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Todos caballeros, negli ospedali italiani.

SONO anni ormai che mi occupo della sanità pubblica, con magri risultati.
0Talvolta solo l'enormità di nuove nefandezze mi spinge a riproporre il tema. Ora scopro che un altro colpo è stato inferto al ruolo dei medici, con conseguenze che ricadranno in un modo o nell'altro sui pazienti. Vengo ai fatti: da che mondo è mondo gli infermieri in corsia dipendono da una (o un) caposala e costei risponde al primario e ai medici di turno. Con la riforma universitaria del «3+2» è stata aperta la possibilità di una qualifica professionale più alta a numerose categorie, attraverso il conseguimento della cosiddetta "laurea breve". Ne possono usufruire svariati settori tecnici collegati alla sanità (infermieri, pedologi, fisioterapisti, addetti all'igiene dentaria ecc.). È un'ottima cosa fino a che migliora la preparazione professionale di queste categorie, ma diviene aberrante se è intesa come i| leva per far saltare ogni principio di gerarchia e responsabilità medica. Purtroppo è quello che sta accadendo grazie alla pressione sindacale e alla complicità partitica.

Sotto la parola d'ordine «siam tutti dottori» è passato il principio che gli ex infermieri, oggi muniti di laurea, non dipendono più dai responsabili medici del reparto ma costituiscono un servizio autonomo, con una propria gerarchia interna, sottratta persino alla direzione sanitaria ma facente capo alla direzione generale.»

Impressiona la casistica che si sta evidenziando. Tre medici psichiatrici del San Giacomo di Roma (i dottori Vercillo, Elmo e Resini) mi hanno scritto una lunga e-mail che riassumo: tra i compiti dei primari (denominati a loro dispetto «dirigenti di struttura complessa») il principale era la direzione tecnica (clinica), la responsabilitàdelle diagnosi, delle terapie, di tutta la conduzione delle indagini e dei trattamenti, quando non attuati in urgenza dal medico di guardia. Oggi il potere dei dirigenti medici è praticamente nullo e il loro compito è diventato altro: non più responsabili del lavoro clinico, ma titolari di un ruolo «gestionale e amministrativo». Dovrebbero occuparsi insomma di turni e soprattutto di 'budget'. A leggere le normative attuali non si sa chi debba coordinare il lavoro nel servizio: o i medici operano in totale anarchia, responsabili, ognuno per conto proprio, di diagnosi e terapia sui pazienti loro affidati, o i primari proseguono in realtà a svolgere il loro lavoro come prima. La magistratura infatti continua a considerare il loro ruolo immutato rispetto alle responsabilità medico-legali, visto che li chiama a rispondere delle scelte cliniche errate nei loro reparti. Anche questo però sta per essere superato davanti all'ascesa di nuove professioni che premono per avere il riconoscimento di funzioni dirigenziali. Ecco che, infatti, si ventila la possibilità di reparti gestiti da infermieri ed altri tecnici laureati, con i medici ridotti a consulenti di reparto. Organizzazioni simili sono già previste in reparti per anziani e riabilitativi, nei laboratori di analisi, ecc.
In un ospedale romano il ruolo di responsabile del blocco operatorio, già attribuito per 3 anni a un valente anestesista, è stato assegnato a una infermiera laureata, mentre al medico è stato chiesto di collaborare con la «collega».

Per non parlare poi della psichiatria, dove l'essenza medica degli atti diagnostici e terapeutici viene costantemente negata. Qui sono gli psicologi ad ambire (anche legittimamente se si pensa alla natura solo «gestionale e amministrativa» del primario) alla massima dirigenza dei servizi. E già esistono centri di servizi di salute mentale con primari o anche responsabili clinici, laureati solo in Psicologia. Se un parente, non convinto della diagnosi o delle decisioni terapeutiche adottate per un paziente, vorrà «parlare con il primario», troverà una persona che, anche con la massima preparazione sulle psicologie individuali, di famiglia e di gruppo, non avrà alcuna competenza sulle richieste specifiche. Riflettendo al fatto che vengono elencate almeno 64 patologie non rare di tipo fisico che possono causare sindromi psichiatriche, non si capisce come uno psicologo, anche bravissimo, possa fare una diagnosi differenziale. Per non parlare poi della somministrazione di terapie psicofarmacologiche molto complesse anche nelle interazioni e negli effetti collaterali.

