Perché tanti spagnoli si sono messi improvvisamente a scavare?

Perché la terribile storia di Franco era rimasta sotto terra...

La memoria dei nipoti

di BEPPE CREMAGNANI - 24 Gennaio, 2008 - QUI un video su ARCOIRIS
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Nell'estate di due anni fa, sul più importante quotidiano spagnolo, 'El Pais', cominciarono a uscire strani necrologi, almeno uno ogni giorno, a volte anche pagine intere. Per l'esattezza, il primo fu pubblicato il 17 luglio 2006, settantesimo anniversario del colpo di Stato del generale Francisco Franco. I necrologi commemoravano oggi persone assassinate dalla dittatura più di 50 anni fa, come se il tempo non fosse trascorso e le morti fossero del giorno prima.
La cosa incuriosì l'opinione pubblica e gli stessi giornalisti non sapevano che spiegazione dare. Era come se improvvisamente la Spagna dei vinti dal franchismo si fosse passata parola e fosse uscita allo scoperto per invocare a gran voce quello che gli era stato negato fino ad allora: Verità e Giustizia.

«Verità» e «giustizia» sono due parole rimaste sospese nella Spagna del dopo Franco, messe da parte per dar spazio a una transizione verso la democrazia senza scossoni. I patti volevano che si guardasse avanti e non si parlasse più dei crimini del passato: questo era il senso degli accordi non scritti, ma garantiti a voce e con solenni strette di mano, fra i nostalgici del Caudillo che occupavano ancora i posti chiave dello Stato e i rappresentanti dei partiti democratici appena usciti dalla clandestinità.
Così, a poco a poco, anch'io che da trent'anni ho sposato una spagnola e passo in Andalusia buona parte delle mie vacanze, mi ero adattato all'inizio all'idea, molto diffusa fra l'opinione pubblica, di un Franco dittatore dal guanto di velluto, più che dal pugno di ferro, un Caudillo che col passare degli anni aveva finito per ammorbidire il violento assolutismo fino ad accettare forme di opposizione.

Del resto in Italia giornalisti come Sergio Romano o Barbara Spinelli scrivevano di Franco come del 'male minore' nella tragica storia della prima metà del '900. Sostenevano che la Repubblica del 1936 sarebbe caduta in mano ai comunisti e che l'Europa si sarebbe trovata chiusa in una pericolosa tenaglia, fra l'Unione Sovietica e la Spagna rossa. Pur disapprovando la mancanza di libertà e le violenze del regìme, tutti e due pensavano che il franchismo avesse fatto da argine al comunismo. E non era stato poi proprio il dittatore a spianare la strada alla democrazia nominando come suo successore re Juan Carlos, cresciuto in esilio a Roma e consigliato e seguito nel suo avvicinarsi alla politica da un antifascista incombustibile come Sandro Pertini?

E invece sbagliavamo tutti.

Verità, e Giustizia ...
Il Giudice Baltasar Garzon

Il coraggioso ex-Giudice Baltasàr Garzòn, nel 2011 "fatto fuori" dopo anni di sforzi dai beneficiati dal franchismo, e dai loro complici istituzionali. Moltissime le similitudini iberiche col "Sistema Italia fasciopositivo", e colle nefaste conseguenze dell'amnistia (1946) targata "Togliatti". Il Giudice siciliano Giovanni Falcone era uno dei suoi riferimenti.
In una lettera alla figlia Maria ricorda Giovanni Falcone e la strage di Capaci. «Falcone è una persona che ho molto ammirato e con cui, purtroppo, ho avuto modo di lavorare solo qualche volta».
Oggi, Baltasar Garzòn fa l'avvocato di Julian Assange


[ Leggi questo articolo per immagini originali (era su "Il Diario" settimanale, oggi purtroppo scomparso) ]
[ http://it.wikipedia.org/wiki/Baltasar_Garzon ]
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[ 9 aprile 2010 - EL PAIS MADRID
http://www.presseurop.eu/it/content/article/228551-baltasar-garzon-dall-altra-parte-della-sbarra

Con 22 anni di carriera giudiziaria alle spalle, Baltasar Garzón ha avuto modo di pestare i piedi a un gran numero di persone. Nelle schiere dei suoi nemici si contano figure di spicco di tutti i principali partiti politici, che un giorno lo abbracciavano e quello successivo finivano tra i suoi indagati.

