MATERIALI E DOCUMENTI PER LA STORIA DEL DOPO-VAJONT/5

Industrializzazione e sviluppo prima del Vajont

di Agostino Amantia.

L'espansione industriale che caratterizzò la crescita del Bellunese nei primi anni Settanta non fu il risultato solo degli effetti cumulativi prodotti dalla legislazione speciale, né fu importata dall'esterno o progettata al centro, come per i grandi complessi del Sud. Trovò invece terreno favorevole nei programmi di industrializzazione della provincia che avevano preso corpo nel corso del decennio precedente.

All'inizio degli anni Cinquanta la struttura industriale della provincia subiva i contraccolpi delle tensioni internazionali. La crisi colpiva i settori dell'industria locale più esposti alla concorrenza. Le barriere doganali erette nei mercati dell'area del dollaro e della sterlina inasprivano infatti la competizione e accrescevano le difficoltà di esportazione, mentre riprendeva vigore la produzione tedesca e gli accordi commerciali adottati nei paesi europei restringevano il volume degli scambi.
Nel Feltrino la Metallurgica progettava di trasferire i macchinari in Argentina, pressata dalle perdite subite negli ultimi esercizi a causa della sotto-utilizzazione degli impianti. L'azienda, di proprietà della Montecatini, era una consociata della Industria Nazionale Alluminio e dava lavoro a circa 400 operai. L'accordo con la Dural S.A. di Buenos Aires prevedeva la cessione dei macchinari in cambio della partecipazione alla gestione della società e della fornitura preferenziale di alluminio e altre leghe. L'operazione avrebbe permesso al gruppo italiano di aumentare del 30% la produzione, garantendogli lo sbocco sui mercati esteri.
In Cadore appariva in difficoltà anche un settore consolidato come l'occhialeria, specie dopo l'aumento delle tariffe doganali deciso dal governo australiano. Le radici della crisi stavano tuttavia nella concorrenza dei grandi complessi industriali (come la Galilei e la Salmoiraghi) e nella proliferazione delle imprese familiari che saturavano il mercato. La rete di laboratori disseminati lungo le valli cadorine che aveva trovato nella conoscenza del mestiere un fattore decisivo di crescita, contribuiva ora ad accrescere gli scompensi del settore. Al carico fiscale una volta meno opprimente e al costo inferiore della manodopera si opponeva infatti la lontananza dai mercati di approvvigionamento delle materie prime e di collocamento del prodotto finito, e ciò annullava il vantaggio accumulato da generazioni di lavoranti.

Nel Longaronese la crisi colpiva le industrie di trasformazione del legno e della carta. La concorrenza, in questo caso, veniva dai produttori austriaci e dell'Europa del Nord, in grado di immettere sul mercato prodotti più competitivi specie dopo la liberalizzazione delle importazioni decisa dal governo italiano. Intorno al 1952 la Faesite trovava serie difficoltà a collocare sul mercato interno la propria produzione di pannelli di legno, costretta com'era a subire la forte concorrenza dell'austriaca Funder, protesa alla conquista del mercato italiano. Sovraoccupazione e scarsità di materia prima producevano una situazione di svantaggio anche per l'industria dei cartoni vegetali, rappresentata in provincia dalla Società Pastalegno di Taibon Agordino e dalla Società Anonima Cartiera di Verona: mentre i produttori austriaci riuscivano a rifornirsi di legname a basso costo sul mercato interno, quelli italiani erano costretti a sopportare costi più elevati e a rivolgersi ai paesi scandinavi. Crisi e ristagno produttivo perduravano nella seconda metà del decennio aggravando il quadro congiunturale. Nel 1955 la Faesite procedeva al licenziamento di 80 dei 273 operai occupati, provocando lo sciopero delle maestranze e l'occupazione parziale della fabbrica; contemporaneamente avviava la ristrutturazione del ciclo produttivo e l'ammodernamento degli impianti per fronteggiare la concorrenza. Nel 1956 sospendeva l'attività la Società Pastalegno a seguito della contrazione del consumo dei prodotti d'imballaggio, soppiantati da succedanei come il cartone ondulato e i derivati della plastica; quindi, nel 1959, toccava alla cartiera di Castellavazzo, costretta a ridurre drasticamente la produzione e a licenziare il 60% delle maestranze. Gli effetti della crisi giungevano qualche anno dopo anche nell'Agordino a sèguito della decisione della Montecatini di chiudere la miniera di Valle Imperina. Tra i comparti produttivi che resistevano, la Fabbrica Birra Pedavena rappresentava, insieme alle altre del gruppo Luciani (Dreher, Bosio, Caratsch, Metzger, Cervisia), il più vasto complesso del settore, con una produzione annua di circa mezzo milione di ettolitri, pari al 35% della produzione nazionale. In espansione erano anche il settore edilizio e quello dei materiali da costruzione. Nel comparto del legno la provincia manteneva il terzo posto nella graduatoria nazionale con una produzione annua di 150.000 mc. di legname lavorato da circa 150 segherie; poco sviluppata restava invece la seconda lavorazione del legno (mobili, infissi, conglomerati), praticata solo da pochi gruppi: la S.p.A. Metalmeccanica e Legno di Ponte nelle Alpi con circa 150 operai, la S.r.l. Apollonio e C. di Cortina e la I.B.S.A. di Bribano con circa 60 operai ciascuna, la ditta F.lli Monti di Auronzo e la S.p.A. Faesite e Cadorite del gruppo Montesi con circa 150 operai. Il problema dello sviluppo locale, visto come questione di uomini, di mentalità e di risorse, trovò le prime formulazioni nel quadro di tale andamento congiunturale. Le opportunità di sviluppo che venivano individuate all'inizio degli anni Cinquanta erano legate soprattutto al flusso di investimenti che giungevano in provincia attratti dalle risorse idroelettriche. In effetti, nella strategia dei grandi gruppi l'area risultava inserita in un piano internazionale di coordinamento della produzione di energia, come si vide nel 1953 in occasione dell'inaugurazione dell'elettrodotto Lienz-Pelos. La costruzione della linea, sorta dagli accordi della Società Adriatica di Elettricità (S.A.D.E.) con l'Oesterreichische Elektrizitætswirtschaft, si rivelò infatti funzionale all'interconnessione della rete nazionale con quella dei paesi del centro Europa, permettendo all'Italia l'allacciamento con l'Austria dopo quelli con la Francia e la Svizzera realizzati nel 1949.
La consistenza produttiva del settore superava alla fine del decennio i tre miliardi di kwh annui, collocandosi al primo posto tra le attività della provincia. Sfruttava le acque dei numerosi fiumi che alimentavano 70 centrali collegate tra loro in una rete di 645 km di elettrodotti che convogliavano grandi quantità di energia verso altre provincie e regioni. La costruzione degli impianti aveva richiesto l'opera di migliaia di operai e coinvolto una vasta rete di artigiani e piccoli industriali. Gran parte degli investimenti erano stati effettuati dalla S.A.D.E., al cui gruppo appartenevano le centrali del sistema nord-orientale e quelle dell'alto e medio Cordevole, collegate idraulicamente tra loro in un sistema completo di regolazione. Dalla centrale pilota di Soverzene una linea consentiva l'alimentazione diretta della rete S.A.D.E. verso sud attraverso le stazioni di Scorzè e di Colunga e quindi il congiungimento con la dorsale appenninica; verso ovest, a Vellai, un'altra linea consentiva il collegamento con la Società Idroelettrica Piemontese e con la Selt-Valdarno, presente in provincia con le centrali di Arsiè e di Cavilla, sempre a Vellai giungevano, immettendosi nella rete, le linee provenienti dall'alto e medio Cordevole.
Appartenevano invece al gruppo Cadore la Società Idroelettrica Alto Veneto (con le centrali di Macchietto, Cava, Molinà, Desedan, Ciampato, S. Giovanni, Calalzo, Sopalù, Val Frisone), la Società Elettrica Agordina (con le centrali di Taibon, Molino e Voltago), la Società MedioPiave (con le centrali di Arson e di La Guardia), la Società Elettroindustriale Ansiei (con le centrali di Auronzo, Campiviei, Somprade) e la Idroelettrica Maè (con la centrale di Forno di Zoldo). In apparenza indipendenti, tutte queste società avevano le rispettive centrali collegate da un elettrodotto che proseguiva fino a Bolzano. A parte operava la Società Elettrica Cismon che produceva energia per gli impianti industriali della Società Anonima Veneta Alluminio, al cui gruppo essa stessa apparteneva. L'impatto sull'economia locale degli investimenti idroelettrici provocava forti scompensi. Vaste estensioni di terreno venivano sottratte a prezzi irrisori alla coltivazione, mentre sorgevano costruzioni ciclopiche che deformavano la struttura delle valli e sommergevano campi e villaggi, allontanando la popolazione dai siti originari. Situazioni di decomposizione economica e sociale provocava in particolare l'intervento della S.A.D.E.: minacce di frane e instabilità incombevano sull'abitato di Vallesella dopo la formazione del lago artificiale, esasperazione e protesta manifestavano le popolazioni di Erto e di Rocca d'Arsiè private delle terre più produttive, e reazioni giungevano anche da Ponte nelle Alpi dove la costruzione di un canale arrecava danni notevoli a 400 ettari di terreno. Altri danni venivano dalle servitù imposte ai comuni, dalla scomparsa di antiche attività artigianali come la fluitazione, dal deterioramento del paesaggio, dall'impoverimento delle falde idriche e dallo sfaldamento dei terreni. La ricerca di forme di compensazione in grado di tutelare gli interessi delle comunità locali e di attenuare gli effetti della politica di spoliazione impegnò le forze politiche locali fino alla vigilia della nazionalizzazione. La via allo sviluppo tracciata dal Comitato provinciale d'azione per il progresso della Montagna passava per la lotta contro i monopòli e la valorizzazione delle risorse locali.

