie di accesso ai terreni golenali, mc. 18.650
12) Rimozione macerie per ricupero salme mc. 6.750
13) Rimozione legname per ricupero salme mc. 7.100
14) Trasporto ghiaia per ripristino strade (a servizio del Genio Civile) mc. 7.650
15) Rimozione legname dalla diga di Sovérzene mc. 8.170
16) Demolizione di strutture in c.a. mc. 250
17) Demolizione di piccoli fabbricati pericolanti n. 4 18) Incenerimento materiale infetto ql. 1.650
19) Recupero fusti di cianuro di potassio n. 59
20) Recupero casseforti di banche . . n. 3

QUADRO RIASSUNTIVO DEI MEZZI IMPIEGATI E CONSUMI

- Automezzi vari impiegati . . . n. 104
- Benzina consumata . . . . . . lt. 10.470
- Gasolio consumato . . . . . . lt. 7.510
- Chilometri percorsi . . . . . . 65.300
- Lavoro (uomini per ore) . . . . 26.580

Fabio Rosati



SBLOCCATO IL PIAVE AL PONTE-DIGA DI SOVÉRZENE

Relazione del 1° Ispettore
dott. Ing. Ernesto Lazzarotto

La disastrosa ondata del Vajont, oltre a distruggere Longarone e gli altri paesi che si adagiavano nella valle del Piave mietendo migliaia di vittime, provocò nel suo moto verso la valle, tutta una serie di distruzioni che, seppure incomparabilmente minori delle precedenti, richiesero il pronto intervento delle squadre di soccorso per evitare prevedibili pericoli e ulteriori gravi danni. L'ondata, infatti, trascinò verso valle, i detriti di case e di fabbriche, macchinari, mobili e alcune migliaia di metri cubi di legname costituenti le scorte di numerose segherie ed industrie locali. L'acqua inoltre asportò completamente tutti gli alberi che sorgevano entro il letto e sulle sponde del fiume, il cui flusso era regolato dalle opere costruite per sfruttare integralmente le acque, compreso un bosco di pini secolari. Questo materiale, nella sua marcia devastatrice verso la valle incontrò, sotto Fortogna, quale primo ostacolo trasversale, il ponte-diga di Sovérzene. Il manufatto era costituito per due terzi della sua lunghezza, pari a metri 680 da un rilevato in terra su cui scorreva il nastro stradale collegante Sovérzene alla Statale 51 di Alemagna; per il terzo restante, pari a metri 325, da un ponte-diga in cemento armato. L'opera, oltre ad assicurare il collegamento dello abitato di Sovérzene e della Val Gallina al resto della vallata, permetteva di derivare dal Piave la portata d'acqua necessaria ad alimentare il lago di Santa Croce. Il rilevato stradale era protetto, a monte e a valle, da un vasto bosco. In prossimità dell'opera si stendevano anche varie linee elettriche collegate alla Centrale elettrica di Sovérzene, sita subito a monte del manufatto, sulla sponda sinistra del fiume. I materiali più leggeri, portati dal fronte dell'onda di piena, si ammassarono in gran quantità dinnanzi alle luci di scarico della diga, ostruendole parzialmente. L'onda di piena, immediatamente sopraggiunta, non trovando sfogo attraverso gli scarichi esistenti, sovrapassò il manufatto, asportò il rilevato stradale, divelse le paratoie, abbattè numerosi tralicci delle linee elettriche, rese inutilizzabile tutto quanto non riuscì a travolgere. All'esaurirsi della piena, rimase davanti al ponte-diga, sopra lo stesso, entro le opere di presa a valle, una enorme quantità di detriti, rami, alberi e una selva sterminata di tronchi e tavoloni immersi in un lago di olio combustibile. Agli abitanti di Sovérzene, rimasti isolati ma salvi in tanto cataclisma, si presentò, alle prime luci del giorno, uno spettacolo desolante e drammatico. La valle era irriconoscibile, mancavano interi agglomerati di case, non c'era più strada, una valanga di acqua e ghiaia aveva sommerso i boschetti ancora verdeggianti, abbattuto i tralicci delle linee elettriche letteralmente cambiato il paesaggio. Il ponte-diga era ricoperto da legname e detriti. In mezzo a questo pauroso sovvertimento ebbe inizio l'opera dei soccorritori. Subito si provvide a ricuperare le salme, trasportate dall'acqua assieme ai detriti e depositate nelle zone prossime al ponte-diga. Si creò un passaggio pedonale sopra il manufatto e sul letto del fiume oramai tornato alla sua portata ordinaria. Le autorità locali, conscie di maggiori bisogni dei centri vicini provvidero direttamente con solerzia ai bisogni essenziali della popolazione, e solo il secondo giorno del disastro chiesero il nostro ausilio. Dapprima si pensò ai morti. Le salme raccolte (n. 48), furono trasportate al cimitero di Fortogna che i nostri mezzi meccanici stavano allestendo. Si affrontò poi il problema, urgente, di liberare le luci di deflusso dell'acqua del ponte-diga dall'enorme ammasso di legname e terriccio che le ostruivano. Infatti il manufatto adempiva ad una duplice funzione, come prima accennato: ospitava la sede stradale collegante Sovérzene alla Statale di Alemagna e permetteva di derivare la portata d'acqua necessaria al funzionamento degli impianti idroelettrici costruiti a valle del lago di Santa Croce. Usando ruspe e apripista non sarebbe stato difficile tracciare sul greto sconvolto del fiume una pista carrabile. Sarebbe occorso poi collegarla con una rampa al piano viabile del ponte-diga. Occorreva altresì ripristinare il libero deflusso dell'acqua sotto il ponte perchè una improvvisa piena del fiume avrebbe nuovamente tutto sconvolto.

