Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont


* online

*7 - Presentazione di Marco Paolini

*9 - Una storia d'oggi, di Giampaolo Pansa

*19 - Introduzione

*23 - Il paese di Erto e Casso

* - Arriva la SADE*


47 - Gli espropri delle terre

57 - Il Consorzio per la difesa della valle ertana

71 - La più grande diga del mondo

83 - La montagna si spacca

95 - Verso la tragedia

107 L'assassinio si compie

125 La diaspora


*163 Vent'anni dopo

*169 Una donna contro di Vanda Milano


173 Bibliografia

175 Indice dei nomi

Arriva la SADE

La Società Adriatica di Elettricità arriva in forze a Erto nel 1956.
Tecnici, operai, macchine, strumenti. È l'anno precedente l'inizio della costruzione della diga, vanto degli imprenditori elettrici veneziani, dei tecnici, degli scienziati che concorsero, in perfetta divisione di ruoli e di prebende, alla portata a termine dell'opera, dal progetto alla realizzazione. Nel 1956 la SADE ha quasi tutte le carte in regola, o almeno così fa capire: la concessione governativa per la derivazione delle acque del Vajont, i progetti di costruzione del bacino artificiale e della diga, terreni pubblici del Comune di Erto già espropriati e che sono destinati ad andare sott'acqua. Per arrivare a questo momento ha fatto lunghissimi studi sul posto e lunghe trafile nei corridoi ministeriali, fin dal lontano autunno 1943, quando i ministeri si erano dissolti nel nulla e negli uffici romani erano rimasti forse gli uscieri. L'Italia era precipitata nel caos, ma la SADE era all'erta.

Il capo dello Stato Vittorio Emanuele III fuggiva di nascosto, di notte, portandosi dietro il capo del governo Badoglio, ma la SADE poteva fare a meno dei governanti. A Roma, in quei giorni, gli ebrei venivano rastrellati dai tedeschi, ma gli uomini della SADE trafficavano indisturbati dentro i ministeri deserti.

Le donne di Erto rivestivano di abiti borghesi i soldati sbandati che transitavano numerosi attraverso la Valcellina, provenienti dalle molte caserme del Friuli e soprattutto dai territori jugoslavi, ma la SADE stava salda nella capitale ad accaparrarsi il suo futuro. Gli antifascisti pensavano a riunirsi, a organizzarsi, ad armarsi, per poter difendere la Patria. La SADE pensava ad altro. Il 22 giugno 1940 aveva chiesto al ministero dei Lavori Pubblici «di utilizzare i deflussi del Piave, degli affluenti Boite, Vajont e altri minori per scopi idroelettrici. Con tale domanda era prevista fra l'altro l'utilizzazione dei deflussi regolati da un serbatoio della capacità di 50 milioni di metri cubi, creato mediante la costruzione, nel Vajont, di una diga alta 200 metri sottendente un bacino imbrifero di 52 chilometri quadrati» [1]. Gli affari sono affari. Nessuno meglio del conte Volpi di Misurata, fondatore della SADE, sapeva che gli affari migliori si compiono sempre con le protezioni e le complicità politiche, con gli intrallazzi, con l'inganno. Fin che fu in vita egli servì fedelmente - se così si può dire - ogni governo, in cambio di protezioni, finanziamenti, prebende e titoli nobiliari. Costruì un impero economico personale, specialmente sotto il fascismo (del quale fu ministro delle Finanze), appropriandosi di terre, banche, stampa, industrie [2]. Sempre pronto ad annusare i cambiamenti politici, dopo l'8 settembre 1943 assume una posizione «antifascista» scappando in Svizzera, da dove si mette in contatto con uomini della Resistenza. Offre ricovero nelle sue ville di campagna ai partigiani e soldi al CLN, allo scopo di rifarsi una verginità politica per il dopo-Liberazione.
Una commissione d'inchiesta lo assolve infatti dopo la guerra, proprio tenendo conto delle sue «benemerenze» resistenziali [3].