Nell'analisi del P.C.I., in particolare, la presenza della S.A.D.E. costituiva un impedimento all industrializzazione della provincia proprio per il suo carattere monopolistico; la richiesta di nazionalizzazione rispondeva perciò all'esigenza di uno sviluppo equilibrato, possibile solo attraverso la riappropriazione delle fonti di energia da parte dello Stato, unico soggetto in grado di promuovere lo sviluppo locale.

Per la D.C., invece, il rapporto di scambio tra montagna e pianura poteva essere riequilibrato attraverso congegni legislativi che portassero gli 'elettrici' a risarcire i danni inferti all'economia della montagna. La politica risarcitoria seguìta dal partito sfociò infatti nella legge sulle acque (L. 27 dicembre 1953, n. 959), che procurò apporti finanziari all'economia locale attraverso i sovracanoni sulle grandi derivazioni. Nei programmi dei governi centristi il problema della montagna veniva prospettato come uno dei tanti squilibrii regionali, presenti soprattutto nel Mezzogiorno, ma anche nella fascia alpina, nel delta padano e nell'alto Appennino, la cui riduzione costituiva un obiettivo rilevante.
Attraverso la legge per la montagna e il 'piano Vanoni', il suo perseguimento richiese infatti allo Stato uno sforzo accentuato e una politica di investimenti nei settori propulsivi che avrebbero dovuto influenzare la localizzazione industriale e stimolare l'attività dei privati. L'intervento, che interessò oltre 2.160 comuni e una popolazione di oltre 6 milioni di abitanti, fu limitato alle opere pubbliche e ai rimboschimenti, due settori "regolativi" in cui gli investimenti erano ritenuti vantaggiosi in quanto permettevano di migliorare l'atmosfera produttiva del paese e di creare opportunità d'impiego alla manodopera non specializzata senza richiedere elevati investimenti di capitali. Ma nonostante il cumulo di interventi operati dal legislatore (legge sulle zone depresse, legge per i territori montani, legge sulle acque, cantieri di rimboschimento) gli incentivi ai montanari si rivelarono poco efficaci.
Sul finire del decennio l'abbandono delle terre a più bassa capacità produttiva andava estendendosi ai terreni di fondo valle.
Nel Bellunese e nel Feltrino restavano prive di braccia perfino le aziende autosufficienti, in genere condotte a mezzadrìa. Il fenomeno era dovuto alla scarsa redditività dell'attività agricola, collegata a sua volta alla struttura eccessivamente frazionata della proprietà terriera. Priva di autosufficienza, la famiglia contadina si vedeva costretta ad occupare parte dei suoi membri in attività industriali e commerciali e a lasciare alle donne, ai ragazzi e agli anziani le attività residue. Al debole apporto dello Stato, un conoscitore profondo della questione montana come l'ing. P. Vecellio opponeva la necessità di trovare nello stesso ambiente locale gli incentivi allo sviluppo. I problemi della montagna dovevano trovare soluzione con i mezzi e gli uomini del posto, valorizzando le specificità locali (dalla zootecnia al turismo, dall'occhialeria alle risorse idroelettriche). «Non dobbiamo attendere dallo Stato quello che lo Stato non può dare o dà limitatamente e con ritardo», osservava. E un imprenditore come L. Lozza aggiungeva: «È necessario che la montagna faccia sentire la sua voce e sviluppi una politica in armonia con gli interessi locali».
La politica di industrializzazione che prese corpo negli anni che precedettero la catastrofe del Vajont nacque dalla convinzione diffusa che le condizioni per lo sviluppo fossero ben presenti anche nell'ambiente locale, come indicava l'esistenza di una massa di manodopera inutilizzata e la disponibilità di forti quantitativi di un'importante materia prima come il legname e di numerose centrali che avrebbero potuto fornire a prezzi vantaggiosi la forza motrice. La pratica della pianificazione che andava diffondendosi per impulso dello Stato contribuì a sua volta a rafforzare tale convinzione, ponendo in forma nuova il problema dello sviluppo. Modelli locali di pianificazione erano in fase avanzata di elaborazione già nel 1959. Nel Longaronese tecnici e amministratori mostravano una chiara coscienza del fatto che per promuovere lo sviluppo locale fosse necessario abbattere le barriere tra comunità e vallate e coordinare all'interno dei piani regionali l'intervento dello Stato e degli altri enti pubblici. Solo così sarebbe stato possibile eliminare gli ostacoli all'industrializzazione e trovare alternative al progressivo esaurimento delle fonti tradizionali di reddito.