La Centrale elettrica di Sovérzene era inoltre inattiva perchè non riceveva più la portata d'acqua degli impianti a monte (Pieve di Cadore, Vajont, Gallina). La centrale faceva parte infatti ad un complesso e perfetto sistema che la catastrofe aveva messo in crisi. L'acqua, una volta utilizzata dalla Centrale di Sovérzene, veniva avviata verso il lago di Santa Croce con un apposito canale. Si comprende quindi da quanto esposto come il lago nominato venisse a mancare dell'intera portata proveniente dalla valle del Piave. Esaurito il suo invaso sarebbero rimasti fermi tutti gli impianti siti a valle, con grave danno per la produzione di gran parte della regione Veneta.
I tecnici dell'E.N.E.L- SADE, sul posto sin dal primo momento del disastro, avevano nel frattempo provveduto a ripristinare le ringhiere del ponte, abbattute e sommerse dalla furia delle acque, reso transitabile il suo piano viabile e portato a termine altri lavori inerenti alle opere elettriche. Essi inoltre stavano realizzando un sis,tema meccaniico per rirmlavere l'ammasso, di legname e detriti che impediva l'uso delle opere di derivazione. Il dispositivo consisteva in un sistema di funi metalliche sospese sopra il materiale, comandato dal lato di Sovérzene da un verricello mosso elettricamente, e alla estremità opposta guidato invece da un mezzo cingolato ancorato sul greto del fiume. Alle funi era collegato un'attrezzo opportunamente sagomato al fine di agganciare il legname. Il dispositivo peraltro si dimostrò subito non adatto perchè il legname era per buona parte coperto da macerie e il tutto formava un groviglio pressochè inestricabile.

Bisognava ricorrere ad altri mezzi. Nella zona, fin dalla prima notte della tragedia erano all'opera le nostre squadre. Il greto del fiume era stato rastrellato per vari giorni e numerose salme erano state recuperate unitamente alla maggior parte dei fusti di cianuro di sodio asportati dalla piena da un locale stabilimento. Rimanevano da rimuovere i cumuli di legname e detriti sotto i quali, certamente, si trovavano altre vittime. L'Ispettore Generale Ing. Stefano Gabotto e il Comandante della I Colonna Mobile Ing. Fabio Rosati giudicarono indispensabile l'intervento dei nostri uomini e mezzi nell'opera di sgombero del sostegno di Sovérzene.
In quell'intrico di detriti e di legname era infatti lecito pensare si trovassero numerosi cadaveri. L'incarico venne affidato allo scrivente.

Guardando quell'enorme ammasso di tronchi, rami, tavole e fogliame immersi in un lago di olio combustibile, il primo pensiero fu di ricorrere all'esplosivo. Solo col suo uso si poteva sperare di giungere rapidamente a formare un varco nella massa. Furono fatte alcune prove con l'ausilio di un artificiere degli alpini. Esse rivelarano che, usando il tritolo, non vi era pericolo di incendiare l'olio, combustibile galleggiante, che si trovava sull'acqua in grande quantità. Ma l'impiego dell'esplosivo era sconsigliato dalla presenza di due linee elettriche ad alta tensione tese proprio sopra il bacino invaso dal materiale. Una delle linee convogliava agli impianti della distribuzione della Centrale di Sovérzene l'energia proveniente dall'Austria. L'eventuale interruzione della corrente in conseguenza delle espiosioni avrebbe causato l'arresto degli opifici al lavoro e delle stesse operazioni di soccorso vincolate alla disponibilità di energia elettrica. L'uso dell'esplosivo venne quindi scartato d'accordo coi tecnici dell'E.N.E.L-SADE. Fu necessario ripiegare sul solo impiego dei mezzi meccanici disponibili sul posto. Valutata attentamente la situazione, si concluse che, usando la tecnica tradizionale, solo con un lungo e paziente lavoro sarebbe stato possibile aprire un canale attraverso il materiale. Perciò si progettò di operare diversamente. Se si fosse riusciti a fare in modo che l'acqua giungesse, almeno in un limitato settore, a sottopassare lo sbarramento costituito dai detriti e dal legname si poteva sperare che la stessa corrente effettuasse il maggior lavoro. In tal modo infatti l'acqua, lavorando sotto il materiale depositato, avrebbe dapprima asportato limo e materiale minuto, fino a liberare i tronchi dai detriti che li inglobavano come se fossero conficcati nel letto del fiume.
In un secondo momento la stessa acqua avrebbe potuto provocare la «fluitazione» del legname, liberando così gradualmente il mastodontico ingorgo. In termini idraulici era una specie di «botte a sifone» quella che si pensò di realizzare. Avevamo, disponibili nell'accampamento, costituito entro lo stabilimento della Faesite a Faè, due autogrue. Nei giorni precedenti esse avevano trasportato le carogne degli animali, soprattutto bovini, entro fosse appositamente preparate da nostri escavatori. Al momento erano disponibili. Accertato che malgrado le lesioni riportate dalla struttura portante del ponte esse si potevano impiegare, vennero avviate sul posto con oltre 70 Vigili e due Ufficiali. Vennero disposte in modo da utilizzare il braccio dell'una e il verricello dell'altra.

