Vajont, una tragedia annunciata

di Marisancho Menjon Ruiz

 

vajont-tezaCarolinaVeglia05

Faccia da parte.
Teza Carolina in occasione della PRIMA veglia in diga, notte 08/09 ottobre 2005,
accanto ai quasi 500 nomi delle sole vittime dagli 0 ai 15 anni, da noi confezionati ed oggi conservati al museo di Erto.


Quando Carolina Teza si decise a parlare, erano gi passati 40 anni. Quattro decenni di silenzio delle vittime che ancora si trascinavano dietro le conseguenze di quella notte di orrore nella quale sembr che il mondo finisse. D'altronde per gli altri, era preferibile far finta di aver voltato pagina: nascondevano perfino la loro condizione di vittime, tentando di sfuggire dagli sguardi a volte di compassione, a volte di disprezzo.

 

Questo silenzio stato molto comodo per i colpevoli e per le autorit: l'unica verit diventata cos quella istituzionale. Hanno fatto sapere agli italiani solo quello che hanno voluto loro, non quello che in realt accaduto. Carolina Teza si decise a lottare con tutta le sue forze contro questa situazione il giorno che, ascoltando il telegiornale, sent la notizia che finalmente si chiudeva la storia del Vajont con l'apporto della liquidazione, da parte del governo Amato e dovuta a una sentenza di condanna, degli ultimi 77 miliardi di lire «per i sopravvissuti».

 

Per poter farsi un'opinione
NOTE 2009 del curatore di queste pagine (Dal Farra Tiziano):

0


Leggilo, e fallo cercare e leggere.
Regalalo a chi ami o stimi davvero: http://deastore.com/libro/vajont
Libro/documento fondamentale depositato AGLI ATTI del mio processo di settembre 2009 come materia di studio ed AIUTO per magistrati in genere. E reperibile - anche senza porto d'armi o permessi di soggiorno - nelle librerie come materia di riflessione per il resto degli italiani.
«L'Italia che fa più SCHIFO, espressa al suo MEGLIO» 45 anni di scandali, di MAFIA, menzogne e tragedia.
Uscito nel maggio 2008, è l'unico libro sul "dopo", seppure ancora a mio parere e nei fatti correnti incompleto in quanto, come tutta la vicenda a monte, è un «work-in progress». In questo caso, attualizzato al 2008, e inclusa fugacemente la mia prima sentenza di "condanna" in primo grado per diffamazione (un classico, da Tina Merlin a oggi). Udienza di appello in Trieste, il 25 gennaio 2011.

La "Madre di tutte le Vergogne" italiana: una storia schifosa quanto esemplare che a mio parere rischia più di qualche replica (rectius: schema attuativo) a L'Aquila nella nascente "ricostruzione" in cui la mafia di NordEst rappresentata dall'oggi ex sindaco Pierluigi De Cesero - questo lo posso assicurare e dettagliare - è già all'opera da tempo.
Tiziano Dal Farra

In questa foto di Calias, Carolina Teza mostra la "quietanza" dell'ENEL ricevuta all'epoca dal marito Vincenzo a "saldo" della famiglia massacratagli. Qui [con altri reperti...].

0

LEGGI dell'INFAME PROCESSO avviato dal sindaco mafioso De Cesero Pierluigi (UDC) ai coniugi Teza.
Guarda il filmato del processo su YouTube

Mi sono detta, no, no, no, questa storia deve finire. Bisogna mettere un punto a tutta questa storia di menzogne. Menzogne che, insiste, erano cominciate immediatamente dopo la tragedia: si disse infatti all'opinione pubblica che quella del Vajont era stata una catastrofe naturale.

 

Bisognava raccontare la verit, dal principio.

 

Negli anni 50 del secolo passato si costru in una piccola valle delle Dolomiti, a 80 km a nord di Venezia, la diga del Vajont, che prendeva il nome dal torrente la cui acqua veniva sbarrata. Era la diga pi alta del mondo, un'impressionante parete di cemento di 263 metri; l'orgoglio di una nazione, la dimostrazione della capacit tecnica italiana, un paese che aveva finito cos di scrollarsi di dosso l'onta vergognosa della II Guerra Mondiale a fianco dei nazisti.