Garzón non è mai stato un personaggio discreto. Non ha mai passato la patata bollente a qualcun altro. Al contrario, ha sempre fatto in modo che i casi più scottanti venissero affidati a lui, per la gioia dei suoi colleghi. La sua biografia è talmente fitta che a malapena si riesce a trovare un fatto saliente di cronaca che non sia passato per le sue mani: dal narcotraffico al separatismo, passando per la corruzione in tutte le sue forme e il terrorismo di stato. Il prestigio di Garzón ha finito col varcare le frontiere nazionali. Si è occupato di casi eclatanti a livello mondiale: ha richiesto un ordine d'arresto per Pinochet, ha provato con ogni mezzo a processare Berlusconi, ha emanato addirittura l'ordine d'arresto per Bin Laden.

Nonostante la fama di giustiziere senza confini, qualcuno si è chiesto come mai tra le vittime di Garzón non ci fosse nessun grande industriale. Non è stato lui, ad esempio, a condurre le indagini su Mario Conde, presidente della Banesto. A tal proposito c'è anche chi è convinto che davanti alle grandi istituzioni bancarie del paese, come la Bbva e il Banco di Santander, non sia stato il massimo in fatto di fermezza e integrità. È stato anche accusato di aver intascato un "aiuto" dal Banco di Santander per pagarsi un corso negli Stati Uniti, anche se la banca nega tutto. Un'insinuazione che avrebbe potuto costargli la carriera.  

La figurina mancante

La parabola di Garzón è andata avanti senza pause, sempre in prima linea e in prima pagina, come se il suo attivismo fosse inesauribile. Garzón sembrava destinato a restare per sempre sul piedistallo. I suoi tentativi di fare carriera nell'Audencia Nacional, nel Supremo Tribunal o alla Corte internazionale dell'Aia si infrangevano regolarmente. Garzón non sembrava poter contare mai sull'indispensabile appoggio dei suoi colleghi. Ogni volta si verificava una coincidenza che operava a suo sfavore. Alla sua destra e alla sua sinistra si formava sempre una maggioranza che lo escludeva.  

Considerando il suo palmarés, si poteva ipotizzare che nel curriculum di Garzón mancasse ancora un personaggio, l'ultima figurina per completare l'album. Dopo aver esplorato i meandri paludosi della democrazia spagnola, gli mancava la revisione del passato. E nel passato lo aspettava la figurina mancante: Francisco Franco. Garzón aveva saldato i conti con molta gente, ma non si era mai spinto nel territorio della dittatura spagnola. Fino al settembre del 2008, quando ha deciso di aprire una indagine sul franchismo per supplire alle mancanze della Legge della Memoria, che aveva lasciato inascoltate molte richieste di giustizia delle famiglie delle vittime della Guerra Civile. Garzón è riuscito a portare avanti l'inchiesta grazie alla sua straordinaria dedizione al lavoro, sostenuta dal suo carattere deciso (oltre che dall'insonnia). L'indagine su Franco è proseguita anche quando Garzón si è dovuto occupare dello spinoso caso Gürtel sulla presunta rete di corruzione all'interno del Partito Popolare.

Fine della parabola?

Garzón ha vissuto costantemente sotto assedio, bersagliato dagli alleati delle sue vittime. Con il tempo ha imparato che il copione è sempre lo stesso. Oggi si sente pronto a reggere qualunque pressione, come ha scritto nel libro in cui ha raccolto i suoi pensieri, El mundo sin miedo. In tutti questi anni Garzón ha saputo superare i momenti peggiori con la destrezza di un equilibrista. Ogni volta che è stato messo sotto accusa da una fazione, quella concorrente si è levata in sua difesa.