Tre «Tractel», sorta di praticissimi paranchi a mano, furono ancorati in appropriate posizione onde agevolare il lavoro.
I mezzi elencati si rivelarono in seguito come i più adatti per districare tronchi e alberi da quella caotica selva. Il lavoro all'inizio si svolse all'asciutto, senza eccessive difficoltà. Verso sera però l'impresa divenne più complicata per la difficoltà di aggancio e ancor più di sgancio del materiale. Le due autogrue dovevano operare di conserva e, sovente, farsi aiutare dai «Tractel». Gli uomini scesi sopra il materiale da rimuovere lavoravano assicurati con cordino, tenuto teso da altri uomini posti sul piano viabile del ponte. Infatti, sotto i piedi dei primi scorreva impetuosa l'acqua del Piave: un passo falso, uno scivolone su di un tronco reso viscido dalla nafta poteva significare la morte. L'acqua discendeva a cascata dalla diga di materiale al cui piede, sito a ridosso del ponte, si voleva creare una fossa. Un tronco mosso poteva provocare lo spostamento di altri vicini e lo stritolamento degli arti degli uomini che operavano l'aggancio del legname. Il nostro personale peraltro, largamente allenato a lavorare in condizioni di pericolo, operava con cautela e perizia. Veri maestri in questo lavoro si mostrarono ben presto i Vigili veneziani.
È anche da dire che il lavoro, oltre che difficile, si svolgeva in un ambiente particolarmente ostico. Malgrado il sole e il cielo sereno, l'acqua era gelida e il freddo vento spazzava la valle penetrando fin nelle ossa. L'intero primo giorno di lavoro fu speso per liberare dal legname una piccola zona non superiore ai 30 metri quadrati di superficie. Veramente poco se comparato a quanto restava da fare. Però in quel tratto scoperto l'acqua aveva un netto movimento ascensionale ed era scura per la fanghiglia che trasportava. Essa aveva cominciato a sottopassare il legname e il nostro progetto prometteva di concretizzarsi. Il giorno seguente il lavoro riprese con lena accresciuta dall'esperienza e dalla certezza di aver visto giusto. La squadra di Venezia aveva preparato gl «sbiri».
Il termine dialettale veneziano indica delle funi provviste ad una estremità di un cappio e all'altra di un nodo scorsoio. Ogni fune veniva agganciata ad un tronco scelto con oculatezza. I cappi di varie funi venivano quindi allacciati al gancio delle autogrue. Operando in tale maniera, e per l'effetto della diversa lunghezza delle funi e per la diversa posizione del materiale allacciato, ogni fune entrava in trazione in momenti diversi permettendo al verricello delle autogrue di sfilare uno alla volta tronchi e tavoloni dal cumulo e di sollevare quindi, alla fine, tutto in un unico grappolo.
Nel mentre i mezzi meccanici tiravano, la squadra provvedeva ad allacciare la seconda serie di «sbiri». Questo metodo, rivelatosi ottimo, permise di operare con notevole efficacia e rapidità. In un altro tratto del ponte, presso lo sghiaiatore, operava una ditta privata per conto dell'E.N.E.L-SADE con un centinaio di operai. Avevano iniziato il lavoro contemporaneamente.
Essi usavano una tecnica diversa dalla nostra per rimuovere il materiale. Facevano uso di seghe portatili a motore, di alcuni verricelli e di arpioni da boscaiolo. Il confronto fra i due modi di operare fu interessante e, in qualche momento, lavorammo in collaborazione. Verso mezzogiorno l'acqua, nel tratto da noi liberato, veniva su impetuosa. Si era formato un sifone di notevole portata sottopassante il materiale. Ormai gli uomini che lavoravano sopra il materiale non potevano più venire efficacemente assicurati con cordini dal ponte, perchè erano troppo a monte dello stesso. Perciò essi venivano assicurati da una apposita squadra inviata in una zona sicura sita a monte dello sbarramento. Estremamente difficoltoso divenne allacciare alcuni tronchi d'albero che, veri puntelli sommersi, trattenevano una enorme quantità di materiale. Per questo lavoro fu necessario assicurare un vigile al braccio di un autogrue e calarlo sapra le onde del fiume, profonde in quel punto vari metri.

L'operazione, lunga e difficoltosa, venne portata a termine con atletica perizia dal vigile Lissandron del Comando di Venezia.
Era ormai sera allorquando, iniziato il tiro di una ennesima serie di «sbiri», si vide il cavo d'acciaio della autogrue allentarsi. Una enorme massa di legname si era messa in moto, sollevata improvvisamente dall'acqua che la sottopassava. Gli uomini corsero prontamente al sicuro e tutti rimasero a guardare. Il legname avanzava lentamente con colpi sordi e violenti scricchiolii, tutto smuovendo e travolgendo sul suo cammino. Pareva un'isola in movimento.
C'era da temere, data la sua massa, che si arrestasse nuovamente a ridosso alle pile del ponte annullando ogni nostra fatica. Invece, fortunatamente, cominciò a passare. Avevamo spezzato la diga formatasi a ridosso del manufatto, un canale si era aperto. Era quindi possibile continuare il lavoro sfruttando la corrente del fiume e fluitare il legname che non si poteva recuperare. Vennero a complimentarsi tutti i presenti e particolarmente gli operai della impresa che lavorava vicino a noi. In effetti il sistema da noi adottato, e che così rapidamente aveva conseguito lo scopo voluto, era stato possibile soprattutto grazie alla preparazione e alla volontà del nostro personale. Un po' di impegno e di fortuna avevano fatto il resto.

Si tornò sul posto anche il giorno seguente, ma oramai il lavoro non aveva più carattere di urgenza. A completarlo bastava l'impresa dianzi ricordata. Le salme recuperate durante lo smassamento furono quattro. Nessun infortunio fra il personale operante si ebbe a lamentare malgrado la pericolosità del lavoro. I mezzi impiegati funzionarono egregiamente e perfetto fu il collegamento radio col campo base. Il Comando operativo potè così seguire passo passo l'andamento dei lavori e inviare tempestivamente sul posto tutti i mezzi necessari al miglior andamento delle operazioni. Ecco il quadro riassuntivo degli uomini, mezzi e tempo impiegato nelle operazioni al ponte-diga di Sovérzene:

Uomini n. 72 - di cu,i Uffialali n. 2 - Sottufficii n. 3 Vigili sc,elti e oig,,'li n. 62.
Autogrue n. 2 - Atocarri n. 3 - Anfibi n. 1 - Bache rli plastica. n 1 - caY1¢ti pn,eam,tici n. 1 - Cm pagnole n. 4 - Radio mobili su automez2;i n. 1 Radio portatili n. 2 - Paranch: metallici n. 3.
Ore lavoro/uomo 21 per complessive 1.512 ore lavorative.
Materiale spostato: mc. 2.500 circa.
Salme recuperate: n. 4 (oltre le 43 recuperate prima dell'inizio dell'operazione di rimozione del materiale e legnami).
Fusti di cianuro recuperati: n. 5.

Ernesto Lazzarotto

I SOMMOZZATORI AL BACINO DI BUSCHE

Relazione dell'Ispettore Superiore
dott. Ing. Gino Lo Basso

La squadra sommozzatori di Genova, agli ordini dello scrivente, giungeva a Feltre verso le ore 14 del giorno 26 ottobre.
Essa era composta dal personale seguente: Brig. Marengo Mario, Vig. Sc. sommozzatore Benzini Ermenegildo, Vig. Sc. somm. Ferrazin Severino, Vig. Sc. somm. Bruno Mario, Vigile somm. Morando Angelo, Vig. Sc. somm. Piccioni Giulio, Vig. Sc. Molinari Michele e Vigile Bortolus Enrico. A Feltre trovavasi già la squadra di Vicenza, forte di otto unità, agli ordini del Brig. Bernardi Alfio e la locale squadra del distaccamento di Feltre agli ordini del Brig. Martagon Attilio.

Il compito delle squadre di questo Settore era:
1) ricerca e recupero delle eventuali salme e fusti di cianuro nella zona del bacino di Busche, bacino di superficie di circa 50.000 mq., dovuto alla presenza di un ponte-diga lungo circa m. 200. La profondità dell'acqua variava da m. 2 a m. 11 circa;
2) intervento subacqueo nelle zone sinistrate dovunque si riteneva opportuno e possibile; 3) completamento delle ricerche eseguite dalle squadre che ci hanno preceduto nel Settore di Feltre.