Aveva fondato la SADE giovanissimo, nel 1905, ad appena 27 anni. In questo ramo diviene il più importante imprenditore idroelettrico del paese [4] e mette in piedi uno staff di tecnici e scienziati ai suoi ordini. Questi percorrono le vallate in lungo e in largo in cerca di materia prima da sfruttare e tradurre in denaro. Ne nascono progetti di dighe e bacini capaci di fornire all'industria italiana in via di sviluppo l'energia necessaria. Le zone di montagna, già poverissime, vengono depredate dell'unica risorsa - l'acqua - e delle terre coltivabili di fondovalle. I montanari-contadini vengono spinti sempre più verso le grandi città o all'estero. Il territorio subisce un'aggressione traumatica: in parte per le oscillazioni provocate alle sponde montagnose dagli invasi e dagli svasi dei bacini; in parte per l'abbandono di una manutenzione - idraulica - dei corsi d'acqua che i contadini, lavorando la terra, avevano interesse a curare, come curavano, in proprio.

Le province di Belluno e di Udine sono seminate di impianti idroelettrici di varia grandezza. Sono quasi tutti della SADE o incorporati nella SADE. Ma il più importante di tutti doveva risultare, negli anni e per successive modifìcazioni, quello del "grande Vajont". L'idea "geniale" era venuta alla Società nel 1939-40. Si trattava di convogliare e sfruttare le acque residue del Piave e di alcuni suoi affluenti, dopo averle già sfruttate a monte [5], incanalandole in un unico grande serbatoio chiamato «di riserva», da usare nei periodi di «magra», cioè di siccità, nelle due grandi centrali di Soverzene e della Gardona. In questo caso le due centrali potranno funzionare e produrre energia in continuazione.

Secondo i calcoli della SADE, a impianto ultimato, le centrali avrebbero sviluppato complessivamente 800 milioni di kWh [6]. La prospettiva era affascinante e la SADE inoltrò subito domanda al ministero. Abbiamo detto che era il 22 giugno 1940 e Volpi era allora presidente della Confederazione fascista degli industriali. Ma le carte si arenarono a Roma. Con lo scoppio della guerra altri pensieri occupavano le menti dei governanti e dei dirigenti ministeriali. La SADE aspettò con pazienza. Fino al momento in cui credette di perdere la partita. Il fascismo la partita l'aveva già persa. Cosa sarebbe avvenuto dopo la guerra? Chi avrebbe guidato il Paese? Era meglio premunirsi. Volpi trafficò freneticamente per riuscire a strappare l'autorizzazione, che gli fu concessa con un atto illegale. «Il 15 ottobre 1943, nelle giornate tragiche che seguirono l'8 settembre, in un momento del tutto anormale nella vita dello Stato, la SADE riusciva ad ottenere una adunanza ed un voto della IV Sezione del Consiglio superiore dei Lavori pubblici con il quale si esprimeva parere favorevole all'accoglimento dell'istanza [...]. È risultato che all'adunanza di cui sopra parteciparono solo 13 su 34 componenti, i quali non costituivano il numero legale, rendendo così illegale quella decisione» [7].

La prima autorizzazione al "progetto Vajont" fu quindi ottenuta con l'inganno verso la nazione. Ma dovette costituire, tuttavia, un precedente credibile dopo la guerra per l'allora presidente della Repubblica, il liberale Luigi Einaudi, che, con proprio decreto n.729 del 21 marzo 1946 accordava alla SADE la concessione definitiva.

E intanto la gente cosa sapeva? ll Comune di Erto e Casso era stato informato che sul suo territorio una Società privata poteva rubargli l'acqua per costruire, proprio ai piedi del paese, un grande lago artificiale? Gli era stato chiesto il permesso? Se n'era discusso in consiglio comunale? C'era stata qualche delibera? Era stato domandato ai piccoli proprietari degli appezzamenti agricoli che dovevano andare sommersi se accettavano di vendere i terreni alla SADE? Fino all'inizio del 1948, no. Tutto era stato studiato, progettato, detto e scritto all'insaputa dei diretti interessati. Sì, certo, i tecnici del monopolio erano stati sul Vajont, avevano scandagliato la valle, misurato lunghezze e larghezze, tastato la roccia delle montagne. Se qualcuno li ha visti intenti ad osservare acque e materiali, forse li ha presi per amanti della montagna e delle sue bellezze naturali.