 

La diga del Vajont creava un lago artificiale di 150 milioni di metri cubi per la produzione di elettricit. Si lasciava ai lati, lungo le sue rive, i paesi di Erto e Casso, seriamente colpiti dalle espropriazioni e di fronte, a valle, ad 1 km scarso in linea d'aria, la piccola e dinamica cittadina di Longarone. Fin dal principio si annunciarono problemi. Alcuni studi geologici anteriori alle opere di costruzione evidenziarono chiaramente che non era sicuro creare un invaso in questa valle poich il terreno del versante sinistro, quello chiamato monte Toc, era molto instabile. Il Toc si stagliava sopra un antico slittamento preistorico che avrebbe potuto riattivarsi a causa della pressione dell'acqua invasata e con la fluttuazione del livello di questa, con il rischio di provocare il distacco di una gran massa di terra e rocce che sarebbe caduta rovinosamente in acqua provocando gravissimi danni.

 

Nessuno di questi studi fu tenuto in considerazione. C'erano infatti altri scienziati che giungevano a conclusioni molto pi ottimistiche e molto pi interessanti per la SADE, la Societ Adriatica di Elettricit, che era l'impresa aggiudicataria dello sfruttamento idroelettrico, e che opt per avallare le tesi che meglio negavano il rischio procedendo con la realizzazione dell'opera.

 

Quando la diga fu terminata e si diede inizio alle prove di invaso, la montagna stessa cominci a dare segnali chiari che il rischio era certo: si aprirono enormi crepe nel suolo, si sentirono boati provenienti dalla terra, scosse di terremoto, gli alberi iniziarono ad inclinarsi. Addirittura una piccola porzione di montagna - 700.000 metri cubi - croll in acqua.

 

Ma niente di tutto ci ferm la SADE che nel frattempo aveva invece fretta di consegnare l'opera gi collaudata e funzionante allo Stato, prima che fosse annunciata la nazionalizzazione di tutte le imprese elettriche sul territorio del paese, e cio in tempo utile per evitare di perdere i grandi benefici economici che ne sarebbero derivati. Superare questa data infatti avrebbe significato perdere gli immensi profitti previsti dalla cessione del progetto. Fu proprio questa possibile perdita ad accecare la direzione del progetto a tal punto da anteporre a tutto la salvaguardia del guadagno. Si minimizzarono i rischi e non ci si ferm a pensare alle possibili vittime, ma si decise invece di andare avanti.

 

All'inizio dell'autunno 1963, con l'invaso gi pieno e ufficialmente in funzione, i segnali della tragedia non potevano essere pi evidenti: il movimento del fianco della montagna era visibile ad occhio nudo. Gli abitanti di Erto e Casso domandavano incessantemente all'impresa e ai poteri pubblici di fornire documenti che garantissero la loro sicurezza ottenendo come unica risposta laconici ed ufficiali comunicati che assicuravano che tutto era sotto controllo. Il giorno precedente alla catastrofe, al comune di Erto e Casso arriv da Venezia un telegramma che raccomandava l'immediata evacuazione della popolazione per timore del collasso del monte Toc sopra al lago artificiale. Le autorit governative centrali e periferiche per non fecero nulla. Coloro che avevano provato a diffondere la notizia furono tacciati di allarmismo; l'unica giornalista che si era occupata del caso fin dall'inizio e che era riuscita a pubblicare quello che stava succedendo avvertendo del grave rischio esistente, la comunista ed ex partigiana bellunese Tina Merlin, fu oggetto di una querela per diffamazione e allarme - da parte della SADE - per mezzo dei carabinieri. Il resto della stampa italiana tacque o inneggi entusiasta all'impresa e all'opera maestra che stava per essere portata a compimento in quella piccola valle alpina.