Negli ultimi tempi, però, le cose sono cambiate. Nella ristretta cerchia della giustizia, la sensazione che Garzón sia invincibile e inesauribile sta perdendo di forza. Sono in troppi a pensare che Garzón non sia più necessario come prima. Soprattutto sembra sempre più indigesto al mondo politico, dove tutti quanti hanno avuto modo di sperimentare la sua inclemenza. Leggendo alcuni passi del suo libro, traspare la sensazione che Baltasar Garzón sia convinto di essere al mondo per recitare una parte, pronto ad accettare i sacrifici che ne derivano. Resta da vedere se è pronto per un finale imprevisto.]

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[(Negli ultimi tempi, però, le cose sono cambiate. Nella ristretta cerchia della giustizia, la sensazione che Garzón sia invincibile e inesauribile sta perdendo di forza. Sono in troppi a pensare che Garzón non sia più necessario come prima.)
Sì, più o meno lo stesso 'clima' che circondava nelle ultime settimane il Giudice Falcone, cui nel suo libro Garzòn dédica il terzo capitolo....]


Spagna: archiviato terzo processo contro Garzon

13 febbraio 2012
Madrid. La Corte Suprema spagnola ha deciso oggi di archiviare il terzo procedimento contro il giudice Baltasar Garzon, a quattro giorni dalla sentenza che lo ha sospeso dalla professione per 11 anni, mettendo di fatto fine alla sua carriera. Il procedimento archiviato riguarda l'accusa di corruzione in merito al presunto tentativo di aver sollecitato sponsorizzazioni in denaro per un corso universitario tenuto a New York da Garzon fra il 2005 e il 2006. Era stato inoltre collegato un versamento all'università di 30mila dollari da parte della banca Santander con la successiva decisione di Garzon di archiviare un procedimento contro il suo direttore, Emilio Botin. Ma il magistrato aveva sempre negato, affermando che i fondi erano gestiti dall'università. Noto in tutto il mondo per le inchieste scomode e l'impegno per i diritti umani, il 56enne Garzon è stato sospeso per 11 anni per aver ordinato intercettazioni delle conversazioni fra gli avvocati e gli imputati del caso Güertel, una vicenda di corruzione che ha coinvolto alcuni politici del partito Popolare. L'8 febbraio si è intanto chiuso il dibattimento del processo per 'negligenza professionale' in merito all'inchiesta sulle vittime del franchismo, aperta da Garzon malgrado l'amnistia varata nel 1977.
I sostenitori del giudice, in Spagna e all'estero, accusano i vertici della giustizia spagnola di persecuzione politica nei suoi confronti.

Adnkronos


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Le cose non andarono così come le immaginavamo, ma allora nessuno poteva sapere davvero cosa fosse successo negli anni della dittatura, di quali orrori si fosse macchiata l'anima del Caudillo. Certo c'erano libri ben documentati di storici come Paul Preston, erano però voci troppo flebili per arrivare fino all'opinione pubblica. La Spagna intera ha ignorato o ha voluto ignorare il passato fino a che questo non le è stato sbattuto in faccia e adesso che la memoria sta riemergendo senza più paure, né compromessi, la storia dovrà essere riscritta e i torti riparati.

Avevo conosciuto la vera essenza del fascismo spagnolo dal racconto di una persona cara ma non avevo capito la portata del dramma. Una decina di anni fa, un pomeriggio d'inverno, Fabe, la bàlia di mia moglie, mi raccontò la sua vita. Un giorno, poco tempo dopo il golpe di Franco, il padre di idee socialiste venne preso e caricato a forza su una macchina. A casa non fece più ritorno e il suo cadavere non fu mai trovato.
Negli stessi giorni, in una località poco distante, una macchina uguale a quella che rapì il padre di Fabe, rapì il poeta Garcìa Lorca. I fascisti lo presero e lo uccisero per fargli pagare l'omosessualità, lo spirito libero e l'impegno per portare la cultura al popolo. La tomba di Lorca è rimasta segreta per tanti anni.
Ora sanno tutti dov'è: in una radura del bosco lungo il sentiero che porta al barranco - cioè al burrone - de Viznàr, méta di passeggiate appena fuori Granada.
Il luogo è rimasto così come lo avevano lasciato gli assassini dopo aver sepolto il corpo del poeta, accanto a quelli di due toreri e di un maestro, uccisi con lui. A indicare la sepoltura c'è una gran croce fatta di pigne, rami secchi e pietre, disposti dalla pietà dei viandanti.

