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È con vivo piacere che leggo casualmente di questa ricorrenza durante un viaggio di lavoro a Rovereto. Mi auguro di poter stringere un giorno la mano di quest'Uomo. E mi associo idealmente con affetto e sconfinata ammirazione agli auguri di chi gli vuole bene, o lo abbia incontrato nella vita. Professionale o no.
Ed è (anche) per questo che ho allestito questa pagina.
L'Avvocato ha dato al mondo assieme ai libri di Tina Merlin e del suo collega Mario Passi uno dei testi secondo me IMPRESCINDIBILI per poter accostarsi al tema della più grande - e misconosciuta - STRAGE di MAFIA di QUESTO PAESE col concorso attivo e passivo di organi dello Stato.
Onore ai Giusti, onore perciò a Sandro Canestrini. Un Uomo di Giustizia e Diritto, e un esempio universale. Nel senso più alto di questi termini. Non è retorica: è un FATTO.
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Ma egli è arrivato anche molto al di là dei nostri confini regionali, fino a L'Aquila (processo per la strage del Vajont: un "Genocidio di poveri"come lui l'ha definito), fino a Palermo (per il primo maxi-processo di mafia), fino a Milano (per il processo agli attivisti Sudtirolesi dopo la "notte dei fuochi"), fino a Padova (per gli innumerevoli processi nel tribunale militare) e in tante altre città e sedi giudiziarie italiane.
Dovunque ci fosse da difendere un operaio o un sindacalista, uno studente o un obiettore di coscienza, un militante pacifista o la vittima di una strage (anche quella di Stava), dovunque ci fosse da affermare in un'aula di Tribunale o di Corte d'assise i diritti costituzionali, la libertà di opinione o di manifestazione, dovunque ci fosse da difendere i diritti civili e i diritti umani conculcati, lì Sandro Canestrini c'è sempre stato.
Molte volte da solo, sfidando anche l'impopolarità (come fu per la difesa dei Südtirolesi negli anni '60), tante altre volte coinvolgendo nelle proprie battaglie giudiziarie, oltre ai trentini, roveretani e rivani, avvocati "convocati" (starei per dire, "amichevolmente precettati") da tante altre città italiane, da Verona (De Luca e Todesco) a Bolzano (Lanzinger e Fedele), da Venezia (Battain e Scatturin) a Gorizia (Battello) e Trieste (Maniacco); da Milano (Spazzali e Piscopo) a Torino (Bianca Guidetti Serra), e via elencando (molti altri nomi sarebbero da ricordare).
È stato questo un lungo percorso ideale e militante, che ha attraversato tutta Italia e che ha segnato un'intera stagione di "processi politici" memorabili, di cui anche molti magistrati (con cui si confrontava e scontrava nelle aule in modo aperto e leale) sono stati testimoni. Co-fondatore dello "Giuristi democratici ", Sandro Canestrini infatti è sempre stato partecipe anche delle battaglie per la democrazia e l'impegno costituzionale che hanno caratterizzato i settori più aperti e sensibili della magistratura, fin dai tempi di Bianchi d'Espinoza a Milano e poi di decine e decine di magistrati che hanno pagato anche personalmente le scelte difficili fatte in epoche di conformismo e di repressione.
Laureatosi con Norberto Bobbio a Padova, dopo aver partecipato alla resistenza antifascista e antinazista e dopo aver fatto parte del Partito comunista (da cui si staccò all'inizio degli anni'60), stabili un rapporto molto stretto col Movimento studentesco di Sociologia, insieme a Livia Battisti (la figlia di Cesare, con la quale condusse molte battaglie democratiche), col movimento operaio e sindacale, col Movimento nonviolento di Aldo Capitini (e poi di Mao Valpiana), diventandone anche presidente onorario, e sapendo confrontarsi anche col mondo cattolico "conciliare" (ricordo un suo dialogo pubblico, al Cinema Dolomiti di Trento, col vescovo Gottardi). Ma negli anni '60 seppe andare controcorrente anche in Alto Adige/Südtirol, difendendo gli imputati nel processo di Milano e poi stabilendo uno stretto rapporto di collaborazione con l'allora giovanissimo Alexander Langer, in piena sintonia col suo impegno per il dialogo e la convivenza inter-etnica.
L'antimilitarismo pacifista aveva portato Canestrini il 3 novembre 1969 a contestare la venuta a Trento del presidente Saragat, nell'anniversario della prima guerra mondiale, e poi, negli anni '70, a partecipare con i radicali di Marco Pannella alle marce antimilitariste che attraversavano il Nord-Est per giorni e si concludevano davanti al carcere militare di Peschiera.