Organizzati i servizi logistici («cucina, spesa, locali etc.»), si disponeva che la squadra del distaccamento locale rinfolzata di due uamini della squadra di Vicenza restasse in permanenza in sede per i normali servizi di istituto. La squadra di Vicenza e quella di Genova dovevano assolvere i compiti prima descritti. Nel pomeriggio del 26 ottobre, ricevuto le consegne, lo scrivente, accompagnato dal 1° Ispettore Ing. Ravajoli, si recava alla Diga di Busche e si faceva descrivere le operazioni fino allora eseguite. Congedato quindi l'ing. Ravajoli, affinché per tempo potesse rientrare a Genova, mi intrattenevo col personale addetto alla Diga per assumere tutte le informazioni necessarie circa i particolari costruttivi delle chiuse, delle griglie di presa, dei muri di protezione e di convogliamento dell'acqua, etc. Ciò per poter prevedere e valutare i risucchi a cui il sommozzatore in immersione poteva essere sottoposto e per predisporne quindi le necessarie misure di sicurezza.

27 ottobre
La mattina del 27 ottobre mi recavo alla Diga con la squadra di Genova e con quella di Vicenza per iniziare le operazioni. Alle ore 9.30 circa tutti i sommozzatori erano pronti per l'immersione. Il resto del personale a disposizione era addetto ai mezzi di appoggio, costituiti da una barca e da un battello pneumatico. La prima immersione eseguita dal sottoscritto accompagnato dal Vig. Sc. Enzo Benzini, aveva lo scopo di esplorare le opere della parte destra della Diga, di valutare il risucchio dovuto alla presenza della griglia di presa, di constatare la natura del fondo e la visibilità esistente, unitamente a tutti gli altri elementi necessari per poter delimitare il campo di ricerca e seegliere il sistema più redditizio per eseguire le operazioni. La immersione di prova e di accertamento durò 35' circa. Si poté constatare che:
a) il risucchio dovuto alla griglia era notevolissimo e difficilmente vincibile dal sommozzatore a mezz'acqua e privo di appigli;
b) il fondo era variabile e si alternavano zone di ghiaia con zone di melma e il medesimo era disseminato di ostacoli vari (radici di piante, ferri, grossi massi di pietra, ecc);
c) la visibilità nelle zone ghiaiose era di metri 1/1,50 e nelle zone melmose al massimo metri 0,50 prima del passaggio della zone e nulla dopo il passaggio;
d) le opere di protezione e muri di convogliamento erano rispondenti alle descrizioni avute il giorno prima;
e) l'aqua era molto fredda, il che doveva limitare la durata delle singole immersioni.

In base n quanto osservato fu delimitato, mediante boette, il campo di ricerca di circa 10.000 mq. di superficie sul lato destro del bacino e si decise di adottare il sistema di ricerche per corsie mediante una fune guida che veniva spostata ad ogni passaggio dei sommozzatori. Quindi i sommozzatori si alternavano in immersioni di circa 45' circa. Le immersioni di ricerca continuavano fino alle ore 14.30, dopodiché tutti i sommozzatori, esaurite le proprie riserve di calorie, sospesero le immersioni. In totale sono state eseguite 8 ore di immersione.

28 ottobre
La squadra sommozzatori di Genova continuava la ricerca subacquea sistematica dal lato sinistro della Diga verso monte alternando i sommozzatori }n immersione ogni 45'. Furono esplorati 10.000 mq. circa di fondo per un totale di ore 7,30 di immersione. Contemporaneamente la squadra di Vicenza agli ordini del Brig. Bernardi eseguiva la ricerca a terra nei cespugli e nelle pozzanghere nella zona a circa un Km. a monte della diga in cui si vedevano chiaramente i segni del passaggio della corrente.

29 ottobre
La squadra di Vicenza continuava il lavoro intrapreso il giorno precedente, eseguendo le ricerche sul lato destro del fiume e sugli isolotti centrali. La squadra sommozzatori completava l'esplorazione subacquea nella parte centrale del bacino. In questa zona, a causa del fondo ghiaioso, la visibilità era notevolmente migliorata e quindi la ricerca fu molto più spedita. Inoltre nella zona più a monte l'acqua era bassissima e larghi tratti potevano essere controllati dalle imbarcazioni. Si passava quindi all'esplorazione delle zone profonde a valle della Diga e a valle del vecchio ponte (profondità fino a 8 metri).
In questa zona furono trovati molti ostacoli subacquei (vecchi muri trasversali, grovigli di ferro, strutture in cemento armato con ferri sporgenti) che avrebbero potuto favorire il fermarsi delle salme. Furono totalizzate circa 8 ore di immersione ed esplorate in totale 20.000 mq. di fondo. Il lavoro durò dalle ore 8 alle ore 14.30. Con questo potevano considerarsi chiuse le ricerche subacque nel fondo del Bacino di Busche e concludere quindi che nel bacino medesimo non esistevano né salme né fusti di cianuro. L'unica incertezza che restava era che sotto gli strati di melma che ricoprivano vaste zone di fondo poteva esserci qualche cosa. Comunque per questa incertezza dal punto di vista subacqueo non era possibile far nulla.

30 ottobre
La squadra sommozzatori eseguiva un sopralluogo nella zona di Longarone e sulla Diga del Vajant. Nella zona di Longarone esisteva uno specchio d'acqua che era solo una pozzanghera melmosa in cui non era possibile impiegare utilmente il sommozzatore. Lo specchio d'acqua rimasto verso la Diga del Vajont non era praticamente accessibile e se anche lo fosse stato non sarebbe stato opportuno impiegare i sommozzatori a causa del continuo franare del terreno circostante, terreno che certamente avrà già sepolto le salme che trovavansi sul fondo.

31 ottobre
La squadra sommozzatori eseguiva un sopraluogo a Sovérzene. Neppure in questa zona c'era la possibilità di impiegare utilmente i sommozzatori. Al ritorno la squadra si fermava nella zona a qualche km. a nord di Busche, dove esplorava visivamente alcuni isolotti e specchi di acqua ferma.