Ci si troverà insomma con servizi diretti da persone che avranno competenze scarse o parziali sul complesso processo che si svolge nel loro servizio, competenze certamente minori dei medici psichiatrici loro sottoposti. Tutti «dottori» o «todos caballeros» negli ospedali italiani?

Mario Pirani (La Repubblica 23 Aprile 2007,
«Linea di confine»
)

e Pirani insiste il giorno dopo


UNOS "VALIENTES HIDALGOS" negli ospedali italiani

Mi chiamo Loredana Trevisani, mi occupo precipuamente di sanità e prevalentemente di sanità pubblica da quasi 20 anni, con risultati alterni e ultimamente con pochissima soddisfazione a fronte di non poco sconforto. Una formidabile, quanto solo ultima di una inesauribile serie di amarezze, é stato leggere lo sfogo dei medici italiani per tramite di Mario Pirani nella rubrica Linea di confine del 23 Aprile scorso su "La Repubblica".

0 Nulla di eclatante, in fondo é solo l'ennesimo attacco rabbioso e parziale di una categoria di cui alcune frange vedono minacciati i loro smisurati privilegi e magari ravvisano la necessità di rispondere con maggiore coerenza e professionalità genuina alle richieste di una "utenza" non più sussiegosa e succube, ma bene o male informata, attenta ed agguerrita.
Faccio l'infermiera in un ospedale italiano e per appagare il mio legittimo bisogno di migliorare e crescere, studio per la laurea in ingegneria con profitto e successo. Nei lunghi anni di attività assistenziale ho visto cambiare - e spesso scadere miseramente - quasi tutti gli aspetti propri della mia professione. Ora siamo professionisti laureati, abbiamo delle responsabilità deontologiche e soprattutto penali cui dobbiamo assolvere a fronte di inadeguati mezzi formativi e contrattuali. Da un lato la figura dell'infermiere - così come quello delle altre professioni sanitarie (non solo "collegate alla sanità" come cita Pirani) - é evoluta fino ad una laurea più specializzazioni e master (pensate a quanto costa ora diventare infermiere ...). Dall'altro il nostro ruolo é sconosciuto agli occhi degli stessi operatori sanitari con cui lavoriamo. Contrattualmente non ci é riconosciuta né la qualifica formativa né una carriera. Seppur specializzati, in Italia nessuno ci riconosce altro destino se non continuare a fare il lavoro di corsia o al massimo aspirare ad un ruolo di "referente" (l'ex caposala della "notte dei tempi" di Pirani) o come apice assoluto di svendere le mie competenze come "dirigente infermieristico", un ruolo ibrido fra l'usciere e la segretaria di direzione. Certo comprendo un genitore che, dovendo finanziare la formazione del figlio, gli consigli piuttosto che fare l'infermiere di laurearsi in medicina.... mal che vada farà politica! Ma a parità di sforzo i risultati possibili sono di tutt'altra portata.
Una sagace collega ha commentato brillantemente la missiva a firma Pirani: "finalmente non siamo più invisibili, almeno diamo fastidio a qualcuno e magari hanno persino paura di noi!". Chiariamo brevemente e forse anche brutalmente ruoli e responsabilità, così a tutti sarà più facile distinguere fra uno sfogo gratuito e rabbioso ed una legittima rivendicazione.

- Il medico é il professionista formato e preparato che ha la responsabilità di formulare una diagnosi e di prescrivere una cura opportuna e sperabilmente efficace.

- L'infermiere é il professionista formato e preparato che ha la responsabilità di educare alla promozione della salute, di pianificare e sviluppare l'assistenza della persona secondo obiettivi clinici ed assistenziali, di somministrare le terapie prescritte nonché vigilare sullo stato della persona soggetta a trattamento.