E mentre nel 1962, da consigliere provinciale-regionale del Pci si era opposto alla fondazione dell'università tramite l'Itc, temendo il rischio di una ristrettezza politica e culturale, ha saputo poi ricredersi, diventando uno degli interlocutori privilegiati proprio del movimento di Sociologia. E quando con Alexander Langer fondammo "Nuova sinistra" in Trentino e "Neue Linke-Nuova sinistra" in Alto Adige/Sùdtirol, Sandro Canestrini accettò la nostra proposta di esserne capolista a Trento, diventandone il primo eletto a seguito di una vittoria clamorosa, che cominciò a cambiare il panorama politico del Trentino e del Sudtirolo. Nel 1992 è stato nominato "Trentino dell'anno' nel 1993 è stato insignito della "Ehrenkranz" da parte del Sùdtiroler Schützenbund, nel 2003 gli è stata attribuita la cittadinanza onoraria di Erto e Casso (Vajont), nel 2006 gli è stato assegnato il "Verdienstkreuz" dal Land del Tirolo. In quella occasione ha detto: "Durante tutta la mia esistenza mi sono battuto per la libertà, la fratellanza e la giustizia, talvolta in compagnia di altri, talvolta da solo".
Di Alexander Langer ha sempre conservato un ricordo vivo: "Da lui ho imparato a cercare sempre il meglio dell'una e dell'altra parte, che nella nostra regione significa prendere il meglio della cultura italiana e della cultura tedesca".
E ancora, rivolto agli avvocati più giovani ha ammonito: "E' giusto lavorare, ma è soprattutto importante avere degli ideali". Ecco, Sandro Canestrini agli ideali ha mantenuto fede per tutta la vita, a volte a costo di qualche contraddizione, di incomprensioni o di impopolarità, ma è arrivato a questi straordinari 90 anni carico di onore e circondato di rispetto e di gratitudine.
Il Trentino e l'Alto Adige/Südtirol gli sono grati di aver onorato fino ad oggi questa nostra terra con la sua testimonianza, col suo impegno, con la sua generosa dedizione a quelle"cause perse' che lui ha saputo rendere vincenti non tanto per sè, ma per tutti coloro che in quegli ideali di libertà, fratellanza e giustizia continuano a credere. --> di Marco Boato - Articolo pubblicato sul quotidiano "L'Adige" del 1 febbraio 2012
- di LUIGI SARDI -
Canestrini affrontò nel nome delle vittime la via della Giustizia disseminata d'ostacoli. Per esempio: Giovanni Leone, Presidente del Consiglio dei Ministri dell'epoca e famoso avvocato, si precipitò a Longarone garantendo ai superstiti la presenza dello Stato. Invece difese i responsabili del disastro sostenendo la tesi della imprevedibilità della catastrofe e lo Stato, nel tentativo di scoraggiare i sopravvissuti che chiedevano giustizia, ipotizzando possibili disordini spostò il processo addirittura a L'Aquila.
Canestrini nel suo libro «Vajont, genocidio di poveri» esaminò la decisione della Corte di Cassazione dove si legge come il dolore dei superstiti avrebbe potuto turbare l'ordine processuale a Belluno" sede del tribunale competente al giudizio, perché «le popolazioni sono tormentate dalla convinzione dell'origine non naturale dell'evento» e pertanto, tale convinzione potrebbe influenzare i giudici naturali, appunto quelli di Belluno, contro gli imputati. Amaramente annotò che nel processo «non rimaneva che l'ombra vana» di quel disastro; i giornali ritirarono gli inviati speciali con la giustificazione che - si era nell'autunno del 1969 - non faceva più notizia, «e sulle strade di quella città e nel Palazzo di Giustizia, si vide l'esodo dal Veneto all'Abruzzo di un popolo decimato, senza casa, senza terra, senza speranza». «L'ombra vana» rimase anche nel primo dei due disastri del Cermis, quello del 9 marzo del 1976 ed ecco, quando anche quel processo finì nell'oblio, la voce tonante di Canestrini si levò a difendere Carlo Schweizer 'il macchinista senza patente', sul quale una sapiente regìa aveva fatto ricadere ogni colpa. Era il 12 novembre 1979 quando davanti alla Corte d'Appello di Brescia comparve l'ultimo anello, il più debole, il famoso "straccio che vola». Tutto ha l'aspetto di una noiosa formalità perche sulla tragedia e già calato il velo dell'oblìo.