1 novembre
Essendo rimasta qualche incertezza circa la possibilità che sotto gli strati di melma nel bacino delle Busche e specialmente in certi punti della zona bassa potessero esserci delle salme, venne chiesto alla Società Elettrica interessata di effettuare lo svuotamento del bacino, il che fu concesso. Si convenne che l'apertura delle chiuse avrebbe avuto inizio alle ore 8 del giorno 1 novembre. Per la circostanza lo scrivente chiese i rinforzi al personale del settore di Feltre e gli venne inviata una squadra di Venezia agli ordini del V. Brigadiere Viani. Quindi, tutto il personale a disposizione (squadre cli Genova, Vicenza, Venezia e Verona), in totale 130 uomini, venne scaglionato sulle due sponde a valle della Diga, fornito di mezzi necessari (ramponi, corde, etc.) per fermare le eventuali salme trasportate dalla corrente.
Illustravo personalmente ai tecnici della Società Elettrica e all'Ingegnere del Genio Civile presenti lo scopo dell'operazione, indicando ai medesimi le zone a monte maggiormente melmose e chiedendo loro di realizzare l'apertura delle chiuse in modo da creare in dette zone correnti più forti possibili che certamente avrebbero rimosso e trasportato a valle la maggior parte della melma. Infatti l'operazione venne eseguita in tal senso con esito più che soddisfacente. Quando il bacino era vuoto e nel greto scorreva soltanto la portata normale del fiume, il personale scaglionato lungo le sponde risaliva lentamente la corrente eseguendo un rastrellamento completo. Quindi il personale veniva fatto passare a monte della diga, dove eseguiva un controllo scrupoloso della zona. Terminato questo lavoro estremamente faticoso, che è durato alcune ore e sempre sotto una pioggia torrenziale, provvedevo a far richiudere le chiuse della diga ed inviavo di nuovo tutto il personale a valle affinchè, in assenza completa della corrente e con un livello bassissimo, controllasse ancora tutta la zona. Le fosse esistenti venivano ancora scandagliate e fatte controllare da sommozzatori. Alle ore 15 circa il lavoro iniziato alle ore 8 era completamente terminato. Nel bacino delle Busche non c'era proprio più nulla da fare e quindi il personale restava a riposo in attesa dell'ordine di rientro nelle proprie sedi. A conclusione di questa relazione ritengo doveroso segnalare e mettere in evidenza:
1) la perfetta organizzazione logistica del settore di Feltre, disposta dall'Ispettorato della III Zona e realizzata dal Comando Provinciale di Belluno;
2) la piena ed incondizionata collaborazione di tutti i nuclei VV.F. con cui ho avuto da fare;
3) lo spirito di abnegazione e di disciplilua con cui tutto il personale dipendente si è prodigato nello assolvere nel migliore dei modi il compito assegnatogli;
4) una menzione speciale meritano i sommozzatori i guali agendo in condizioni proibitive e particolamente rischiose, sopportando stoicamente il freddo oltre i limiti umanamente possibili, hanno dimostrato ancora una volta di possedere una preparazione tecnica perfetta, un entusiasmo ed un controllo assolutamente fuori dell'ordinario.

Gino Lo Basso

L'ATTIVITÀ DI VOLO DEL GRUPPO ELICOTTERI AL COMANDO DEL
I° ISPETTORE DOTT. ING. ANTERO BUZZELLI

Durante le operazioni di emergenza nella zona sinistrata di Longarone è stata svolta la seguente attività di volo da parte di elicotteri del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco, al comando dell'ing. Antero Buzzelli:

10 ottobre 4h 15' - Trasferimento Milano - Mestre e Mestre Belluno. 1h 30' - Ricognizione in zona operazioni.
11 ottobre 7h 25' - Ricognizione zona di operazioni. Trasporto autorità Trasporto n. 18 sinistrati a Codissago. Trasporto di n. 720 di tubi di plastica per acquedotto da Castellavazzo a Codissago.
12 ottobre 6h 40' - Trasporto da Castellavazzo a Codissago di: 1 q. di pasta e pane - 1 q. di farina - 50 1. di latte. 100 coperte -15 sinistrati. N. 2 trasporti di medicmali da Belluno a Castellavazzo. Trasporto da Codissago a Belluno di n. 2 medici e numero 2 ammalati. Trasporto di autorità e tecnici sulla zona.
13 ottobre 3h 40' - Trasporto di medicinali da Belluno a Castellavazzo. Ricognizione settore Nord e Centro. Ricognizione settore di Erto e consegne messaggi. Ispezione sulla diga.
14 ottobre 5h 00' - N. 3 traspcrti medicinali sul settore Nord Ricognizione sulla diga con tecnici. Trasporto operatore R.A.I. 15 ottobre 3h 40' - Trasporto Com.te settore Sud a Feltre e ricognizione. Ricognizione settore Nord. Trasporto autorità e tecnici Jugoslavi.
16 ottobre 3h 40' - Trasporto Ispettore Generale a Feltre e ritorno. Ricognizione settore Sud. Ricognizione settore Nord. 17 ottobre 3h 15' - Ricognizione sulla diga. Ricognizioni settore Centrale. Trasporto operatori R.A.I 18 ottobre 1h 40' - Ricognizione sui vari settori.
19 ottobre 3h 30' - Ricognizione sui vari settori. Trasporto a Pieve di Cadore V. Com.te Colonna Mobile.
20 ottobre 2h 15' - Ricognizione vari settori con Com.te Colonna Mobile. 28 ottobre 1h 00' - Trasporto Prof. De Gennaro a Maniago. Trasporti messaggi a Erto.
24 ottobre 0h 45' - A disposizione Ispettorato.
25 ottobre 1h 00' - Collegamento Erto.
26 ottobre 0h 10' - Attività sul campo Ispezione Elicottero.
27 ottobre 2h 40' - Trasferimento da Belluno a Milano. In totale sono state effettuate 55h 40 m ore di volo. Benzina Avio consumata lt. 2.110. I mezzi di appoggio hanno percorso Km. 1.S68 con consumo di lt. 381 di gasolio.

B) AL COMANDO DEL 1° COADIUTORE RAG. FRANCO COPPI

Stralci di volo relativi all'attività svolta dagli Ufficiali piloti elicotteri Vigili del Fuoco nucleo «Modena» al Comando del 1° Coadiutore Franco Coppi:
- 1° Coadiutore Coppi Franco ...voli 193 per complessive 85h 25'
- Coadiutore Iadarola Guido .....voli 218 per complessive 72h 40'

-----------------------------------------------------       totale 158h 05'

Consumo benzina avio litri 10.865.