Quando le uccisero il padre, Fabe era una bambina che prometteva negli studi, con la passione del cucito e il sogno di fare la sarta. E la famiglia avrebbe potuto aiutaria a realizzarlo, il padre non era ricco ma aveva un campo abbastanza grande da garantire un'esistenza serena a lei e ai numerosi altri figli. Ma i fascisti non si accontentarono di uccidere: espropriarono casa e campo e ridussero la famiglia sul lastrico. Da un giorno all'altro, costrinsero i figli maschi con più di 16 anni a fuggire all'estero, perche chi aveva più di 16 anni e proveniva da una famiglia di idee repubblicane era destinato a morte certa. Così Franco cambiò le sorti della famiglia Lozano e alla piccola Fabe non restò che abbandonare la scuola e andare "a servizio" per non morire di fame. Ricordo che quando finì il racconto Fabe piangeva, e il marito Pepe stava ammutolito, con l'espressione stupita di chi sente raccontare per la prima volta una storia così atroce.

Pensai che il destino di Fabe fosse qualcosa di eccezionale, anche per le atrocità commesse dal franchismo. Ma mi sbagliavo, e di grosso. Il destino della famiglia Lozano fu una sorte condivisa da decine di migliaia di famiglie spagnole. Dopo la fine della guerra, nel 1939, la macchina repressiva del franchismo annientò, tramite morte, campi di concentramento ed esilio, milioni di esistenze, seguendo il motto del generalissimo: «Uccidere, uccidere, uccidere. Dobbiamo uccidere almeno un terzo della popolazione adulta per farla finita col marxismo e il proletariato». Si dice in Spagna che queste famiglie siano 'borradas', cancellate: cancellate da tutto, condannate a una 'damnatio memoriae', invisibili per sempre. Determinato e spietato, Franco ebbe tutto il tempo per portare a termine la sua vendetta: a differenza degli altri dittatori europei, morì nel suo letto.
Era il 21 novembre 1975 quando gli ultimi condannati a morte per reati politici vennero giustiziati mentre il Caudillo agonizzava.

Nell'estate dei necrologi su 'El Pais' cercai di sapere qualcosa di più di del regime di Franco e delle persecuzioni del dopoguerra e non dovetti andare troppo lontano per scoprire cose che mi lasciarono totalmente allibito. Le raccontai a Enrico Deaglio e decidemmo di progettare il documentario che esce con questo numero di Diario. Scoprii per esempio che a Malaga, lungo uno dei miei soliti percorsi in bicicletta, c'era, alle spalle del lungomare in una zona molto ambita dalla speculazione edilizia, il cimitero abbandonato di S. Rafael. Abbandonato per modo di dire: ospitava sempre le salme di chi non aveva una tomba o una croce. Sotto uno strato di terra e calce rimanevano infatti migliaia di scheletri, i resti di almeno cinquemila persone fucilate dai franchisti nel periodo che va dal 1939 agli anni Sessanta, in 12 diverse fosse comuni grandi quasi quanto quelle di Srebrenica. E il tutto, a due passi dagli stabilimenti balneari, nel pieno di un quartiere popolare.

