VAJONT, DIVISI 40 ANNI DOPO

di MICHELE SARTORI

Si scrive Longarone, si legge Longar-uàn: nome disinvolto, «Longar-One», della civica[1] con cui il sindaco Pierluigi De Cesero ha vinto e rivinto le elezioni. Ma sì. Ancora cinque anni fa Longarone era un paese gelido e grigio, triste senz'anima, dominato dal cemento armato grezzo delle ricostruzioni d'autore. Adesso sta cambiando: nuove piazze, nuovi colori, lavori in corso qua e là, complici i 77 miliardi della recente transazione definitiva post-Vajont. De Cesero, che è giovane, il primo sindaco nato dopo il disastro del 9 ottobre 1963, è soddisfatto: «Prima eravamo un dormitorio. Adesso il paese comincia ad avere una sua forma, una sua identità[2] ».

0LA NUOVA LONGAR-ONE colpisce anche per questo: trasuda il disastro da ogni angolo. Monumenti e monumentini, ufficiali o spontanei, targhe, foto, libri nelle vetrine; perfino Guglielmo Cornaviera, l'arrabbiato animatore di un comitato per i risarcimenti, ora vende nel suo panificio piatti-ricordo con «l'onda del disastro»[3]. Per quarant'anni il Vajont era stato un ricordo privato, dolorosamente custodito, mai esternato. Solo adesso che tutto è definitivamente archiviato - catastrofe, processi, ricostruzioni - la «memoria» esplode pubblicamente. Incluse rabbie postume, represse per decenni[4].

Longar-One, in realtà, è Longar-Two. C'è, ed è la stragrande maggioranza, il paese del dopo-disastro: dei nuovi arrivati, che poco o nulla sanno, poco si interessano, poco o niente frequentano le ricorrenze annuali[5]. C'è, ed è una netta minoranza, quello dei sopravvissuti (pochissimi) e dei loro parenti. Sono due mondi diversi. A volte opposti. Micaela Coletti, anima del «Comitato per i sopravvissuti», disapprova praticamente tutto: «Soldi buttati, quelli del sindaco. Perchè fare più bello il paese? Fare le piazze per chi è venuto dopo? Dare soldi per il miglioramento delle facciate a chi è venuto a rimpinguare il paese? Magari da Napoli, dalla Sicilia? Qua perfino gli extracomunitari sono avvantaggiati rispetto a noi!». Quello di Micaela sarebbe il comitato «di sinistra»[6]. Anche la piccola Longar-Two si frastaglia. Accanto al comitato c'è la più robusta «Associazione dei superstiti»[7].

Micaela dice: «Noi non siamo schierati. Loro sono appoggiati dal sindaco. Noi siamo i rompicoglioni. Loro hanno i contributi». Esempio. Micaela ha avuto provvisoriamente assegnata dal comune, tre anni fa, una stanzetta come sede (piccolissima, senza riscaldamento, senza telefono): un anno fa il sindaco l'ha chiesta indietro[8]. Per ora stanno ancora lì. Il sindaco allarga le braccia. «In quell'edificio dovrebbe esserci la sede della Fondazione Vajont. Ho interrotto l'iter, aspettando che lo liberino»[9].

Renato Migotti, architetto che presiede l'Associazione dei superstiti, si stupisce alle accuse di Micaela: «Noi filo-sindaco? Ma se il comune non ci ha mai riconosciuto! A lei ha dato una sede, a noi neanche quella! Riceveremo si e no cinquecento euro all'anno su singoli progetti!». E dove sta allora la differenza tra le due associazioni? «Parlo per noi. Noi pensiamo che si debba lavorare sulla memoria in sintonia con le amministrazioni dei comuni colpiti. Ci siamo imposti un rapporto amministrativo, non politico[10] ».

C'è una cosa su cui il pacato Migotti, l'arrabbiata Micaela e il sindaco si ritrovano d'accordo: la contrarietà ad una raccolta di firme avviata la scorsa primavera da Carolina, una signora del «Comitato» di Micaela, e da Lucia Vastano, la milanese autrice, qualche anno fa, di un libro-inchiesta sulla ricostruzione. È un documento in cui si chiede allo Stato di esprimere «formali scuse ai familiari delle vittime», assegnare una medaglia d'oro ai duemila morti, dichiarare il 9 ottobre giornata della memoria del Vajont, inserire la storia del disastro nei libri di testo. Ciampi, nel 2003, è venuto, e di fatto ha chiesto scusa a nome dell'Italia, sostengono tutti: inutile insistere. Comunque non sono le richieste in sè a irritare i sopravvissuti. È il metodo, sostengono. «Non ci hanno coinvolto», dice Migotti. «È sfruttare il nome Vajont per puro protagonismo», scoppia Micaela. «Raccoglieranno anche un milione di firme: ma non qui», chiude il sindaco [11].

Però succedono cose strambe. Lucia Vastano, la scrittrice milanese, racconta: «Una decina di giorni fa mi ha telefonato un funzionario della Digos di Belluno. Carino e gentile, per carità. Voleva notizie sulla raccolta di firme, perchè e percome. Poi ha chiesto i miei dati: per telefono non glieli ho detti. Dopo so che è andato a casa di Carolina, a fare le stesse domande. Ho l'impressione che a Longarone nessuno può mettere il becco. Come sempre». Lucia ha almeno un appoggio: Luciano Pezzin, il sindaco di Erto - il comune friulano della diga. Pezzin giudica: «Ogni volta che si fa qualcosa sul Vajont, qualcuno si agita. Secondo me c'è boicottaggio nei confronti della Vastano per il libro che ha scritto: scomodo. C'erano superficialità, forse, ma non baggianate».

L'aspetto più evidente della nuova 'Longar-One' è il cimitero delle vittime, a Fortogna, ristrutturato a lungo, inaugurato un anno fa, dichiarato monumento nazionale. Prima era un «cimitero», col suo pullulare di lapidi diverse, le foto, le scritte: millecinquecento croci, la metà senza nome. Adesso è un «sacrario», una Arlington, un ondulato prato all'inglese con duemila minuscoli cippi bianchi, tutti uguali - e un museo fotografico all'ingresso. Le vecchie lapidi sono accatastate dietro.
«Le più significative le esporremo», promette De Cesero[12a].
Micaela è irritatissima: «Questa è la distruzione della memoria. Non possiamo mettere una foto, dei fiori... Un cimitero è per noi, non per i curiosi».
Migotti, l'architetto sopravvissuto, è «privatamente» d'accordo: «Non mi piace. C'è un certo anonimato. Però tanti lo hanno approvato, lo hanno trovato addirittura bello»[12b].
Il sindaco taglia corto: «Io non ho fatto un passo senza il consenso dei superstiti. Il cimitero andava recuperato: abbiamo preferito trasformarlo in una specie di "giardino della memoria", un luogo dove entri in intimità, rifletti... E teniamo presente che sono passati 42 anni dal Vajont: qui ci saranno sempre meno superstiti, sempre più visitatori»[13].

A Longarone arrivano ormai 60.000 visitatori all'anno, è un flusso crescente. Il librone delle firme all'ingresso del cimitero è zeppo di nomi. Su migliaia, solo una coppia ha scritto: «Rimettete le lapidi e le foto di chi ha perso tutto qui!! Questo cimitero ha perso l'anima»[14].

Scarica questa intervista in PDF: [parte 1] e [parte 2]



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