0

Solidarietà a Teza Vincenzo, Longarone.


Un passo del libro "L'onda lunga" di Lucia Vastano (del 2003) riporta:

Si scopron le tombe, si levano i morti.
La "grana" del cimitero di Fortogna scoppia come una bomba nel febbraio di quest'anno.

La questione, se non fosse che si tratta di Longarone e dei morti del Vajont, sarebbe molto semplice. Il cimitero deve essere risistemato. E su questo sono tutti d'accordo, da anni. Superstiti, autorità e probabilmente anche i morti che da decenni attendono che qualcuno sistemi quei vialetti di ghiaia grigia, dello stesso colore di quella diga lassù che ancora incombe sul paese.

0Da Vincenzo Teza ("Cencio") mi arriva copia di questa lettera, che ha inviato anche ai presidenti della Repubblica e del Consiglio, al tribunale dei diritti europeo, al sindaco di Longarone e alla stampa italiana (che si è ben guardata dal pubblicarla, nota di Tiziano Dal Farra):


"Longarone, 27 marzo 2003

Quarant'anni fa, all'età di vent'anni, ho dovuto riconoscere, tra migliaia di corpi trucidati, tutti i componenti della mia famiglia, mio padre di 48 anni, mia madre, 47 anni, i miei quattro fratelli di 19-14-10 e 7 anni, mia nonna e uno zio.
Tutto accadde la notte del 9 ottobre 1963, quando il monte Toc precipitò nel lago e provocò quell'onda che spazzò via la vita di 2000 persone.
Chi poteva fare in modo che si salvassero, nulla ha fatto per impedire la loro morte. I colpevoli di questo evento che per molto tempo la stampa definì una «catastrofe naturale», ma che ora tutti sanno fu un vero eccidio previsto con agghiacciante cinismo da chi aveva interessi miliardari nella diga del Vajont, non hanno mai pagato per la loro colpa. Nè si sono mai fatti sentire per chiedere almeno perdono a me o agli altri parenti delle vittime.

Mai nessuno della SADE, dell'ENEL, dello Stato italiano, i tre soggetti riconosciuti responsabili della strage, hanno sentito il dovere di presentarsi davanti a noi parenti, e non soltanto alle autorità locali, non solo per chiedere scusa per quanto era accaduto, e non avrebbe dovuto, ma almeno per portare un segno della loro solidarietà. In questi quarant'anni, come prima della tragedia, gli interessi hanno sempre prevaricato l'umanità e il rispetto per la dignità umana, dei vivi e dei morti.

L'unica cosa che hanno avuto i miei familiari è stata una sepoltura degna del terzo mondo, una fossa collettiva scavata con una ruspa, una cassa costruita con quattro assi di legno grezzo e una croce, la stessa che ci portiamo noi superstiti sulle spalle da quarant'anni. Dall'ottobre del 1963 quel metro quadrato di terra al cimitero di Fortogna è stata la loro e la mia casa. Sopra ogni tomba dei miei familiari ho posto una lapide per ricordarli. Sono venuto a sapere ufficialmente, attraverso un volantino del comune di Longarone posto non in una bacheca comunale, ma sopra i cassonetti dell'immondizia, che quelle lapidi dovranno essere rimosse per dare corso ai lavori di ristrutturazione del cimitero.

Oggi 26 marzo mi è stata recapitata una lettera da parte del comune di Longarone che conferma la chiusura del cimitero, per un anno, a partire dal 7 aprile 2003. Sono stato informato che, se per tale data non avrò rimosso, come gli altri familiari delle vittime, le cose personali dalle tombe, le potrò ritirare prendendo accordi con il comune.
Mi è stata richiesta la collaborazione affinchè riferisca queste informazioni ad altri parenti e amici delle vittime.

In quarant'anni, le amministrazioni comunali di Longarone non hanno mai trovato il tempo di fare un elenco dei sopravvissuti alle proprie famiglie. Non sarebbe stato difficile per il sindaco di Longarone e la sua amministrazione trovare il sistema di contattarci personalmente, con una lettera, una telefonata, un avviso esposto in modo dignitoso al pari di una festa di carnevale (lo stesso giorno dell'inizio dei lavori al cimitero, il Comune aveva organizzato la festa e ne aveva dato avviso applicando i manifesti all'esterno di tutti i negozi di Longarone).