Il geologo Giorgio Dal Piaz e l'ingegnere Carlo Semenza sono stati sul posto a più riprese, a partire dagli anni '20 in poi. Più delle bellezze naturali sono amanti delle «risorse» naturali della montagna. E scarpinano per tutti i monti, curvi come rabdomanti, a cercare l'oro nascosto. Dal Piaz, in quegli anni, dirige i rilievi e i lavori geologici del Magistrato alle Acque di Venezia, non è ancora un cattedratico illustre. Quando lo diventerà, non avrà nessuna remora ad offrire ai monopoli privati, dietro parcella, il tempo e la scienza che dovrebbe usare per lo Stato da cui è pagato. Semenza fa la sua carriera nella grande e potente società idroelettrica fino a diventare direttore del Servizio costruzioni idrauliche. Il progettista è lui. Sogna e costruisce bacini e dighe ovunque il monopolio abbia messo le mani sulle acque. Lui progetta e Dal Piaz conferma che si può costruire. Magari con qualche accorgimento, forzando un po' la montagna, rinforzandola se necessario, ma si può costruire, così come vuole il padrone, anche se qualche volta confessa che certi problemi gli fanno «tremare le vene e i polsi» [8]. Sulla valle del Vajont avevano fatto i loro rilievi, naturalmente, prima di chiedere a Roma l'autorizzazione a sfruttarne le acque. L'avevano presa in considerazione nel '20, poi nel '25, nel '30, per giungere nel '40 alla conclusione del progetto.

Nel 1948 tutto è pronto e lo stato maggiore della SADE mobilitato. Ma prima bisogna convincere i contadini a vendere. La SADE ha in mano un'arma potente: la concessione governativa a costruire il grande bacino e la diga ritenuti «di pubblica utilità». Di fronte al decreto deve, prima di tutti, ubbidire il Comune, allora amministrato da una giunta DC. La SADE ha già fatto tutto: elenco dei beni da espropriare, intestazione catastale, perizia estimativa, attraverso un suo dipendente, il geometra Manlio Olivotto di Longarone [9].

La giunta comunale viene finalmente investita. Il 5 ottobre 1948 prende in esame la domanda della SADE presentata nell'agosto, la stima del geometra, e delibera «di procedere alla vendita dei terreni situati in "Val Vajont" di proprietà comunale di He 88.66.40 e della rendita di lire 126,50 mediante trattativa privata con la Società Adriatica di Elettricità di Venezia». Salvo, naturalmente, ratifica consiliare. Che avviene il 23 gennaio 1949 per la somma indicata in perizia di 3.500.000 - esattamente 3,94 lire il metro quadro - da vincolare in Titoli di Stato al ministero dell'Agricoltura e Foreste «trattandosi di terreni sottoposti ad usi civici». Il Comune, quindi, perde le terre e non ci guadagna nulla; gli abitanti di Erto e Casso vengono espropriati dal ricavo derivato dall'uso dei beni comunali.

Per le famiglie di Casso la questione assume un aspetto addirittura grottesco.
Una parte della proprietà comunale venduta alla SADE, nella zona denominata Moliesa, era stata dal Comune «ceduta in godimento, verso un certo corrispettivo in denaro, ai frazionisti di Casso» ancora nel 1665 [10]. Nel 1908 il Comune perfezionava la pratica, incaricando un geometra di Barcis di frazionare la proprietà. I terreni vennero ufficialmente consegnati ai frazionisti che ne godettero come di loro proprietà - avendoli pagati - nel corso degli anni. Può il Comune vendere un bene non suo? I cassani vanno da un legale che scopre gli altarini. Il Comune scopre a sua volta che la pratica di frazionamento del 1908 non era stata registrata al catasto dal geometra incaricato, essendosi il Comune rifiutato di pagargli la parcella. La SADE si era basata sui dati catastali e non poteva sapere altro. Il Comune deve deliberare e dare a Cesare quel che è di Cesare.