Quando l'estate scorsa siamo tornati per effettuare le riprese, i lavori per riaprire le fosse comuni erano già iniziati. Una era stata scavata completamente, un'altra era stata appena aperta. Il recupero degli scheletri veniva effettuato con metodi certosini, bisturi e pennelli, per non perdere nemmeno il più piccolo frammento di ossa; questi poi venivano separati dentro grandi scatole di legno per un'eventuale identificazione. All'opera erano tutti giovani volontari, provenienti da mezza Spagna e da altri Paesi del mondo, dal Marocco agli Stati Uniti.
Paco Espinosa, figlio di un fucilato e presidente del «Comitato delle vittime della repressione», ci sorprese quando raccontò le vicissitudini del cimitero abbandonato. Si sapeva che lì sotto c'erano i corpi dei fucilati, anche se forse nessuno poteva immaginare il numero esatto, ma l'amministrazione comunale aveva già un piano urbanistico bello e pronto: «Leggemmo sui giornali» ci raccontò Espinosa «che il Comune aveva in progetto di costruire un grande parco e di stendere sopra le fosse comuni una gettata di cemento». L'espressione «gran parque» in Spagna, e in particolare nella Costa del Sol, si presta facilmente a diverse interpretazioni visto che di solito succede che il «gran parco» finisce per essere poca cosa, inghiottita dalla grossa speculazione edilizia. Protestarono in pochi anche fra i parenti delle vittime. Dagli anni della guerra era passato del tempo, molte famiglie erano emigrate, altre non sapevano nemmeno che il loro parente desaparecido ai tempi di Franco fosse finito sotto terra a Malaga, e altre ancora erano bloccate per quella ottusa e misteriosa paura che ancora, a tanti anni dalla morte del Caudillo, impediva di parlare.

«Ma alla fine ce l'abbiamo fatta», disse ancora Paco «e non ce ne andremo fino a che l'ultimo scheletro non verrà riesumato. All'inizio pensavamo che la situazione di Malaga fosse straordinaria e che cose così non capitassero nel resto della penisola. Pensavamo che i municipi si prendessero cura perlomeno dei luoghi in cui erano avvenuti simili orrori. Invece quando abbiamo cominciato a studiare il resto della Spagna ci siamo accorti che Malaga non faceva eccezione e che ogni volta che veniva scoperto un luogo dove le carte o i racconti di vecchi testimoni indicavano come possibile la presenza di fosse comuni c'era sempre qualcuno pronto a mettere i bastoni fra le ruote. Scoprimmo anche che l'intera Spagna era disseminata di fosse comuni, a migliaia, e non solo nei cimiteri, ma in mezzo ai campi, nei pozzi abbandonati, nelle radure dei boschi, nei greti dei torrenti in secca, perfino nei fossi lungo le strade».
E solo ora gli storici, con l'aiuto di migliaia di volontari, stavano cominciando a metterne a punto una mappa. Un lavoro lunghissimo, che forse resterà incompleto. Probabilmente non c'è luogo della Spagna dove i sicari di Franco non siano entrati in azione lasciandosi alle spalle i cadaveri sepolti sotto poca terra, senza una croce.

«Nessuno aveva il coraggio di rivendicare quei morti, neppure le famiglie», dice Inma Chacon, scrittrice «perché già solo portare un fiore in un luogo dove si pensava potesse esserci una fossa, voleva dire condividere l'idea politica del proprio caro assassinato e mettere a repentaglio la vita, propria e dei familiari». Un incubo passato di generazione in generazione. Chi sapeva qualcosa, chi aveva visto, taceva, e non raccontava niente ai figli, ai parenti, per non comprometterli. La memoria delle fosse si andava perdendo, «non fosse che improvvisamente la generazione più giovane, quella nata quando la Spagna era già una democrazia, decise che era ora di riaprire i conti col passato», dice Fernando Areas, storico dell'Università di Malaga. «Sono giovani che non conoscono la paura dei nonni, che non si sentono più vincolati dai patti della transizione e del silenzio. Vogliono sapere cose semplici: perché uccisero i loro nonni, dove sono sepolti, e perché le sentenze di morte - quando ci sono - dichiarano 'traditori' coloro che invece difesero la Repubblica contro i golpisti di Franco».