Per me e per gli altri familiari delle vittime non è ancora troppo tardi per un atto di rispetto da parte delle autorità comunali, un atto che ritengo doveroso rispetto ai morti, che per noi non solo nomi su una lapide, ma affetti perduti per sempre.
Attendo con fiducia questo gesto che non costa nulla, ma significa molto, per me, ma anche per tutti i familiari dei 2000 morti, per una società civile e per l'Italia tutta
."


VajontlapidirotteTra i motivi della protesta, condivisa anche da altri superstiti come Mario Pozzobon, autore di un'altra dura lettera spedita ai giornali locali ed al Sindaco, vi è anche un'altra questione: la tomba del vescovo Gioacchino Muccin, morto nel suo letto, ma seppellito insieme ai morti del Vajont a Fortogna («una brava persona, ma che non ha nulla a che vedere con la tragedia del 9 ottobre») è l'unica a non venire rimossa, «a conferma» dicono molti superstiti, «che esistono i morti di serie A e quelli di serie B». Cencio, senza mezzi termini, mette sulle sue lapidi un cartello di cartone su cui scrive: «Vietato toccare, proprietà privata». Poi il cimitero viene chiuso e protetto dalla vista con una fitta rete di colore grigia.

Molte lapidi (o solo "qualche", a seconda delle versioni dei fatti) vengono rotte, soprattutto nel corso della prima giornata dei lavori, dagli addetti che non hanno capito che quello non è un cimitero come gli altri, ma un luogo storico, un luogo della Memoria, un cimitero di guerra.

In cuor mio spero che sia stata risparmiata quella di Luigino Paiola che parla di "Barbaramente e vilmente trucidati per leggerezza e cupidigia umana, attendono invano giustizia per l'infame colpa. Eccidio premeditato".
Quella lapide è un documento storico. Guai se fosse andata perduta. Un'altra guerra scoppia a Longarone. Ricevo molte telefonate. Ma voglio anche sentire cosa ha da dire il sindaco di Longarone.


«Che cosa potevo fare?» dice De Cesero. «I lavori andavano fatti. Il cimitero non poteva rimanere in quello stato».
«Ma perchè non li hai avvisati personalmente, perchè hai fatto mettere l'avviso sui cassonetti dell'immondizia? ».

«Quello è stato un errore della persona incaricata che ha pensato di fare bene, di affiggere l'avviso in un posto visibile da tutti. Io poi comunque li ho fatti togliere. E poi, come mi sarebbe stato possibile comunicare l'inizio lavoro a tutti i superstiti? Non esistono elenchi ufficiali».
« C'è quello recentemente elaborato da Renato Migotti. Ne ho anche io una copia».

«Ma lì su non ci sono tutti. Ne ho parlato anche con Migotti. Avrei finito per scontentare comunque qualcuno»
«Ma forse sarebbe stato meglio scontentarne qualcuno che scontentarli tutti. Non credi?».
«Non avrei fatto bene lo stesso. La verità, sai qual è? Che c'è sempre qualcuno che ha qualcosa da ridire. Qualcuno a cui non va mai bene niente».

Come dargli torto? Ma il problema è proprio questo.

Quelli che per anni sono stati zitti, che hanno sopportato senza protestare dieci, mille angherie, quando parlano non usano mezzi termini. Vanno dritti al nocciolo della questione: «Vogliamo rispetto per noi e i nostri morti».

E questo non può essere considerato un fatto marginale. I superstiti non sono tanti, e con il passare degli anni diventano inevitabilmente sempre meno. Alcuni sono iscritti ad uno dei tre organismi che li raggruppa, con obbiettivi e filosofie diverse, altri, la maggioranza, non appartengono a nessun gruppo organizzato.
Con un po' di buona volontà, con molta pazienza, si potrebbe ascoltarli quasi tutti, sentire la loro opinione, sollecitare i loro commenti.
Perchè, ricordiamocelo sempre, le loro testimonianze, belle o brutte che siano, sono parte della Storia d'Italia. Se non li si ascolta, fra qualche decennio il Vajont sarà solo un incidente, una catastrofe 'naturale', la memoria di un fatto accaduto per caso in una calda giornata autunnale.

(brano tratto da una copia de "L'onda lunga" di Lucia Vastano (2003))

AGGIORNAMENTO sui TEZA DENUNCIATI dal loro SINDACO. LEGGI com'è ANDATA.

Fatta 'a mano' con un Apple Macintosh