Passano due anni dalla vendita delle terre comunali alla SADE. Il commissario per gli usi civici di Venezia reclama i 3.500.000 che la municipalità ertana doveva accreditare presso il ministero dell'Agricoltura e delle Finanze. Il Comune, pressato da necessità «urgenti ed indifferibili» ha adoperato i soldi con l'intento di versarli, a chi di dovere, appena possibile. Adesso lo deve fare se non vuol andare incontro al peggio. Tanto più che dovrà restituirne parte alla SADE, che a sua volta dovrà tacitare i cassani per le terre di Moliesa. Per il Commissario, invece, è tutto chiaro: la volturazione non c'è stata, quindi tutti i soldi devono andare al suo ufficio. È un bel pasticcio, che comporterà lunghe pratiche da parte di tutti. Intanto bisogna ubbidire. Ma dove trovare i soldi? La giunta arranca nel buio più completo.
Magnanimamente la SADE corre in suo aiuto. (Se non ci fossero questi padroni!).
Anticipa al Comune la somma necessaria «senza carico di interessi, salva restituzione rateale, appena possibile ed in ogni caso con inizio al momento della percezione da parte del Comune dei sovracanoni che la SADE verserà per diritti rivieraschi in conseguenza dell'uso dell'acqua del torrente» [11]. Non è solo la politica del bastone e della carota. È anche un legare le mani al Comune, metterlo nella condizione di non nuocere a qualsiasi atto che la SADE, dentro e fuori della legge, andrà a compiere sul Vajont. E ancora di più: costringerlo ad allearsi al monopolio.

Questa serie di episodi contribuiscono a far nascere i primi sospetti e le prime diffidenze tra la gente. Non solo contro l'esiguo prezzo degli espropri praticato dalla SADE, ma anche contro il Comune che accetta di scendere a compromessi tanto pericolosi da porlo in assoluto stato di soggezione nei confronti della Società elettrica. La SADE sa quel che fa.

Il braccio di ferro con i proprietari diventa più duro. La SADE tira al ribasso. Essendo terreni poveri vengono poveramente valutati. Cosa conta, per il monopolio, che un piccolo appezzamento integri il reddito familiare - la possibilità di mantenere una mucca o una capra e quindi il latte, il burro, il formaggio? O che sia, in qualche caso, l'unico mezzo di sussistenza? E che abbia anche un valore affettivo? Sono argomentazioni che non entrano nella logica del grande monopolio, abituato a fare ben altri conti, soprattutto i propri. Toccano però gli ertocassani, che si irrigidiscono sul loro diritto naturale alla vita. Anche perchè i continui sondaggi preliminari in roccia, per tastarne la consistenza al fine di costruire la diga, hanno già provocato danni ai beni della popolazione: impaurimento del bestiame che non «rende» più come prima, divieti al transito, piccoli franamenti, tremolio di terreni e case. Singoli cittadini inoltrano i primi ricorsi per danni alla SADE e al Genio Civile [12]. Adesso la giunta comunale è cambiata. Il sindaco Caterina Filippin è dalla parte degli espropriati e dei danneggiati. Come Comune deve soggiacere a certe imposizioni, ma come privato cittadino si batte coraggiosamente contro la misera cifra che la SADE offre ai contadini. Parlamenta con i tecnici della SADE e riesce a far rialzare il prezzo dei terreni. Finora i prati zappativi sono stati pagati 35-40 lire al metro quadro, gli altri 18-30. Con la mediazione del sindaco si raggiunge un prezzo unitario di 100 lire, che resta tuttavia molto al di sotto del valore unitario della libera contrattazione locale che è di 150-200 lire il metro quadro. Scrive una lunga lettera, in difesa dei suoi concittadini, al parlamentare socialdemocratico Ceccherini di Udine. Prepara una dettagliata relazione per i parlamentari delle due province, nella quale illustra le prepotenze della SADE [13].

Nasce anche un Comitato - il primo - di difesa contro la SADE, presieduto da Paolo Gallo, marito della sindachessa. È un uomo esuberante, in paese tiene banco su tutto: sulla politica, sulle cose locali. È molto ascoltato, non solo perchè «è uno che ha studiato», ma anche perchè fa il medico e tutti hanno bisogno di lui. Per questo è stato eletto presidente del Comitato e anche perchè la moglie-sindaco possiede i migliori appezzamenti di terra che devono andare sott'acqua. Gli ertani sono convinti che assieme ai suoi interessi difenderà anche i loro. Infatti si dà un gran daffare. Convoca assemblee, invita sul posto onorevoli, promuove petizioni.