 

La tragedia per non tard ad arrivare e si port via quasi duemila vite. Alle 11 meno 20 della notte del mercoled 9 di ottobre del 1963, il monte Toc cadde in blocco dentro all'invaso alzando un onda di 90 metri di altezza (c' chi stima che arrivasse addirittura a 200mt) che salt al di sopra della diga, lasciandola pressoch intatta, e distrusse quasi completamente Longarone e la popolazione di Rivalta, Pirago, Fa, Villanova e Codissago. Una seconda onda sbatt contro i versanti che racchiudevano il lago, danneggiando gravemente i paesi di Erto e Casso e radendo al suolo le frazioni delle localit di San Martino, Le Spesse, Pineda, Marzana, Ceva, Prada, Cristo e Fraségn.

 

Le fotografie del giorno dopo sono di grande impatto: la forza dell'onda non lasci n detriti n rovine, nulla. Solo una liscia spianata di fango e pietre si estendeva l dove prima c'erano paesi pieni di vita. Dietro la diga, dove fino alla notte prima c'era una valle, ora c'erano solo milioni di tonnellate di roccia caduta. Contenere questa immensa mole di roccia disgregata da quel giorno l'unica funzione che compie la diga del Vajont, come un disperato simbolo di inutilit.

 

Molte famiglie perirono intere. Di altre si salv solo chi, seguendo una tradizione radicata nella zona, se ne era andato all'estero in cerca di lavoro. Nelle immagini dell'epoca si vedono camminare questi emigrati senza alcuna direzione, attraverso quello che fino alla notte precedente era stato il loro paese, la loro casa, con lo sguardo esterrefatto, cercando di accettare le dimensioni reali dell'accaduto. Increduli, come sonnambuli. Alcuni dei sopravvissuti continuano cos ancora 46 anni dopo (sindrome PTSD, Post Traumatic Shock Disease).

 

Le poche persone che salvarono la vita quella notte dovrebbero a ragione essere incluse nella lista delle vittime. Sono persone desaparecidas, distrutte, perse.

 

Tutta l'Italia si mosse per aiutare. Piovve denaro da ogni parte per contribuire alla ricostruzione dei paesi, per far tornare la vita nella zona.

 

Denaro... Piovve denaro... ed abbiamo cos pronunciato la formula magica che diede inizio alla tragedia nella tragedia del Vajont, quella che ancora pesa, che ancora crea sofferenza, su coloro che sopravvissero alla catastrofe: il dopo Vajont.

 

Qualsiasi persona comune immagina che i colpevoli di una tragedia tanto orribile saranno certamente sovrastati dal senso di colpa per il resto della propria vita, incapaci di riemergere dal peso dell'eccidio nella propria coscienza. Ah, no. Il verdetto sentenziato per loro dal Tribunale dell'Aquila (lontano dalla zona di pertinenza giuridica naturale, una scelta politica che cre notevoli difficolt nell'assistenza legale e nella partecipazione diretta al processo da parte dei sopravvissuti) dichiar colpevoli solo tre degli imputati, dei quali solo uno and in carcere con una condanna di poco pi di un anno.

 

Intanto la catastrofe fin per convertirsi in un fruttuoso businnes. Piovve denaro, denaro che non fu mai destinato alle vittime che tra l'altro iniziarono ad essere oggetto di ignobili accuse (qualcuno arriv a dire vi siete venduti i morti o con la pancia piena si piange meglio). Ad esse si pagarono risarcimenti per i familiari scomparsi, dietro emissione di fatture per le cifre corrisposte: per un figlio, tanto; per la moglie, tanto; per il padre, tanto. I nonni e i nipoti non si pagavano. Si pu immaginare qualcosa di pi umiliante, di pi cinico ed offensivo per esse?

 

Per una strana disposizione legale. La zona beneficiaria degli aiuti (aiuti che arrivano fino ad oggi essendoci ancora in Italia un'imposta sulla benzina atta a compensare le spese del disastro) non venne circoscritta ai paesi danneggiati o distrutti, ma si estese invece a tutta la zona del Triveneto, inclusa Venezia e la sua area industriale. Il Miracolo del Nordest  al quale fanno riferimento gli analisti quando si allude al sorprendente fenomeno per il quale questa regione non sembra coinvolta dalla crisi economica che vide investire l'Italia negli ultimi decenni, si deve proprio a questo. E' una conseguenza del Vajont. Tutte le imprese beneficiarono di aiuti e vantaggiose condizioni fiscali e finanziarie.