Tra le condizioni favorevoli allo sviluppo c'era anche quella singolare mescolanza di città e campagna, di infrastrutture urbane e di ambiente agricolo che riduceva il rischio connesso a nuove iniziative e assicurava all'imprenditore solidarietà e fiducia. Sentieri locali di sviluppo erano stati battuti con successo nonostante la debole presenza di un'economia esterna, proprio fidando nel clima di collaborazione che il sistema dei valori locali poteva garantire. Un'azienda come l'Elettrocostruzioni Chinaglia ad esempio, sorta nel 1929 da una forma iniziale di artigianato, era giunta a imporsi sul mercato nazionale ed internazionale grazie alla qualità del prodotto - produceva infatti strumenti elettrici di precisione ideati e realizzati dallo stesso Chinaglia -, ma grazie soprattutto alla solida intesa tra maestranze e imprenditore, che considerava l'azienda parte integrante della propria famiglia e della propria stessa esistenza. Imprenditori capaci di aggregare interessi e di individuare strategie innovative per il sistema produttivo locale furono anche G. Tabacchi e L. Luciani.

Figlio di emigranti ed egli stesso gelatiere in Polonia fino al 1934, il primo divenne l'artefice dello sviluppo dell'occhialeria italiana nel secondo dopoguerra portando la Sàfilo a conquistare la leadership del settore, il secondo espanse il nucleo di attività ereditato nel 1924 - la Società Fabbrica Birra Pedavena - fino a diventare il principale esponente di un forte gruppo industriale e commerciale operante in tutta l'ltalia centro-settentrionale. Merito di quest'ultimo fu anche di aver rivitalizzato il tessuto di piccola impresa presente in provincia organizzando il Gruppo Giovani lndustriali e rilanciando l'iniziativa locale.

L'avvio di una politica di sviluppo era reclamato soprattutto dagli operatori privati e dalle associazioni di categoria interessate a promuovere interventi pubblici di sostegno alle attività economiche, ma anche dagli amministratori e dai politici locali che vedevano nell'industrializzazione il solo rimedio all'emigrazione. Tra i progetti di sviluppo che venivano discussi negli ambienti della Camera di Commercio all'inizio degli anni Sessanta, quello del prof. E. Simonetto - un docente padovano che operava con un gruppo di tecnici dell'Università - appariva il più accreditato. Prevedeva la creazione di un Consorzio per l'industrializzazione delle aree depresse della provincia di Belluno da realizzarsi attraverso un apposito disegno di legge d'iniziativa dei parlamentari locali sull'esempio di quanto previsto per il Mezzogiorno.
Il consorzio avrebbe dovuto permettere di attuare una politica di incentivazione della localizzazione industriale in alcuni comprensori della provincia avvalendosi di un'agenzia di sviluppo locale con compiti di promozione, di informazione e di stimolo (Ufficio autonomo di studi e assistenza per la montagna) e del sostegno economico di enti e istituzioni locali (Provincia, comuni, Camera di Commercio, Bim, istituti di credito).

Un ruolo prioritario nel processo di definizione e di avvio della politica di sviluppo fu svolto dalle autorità pubbliche locali, tra cui il vescovo Muccin, il prefetto Meneghini, i parlamentari Colleselli, Corona e Fusaro e il segretario provinciale della D.C. Gianfranco Orsini. L'aspirazione del vescovo era di contribuire ad attenuare l'asprezza della situazione economica locale, caratterizzata da una forte emigrazione. Il fenomeno lo toccava profondamente soprattutto per i risvolti umani e i riflessi morali che aveva sugli individui e sulle famiglie.
Per gli uomini della D.C. si trattava invece di dare risposta alle attese della popolazione in un momento in cui la domanda di industrializzazione cresceva in tutto il Paese.

La messa a punto del piano di industrializzazione varato nel corso della riunione convocata presso la sede della Provincia il 25 giugno del 1960 fu mediata dall'esperienza di amministratori e operatori economici e dall'apporto tecnico di un professionista milanese - l'ing. L. Cantimorri - ben introdotto negli ambienti della chimica e dell'imprenditoria pubblica. Richiamando nel suo intervento il caso della Valle d'Aosta, dove lo sviluppo industriale era stato ottenuto nonostante la presenza di condizioni simili a quelle del Bellunese, Cantimorri indirizzò la ricerca di possibili partner tra le industrie manifatturiere, sconsigliando di ricorrere alle grandi imprese esterne.
Per l'ing. Carnera, presidente degli industriali bellunesi, lo stato di inerzia che gravava sulla montagna poteva essere sconfitto solo con incentivi adeguati, sostenuti dalla creazione delle infrastrutture viarie e dalla qualificazione della manodopera locale. Per G. Apollonio si trattava anche di dare fiducia all'iniziativa locale diffondendo una mentalità d'impresa non assistita. Dubbi sull'utilità di industrializzare la montagna furono espressi dall'on. Corona, per il quale il problema montano era innanzitutto un problema di bassi redditi.