La storia vuole che tutto ebbe inizio due anni fa, in un paesino del Nord, in Aragon.
Emilio Silva, giornalista di punta del programma televisivo "Caiga quien caiga" - tipo le nostre "Iene" - decise, sulla scorta della testimonianza di un sopravvissuto, di andare alla ricerca della tomba perduta del nonno per recuperarne le spoglie e seppellirle nella tomba di famiglia, accanto a quelle della nonna, morta l'anno prima. Aiutato da due medici forensi, da qualche amico e mettendoci di tasca propria i soldi per la ricerca del DNA, Silva riuscì a identificare i resti del nonno: «Decisi di aprire un blog per raccontare la mia esperienza», spiega. «Il giorno dopo mi trovai sommerso dalle email di persone che da tutta Spagna mi chiedevano come fare, come ritrovare i parenti scomparsi nel nulla dopo la guerra. Era come se improvvisamente la Spagna annientata da Franco si fosse data appuntamento per chiedere verità e giustizia».

Finora abbiamo parlato di morti e desaparecidos ma il rituale dell'annientamento non si fermava all'eliminazione fisica. Essere parente di un assassinato equivaleva ad avere una condanna a morte civile: «Una delle prime leggi del regime», spiega Josè Antonio Martin Pallin, magistrato della Corte suprema «fu quella che impediva ai condannati di possedere qualsiasi bene, così le famiglie venivano spogliate di tutto». Fu così che per ordine del dittatore i beni di mezza Spagna cambiarono di mano, e in pochi anni fu ridisegnato il catasto nazionale. Il furto legalizzato fu alla base di enormi fortune che durano ancora oggi.
«Vuoi un esempio?», dice Emilio Silva, «Qui vicino a casa mia abita un tizio la cui famiglia fu espropriata da Franco. Vive in un appartamento modesto e tutti i giorni per andare a lavoro gli tocca l'umiliazione di passare davanti a un bel palazzo che era di suo nonno e adesso appartiene alla famiglia che lo ebbe in dono da Franco per i servigi al regime». Tutto sta succedendo molto in fretta nella Spagna che vuol recuperare la memoria, così è di questi giorni la notizia che un migliaio di persone si sono associate per chiedere la restituzione di quanto fu rubato ai loro parenti con le leggi franchiste e la Comunità Catalana ha deciso di mettere a disposizione un pool di avvocati per assisterli in giudizio. Hanno buone probabilità di ottenere giustizia perché esiste un precedente che riguarda una restituzione, avvenuta qualche anno fa, dei beni e degli immobili di partiti e sindacati sequestrati dopo la guerra.

Ci sarà qualcuno che risarcirà il lavoro schiavo di centinaia di migliaia di prigionieri politici costretti a spezzarsi la schiena per meno di una peseta al giorno, lavorando senza soste con una scatola di sardine per pranzo e cena?
«Si può dire», spiega Isaias Lafuente, giornalista di 'Cadena SER', che sul tema ha pubblicato diversi libri «che tutti i detenuti politici furono obbligati al lavoro». Ricostruirono strade, ponti, palazzi, una Spagna distrutta dai bombardamenti di Hitler e Mussolini. Costruirono El Valle de los Caìdos, il mausoleo di Franco, più grande della basilica di S. Pietro, in mezzo alle verdi montagne dell'Escorial. La costruzione dell'incredibile monumento dove sono sepolti Franco e i resti di 40 mila caduti "per Dio e la Patria" divorò per anni l'intero bilancio del Ministero della Cultura.
Ne approffitò lo Stato, ma ne approfittarono anche molte delle grandi imprese edilizie spagnole che oggi guidano il listino di borsa e trascinano la crescita del Paese a percentuali doppie che nel resto d'Europa: le società Agroman e Dragados, solo per fare qualche esempio, che fatturano miliardi e miliardi in tutto il mondo; aziende come quella dell'imprenditore Josè Banus, che deve la sua fama al porto di Marbella, la capitale del lusso e del divertimento. Sono imprese che si sono fatte le ossa sotto la dittatura e che Franco beneficiò col lavoro schiavo.
Oggi naturalmente fanno finta di niente, stanno anzi riuscendo a far perdere del tutto le tracce del passato seguendo semplicemente la legge del mercato che impone continue fusioni fra società. Ma non furono le uniche a servirsi di manodopera a costo zero. Anche le multinazionali americane, arrivate in Spagna dopo che in epoca di Guerra fredda venne a cadere l'embargo deciso dall'Occidente contro il Caudillo, in alcuni casi usarono i prigionieri per costruire gli stabilimenti.