Poi arrivarono i giorni di Stava, la struggente attesa di una sentenza memorabile, questa senza «ombre vane», ben diversa da quella de L'Aquila e di Brescia perché i giudici di Trento cancellarono ogni sentore di ostacolo, di furbizia. Moltissimo lo si deve alla saggezza di quei magistrati; ma molto anche all'impegno di Canestrini.
Nel mezzo la lunga militanza politica. Dalla vicenda dell'Aeromere vissuta alla fine degli anni Cinquanta come consigliere regionale del Pci, alia grande battaglia per il divorzio affrontata con passione soprattutto nel Trentino all'epoca roccaforte della Democrazia Cristiana contraria a quella scelta di libertà. Prevalse il tribuno, il Canestrini focoso, l'uomo assetato di democrazia e libertà di pensiero, quella che lo guidò nel processo che lo vide difensore dei tirolesi accusati - siamo agli inizi degli anni Sessanta - per gli attentati commessi in Alto Adige e che a loro volta, accusavano di essere stati picchiati dai carabinieri. Una pagina difficile che continua ad affiorare nella storia del Südtirolo. E poi c'è il blocco, la data è il 3 novembre del 1968, del corteo del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat in visita ufficiale a Trento nel cinquantesimo anniversario della Vittoria, fatto che sorprese, anche amaramente, l'Italia intera con Canestrini a pronunciare la frase: "Coloro che hanno lottato per l'idea socialista" e il socialdemocratico Saragat «non dovrebbero celebrare guerre e commemorare vittorie militari».
C'è anche l'epoca dei 'sit-in' nelle piazze della città con Mauro Rostagno, Marco Boato, il sindacalista Giuseppe Mattei e gli studenti di Sociologia nell'epoca del Sessantotto prima gioioso poi violento, culminato nella gogna di Andrea Mitolo e Gastone Del Piccolo in quel 30 luglio alla Ignis di Spini di Gàrdolo che vide Canestrini difendere militanti di estrema sinistra. In mezzo la strage di Piazza Fontana che ferì il cuore della Nazione disseminandola di veleni, di odi profondi che portarono alle Brigate Rosse, fino alla tragedia di Via Fani e all'assassinio di Aldo Moro.
Tempi di barricate anche giudiziarie, di processi memorabili in perenne lotta contro il Codice del Guardasigilli Alfredo Rocco: per esempio quelli per «delitti di opinione» imputati a Giuseppe Raspadori, Paolo Sorbi, Claudia Rusca, Giorgio Cavanna e poi la memorabile vicenda dell'Enciclopedia Sessuale dell'editore Mondadori sequestrata nella biblioteca di una scuola media per ordine del sostituto procuratore della Repubblica di Trento Carlo Alberto Agnoli che lacerò un Trentino bigotto e sbigottito. Ancora l'impegno a Palermo, siamo nella primavera del 1986, nella lotta alla mafia mirabilmente riassunta il 2 marzo di quell'anno sulle pagine di 'Vita Trentina' nell'intervista fatta da Vittorio Cristelli, e la difesa di Dario Fo, arrestato a Sassari e tenuto in carcere per 48 ore per 'resistenza a pubblico ufficiale', in verità perché non si voleva permettere la sua rappresentazione teatrale.
Forse l'ultima epoca è stata quella dei processi agli assassini in divisa, i responsabili delle stragi naziste tardivamente scoperte dalla giustizia italiana. Pochi giorni fa, alla vigilia del 'Giorno della Memoria', la RAI ha mostrato un documentario, capolavoro di arte giornalistica, sul processo - tardivo perché celebrato alla metà degli anni Settanta - sull'unico campo di sterminio nazista in Italia: la Risiera di San Saba mostrando Canestrini che incalza un testimone reticente. Un momento di giustizia, anche se vana, destinato a colpire gli «armadi della vergogna» dove erano state sepolte le storie delle stragi naziste compiute in Italia. Nel gennaio del 1988 quando si cantava sempre meno «Bandiera rossa io la voglio sì», Canestrini intervistato dal giornale 'Alto Adige' sul tema di un Pci che si andava sfaldando rispose: «La domanda potrebbe essere definita terribilmente imbarazzante e addirittura canagliesca. Continuo a interrogarmi; qualcuno mi ha domandato cosa diavolo sono io adesso e io mi sono definite un 'rosso-verde'. Non posso dimenticare il 'rosso', con una serie di piaghe che le leccate affannate di questi anni non sono riuscite totalmente a rimarginare. Vengo da una lunga militanza politica... ».
Fonte: "L'Adige" quotidiano del Trentino, venerdi 3 febbraio 2012
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