La ricerca dei partner disposti ad avviare programmi di industrializzazione fu affidata a un Comitato per l'industrializzazione della provincia di cui facevano parte G. Orsini, A. De Mas, A. Orsi, F. Terribile, E. Baldovin e A. Barcelloni Corte.
L'orientamento era di scartare i complessi chimici, minerari e metallurgici che richiedevano l'investimento di grandi capitali impiegando bassi quantitativi di manodopera, e di puntare sull'industria manifatturiera che appariva in grado di assorbire forti quantitativi di manodopera con un impiego minore di capitale. Tra i programmi avviati dal comitato nell'autunno del 1960 c'era la creazione di uno stabilimento per la produzione di maglieria di lana secondaria in grado di dare lavoro a circa 250 operai e di un altro per la produzione di micromotori e di apparecchi telefonici che avrebbe dovuto occupare circa 500 operai.
I contatti avviati con la Ditta Faini Donato e Figli di Vercelli facevano sperare, nel primo caso, di poter trasferire in provincia i esperienza della casa-madre, mentre nei secondo si tentava di premere sui vertici della Siemens Elettra, del gruppo IRI, per far passare la candidatura di Belluno. Al reperimento dei capitali e del personale direttivo avrebbe dovuto provvedere in ambedue i casi una società finanziaria costituita con l'appoggio delle grandi società elettriche che operavano in provincia. Un terzo programma prevedeva il completamento del ciclo produttivo della Metallurgica Feltrina con la creazione sul posto di una fabbrica per la produzione di serramenti in alluminio. L'obiettivo di consolidare ed espandere il sistema produttivo locale era perseguito attraverso la richiesta del trasferimento in provincia di segmenti di imprese legate all'industria di Stato, secondo un modello di industrializzazione forzata da interventi pubblici in cui l'investimento trovava un'origine esterna all'area di insediamento. Lo sviluppo locale veniva perciò a dipendere dalla capacità di contrattazione e dalla rete di contatti di cui gli esponenti locali potevano disporre per influenzare le scelte allocative dei centri decisionali e per favorire l'inserimento della domanda locale nei circuiti di redistribuzione degli apparati di governo.
Come mostra la documentazione riprodotta in appendice, la serie di contatti avviati dal prefetto e dal vescovo sotto l'abile guida dell'ing. Cantimorri era rivolta a sollecitare il sostegno dei vertici dello Stato e del potere economico - considerati come agenti esterni capaci di innescare lo sviluppo - ai programmi di industrializzazione della provincia (docc. da 1 a 8).

Energie locali ed impulso politico confluirono anche nell'opera di promozione e di coordinamento svolta dalla Camera di Commercio. Dopo l'istituzione dell'Ufficio Studi, che contribuì ad affrontare i problemi connessi alla localizzazione industriale, altre iniziative furono assunte per sostenere lo sviluppo locale. Un'azione di propaganda per richiamare l'attenzione degli operatori economici veniva avviata a luglio sulla stampa nazionale, mentre si sollecitavano i comuni ad approntare le infrastrutture occorrenti e si allacciavano rapporti con una settantina di imprese di fuori provincia. Il programma di incentivazione messo in atto per attrarre gli investimenti prevedeva la concessione a condizioni di favore delle aree fabbricabili, la fornitura dell'energia elettrica, il concorso del Bacino Imbrifero Montano (BIM), nel pagamento degli interessi per i mutui contratti e l'esenzione decennale dal pagamento delle imposte dirette sul reddito. Era quanto veniva concesso anche in altre zone dell'Italia centro-settentrionale dichiarate depresse, ma ciò che rendeva poco competitivi gli incentivi locali erano le agevolazioni ben più consistenti concesse dallo Stato nel Mezzogiorno. I risultati conseguiti dalla politica di incentivazione al giugno del 1961 raggiungevano comunque i 4 miliardi e mezzo di investimenti con la creazione di 1.500 posti di lavoro.

Altri interventi furono compiuti presso i ministeri e gli uffici centrali per indurli a rivedere la politica degli incentivi creditizi. La scarsa efficacia della normativa in vigore (L. 22 giugno 1950), n. 445 e L. 30 luglio 1959, n. 623) era dovuta secondo i responsabili della Camera, al fatto che i margini di profitto dell'attività industriale in provincia erano notevolmente inferiori a quelli di altre zone vicine verso le quali si orientava la scelta degli imprenditori. Si chiedeva pertanto di accordare alla provincia le stesse agevolazioni previste per i finanziamenti nel Mezzogiorno, di decentrare le funzioni assegnate al Comitato Interministeriale del Credito in modo da rispondere più celermente ai bisogni locali e di rivedere il sistema delle garanzie previsto per la concessione del credito a medio termine. Si rinnovava inoltre la richiesta di modificare l'articolo 8 della legge 29 luglio 1957, n. 635 che escludeva i comuni di Belluno e di Feltre dai benefici fiscali previsti per le aziende artigiane e piccolo-industriali. Proprio per compensare il mancato accoglimento di quest'ultima richiesta, il sindaco di Belluno, A. De Mas, proponeva la creazione di una zona industriale nel capoluogo sull'esempio di quanto si andava facendo in altri centri della regione.
Il consorzio per l'industrializzazione della zona compresa tra Belluno e Ponte nelle Alpi fu costituito nella primavera del 1961 col concorso della Provincia, della Camera di Commercio e del Bim. Esso si proponeva di utilizzare i capitali ottenuti a basso tasso d'interesse dalla Cassa Depositi e Prestiti per venire incontro alle esigenze degli operatori locali e fungere da volano all'industrializzazione dell'intera provincia. L'esperienza ebbe un seguito anche nel Feltrino dove un consorzio analogo fu costituito alla fine del 1961, ma il cuore dello sviluppo restò la zona di Ponte nelle Alpi. Le iniziative che qui si addensavano attratte dai vantaggi ubicazionali e dagli incentivi offerti dal comune, erano favorite anche dalle autorità del capoluogo che premevano sugli imprenditori per procurare sbocchi occupazionali alle proprie maestranze. L'area prescelta per la zona industriale si trovava sulla direttrice di marcia delle grandi reti di distribuzione di energia elettrica, a breve distanza dal capoluogo e dagli snodi ferroviari dell'Alpago e di Cadola, e disponeva di buone comunicazioni stradali e di rifornimenti idrici. Essendo compresa nel territorio di un comune dichiarato depresso godeva inoltre dei benefìci concessi dallo Stato e dagli altri enti locali (agevolazioni fiscali, esenzioni doganali, prestiti e contributi).