La pratica del lavoro schiavo, che si è protratta addirittura fino agli anni Settanta, è una delle pagine meno studiate della storia recente della Spagna. Sembrava una prerogativa esclusiva del nazismo e invece scopriamo che fu applicata - forse per la prima volta su scala industriale - nella sorridente Spagna. Così ripercorrendo la storia della guerra civile, ci rendiamo conto che tutti gli «orrori del Novecento» - i genocidi, le pulizie etniche, i bombardamenti sulle città, i lager, gli esili forzati - sono stati in qualche modo, e prima che altrove, sperimentati e affinati sulla pelle di una parte del popolo spagnolo, prima che altrove. Si può dire che anche le teorie razziali che portarono alla Shoah ebbero un precursore nello psichiatra, vero padre della psichiatria spagnola e sudamericana, dott. Vallejo Nagera. Al termine di una serie di studi compiuti su una popolazione di detenuti nelle prigioni di Franco, Nagera concluse che marxisti, massoni e democratici in genere costituivano una razza inferiore, una razza di pericolosi invasati che aveva pochi punti di contatto con il resto del genere umano, un pericolo di contagio e che perciò, in quanto tale, andava estirpato attraverso l'«eugenetica positiva», cioè lo sterminio senza rimorsi.
Siamo nel 1938 e la "soluzione finale" che decise lo sterminio degli ebrei nella Germania nazista doveva essere ancora studiata.

C'e un vizio che avvolge la storia della Spagna che chiamano la 'leyenda negra', la «leggenda nera»: la memoria dei secoli bui della cacciata degli ebrei e dei mori, dell'inquisizione e dei roghi per i 'non cristiani'. Protagonista della leyenda è la Chiesa cattolica, suggeritore e braccio spirituale del Potere nei momenti di massima violenza. Anche dopo il colpo di Stato franchista la Chiesa si schierò contro il governo repubblicano democraticamente eletto e al fianco di Franco, il dittatore che definì «crociata» la mattanza di Spagna.
«Disgraziatamente la Chiesa non ha mai chiesto perdono» commenta Inma Chacon. Anzi, ancora oggi si batte perché del passato non se ne parli più e beatifica i sacerdoti uccisi dopo il golpe dagli eserciti repubblicani. Non spende nemmeno un amen, invece, per quelli fucilati da Franco, si schiera contro il movimento che si batte per il recupero della memoria, contro quelli che vorrebbero eliminare dalle cattedrali le lapidi che inneggiano al regime di Franco, contro chi chiede di riesumare e seppellire altrove le più feroci figure del regime ancora sepolte in molte chiese con tutti gli onori: «Sarebbe segno di cattiva coscienza», chiosa Emilio Silva.

Non sarà però la conferenza episcopale spagnola a frenare quello che di giorno in giorno e spontaneamente si è messo in moto in Spagna. Il movimento per la memoria è qualcosa di assolutamente inaspettato, che non si sa dove andrà a finire ma che sta scuotendo nel profondo coscienze e società. La politica se ne è accorta. Il Parlamento ha approvato in via definitiva la legge sulla memoria storica, che finanzia e favorisce la ricerca delle fosse comuni e dichiara illegittimi i tribunali di Franco. E' il primo passo per la revisione di tutti i processi contro le vittime del franchismo, passaggio obbligato per restituire onore e giustizia ai perseguitati e per aprire la via al risarcimento.

Per finire, una raccomandazione. Se vi capita di andare in vacanza a Malaga, chiedete di poter visitare il cimitero di S. Rafael. Fatevi raccontare la storia da Paco. Le parole non rendono, bisogna starci.



« VOMITO, ERGO SUM »

Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:
«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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