La SADE fa finta di non sentire. Rifiuta di incontrarsi con il Comitato, è tempo perso, tanto prima o poi farà valere il diritto della «pubblica utilità», magari con i carabinieri. I carabinieri, appunto. Prima che arrivasse la SADE a Erto non c'erano, non ce n'era bisogno. La stazione della Benemerita più vicina era a Cimolais, decentrata di 5-6 chilometri. Ma i padroni non possono vivere senza i gendarmi, pubblici o privati che siano.

Oltre all'arrivo della SADE, un'altra novità per Erto è quindi rappresentata dall'installazione di una caserma dei carabinieri. È l'anno 1956. La sede dell'Arma viene ospitata in un'ala del nuovo municipio che s'inaugura proprio quell'anno. Gli uomini della SADE sono sul posto già da un pezzo. Ancora prima di ottenere la concessione a derivare l'acqua del Piave, del Boite, del Vajont, la vallata è già stata scandagliata, sondata, progettata per il «grande bacino». Planimetrie, profili, tracciati, rilievi sono già pronti dal 1947, un anno prima della concessione. La SADE è tanto sicura di ottenere ciò che vuole, che qualche anno dopo verrà definita dal presidente della Provincia di Belluno, Alessandro Da Borso, democristiano, in pubblica seduta di Consiglio, «un vero organismo dominante la vita stessa dello Stato».

I carabinieri arrivano quindi al momento giusto e nel 1956 sono agli ordini della SADE per ammonire contadini restii a vendere le loro terre, per sfrattare famiglie dalle case che non vogliono abbandonare, per denunciare giornalisti che propagano «notizie esagerate, false e tendenziose» sui pericoli che l'invaso artificiale rappresenta per la vita e per i beni degli ertani, per lo stesso paese di Erto costruito su terreno di frana.

Improvvisamente Paolo Gallo cambia atteggiamento. E anche il sindaco. Diventano entrambi sfuggenti alle domande dei contadini. Il presidente non convoca più il Comitato. La Cate non vuole più parlare con la cronista de «l'Unità» che spesso va a trovarla nella sua tabaccheria-bar o in municipio, e che aveva salutato con grande soddisfazione la sua nomina a sindaco. Non la saluta neppure se l'incontra per la strada. Cambia parere anche sui comunisti che la sostengono in giunta. Dice che sono «servi di Krusciov». E che «l'Unità» è «il giornale dei malcontenti» [14].

Sono le stesse cose che vanno dicendo i dirigenti della SADE, aggiungendo mormorazioni insultanti contro gli ertocassani: cosa vogliono ancora questi morti di fame, non sono mai contenti, non hanno mai visto un soldo e adesso vogliono mungere il più possibile, esosamente, ingordamente. Non li sfiora minimamente l'idea, a questi dirigenti ben pagati, a questi consulenti da parcelle universitarie, che il popolo di Erto viene depredato di tutto: dell'acqua, della terra, della casa, del suo passato e della sua cultura, forse anche del suo avvenire, per questo monumento alla tecnica e alla scienza che qui si vuol costruire, che arricchisce solo gli azionisti del monopolio, che svilupperà - per stare dentro alla logica produttiva - certamente la nazione, alla quale in questo momento gli ertani non appartengono. La nazione "che conta" si trova in zone già sviluppate - Marghera, Milano - che devono ulteriormente progredire sulla pelle dei poveri diavoli di montanari, che in virtù di chissà quale maledizione sono sempre chiamati a dare tutto senza mai una contropartita. Per il governo italiano, per i padroni, Erto è come l'Abissinia: terra di conquista.

L'assenteismo del presidente Gallo, proprio in presenza degli espropri, provoca la protesta dei membri del Comitato che gli inviano una dura lettera richiamandolo alle sue responsabilità [15]. Anche perchè si è scoperto che la moglie - il sindaco - ha venduto nel frattempo le sue terre alla SADE all'insaputa di tutti.