Tra le iniziative che decollavano, quella della Cementeria di S. Croce era la più antica. Prevedeva lo sfruttamento dei vasti giacimenti di marna grigia e di scaglia rossa presenti nel territorio del comune, secondo un progetto avviato all'inizio degli anni Quaranta dal conte Volpi che aveva dato l'incarico al prof. G. Dal Piaz di individuare la natura e l'estensione dei giacimenti. Il progetto era stato ripreso intorno al 1958 da un comitato promotore composto da operatori padovani e presieduto dal prof. E. Simonetto, quindi si era costituita la Società Azionaria Veneta Industrie Cementi (S.A.V.I.C.), il cui consiglio di amministrazione era presieduto dal prof. G. Ferro rettore dell'Università di Padova. Alla fine del 1963 la società aveva in corso i iavori per la costruzione di una moderna cementeria capace di occupare circa 100 operai.
L'iniziativa che chiuse il ciclo di contatti avviato dalle alte cariche della provincia fu però la Manifattura delle Alpi, nata da un accordo tra l'Istituto Mobiliare Italiano (IMI), la Società di Iniziative Finanziarie (SIFFIR), la SADE e l'industriale Donato Faini.
La società era presieduta dall'ing. Cantimorri, la cui tenacia, sostenuta dall'appoggio del ministro dell'Industria E. Colombo, era giunta dopo molti sforzi a far convergere sull'iniziativa i capitali occorrenti.
Alla vigilia della catastrofe del Vajont l'economia della provincia restava complessivamente depressa, con bassi livelli di reddito pro-capite e bassi livelli di occupazione. Il modello di sviluppo che prendeva forma era caratterizzato da processi di diffusione dall'alto e dal basso. Crescevano i casi di industrializzazione legati a meccanismi di incentivazione promossi dall'operatore pubblico mentre gruppi di operatori esterni individuavano nella provincia condizioni favorevoli al decentramento della propria produzione. Le deleghe di produzione che giungevano dalle aree più sviluppate alimentavano in tal modo un processo di industrializzazione a carattere esogeno che raramente, però, produceva interrelazioni con il sistema produttivo locale. La necessità di politiche di sostegno dell'occupazione e della produzione locale era avvertita da tutti, restava carente la politica locale delle infrastrutture. Le speranze di uscire dall'isolamento erano legate soprattutto all'autostrada Venezia-Monaco, un progetto che nasceva proprio in quegli anni per iniziativa dell'imprenditore cadorino Marco Barnabò. Il progetto prevedeva la costruzione di un'autostrada a doppia corsia che, tagliando per la via più breve il Trevigiano e il Bellunese, avrebbe collegato Venezia a Monaco con un percorso di circa 388 chilometri. L'opera era destinata a servire un nuovo porto petrolifero nella laguna veneziana - il porto di S. Ilario, previsto accanto a quello di Marghera - perciò all'autostrada si sarebbe dovuto affiancare un oleodotto capace di trasportare il petrolio grezzo dai depositi di Venezia alle raffinerie di Monaco. Dalla realizzazione della infrastruttura avrebbe tratto vantaggio l'intera fascia alpina orientale, che a differenza di quella centrale e occidentale servite da quattro trafori e da numerosi valichi, disponeva ancora alla vigilia dell'apertura del Mercato Comune Europeo di un sistema di comunicazioni antiquato e insufficiente a sostenere lo sviluppo dei traffici adriatici con l'Europa centrale.
Le difficoltà incontrate dalla Compagnia Internazionale Autostrada d'Alemagna (C.I.A.D.A.), la società creata da Barnabò per coinvolgere nell'iniziativa gruppi privati e istituzioni pubbliche, furono dovute in parte al conflitto d'interessi che la prospettiva di un grande porto di prima classe a Venezia scatenò tra i concorrenti. Così fu per i propugnatori del porto di Ravenna e di Porto Garibaldi, per i genovesi ed i triestini che temevano per i propri traffici, per i milanesi e i bolzanini decisi a conservare il monopolio dei rapporti con la Germania. In tale contesto la richiesta d'appoggio che Barnabò rivolgeva al prefetto di Belluno e la necessità di stringere alleanze tra le popolazioni locali che indicava l'ing. Miozzi, il teorico della Venezia-Monaco, risultavano funzionali alla riuscita del progetto (docc. 9, 10).
Per la provincia di Belluno l'autostrada rappresentava una promessa di sviluppo, dati i vantaggi che sarebbero venuti soprattutto sotto l'aspetto tuiistico. La sua mancata realizzazione avrebbe significato invece l'esclusione delle vallate bellunesi dalla corrente internazionale dei traffici e ciò avrebbe accentuato il loro isolamento e vanificato gli sforzi di industrializzazione. Era questa l'opinione di quanti, come l'ing. Vecellio, sostennero il progetto fin dall'inizio.
L'adesione della Camera di Commercio di Belluno alla S.p.A. Autostrada d'Alemagna, l'organismo che raccoglieva gli enti pubblici del Veneto interessati a riprendere il progetto della C.I.A.D.A., risultò infatti la più convinta. Per tale via sarebbe stato possibile inserire il progetto nel piano decennale delle autostrade italiane elaborato dall'I.R.I., mentre minor fortuna avrebbe avuto il tentativo di coinvolgere l'E.N.I., data la convinzione di Mattei che il mercato dei petrolii del centro-Europa sarebbe stato di chi vi fosse arrivato per primo (docc. 11, 12).

Alla fine del 1962 il progetto della Venezia-Monaco gravitava ormai nell'orbita dell'iniziativa pubblica, un settore in cui sarebbe toccato ai politici mediare tra gli interessi in gioco.

DOCUMENTO 1

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LETTERA DEL PREFETTO DI BELLUNO AL PRESIDENTE DELLA "CHATILLON" FURIO CICOGNA

27 giugno 1960

Illustre Cavaliere,
voglia scusarmi, anzitutto, se mi permetto importunarLa e se osiamo toglierLe qualche minuto del suo prezioso tempo: abbiamo bisogno dei Suoi saggi consigli e dei Suoi alti suggerimenti! Cercherò di essere quanto più possibile sintetico. Questa bella provincia, notevole dal lato turistico, non riesce a mantenere tutti i propri figli: da qui disoccupazione ed emigrazione: e quest'ultimo fenomeno preoccupa notevolmente date le negative conseguenze sociali e morali. Tutte le autorità provinciali, col valido ed amoroso aiuto di S.E. il Vescovo, tendono, non dico ad annullare, ma per lo meno ad affrontare tali problemi. Si pensa che favorendol'industrializzazione della zona si possano, col sicuro lavoro. attutire tali fenomeni e per questo si è tenuta ieri l'altro una importante riunioné la quale ha ribadito la necessità di industrializzare, per quanto possibile, questa zona così bella ma altrettanto povera. Alia riunione era presente anche l'Ing. Luigi Cantimorri, che Lei già conosce, il quale col suo consueto intelligente senso pratico ha prospettato alcune idee che appaiono quanto mai attendibili. Noi si gradirebbe che l'Ing. Cantimorri potesse incontrarsi con Lei per avere qualche suggerimento, che provenendo da persona così altamente qualificata, non potrà che esserci di grande utilità. Ecco perché Le saremmo davvero grati se Lei volesse ricevere ed ascoltare detto professionista, che generosamente ci fa un po' da consigliere! Voglia, La prego, scusarmi se mi sono permesso importunarLa e La ringrazio per quell'ausilio in saggi consigli che per noi saranno quanto apprezzati ed utili.