 

Si ricostruirono i paesi, abitati ora da migliaia di persone, ma non si difesero i diritti delle vittime. Micaela Coletti, che all'et di 12 anni perse i genitori e i fratelli in quella notte, non ebbe diritto ad una casa nuova nel suo paese, Longarone, poich, dovendo aspettare la maggior et per richiederla, questo diritto era gi andato in prescrizione. Siamo stati pochi a sopravvivere ma Longarone pieno di case. O sbaglio? Bene, io non ho mai avuto diritto ad averne una: pu qualcuno affermare che sia giusto?.

 

 

Si costru il Nuovo Vajont nella pianura di Maniago, lontano dalle montagne, un paese che ha fama di essere il pi triste d'Italia, malgrado l'ampiezza delle sue strade e dei servizi e dove le pareti ti restituiscono l'eco della voce, tanto il silenzio.

 

Agli ertani che traslocarono l a vivere si garant un lavoro nella vicina zona industriale di Maniago. Mentre Erto e Casso vennero evacuati coattamente. Quello che tanto era stato richiesto prima della tragedia, si attuava quando il danno non aveva pi alcun rimedio. Se il male era gi passato, perch andarsene? Erto e Casso erano stati ora condannati a scomparire e si proib ai suoi abitanti di tornare nelle proprie case. Per loro, fatti di una tempra speciale, agguerriti in una interminabile lotta legale che avevano portato avanti nei confronti della  SADE fin dall'inizio dell'opera di realizzazione della diga, non acconsentirono di porre la parola fine alla storia della propria valle e attraverso anni e anni di tenace resistenza, riuscirono a riportare la vita nel proprio paese. Una vita che oggi rifiorisce mano a mano che si ristrutturano le sue case, perch loro non rinunciano a preservare e diffondere la memoria.

 

Per non tutti hanno la stessa volont. Le vittime sono moleste. Le vittime sono un continuo e permanente promemoria del crimine e, lontane dal vedersi compensare, i sopravvissuti si vedono osteggiati, disprezzati e addirittura colpevolizzati. Sarebbe stato meglio se fossimo morti tutti afferma convinto Giuseppe Vazza di Codissago.

 

L'ultima ferita inferta alle vittime stata la ristrutturazione del cimitero nel 2004. Non stata una ristrutturazione, ma una distruzione! afferma Gino Mazzorana, che era bambino quando lo scavarono fuori dal fango, e unico sopravvissuto di tutta la sua famiglia. E' come se ci avessero rubato l'unica cosa che ci rimaneva: la memoria dei nostri. Convertito ora in una specie di asettico giardino Zen, molti sopravvissuti hanno giurato che non torneranno a posare piede in quel posto. Un posto dove, fino ad allora, passavano ore in solitudine, cercando di riallacciare un contatto con la vita che un giorno fu loro e che spesso l'unica che riconoscono.

 

Per questo si utilizza il denaro della ricostruzione? gridano voci come quella di Armando Fontanella. Questo denaro non solo non stato gestito in maniera trasparente, ma stato addirittura paradossalmente utilizzato contro le vittime stesse.

Vedi, perch lotto? conclude Carolina Teza. Non posso consentire questi abusi, n che la gente pensi che noi ci siamo rifatti d'oro! Non facile per parlare. Al giorno d'oggi ancora certe cose non si possono dire.

Raramente escono pubblicazioni sulla stampa inerenti l'argomento Vajont, ma il chiarificante libro dal titolo Vajont, l'onda lunga della giornalista Lucia Vastano, che tratta in primo luogo gli abusi da parte delle autorit commessi nell'arco di 40 anni con il denaro della ricostruzione, ha subito ogni tipo di ostacolo nella sua diffusione.

 

Una bella storia, non ti sembra? domanda Carolina con sguardo fermo, di sfida, ma soprattutto immensamente triste.

 

vajontOrgLogo - somerights_CC - Fatta a mano con un Mac - icraLogo