 

NOTE



1) "Le cause e le responsabilità della catastrofe del Vajont", relazione di minoranza presentata alla Commissione d'Inchiesta Parlamentare dai parlamentari del Partito Comunista Italiano, Roma 1965.
2) Giuseppe Volpi si iscrive subito al PNF, nel gennaio 1922.
Nello stesso anno viene nominato senatore del Regno. È governatore della Tripolitania fino al 1925. Ha sottomesso tanto bene quei territori, che il re lo ricompensa col titolo di «Conte di Misurata». Dal 1925 al 1928 è ministro delle Finanze nel governo Mussolini. È in questo periodo che il governo fascista appronta un «Testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici», approvato con regio decreto l'11 dicembre 1933 che concede importanti agevolazioni alle società idroelettriche e cioè contributi a fondo perduto variabili dal 30 al 60 per cento della spesa, salva la possibilità di sfruttare gli impianti per 30 anni. Negli stessi anni Volpi riveste diverse cariche, soprattutto in campo finanziario e industriale. È presidente di numerose società per azioni, del Porto industriale di Venezia, della CIGA (Compagnia Grandi Alberghi), delle Assicurazioni Generali, della Biennale; controlla numerose industrie e banche; è presente in quasi tutte le società per azioni italiane e in molte estere; nel 1926 compra, attraverso la SADE, la «Gazzetta di Venezia» e nel 1939 diventa proprietario del «Gazzettino». È interessante riportare il documento di trapasso della proprietà, dagli eredi del fondatore Talamini ai nuovi soci. Nella premessa si scrive: «Sotto gli auspici della Confederazione fascista degli industriali in conformità con le direttive delle superiori gerarchie (cioè del PNF, n.d.r.), si stipula la presente convenzione per una istituenda società il cui capitale sarà sottoscritto da un gruppo di industriali, i quali, aderendo alla richiesta ad essi rivolta dalla direzione della Confederazione stessa hanno assicurato il finanziamento all'uopo occorrente». I proprietari del «Gazzettino» risulteranno: la Fiat con 1291 azioni, la SADE con 1000 azioni, Volpi con 800, Cini con 854. Cini e Volpi, padroni della SADE, diventeranno percio' padroni del «Gazzettino».
Cfr. M. De Marco, "Il Gazzettino. Storia di un quotidiano", Marsilio, Venezia 1976, pp. 111-113. Tutti sanno quale sia stata la funzione del "Gazzettino" nel Veneto a sostegno del fascismo e degli interessi padronali. Dal 1934 al 1943 Volpi è appunto presidente della Confederazione fascista degli industriali. Per le notizie su Volpi cfr. C. Chinello, "Porto Marghera", Marsilio, Venezia 1979, pp. 86-87.

3) Cfr. M. Reberschak, "La proprietà fondiaria nel Veneto tra fascismo e Resistenza", in "Società rurale e Resistenza", Feltrinelli, Milano 1978.
È utile, per capire gli indirizzi della politica italiana nell'ultimo dopoguerra e anche per la particolare collocazione della SADE all'interno dello Stato, riportare alcuni riferimenti di Reberschak che riguardano i rapporti Volpi-DC. Nel 1944, «esiliato» in Svizzera, Volpi prende contatto con l'esponente dc Piero Mentasti, molto legato ai grandi industriali per conto dei quali visita l'America nel 1938, al fine di studiarne le ristrutturazioni economiche. Mentasti aveva già allora particolari legami con l'imprenditore veneziano. Che vengono riallacciati, dopo una breve sospensione, nell'agosto 1944 in Svizzera, dove Volpi cede a Mentasti, che ora opera per conto della DC, il pacchetto azionario del «Gazzettino». In quell'incontro, ovviamente, si prendono anche altri accordi.
Mentasti insegna - o Volpi offre - la possibilità di uscire dalla incresciosa situazione in cui quest'ultimo personaggio si trova, attraverso una serie di atti da gettare sul piatto della bilancia al momento della resa dei conti. Primo, la cessione del «Gazzettino», che non sarà poca cosa per la DC nel dopoguerra come principale veicolo, nel Veneto, facilitato dall'assenza di altri organi d'informazione, dell'organizzazione del consenso elettorale al partito dello scudo crociato. E il versarnento di 20 milioni al CLN. Ma anche l'ospitalità ai partigiani nelle tenute di campagna che Volpi possiede nel Veneto e nell'Emilia, che sono ben fornite di generi alimentari necessari alla sopravvivenza dei reparti armati, ma che rappresentano soprattutto «basi» sicure.
E ancora, «opere di carità», come quelle effettuate per suo conto a Venezia nell'inverno 1945-46 «per mettere a disposizione 100.000 minestre ai poveri della città, ai disoccupati del centro urbano di Marghera e ai bambini profughi giuliani». Tutto allo scopo di salvare un uomo che, per i progetti futuri della DC, significa ben altro.
Significa il tramite per la ricostituzione di un blocco di potere economico-politico, di cui si facevano garanti sia la DC sia gli industriali, che condizionerà la vita italiana - economica, politica sociale - fino ai nostri giorni. E allora si capisce perchè la commissione d'inchiesta, composta dai rappresentanti dei partiti del CLN, che doveva giudicare Volpi nel 1945 «avesse timore di pronunciarsi» come dirà uno dei commissari, e si sciogliesse senza nulla di fatto.