(G. Meneghini)

DOCUMENTO 2

LETTERA DEL VESCOVO DI FELTRE E BELLUNO AL PRESIDENTE DELLA CHATILLON, FURIO CICOGNA

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28 giugno 1960

Ill. mo Cavaliere
mi permetto scriverLe per il medesimo motivo per cui a Lei si è rivolto in questi giorni S. Ecc. il Prefetto di Belluno, Dott. Giuseppe Meneghini. Ho partecipato anch'io a quell'adunanza cui si riferisce il Signor Prefetto, per la industrializzazione di questa zona, durante la quale ci fu chi parlò della competenza Sua Signor Cavaliere, e della somma utilità di un Suo parere in questa materia. Sono quindi a vivamente pregarLa di accogliere il desiderio di S. Eccellenza il Prefetto di Belluno e di tutte le Autorità, mosse dal nobile intendimento di lenire l'asprezza della condizione economica di questa gente, costretta a cercare lavoro altrove. Il fenomeno mi tocca profondamente per i suoi delicati aspetti umani e per i riflessi morali e religiosi che ha negli individui e nelle famiglie. Come vorrei in qualche modo giovare ai miei diocesani più provati dalla sorte.
Con calda gratitudine e viva devozione, mi onoro, Signor Cavaliere, attestarLe tutta la mia stima ed ossequio,
dev.mo e obbl.mo

                     Gioacchino Muccin Vescovo di Feltre e Belluno

DOCUMENTO 3

LETTERA DEL VESCOVO DI FELTRE E BELLUNO AL PROF. SIGLIENTI PRESIDENTE DELL'ISTITUTO IMMOBILIARE ITALIANO

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1 Luglio 1960

Eccellenza,
                     mi onoro rivolgermi a Vostra Eccellenza per sollocitarne l'alto interessamento a favore di questa Città e Provincia.
È stata qui raccolta la voce che la SIEMENS ITALIANA starebbe per suddividersi in due grandi branche, di cui una, la Siemens Elettra, si occuperebbe esclusivamente della produzione di apparecchiature telefoniche e di micromotori elettrici. Si vuole che i Signori Dirigenti della Siemens non siano alieni dal decentramento degli Stabilimenti di produzione. E Belluno aspira ardentemente ad essere designata sede di uno di questi. E' il dodicesimo anno questo, Eccellenza, che mi trovo padre e pastore di questa ottima popolazione, e soffro nel saperla priva di sorgenti di lavoro, e soffro al vedere i miei diocesani costretti in alta percentuale all'emigrazione temporanea e, appena lo possono fare con convenienza, a quella permanente. La montagna va spopolandosi. Arrestare del tutto questa penosa emorragia non sarà possibile, ma ridurne il fiotto e alleviarne le conseguenze lo ritengo possibile. Questa terra offre una mano d'opera eletta, per capacità, rettitudine e costanza di volere. E' una popolazione che non si lascia influenzare da suggestioni demagogiche: ama il lavoro, l'ordine, il risparmio. Non mi dilungo, Eccellenza. Mi dicono che Lei può dire proficuamente una parola ai Signori Dirigenti della Siemens affinchè si orientino verso Belluno e provincia per l'eventuale scelta d'una nuova sede ai propri Stabilimenti.
                     Con viva e perenne gratitudine e fervido ossequio, dev.mo e obbl.mo

                     Gioacchino Muccin Vescovo di Feltre e Belluno

DOCUMENTO 4

LETTERA DELL'ING. LUIGI CANTIMORRI AL PREFETTO DI BELLUNO

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Nervi, 17 agosto 1960

Cara Eccellenza, a complemento della telefonata odierna - purtroppo un po' disturbata - si potrebbe, a mio modesto avviso, pregare S.E. l'on. Scelba di intervenire presso l'on. Fascetti, presidente dell'I.R.I.

In ultima analisi è l'I.R.I. che dovrà decidere e l'autorevole intervento del ministro degli Interni che si preoccupa delle sue popolazioni non potrà che essere devotamente preso nella massima considerazione.

Per quanto riguarda S.E. Siglienti, data la riservatezza, la potenza, la concretezza dell'uomo, non riterrei prudente alcun intervento all'infuori di S.E. Segni, della stessa regione, Suo parente, e che avrebbe il duplice effetto di incitamento ma soprattutto, di esclusione dell'eventuale azione diversiva di persona a lui particolarmente devota. Relativamente al Ministro delle Partecipazioni già Le ho espressa la mia opinione. Come le ho detto, il 19 corrente, si riunisce a Roma il Consiglio Nazionale della D.C. e non so se il signor Gianfranco Orsini vorrà parteciparvi e se loro vorranno ch'io mi trovi a Roma con lui come ventilato nell'ultima seduta (...).

Suo Cantimorri

DOCUMENTO 5

LETTERA DEL PREFETTO DI BELLUNO ALL'ING. LUIGI CANTIMORRI

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16 agosto 1960

Caro Ingegnere grazie della Sua cortese lettera del 12 corr. e grazie, soprattutto, dei Suoi validi suggerimenti. Il 17-18 corr. sarà ad Auronzo l'Ecc. Segni, cui verrà consegnato il pro-memoria di cui unisco copia.
Il Dr. Orsini, Segretario Prov. della D.C., andrà a Roma il 19 corr. ed avvertirà fin d'ora l'On. Moro, ed altre Autorità, dell'azione che egli - in unione ai parlamentari locali - intraprenderà a favore della industrializzazione della provincia. Penso, pertanto, che il Suo intervento sarà quanto mai utile in questa seconda fase: mi permetterò tenerLa informata, comunque, del prosieguo della nostra iniziativa.

G. Meneghini

DOCUMENTO 6

PROMEMORIA DEL COMITATO PER L'INDUSTRIALIZZAZIONE DELLA PROVINCIA DI BELLUNO PER IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI A. SEGNI

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Provincia di Belluno

COMITATO PER L'INDUSTRIALIZZAZIONE DELLA PROVINCIA. - PROMEMORIA.

Ogni intendimento, ogni azione delle autorità provinciali di Belluno sono, in questo momento, sospinti dalla necessità di ottenere che, nel proprio territorio, trovi sede qualche importante industria.
La disoccupazione che raggiunge punte di circa 15.000 unità, e l'emigrazione che, sollecitata dal ben modesto reddito procapite di L 209.000 in media, annue, raggiunge anche circa trentamila unità, ben giustificano questa intensa e volitiva azione delle autorità. E durante tale instancabile ricerca si è venuti a conoscenza che la Soc. Siemens, avendo creato la consorella "Siemens-Elettra", dovrà, ora, provvedere all'impianto di un suo nuovo stabilimento. Questa provincia offre una mano d'opera qualificata, volonterosa e tenace; piena disponibilità di energia elettrica con corsi sostanziali, attraverso il Consorzio del Bacino Imbrifero, agli occorrenti finanziamenti; aree a prezzi modici e - addirittura - a titolo gratuito; ed i benefici che lo Stato assicura a favore delle zone dichiarate depresse.
Il Presidente della "Siemens", prof. Bottani, ha accolto favorevolmente l'iniziativa delle autorità bellunesi; però la "Siemens" è un prodotto delle Società Telefoniche Torinesi, che si avvalgono molto dei finanziamenti da parte dell'I.M.I..