L'efficienza dei piloti, degli specialisti e dei mezzi è stata pienamente rispondente alle esigenze. Alla mancanza di una radio di bordo, atta a effettuare i collegamenti con i mezzi VV.F. operanti nella zona, si è supplito con una radio portatile (non sempre usabile per un probabile difetto di schermature).

Tra gli insegnamenti desunti dall'attività svolta nella zona sinistrata, si segnala:
    a) l'opportunità che nel caso di grandi calamità sia affidato ad un ufficiale pilota a terra (anche non più idoneo al volo), l'incarico di coordinare le varie missioni da effettuarsi, svolgendo così mansioni analoghe a quelle di un direttore di scalo o di linea di volo;
    b) l'opportunità dell'installazione a terra di una radio con frequenza uguale a quella installata sugli elicotteri che consenta un controllo continuo dei mezzi di volo, in modo da consentire che le missioni in corso possano essere modificate a seconda dei nuovi eventi che si verificassero.

I COLLEGAMENTI RADIO

Relazione del I° Ispettore,

dott. Ing. Ernesto Lazzarotto

A proposito dei collegamenti radio realizzati nel quadro delle operazioni di intervento per la sciagura del Vajont, è bene ricordare che nel corso del 1963 la Superiore Direzione Generale dei Servizi Antincendi disponeva la sostituzione di tutti gli apparati ricetrasmittenti in dotazione al Corpo Nazionale con altri transistorizzati.
L'operazione si era resa indispensabile a seguito delle nuove frequenze assegnate alle telecomunicazioni dei Vigili del Fuoco.
Al verificarsi della sciagura non tutti i Comandi Provinciali avevano potuto installare le ricetrasmittenti fisse mod. CTR 44 D5U, mentre invece tutti i Comandi della zona avevano in dotazione su determinati automezzi le nuove apparecchiature ricetrasmittenti mod. 60/7 della Ditta PROD-EL S.p.A. di Milano. Risultavano ancora sprovvisti dell'impianto ricetrasmittente fisso i Comandi Provinciali di Belluno (entro la cui giurisdizione avvenne il disastro) e di Treviso, centro più prossimo alla zona disastrata. Tutti i restanti Comandi Provinciali del Veneto avevano in efficienza anche l'impianto fisso Marelli predetto. Nessun ponte era stato peraltro ancora installato nella zona. Le località interessate dal disastro erano in parte situate entro la sinuosa valle del Piave a quota compresa fra 880 e metri 420, e parte nella valle laterale del Vajont a quota superiore agli 800 m. Entrambe le valli risultano incassate fra scoscesi monti che superano abbondantemente i mille metri.

Le comunicazioni stradali, ferroviarie e telefoniche erano state distrutte: quindi la realizzazione di un efficiente sistema di comunicazione fra le varie località era essenziale sia ai fini del soccorso che del coordinamento di tutte le operazioni. Fin dal primo momento, ogni automezzo dotato di ricetrasmettente venne ricercato e utilizzato, avendo per fine di realizzare una rete di collegamenti quanto più perfetta e completa possibile, sia per i vari settori operativi, sia coi Comandi viciniori, per il sollecito ed esatto inoltro di materiali e mezzi altrimenti non reperibili. Alle prime ore del giorno 10 erano disponibili sette automezzi provvisti di ricetrasmittente PROD-EL mod. 60/7 ed una decina di ricetrasmittenti spalleggiabili PROD-EL mod. 60/8; esse vennero immediatamente impiegate nei seguenti settori operativi:

- Settore Nord: Comando attendato a Castellavazzo - quota 450 circa.

- Settore Est: Comando attendato a Erto - quota 850 circa.

- Settore Centrale: Comando attendato a Faè - quota 420 circa.

- Settore Sud: Comando entro caserma del Comando Provinciale di Belluno.

Le due autoradio restanti rimasero a disposizione degli Ufficiali che effettuavano le indispensabili ricognizioni, dirigevano e coordinavano le squadre al lavoro. Le ricetrasmittenti spalleggiabili vennero utilizzate dalle squadre spostatesi oltre il fiume e nelle zone più impervie alla ricerca dei pericolosi fusti di cianuro asportati dalle acque.

Nella zona mancava tutto: l'acqua potabile che si temeva fosse inquinata, i teli per coprire le salme ignude, le barelle per il loro trasporto dal greto del fiume, i disinfettanti, i medicinali e i viveri per gli abitanti rimasti isolati.
Via radio venne tutto richiesto e fatto pervenire puntualmente e celermente.
Il soccorso risultò tempestivo, ogni uomo e ogni mezzo potè essere impiegato nel modo più produttivo. Vennero cercate le posizionii più adatte per la ricetrasmittente perchè la situazione orografica includeva zone d'ombra nella propagazione delle trasmissioni. Si cercò inoltre, subito, di realizzare un collegamento fra il Comando di Belluno e il Comando di Venezia. A tale fine venne inviata una autoradio sulla sommità del Col Visentin, il monte sovrastante Belluno. L'esperimento diede esito positivo in quanto l'autoradio riusciva a comunicare sia con Belluno che con Venezia e perciò venne usato quale ponte fra i due Comandi. La mattina del giorno 11 ottobre giunse sul luogo la Colonna Mobile. Essa era dotata di quaranta automezzi quasi tutti provvisti di ricetrasmittenti PROD-EL, mod. 60/7 e di numerose ricetrasmittenti spalleggiabili.

Lo scrivente venne incaricato di coordinare i collegamenti radio fra le nuove unità e quelle già operanti in modo da avere una rete completa e pienamente efficiente. L'operazione venne attuata con facillità e rapidità estrema dato che tutte le apparecchiature ricetrasmittenti funzionavano alla perfezione. Mancando i ponti radio, dei sei canali di cui risultano dotati i PROD-EL mod. 60/7 solo tre, e precisamente i dispari, erano da usare. Perciò venne disposto come segue:
- Canale 5 a disposizione delle ricetrasmittenti fisse e per i collegamenti con i Comandi viciniori;
- Canale 3 a disposizione delle ricetrasmittenti su automezzo. Capomaglia il Carro Comando della la Colonna Mobile sito in Faè - Stabilimento della Faesite;
- Canale 1 a disposizione delle ricetrasmittenti portatili.