4) Dal capitale iniziale di 300.000 Iire all'atto della sua fondazione nel 1905, la SADE perviene, nel 1960, a un capitale di 72 miliardi. Il «gruppo SADE» comprende, al 31 dicembre 1958, a parte la Società Adriatica di Elettricità, le seguenti società elettriche e non: Acqua Pia Antica Marcia, Bellunese Industria Elettrica, Bolognese Elettricità, Idroelettrica Alto Savio, Elettrica Interprovinciale, Elettrica Romagnola, Elettrica Trevigiana, Elettrica Venezia Giulia, Friulana Elettricità, Elettrica Carnia, Idroelettrica Grappa, Idroelettrica Adriatica, Galileo Battaglia Terme, Galileo Firenze, Galileo Marghera, Galileo Milano, Termoelettrica Veneta, Veneta Acquedotti. Secondo uno studio del maggio 1960 della Lega Regionale Veneta dei Comuni democratici, che definisce il gruppo SADE «una grande holding», esso avrebbe assommato, alla data dello scritto, un capitale sociale di 95,4 miliardi di lire, con un complesso di attività di 404,2 miliardi. Oltre alle 18 imprese citate, nelle quali la SADE detiene la maggioranza azionaria e quindi il completo controllo, la Società, attraverso il "Gruppo Nazionale Sviluppo Imprese Industriali" a carattere finanziario, controlla altre 10 società: CIGA, Industriale Camuzzi, Industrie Elettriche di Legnano, Officine Meccaniche Stanga, SACA, Cerreto Alto, SADE-Automobilistica Dolomiti, SOPIGE (Finanziaria gestioni), Stucky, Superpila. I dirigenti della SADE sono anche presidenti, vicepresidenti, consiglieri in queste e tante altre società finanziarie, industriali, immobiliari. Giuseppe Volpi è riuscito a mettere in piedi le basi di un impero che si costruirà per intero dopo la sua morte, avvenuta il 16 novembre 1947 a Roma.
5) Si tratta del Piave e del suo affluente Ansiei, già sfruttati a Pieve di Cadore, del Boite, già sfruttato a Borca di Cadore e le cui acque residue sfociano nell'asta superiore del Piave. Nel tratto inferiore, sotto Longarone, il Piave riceve sulla destra il torrente Maè, già sfruttato a Forno di Zoldo, e sulla sinistra il Vajont. I residui dell'alto Piave e degli affluenti inferiori fanno parte del progetto del «grande Vajont».
6) C. Semenza, Impianto idroelettrico Piave-Boite-Maè-Vajont. Criteri generali della progettazione e dell'esecuzione, in Scritti di Carlo Semenza cit.
7) "Le cause e le responsabilità" cit. (nota 1)
La prima domanda della SADE (1940) prevedeva un invaso di 50 milioni di metri cubi e una diga di 200 metri d'altezza. Negli anni seguenti la Società modificherà diverse volte il progetto. Nel 1957 presentò l'ultima domanda di modificazione e chiese l'innalzamento della diga fino a 266 metri e l'aumento della capacità del bacino fino a 150 milioni di metri cubi. Il Consiglio superiore dei lavori pubblici diede la sua approvazione il 15 giugno, malgrado mancasse al progetto una relazione geologica sulla situazione del bacino. L'organismo ministeriale si limitò a far rilevare «la necessità di compiere indagini geologiche nei riguardi della sicurezza degli abitati e delle opere pubbliche che venissero a trovarsi in prossimità del massimo invaso».