Si aggiunge inoltre che sarebbero in corso sollecitazioni superiori perché gli impianti di cui trattasi trovino sede nel mezzogiorno d'Italia. Tutto ciò premesso, necessita che le Società Telefoniche proprietarie della Siemens e l'Ecc. Prof. Stefano Siglienti, Presidente dell'I.M.I., considerino benevolmente la possibilità che l'impianto dello Stabilimento "Siemens-Elettra" avvenga in provincia di Belluno e che a tale iniziativa non si oppongano gli organi di Governo e particolarmente l'I.R.I..é bene tener presente che le povere popolazioni del bellunese hanno sempre meritato, dalla Patria, e che costituiscono un valido presidio per le libertà democratiche.

DOCUMENTO 7

LETTERA DEL VESCOVO DI FELTRE E BELLUNO AL SEGRETARIO NAZIONALE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA ALDO MORO

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Belluno, 21 agosto 1960

Eccellenza,
                     le Autorità e i parlamentari democristiani della provincia di Belluno Le presenteranno un esposto sulle condizioni economiche di queste popolazioni e chiederanno, tra l'altro, l'appoggio politico per l'industrializzazione di questo lembo della Patria.

Chiedo e prego Vostra Eccellenza di appoggiarne con tutto il cuore e con l'autorità del nome Suo e dell'alto ufficio l'istanza.
Ricordo che questa provincia, in ogni tempo, ha dato i soldati migliori alla patria e cittadini esemplari allo Stato: cittadini che lavorano, che obbediscono, che pagano, che non s'agitano e non danno fastidi: che offrono garanzie e difesa delle guarentigie civili e democratiche. La Democrazia Cristiana ne sa certamente qualcosa.

In attesa di gentile risposta, con cordiale ossequio me Le professo dev.mo e obbl.mo

Gioacchino Muccin Vescovo di Feltre e Belluno

DOCUMENTO 8

LETTERA DELL'ING. LUIGI CANTIMORRI AL PREFETTO DI BELLUNO

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Milano, 10 settembre 1960

Cara Eccellenza,
come Le ho telefonato, il giorno 6 corr.te, mi sono incontrato col dottor Angelo Parola, Segretario del Presidente della Montecatini.
Alla fine della mia esposizione, il dott. Parola ha concluso che si sarebbe interessato per mezzo dell'On. Presidente, per farmi avere, nel più breve tempo possibile, un colloquio coll'Amministratore Delegato della Feltrina che risiede qui a Milano e sono in attesa di notizie in proposito.
Il giorno 7 corr.te mi sono incontrato col cav. del Lavoro dott. Furio Cicogna negli Uffici di Presidenza della Chatillon, Via Conservatorio 7 Milano.
Il Dott. Cicogna, in mia presenza, ha telefonato al Prof Ercole Bottani per avere più recenti notizie sulla Siemens ma il Prof. Bottani non ha fatto altro che ripetere quanto già aveva detto all'Ing. Mainardis della SADE.
Aggiungo che il Dott. Cicogna è strettamente imparentato col Marchese Dott. Dosi Delfini, Amministratore Delegato e Direttore Generale della Siemens, ed anche per mezzo di questo suo strettissimo parente, cercherà di influire perché si addivenga ad una soluzione favorevole per Belluno. Il Dott. Cicogna è d'accordo con me che si debba cercare di avvicinare l'avv.to Raffaello Faini di Vercelli ed insieme, avremmo trovata la persona adatta per le presentazioni: l'avv.to Giorgio Allario di Caresana, professionista di Vercelli e compagno di scuola e di Università dell'avv.to Faini e suo intimo amico. Ho telefonato all'avv.to Allario che ben conosco ed egli mi ha confermato che sarebbe ben lieto di far avvenire l'incontro desiderato.

Sono sempre in attesa di notizie per recarmi molto volentieri a Roma. Mi è grata l'occasione per porgere all'E.V. i miei rinnovati ringraziamenti ed i più cordiali, deferenti saluti.

Suo ing. Cantimorri

DOCUMENTO 9

LETTERA DELL'ING. MARCO BARNABÒ AL PREFETTO DI BELLUNO

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Venezia, 15 febbraio 1960

Caro Eccellenza ed amico,
con vivo piacere sento il Suo trasferimento nella mia Provincia che veramente ha bisogno di un uomo fattivo come Lei. Io spero fra poco di comunicare ufficialmente a tutti gli interessati che l'Autostrada con l'oleodotto Venezia-Monaco si possono ritenere maturati tanto che, se la grande Roma non mi mette bastoni fra le ruote, calcolo di iniziare i lavori del primo tratto Venezia-Vittorio ed il traforo da Brunico a Mayrhofen ancora nel corrente anno.
Naturalmente ho bisogno anche del Suo appoggio e credo che farebbe bene scrivendo in via ufficiale al Ministero dei Lavori Pubblici e per conoscenza all'Anas (non conosco la prassi e non so se Lei possa farlo) per fare nota l'ansiosa attesa della Provincia per questa opera che darà lavoro a parecchie e parecchie centinaia di operai per 3 o 4 anni non solo, ma servirà enormemente in avvenire a sollevare dall'attuale depressione tutta la Provincia con l'incremento dei rapporti con l'Austria e la Germania ed il formidabile afflusso di turisti che saranno la conseguenza di quella opera. Io non sono Presidente del Comitato perché un Comitato affiancatore si sta costituendo in queste settimane, ma io sono il Presidente ed il Capo della Società che si chiama "C.I.A.D.A. COMPAGNIA INTERNAZIONALE AUTOSTRADA D'ALEMAGNA" e che attende la sola concessione dal Ministro dei Lavori Pubblici per marciare, perché per il resto, compresa la finanza, è già tutto a posto. La ringrazio dell'invito e farò il possibile per essere a Belluno il 27 corrente e procurarmi così anche il piacere di rivederLa.

aff.mo

Barnabò

DOCUMENTO 10

LETTERA DELL'ING. EUGENIO MIOZZI AL PREFETTO DI BELLUNO

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Venezia, li 25 febbraio 1960

A Sua Eccellenza Dott. Giuseppe Meneghini
Prefetto di Belluno

Eccellenza,
rispondo alla Sua del 22 corrente assicurandoLa che io sono sempre a Sua disposizione per venire a Belluno e contribuire per quanto mi è possibile alla risoluzione della direttissima Venezia-Belluno-Monaco.

