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Chi porterà la padella fra tanti dott e prof?

UNA raffica di e-mail di protesta è seguita all'ultima «linea di confine» («Todos caballeros negli ospedali»). Alcune sono argomentate, altre sovrabbondano in insulti, con frasi ricorrenti testuali, il che lascia intravedere una regia sindacale concordata.

Nella contestata rubrica segnalavo come la riforma universitaria, con l'introduzione della laurea breve e il possibile biennio di specializzazione - il cosiddetto "3+2" - aveva permesso una crescita culturale e professionale ed un titolo accademico anche ad una serie di categorie paramediche (infermieri, fisioterapisti, tecnici di laboratorio e di diagnostica strumentale, ostetrici, podologi, igienisti dentali, ecc.).
Inoltre sottolineavo come questa riforma si fosse incrociata con le innumerevoli mutazioni della sanità pubblica con conseguenze in parte positive (il livello più qualificato degli operatori) ed altre negative (una miriade di carriere indipendenti con la creazione di vertici pienamente autonomi). Riaffermo che la ricaduta sui pazienti e sull'organizzazione sanitaria può rivelarsi rischiosa. Alla fine alle corporazioni mediche si contrapporranno altrettante corporazioni non mediche senza alcun momento di direzione clinica unitaria. Invece che una integrazione dei saperi avremo una schizofrenia di carriere parallele, alimentate da sigle sindacali con forte influenza politica. Lo provano già a iosa le risposte esasperate che la mia analisi ha suscitato e a cui posso rispondere solo collettivamente.

Ne cito un brano per tutte: «I medici sono disposti a lavorare con noi infermieri senza confondere la diagnosi medica con quella infermieristica? La legge ha riconosciuto l'infermieristica come professione sanitaria autonoma e non ausiliaria. Ne consegue che non possa sussistere dipendenza da figure diverse - medico od altri - e sia invece necessaria una struttura gerarchica autonoma».

Opposta l'opinione dei sanitari. Il consiglio direttivo dell'Ordine dei medici e odontoiatri di Roma mi esprime «incondizionato apprezzamento» e il suo presidente, dottor Mario Falconi, scrive: «In troppi stanno operando per una sanità fatta da professionisti che rischiano sempre più di lavorare a compartimenti stagni, e che non solo mal tollerano l'imprescindibile ruolo di sintesi che il medico deve avere nell'interesse primario dei pazienti, ma addirittura immaginano di sostituirsi ad esso». Per concludere riassumo schematicamente la situazione.

Oggi per diventare infermiere si accede ad un corso universitario, diviso in due livelli. Il primo consente l'acquisizione dopo tre anni del titolo di infermiere laureato (non di dottore). Se si continua per altri due anni si prende la laurea di II° livello ed il titolo di dottore in Scienze infermieristiche. Va, però, evidenziato che tutti i titoli infermieristici acquisiti prima del 2000 (cioè prima della riforma delle professioni sanitarie) sono stati sanati e ope legis resi equipollenti alla laurea breve. La riforma, quindi, corona anche anni di sanatorie che hanno trasformato ope legis migliala di portantini in infermieri con un tocco di magia politico-sindacale. Il primario non ha di fatto più alcuna voce in capitolo nella organizzazione, gestione e regolazione del personale infermieristico.

Altro aspetto non irrilevante è che l'acquisizione di un titolo professionale indubbiamente più qualificato, in carenza di figure professionali di livello basso o intermedio, ha creato indubbi problemi nella gestione assistenziale del paziente. Un infermiere laureato aspira verosimilmente ad una attività professionale superiore. Quando tutti gli infermieri saranno laureati e masterizzati chi distribuirà le medicine ai degenti, chi porterà la padella o il pappagallo, chi metterà e toglierà la flebo, chi dovrà farli mangiare? A che servirà un ospedale pieno di dottori in medicina o in scienze infermieristiche?

0Le conseguenze sono destinate ad ampliarsi con l'introduzione in corso d'opera di almeno una diecina di carriere parallele e autonome. La Regione Lazio, ad esempio, ha già disposto l'istituzione di nuovi servizi con relativa nomina di nuovi dirigenti per quanto riguarda, oltre all'assistenza infermieristica e ostetrica, i servizi di diagnostica strumentale, riabilitazione, prevenzione, assistenza sociale. Le nomine dei dirigenti per un triennio avverranno dopo un colloquio e la presentazione dei titoli. Non, però, dopo un vero concorso con graduatoria certa. La scelta spetterà, infatti, a una triade formata dal direttore sanitario e da due «esperti dell'area» (alias sindacalisti?).
I più bravi e qualificati saranno destinati anche in questi casi a lasciare il passo ai meglio «targati»?



«DIMMI CON CHI MANGI, e ...»

Alla seconda puntata dello "spot" di Pirani, in realtà, non ritenevo opportuno rispondere. Ho capito che Mario Pirani ascolta ed è disposto a comprendere e sostenere solo le posizioni autocelebranti degli ex- primari. Ora sappiamo chi frequenta Pirani a cena! Va bene così. Dispiace che ad un giornalista venga concesso spazio esclusivo e privo di replica su temi culturalmente e socialmente fondamentali per tutti noi; ma tant'è! Solo un commento vorrei che giungesse chiaro a Pirani ed ai suoi potenti amici e commensali: vi auguro di trovare nella vita solo infermieri-portantini che vi offrano e si occupino esclusivamente del tipo di assistenza di cui vi preoccupate di più, cioè la "padella"!

Loredana Trevisani
Infermiera professionale,
Udine.


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