Chiunque voleva comunicare, scelto il canale, doveva rimanere un momento in ricezione onde accertarsi di non interferire con altre stazioni in aria. Accertato ciò, chiedeva di poter parlare al capomaglia e quindi comunicava con chi voleva.
Non si rese necessario un Capomaglia per le ricetrasmittenti portatili in quanto la loro limitata potenza di emissione non causava sensibili interferenze. Le squadre appiedate infatti operavano in zone molto distanti tra loro e comunicavano di regola con vari Comandi di Settore su canale 5. Ogni Ufficiale ebbe a sua disposizione una autoradio. Vennero inoltre stabiliti altri due Comandi di Settore a Ponte nelle Alpi (Polpet) e a Feltre. A mezzogiorno del giorno 11 la dislocazione delle postazioni ricetrasmittenti permanenti era completa e così distribuita:

- Settore Nord: Castellavazzo - autoradio PROD-EL mod. 60/7.
- Settore Est: Erto - autoradio PROD-EL mod. 60/7.
- Settore Centrale: Faè (Faesite) - autoradio PROD-EL mod. 60/7.
- Settore Sud: Ponte nelle Alpi (Polpet) - autoradio PROD-EL mod. 60/7.
- Settore Belluno: Comando Provinciale VV.F. - apparato ricetrasmittente PROD-EL mod. 60/7 adattato ad impianto fisso mediante antenna apposita collocata sulla sommità del castello di manovra.
-Settore Feltre: Distaccamento VV.F. locale - apparato PROD-EL mod. 60/7 - sistemato come sopra.
- Settore Venezia: Comando Provinciale VV.F. apparato ricetrasmittente Marelli, mod. CTR 44 D5U.
Entro il giorno 11 venne ritirata l'autoradio inviata sul Col Visentin. Ciò fu possibile perchè il Comando VV.F. di Padova inviò a Belluno due antenne e relativi cavi coassiali, realizzati tempo prima nell'officina del predetto Comando al fine di sostituire temporaneamente l'impianto fisso Marelli, non ancora assegnato, con un apparecchio PROD-EL, mod. 60/7 posto a disposizione del telefonista. Tali antenne avevano consentito, la ricetrasmissione fra autoradio e Comando Provinciale in tutto il territorio della Provincia. Analogo risultato si ottenne a Belluno che potè in tal modo collegarsi direttamente col Comando Provinciale di Venezia.
La predetta dislocazione delle ricetrasmittenti rimase immutata per circa tre settimane e durante tutto questo tempo funzionò perfettamente. Occorre dire che gli apparati PROD-EL mod. 60/7 mostrarono, di possedere eccellenti qualità funzionando perfettamente in tutte le condizioni. Il loro impiego ccn piccole modifiche sull'antenna, consentì di superare le difficoltà connesse colla mancanza di un apparato ricetrasmittente di potenza maggiore a Belluno e colla mancanza di qualsiasi ponte radio ripetitore.

D'altra parte l'apparato Marelli mod. CTR 44 D5U in dotazione a Venezia (fissa) consentì il collegamento fra tutti i Comandi Provinciali delle Regioni con generale soddisfazione. Miglior prova di bontà la nuova attrezzatura ricetrasmettente non avrebbe potuto dare.

CARATTERISTICHE ESSENZIALI DEGLI APPARECCHI USATI

PROD-EL mod. 60/7 - Ricetrasmettitore a transistor VHF/FM gamma freq. 72-79 Mc/s - canali 6 - Potenza di uscita: normale 12/15 Watt - ridotta 5/8 Watt. Dimensioni: larghezza 315 mm. - altezza 87 mm. - profondità 283 mm. - peso Kg. 5,70. Altoparlante larghezza 230 mm. - altezza 105 mm. - profondità 60 mm. - peso, Kg. 2,9.

PROD-EL mod 60/8 - Ricetrasmettitore a transistor VHF gamma freq. 70 - 80 Mc/s. - potenza di uscita 250 Watt. Dimensioni: larghezza 230 mm. - altezza 62 mm. - profondità 220 mm. - peso Kg. 2,9.

MARELLI CTR 44 D5U - Ricetrasmettitore VHF/FM freq. 70/80 Mc/s. canali 4, potenza uscita - normale oltre 40 Watt, ridotta 15/20 Watt.

Ernesto Lazzarotto



LA MISSIONE TECNICA DELLA PROTEZIONE CIVILE FRANCESE

La Missione Tecnica del Servizio Nazionale della Protezione Civile inviata nella zona di Longarone dal Ministero dell'Interno della Repubblica Francese, era così composta:

1- Sig. Deslignes, Capo di Gabinetto del Prefetto-Direttore della Protezione Civile, rappresentante il Ministro

2 - Comandante Gaunay, Capo del Distaccamento Tecnico

3 Comandante Besson, Consigliere Tecnico

4 - Capitano Bailly-Maitre, Capo delle squadre di ricerca delle vittime sepolte

5 - Istruttori del Centro Nazionale di Studi della Protezione Civile di Nanville-les-Roches: signori Fara, Garbi, Daran, Maulouf, Chenoni, Martin Lactoque, Imbest, Lavergne.

Il materiale di dotazione era costituito da 5 geofoni e 3 apparecchi elettronici.

La Missione francese è giunta a Treviso alle 5.30 del giorno 11 ottobre e da qui trasportata immediatamente sui luoghi della catastrofe con autocarro militare, ponendosi a disposizione della Direzione dei Soccorsi. Le informazioni raccolte sul posto e gli accertamenti subito effettuati hanno portato alla conclusione che nessuna sopravvivenza poteva esservi fra le macerie. Gli apparecchi di rilevamento non sono quindi stati impiegati. Dopo uno studio approfondito della situazione e in accordo con le autorità responsabili, il Capo della Missione ha deciso il ritorno in Francia, la stessa notte fra l'11 e il 12 ottobre. Sul piano dell'esperienza tecnica il sopralluogo della missione francese è stato fruttuoso per le tre seguenti ragioni, secondo le dichiarazioni del signor Deslignes:

------- la missione ha potuto registrare interessanti osservazioni sulle cause e modalità della catastrofe

-------- analogamente ha potuto rendersi conto dell'organizzazione generale dei soccorsi

--------- infine, ha potuto effettuare e costituire una utile documentazione fotografica e cinematografica in loco.