8) Lo scriverà in una lettera indirizzata a Carlo Semenza il 15 ottobre 1948, in risposta a una richiesta di parere sulla tenuta del serbatoio del Vajont in caso di aumento dell'invaso oltre i 730 metri: cfr. Elenco documenti processuali, documento n. 5103 (d'ora in poi Doc.), raccoglitore n. 149 (d'ora in poi Racc.).
Il documento è riportato in A. Gervasoni, "Il Vajont e la responsabilità dei manager", Bramante, Milano 1969, pp. 23-24.
Sull'argomento cfr. anche M. Passi, "Morire sul Vajont", Marsilio, Venezia 1968, p. 10.

9) Risulterà essere uno dei duemila morti nella catastrofe.
10) Lettera del sindaco di Erto e Casso alla Prefettura di Udine, 2 aprile 1951, attestante che il fondo era di proprietà dei cassani «e che erroneamente per la mancata volturazione era ancora intestato al Comune» (Arch. comunale di Erto e Casso).
11) Archivio comunale di Erto e Casso, Registro deliberazioni consiliari, anno 1950.
12) Elenco documenti processuali; Doc. n. 4712, Racc. n. 140, 6.5.1955.
13) Nella relazione si dice che il costruendo bacino artificiale comporta la sommersione di oltre 170 ettari di terreno e di oltre 40 case di abitazione. Tutta la relazione è una appassionata difesa dei contadini di Erto e una accusa ai metodi della SADE. «Quello che ha maggiormente disgustato questi abitanti è il modo in cui gli incaricati della SADE procedono ai concordati, nelle quali operazioni non c'è via di discussione, non c'è mezzo di difendere i propri diritti. Alle volte per arrivare ad un combinamento si usa una vera violenza morale e contro i più ragionevoli, i più obiettivi, onde farli divenire più remissivi, viene usato lo spavento dell'esproprio forzoso ed il deposito della somma alla Cassa DD.PP. Arma che gli incaricati adoperano con secondo fine in quanto ne sanno l'efficacia e l'effetto sicuro verso i proprietari, essendo le proprietà plurintestate e un domani gli interessati faticosamente potranno ritirare la somma liquidata».
La relazione si conclude con un accorato appello alla giustizia e al dovere dello Stato democratico: «Al fine di cancellare ogni ombra di risentimento in questa popolazione verso le autorità tutorie, allo scopo di togliere il senso di diffidenza già insito per natura nella mentalità del montanaro circa l'interessamento del governo verso i problemi della montagna, onde dimostrare che in uno Stato democratico di fronte alla legge ogni cittadino ha gli stessi diritti e doveri e che nel clima attuale è assurdo pensare all'esistenza della legge del forte e che anzi lo Stato è il tutore imparziale e massimo degli interessi dei singoli, al fine di dimostrare che nei rapporti del Governo sono sullo stesso piano il misero montanaro e la grande Società Idroelettrica, si confida nella sensibilità ed in un sollecito interessamento dei Parlamentari e del Governo stesso» (Arch. comunale di Erto e Casso).

14) "A Erto villaggio di montagna la SADE ha il suo sindaco", "l'Unità", 11.9.1958.
15) «A conoscenza che la SADE ha emesso polizza di esproprio nei confronti di vari proprietari di terreni che dal costruendo bacino verranno sottesi, i sottoscritti, membri del Comitato, essendo preoccupati della cosa e nello stesso tempo constatando con un certo senso di delusione come la s.v., nella sua qualità di Presidente del Comitato, non abbia convocato i componenti dello Stesso dal settembre u.s. per metterli al corrente dell'attuale situazione dei lavori della SADE nei confronti degli espropriandi, pregano la s.v. di radunare, entro otto giorni dalla presente, il Comitato, i cui sottoscritti componenti desiderano sapere dalla s.v. se Ella abbia ricevuto comunicazioni in merito alla faccenda degli espropri. Quanto sopra, prima che i sottoscritti abbiano a prendere una eventuale decisione, a scanso di ogni responsabilità verso gli espropriandi i quali, in forza del loro mandato, stanno attendendo da parte del Comitato un intervento ed una soluzione in favore dei loro interessi» (Arch. PCI, Belluno).

_ IN memoria di TINA MERLIN _


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