Bepi Zanfron fu tra i primi a raggiungere al buio la zona del disastro

Un reporter tra morti e macerie

BELLUNO. Bepi Zanfron.

00Il fotoreporter bellunese che all'epoca lavorava già per l'Ap (agenzia Associated press), arrivò tra i primi soccorritori. Stava rientrando a casa dopo una lezione serale di tedesco quando a Belluno, in piazza dei Martiri, arrivò il «blackout». Fa per scrupolo una chiamata ai vigili del fuoco per scoprire che erano già in viaggio verso Longarone «dove si è rotta una tubatura, ci sono quattro o cinque morti».

Bepi agguanta la borsa con le macchine fotografiche e i rullini, sale in macchina e si mette a rincorrere i pompieri. «Il cielo era sereno - ricorda Zanfron - eppure c'era tanta umidità e dopo Ponte nelle Alpi dovetti azionare il tergicristallo perchè pioveva giu' dell'acqua mista a terra. E poi non c'era nessuna macchina che provenisse dalla direzione opposta.
A Cima i Prà guardavo il Piave ingrossato e avvolto da una coltre umida. All'altezza di Fortogna scorgo i lampeggianti dei pompieri e mi fermo con loro una decina di minuti.

Continuiamo insieme e sopra la strada, accanto alla chiesetta dei Protti, troviamo la prima ragazza morta*. Lascio la macchina e continuo a piedi fino a Pirago dove l'unica anima che incontro è Ado De Col*, alla ricerca della casa dei genitori».
Zanfron quella notte continua a girare tra i resti di Longarone e Pirago, sdoppiandosi tra fotografo e soccorritore. Le prime immagini sono scattate ancora col buio, poi alle prime luci dell'alba la catastrofe si rivela nella sua terribile realtà. Al posto di Longarone giace una grande spianata da cui affiorano macerie, masserizie e resti umani.
Una delle immagini più forti scattate da Zanfron è quella dall'alto: gli alpini sembrano delle formiche impegnate a mettere ordine tra la sabbia.

(Stefano Campolo)

(* = particolari che si ritrovano nella testimonianza dello Zanarini)



Un fotografo sul fronte.

Bepi Zanfron, il fotografo che per anni ha lavorato con Tina Merlin, fu tra i primi ad arrivare sul posto insieme ai soccorritori. A lui è toccato un compito ingrato.
«C'erano corpi e resti umani dappertutto» racconta. «Ci siamo resi conto dell'immensità della tragedia soltanto la mattina, con le primi luci dell'alba. Allora abbiamo capito veramente la dimensione di quello che era successo. Ho cercato un elicottero per andare a vedere se era venuta giù la diga. Sono salito su quello dell'ingegner Rinaldi, mandato dal Governo per verificare lo stato della diga. C'era ancora acqua che veniva giù. Ho fatto fotografie per diversi giorni.
Ma il mio lavoro non era solo quello del giornalista. Dovevo scattare le foto a tutti i poveri resti per permetteme l'identificazione da parte dei parenti. Grazie a quelle immagini, davvero strazianti, esposte in una sala a Belluno sono state riconosciute 400 persone. Ora gran parte di questo materiale è conservato all'Aquila, dove si è tenuto il processo.

Si sono rivolti a me molti superstiti per avere le foto dei loro cari, purtroppo spesso l'unica memoria che rimaneva loro. Alcune volte ho potuto accontentarli, ma per la maggior parte dei casi nemmeno a me è rimasto nulla, i negativi mi sono stati sequestrati per i riconoscimenti e poi per il processo.
Dicono che quando si fa un lavoro come il mio, ci si abitua a vedere di tutto. Ma io non mi potrò mai dimenticare quella devastazione, i morti, ma soprattutto la disperazione dei vivi. Vagavano per la spianata senza saper dove andare e cosa fare.
Già... che fare? Quando cose del genere succedono, non c'è davvero più niente da fare. Mi ricordo che le prime ore della mattina del 10 ottobre, nei paesi vicini molti ancora non sapevano quello che era successo.
Una ragazza ferita è arrivata in taxi a Pieve di Cadore e lì le hanno chiesto: "Ma chi è stato a picchiarla in quel modo?"».



il libro della Vastano, colla copertina costituita da 2 immagini di BepiGiuseppe Zanfron è di origine bellunese. Si è diplomato in fotografia presso l'Istituto industriale Statale "Galilei" di Milano. Fotoreporter dall'anno 1961 ha iniziato con il Corriere della Sera e con il Gazzettino. È corrispondente per il Nord Italia della Associated Press. È anche promotore di attività sociali, culturali e sportive della Città di Belluno. Ha partecipato a diverse manifestazioni fotografiche, ottenendo premi e riconoscimenti. Ha documentato con i suoi servizi fotografici tutti gli avvenimenti rilevanti della Provincia di Belluno.

Le sue immagini fotografiche sono state pubblicate su diversi libri, settimanali e quotidiani, spesso "vampirizzando" le sue immagini omettendone la fonte. Scatti senza i quali il Vajont, come noi lo conosciamo, non esisterebbe, o avrebbe poco da tramandare. Non a caso un paio di esse furono richieste e utilizzate dalla Lucia Vastano per racchiudere il suo libro (vedi foto).


Per quanto riguarda questa catastrofe, è Bepi, (documentalmente, testimonialmente, umanamente) «"IL" Vajont», dalla prima ora ai giorni nostri. Lo si trova colla sua carica umana e le copie del suo libro alla domenica in diga, dove ho avuto il piacere di reincontrarlo e di stringergli la mano, l'11 settembre del 2005. Bepi Zanfron da 42 anni assiste alle rievocazioni ottobrine di generazioni di politici (sia i politicanti, sia gli onesti). Le documenta da altrettanto tempo e se solo volesse potrebbe raccontare particolari veramente interessanti. Sulle mafie vajontine, intendo, sullo scollamento evidente tra il dire e il fare, sulla gestione omertosa e ribalda della "Memoria". Sulla caratura (e cultura, e provenienza) degli amministratori locali di allora e sui bastardi rampanti attuali che vennero chiamati - democraticamente, certo - a sostituirli.
Sotto questo profilo, egli risulterebbe molto (sottolineo, MOLTO) piu' attendibile ed efficace dei Vendramini e dei Reberschak. Illustri storici questi, che in peraltro ottimi lavori ti leggono e interpretano il "Vajont" colle pinzette, colla lente da entomologo.

A differenza di tutti questi, Bepi nella fogna del Vajont ha dovuto tuffarsi fisicamente, letteralmente. Odorarla, mandarla giù. Lordarsene le mani, e non solo: partecipare, scavarla. Io ci vedo la stessa differenza sostanziale e fattuale che esiste tra un "superstite" e un "Sopravvissuto". Gli estranei, il 'resto del mondo', e soprattutto certi insulsi, probabilmente non potranno mai capirla.
Ed anche questo, è "Vajont".

Tiziano Dal Farra.