L'intervento della missione francese è stato molto apprezzato dalle Autorità preposte all'opera di soccorso e dalla popolazione locale, come segno eloquente di solidarietà da parte dei Servizi di Protezione Civile della Francia amica.



Uomini e mezzi impiegati

COMANDI PROVINCIALI CHE HANNO PARTECIPATO ALLE OPERAZIONI

  1 - Comando Provinciale di ALESSANDRIA
  2 - »»» ASCOLI PICENO
  3 - »»» ASTI
  4 - »»» ANCONA
  5 - »»» AOSTA
  6 - »»» BOLOGNA
  7 - »»» BERGAMO
  8 - »»» BRESCIA
  9 - »»» BELLUNO
10 - »»» COMO
11 - »»» CUNEO
12 - »»» CREMONA
13 - »»» FERRARA
14 - »»» FORLl'
15 - »»» GENOVA
16 - »»» GORIZIA
17 - »»» IMPERIA
18 - »»» LA SPEZIA
19 - »»» MODENA
20 - »»» MACERATA
21 - »»» MILANO
22 - »»» MANTOVA
23 - »»» NAPOLI
24 - »»» NOVARA
25 - »»» PESARO
26 - »»» PAVIA
27 - »»» PARMA
23 - »»» PIACENZA
29 - »»» PADOVA
30 - »»» REGGIO EMILIA
31 - »»» RAVENNA
32 - »»» ROVIGO
33 - »»» SAVONA
34 - »»» SONDRIO
35 - »»» TRIESTE
36 - »»» TREVISO
37 - »»» TORINO
38 - »»» UDINE
39 - »»» VERONA
40 - »»» VICENZA
41 - »»» VARESE
42 - »»» VERCELLI
43 - »»» VENEZIA
44 - »»» la COLONNA MOBILE DI SOCCORSO (Roma)
45 - »»» CENTRO STUDI ED ESPERIENZE
46 - »»» TRENTO



UFFICIALI CHE HANNO PRESTATO SERVIZIO NEI VARI REPARTI

 1 - Isp. Gen. - Dott. Ing. Stefano Gabotto - Ispettore IIIa Zona  2 - Isp. Capo - Dott. Ing. Claudio Catalano - VENEZIA  3 - 1° Isp. - Dott. Ing. Barone Giuseppe - VENEZIA  4 - 1° Isp. - Dott. Ing. Giuseppe Tatano - VENEZIA  5 - V. Coad. - Geom. Giuseppe Iacobone - VENEZIA  7 - Isp. Capo - Dott. Ing. Fabio Rosati COLONNA MOBILE  8 - 1° Coad. - Geom. Luigi Giordano - COLONNA MOBILE  9 - V. Coad. - Geom. Ermanno Corsetti COLONNA MOBILE 10- Isp. Sup. - Dott. Ing. Ambrogio Cappuccini - PADOVA 11- 1° Isp. - Dott. Ing. Ernesto Lazzarotto - PADOVA 12 - Isp. Sup. - Dott. Ing. Federico Fondelli - VICENZA 13- Isp. Sup. - Dott. Ing. Virgilio Casablanca - TRIESTE 14 - Isp. Sup. - Dott. Ing. Michele De Lucia - TRIESTE 15 - Isp. Sup. - Dott. Ing. Adriatico Chiuzzelin - UDINE 16- 1° Isp. - Dott. Ing. Luigi Cogo - TREVISO 17 - Uff. Vol. - Geom. Luigi Sama TREVISO 18 - 1° Isp. - Dott. Ing. Mario Biasutti - BELLUNO 19 - 1° U. Vol. - Geom. Paolo Bolzan - BELLUNO 20° - 2 U. Vol. - Geom. Paolo De Paoli - BELLUNO 21 - 1° Isp. - Dott. Ing. Jano Ravajoli GENOVA 22- Isp. Capo - Dott. Ing. Gino Lo Basso - GENOVA 28 - Coad. - Geom. Enrico Rinaldo - GENOVA 24 - 1° Isp. - Dott. Ing. Antero Buzzelli - MILANO 25 - 1° Cond. - P.L Aldo Cagnoni - MILANO 26 - Coad. - Geom. Antonio Lista - MILANO 27 - 1° Isp. Geom. Vittorio Chiorboli - ROVIGO 28 - 1° Coad. - Geom. Antonio Bersani - PIACENZA 29 - 1° Isp. - Geom. Franco Coppi - MODENA 30 - 1° Coad. - Geom. Guido Jadarola - MODENA 31 - Uff. Vol. - Geom. Saverio Bancher - TRENTO 32 - Coad. - Geom. Sebastiano Guglielmo - NAPOLI 33 - V. Coad. - Geom. Adolfo Pennella Pennetti - COLONNA MOBILE


I NOMINATIVI di TUTTI i Vigili del Fuoco al VAJONT

AUTOMEZZI e ATTREZZATURE

A.V. . . . . . . . . . n. 24
C.A. . . . . . . . . . » 89
A.C.T. . . . . . . . .» 96
A.L . . . . . . . . . .» 10
A.A. . . . . . . . . . .» 6
AP/SIE . . . . . . . . . .» 2
A.P.S. . . . . . . . . .» 3
AUTOGRUE . . . . . . . .» 3
BARCHE . . . . . . . . . .» 32
PALE MECCANICHE . . . . . .» 6
ELICOTTERI . . . . . . . .» 3
SEGHE A MOTORE . . . . . .» 7
TOTALE . . . . . . . . . n. 271

N.B. = Nel numero non sono computati i mezzi che hanno effettuato trasporti vari fra Comandi Provinciali e limitrofi e Belluno.






FONTE:
«L'OPERA DEL CORPO NAZIONALE VIGILI DEL FUOCO NELLA ZONA DEL VAJONT LONGARONE 9 ottobre - 23 dicembre 1963»

Numero speciale della Rivista Mensile ANTINCENDIO E PROTEZIONE CIVILE - R O M A
Edizione speciale ampliata del n. 59 - novembre 1963 di ANTINCENDIO E PROTEZIONE CIVILE - Rivista mensile edita sotto gli auspici del Ministero dell'Interno, Direzione Generale Servizi Antincendi - Organo del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco - Direttore: dott. ing Fortunato Cini - Condirettore: dottore Andrea Pais, responsabile -
Data di stampa: giugno 1964 - Tipografia S T I, via Casilina 767 - Roma.

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