L'infermiera NON fa diagnosi medica e non prescrive farmaci, il medico NON fa e non sa nulla di organizzazione e pianificazione dell'assistenza.
I due collaborano in aree comuni di intervento (il paziente é di entrambi), ma non hanno le stesse competenze, né le stesse responsabilità né fondamentalmente gli stessi obiettivi. Il medico ha come obiettivo fare diagnosi e prescrivere una cura, l'infermiera fa esattamente tutto il resto.

Comprendo che sia ostico e pressoché impossibile che - anche solo culturalmente - un medico o chiunque altro in realtà possa considerare gli infermieri come qualcosa di diverso da semplici sguatteri da sfruttare a piacimento, ma conto che alcune persone sufficientemente critiche siano in grado di cogliere quanto i medici - alcuni in special modo - possano esistere con tutti i loro privilegi grazie agli infermieri ed agli altri professionisti di sanità, che resistono a compiere il loro dovere e spesso ben di più.

Fondamentalmente trovo giusto che professionisti fra loro differenti rispondano e si organizzino a ed in vertici e gerarchie diverse: medici ed infermieri sono professionisti autonomi; servizi e prestazioni delle due categorie sono distinti nel merito e nel metodo; dunque val bene separare le loro rispettive "linee di comando". Immaginiamoci un esercito in guerra: c'é da un lato la fanteria e dall'altro l'areonautica; entrambe le specialità d'arma combattono contro esattamente lo stesso nemico e sullo stesso terreno, però lo fanno in maniera completamente diversa e giustamente - pur rispondendo ad un «ministero della difesa» comune - sono organizzati in gerarchie proprie e specifiche. Quanto alle lamentele sul ruolo medico usurpato da generici energumeni portatori di laurea e snaturato dalle tediose incombenze amministrativo-burocratiche-gestionali: ebbene voglio ricordare che la scelta politica di affidare
- (A) agli ex "primari" ora «dirigenti di strutture complesse» nonché
- (B) di fare di tutti - e sottolineo tutti - i laureati in medicina assunti "dirigenti medici",

é stata voluta e sostenuta dalla categoria dei medici stessi, che ne ravvisavano la via più breve per appropriarsi del totale controllo dell'universo "sanità" sotto tutti gli aspetti.
Negli anni l'operazione si é rivelata un fallimento colossale: .... magari c'era da aspettarselo che un laureato in medicina, pur eccellente medico, potesse non avere le competenze manageriali adatte a rispondere opportunamente ad istanze di tipo economico-amministrativo!
Tutto sommato se qualcuno laureato in "qualsiasicosa" dimostra di avere migliori capacità e competenze gestionali ben venga, qui si tratta di difendere ben altro di un misero orticello di privilegi e prestigio.

Alla fine della fiera sarebbe tanto utile se - come auspicava Falcone - ciascuno si limitasse esclusivamente a fare onestamente il suo dovere! Che i medici facciano finalmente il loro prezioso dovere e che siano messi nelle condizioni di farlo con dignità e rispetto; che a ciascuno venga permesso di fare bene il suo dovere e di cimentarsi nelle competenze acquisite con responsabilità e trasparenza.

Pirani lancia i suoi fulmini al titolo "Todos caballeros negli ospedali italiani"; se così come suona, "caballeros" ha una pesante connotazione spregiativa, rilancio con "Unos valientes hidalgos negli ospedali italiani" (alcuni valorosi leali e nobili gentiluomini negli ospedali italiani) dove l'atmosfera é livida, la prevaricazione, lo spreco, le vessazioni e la collusione sono lo sport d'Eccellenza, praticato dai "caballeros" che hanno un interesse particolare ed un privilegio riscuotibile a discapito di tutti.

Perché ci sono «hidalgos» - uomini e donne eccezionali e capaci - che lavorano sodo e producono salute al massimo delle loro possibilità: di questi eroi medici, infermieri, fisioterapisti, tecnici.... di questi non parla mai nessuno, perché fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Eppure avremmo tutti bisogno di promuovere un clima disteso e positivo, una attitudine di fiducia e concordia: é troppo teatrale e comodo denunciare "immani nefandezze" e scaricarne la responsabilità sugli attori più deboli e meno tutelati (la fanteria in trincea!).

Cordiali saluti,
Loredana Trevisani, Udine
Tel. n. 0432 - 650068
Fax 0432 - 651048

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