Purtroppo i nostri nemici non mancano e questi sono i concorrenti, concorrenti numerosissimi perché noi li troviamo tra i propugnatori del Porto di Ravenna e di Porto Garibaldi, li troviamo a Genova ed a Trieste perché temono la costituzione di un grande porto di prima classe a Venezia che possa accogliere navi di qualunque tonnellaggio, li troviamo tra i milanesi che temono che una acclusione dei traffici al Brennero o di una parte di questi traffici possa nuocere ai loro interessi, li troviamo infine potentissimi nei valligiani di Bolzano e di Trento i quali vogliono conservare tutto per loro il traffico dalla Germania all'Italia.
Abbiamo invece dalla parte nostra le buone ragioni delle provincie di Treviso e di Belluno le quali chiedono anche loro di passare da un turismo statico, quale è l'attuale, ad un turismo dinamico di transito; le quali chiedono di partecipare anche esse al beneficio di questo flusso di automezzi e di monete ora esclusivo dominio delle vallate dell'Adige; abbiamo poi da parte nostra la necessità di trasformare l'economia veneziana portandola ad un livello di prima classe ed alla costruzione di un porto adeguato a moderni scopi.
Io credo che la collaborazione di tutte queste popolazioni possa avere una efficacia molto notevole soprattutto per adeguare le decisioni superiori ad un criterio di giustizia verso queste regioni, criterio che può emergere soltanto dopo espressione vivace dei desideri perché oggi a chi chiede con umiltà ed educazione non si dà nemmeno risposta.
Per queste ragioni sono lietissimo di potermi incontrare con Lei e con i rappresentanti della Provincia di Belluno e sono ai suoi ordini non appena avrà ritenuto opportuno convenirci costà.
Gradisca i miei distinti ossequi e mi creda devotissimo sempre

Eugenio Miozzi

DOCUMENTO 11

LETTERA DEL PREFETTO DI BELLUNO AL PRESIDENTE DELLA CAMERA DI COMMERCIO

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19 settembre 1960

AL SIG. ING. PIETRO VECELLIO
Presidente Camera Commercio A e I., Belluno e, p. c.

SIG. PRESIDENTE AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE, Belluno

Nel pomeriggio di ieri mi sono occasionalmente incontrato con l'On. Mattei, presidente dell E.N.I.: era presente anche l'On. Colleselli.
Dopo aver accennato ad altri argomenti, si è entrati nel vivo del discorso parlando dell'Autostrada Venezia-Monaco. Indubbiamente tale opera interessa all'ENI, ma l'On. Mattei è perplesso ad aderirvi apertamente. Difatti il mercato dei petroli del centro Europa sarà di chi arriva primo colà: l'ENI, poi, ha già acquistato apposito appezzamento di terreno nei dintorni di Monaco per costruirvi una importante raffineria. Ma per l'autostrada Venezia-Monaco mancano ancora gli appositi consensi per l'attraversamento del territorio austriaco ed è proprio questo motivo che rende titubante l'ENI, il quale, perciò, non si sente di abbandonare la strada ora intrapresa. Non appena tutto sarà regolarmente autorizzato, l'ENI non mancherà di prendere in favorevole esame ogni proposta al riguardo.

Tanto per opportuna conoscenza di V.S..

PREFETTO Meneghini

DOCUMENTO 12

LETTERA DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI BELLUNO

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Belluno, 28 settembre 1960

OGGETTO: Autostrada Venezia-Monaco

a S.E.
dott. Otello De Gennaro
Prefetto di BELLUNO

Mi premuro informare la S.V. sulle ultime vicende del problema dell'Autostrada Venezia-Monaco, quali risultano dalle numerose riunioni e dai colloqui delle ultime settimane su questo argomento di vitale importanza per la nostra Provincia.

Anzitutto ho provocato un'ampia discussione nella riunione dell'Unione delle Camere di Commercio delle Venezie tenutasi a Misurina il 27 Agosto u.s. a seguito della quale si sono avuti altri incontri a Venezia con i Presidenti delle Camere di Commercio del Veneto maggiormente interessate, e precisamente il giorno 19 settembre e l'ultimo proprio ieri 26 corr..
È da tener presente che il gruppo veneziano che si era proposto l'iniziativa con lo studio del progetto e con la richiesta di concessione per eseguire ed esercire l'opera - gruppo al quale deve in ogni caso andare tutto il nostro plauso ed il più vivo apprezzamento - ha incontrato all'atto pratico delle notevoli difficoltà per quanto riguarda i finanziamenti, per cui venne a maturarsi l'idea, d'altronde già precedentemente prospettata, che solo appoggiandosi ad un organismo con prevalente partecipazione degli Enti Pubblici interessati l'iniziativa poteva effettivamente concretarsi.

A questo riguardo mi è gradito informare che nelle accennate riunioni delle Camere di Commercio del Veneto è emersa unanime la volontà di vivo interessamento per questo problema che riveste così peculiari aspetti nei confronti di tutte le regioni, emergendo l'urgenza di costituire lo strumento societario a cui appoggiare anche formalmente l'iniziativa. Mi preme informare la S.V. che ho avuto modo di prospettare l'argomento ai vari Ministri interessati, in particolare alle Eccellenze Trabucchi, Zaccagnini Pastore e Colombo e devo sùbito avvertire che il Ministro dei LL.PP. ha suggerito l'opportunità di proseguire con il massimo impegno nella predisposizione di programmi, piani e studi per avvantaggiarsi in tutti i sensi.
Il Ministro mi disse infatti che si sta redigendo da parte dell'A.N.A.S il piano generale delle Autostrade Italiane e quindi bisogna che anche la nostra possa essere inserita nel piano stesso per avere più probabilità di effettiva conslderazione. Ripeto che la prima fase deve comprendere la costituzione dell'accennata Società, della quale potranno far parte oltre gli Enti Pubblici anche privati cittadini. Ho ritenuto opportuno ragguagliare la S.V. sull'argomento, in relazione anche al fatto che entro breve tempo verrà indetta dall'Unione Veneta delle Camere di Commercio una riunione a Venezia di tutti gli Enti Pubblici interessati delle varie Provincie, al fine di effettuare un esame più generale di tutto l'argomento per passare poi alla costituzione della Società.
Al fine di presentarci con la necessaria compiutezza alla riunione di Venezia, sentite le maggiori Autorità della Provincia, riterrei opportuno un incontro qui a Belluno per il giorno 3 ottobre p.v. alle ore 10 presso questa Camera di Commercio al quale prego pertanto la S.V. di intervenire.

La realizzazione dell'opera in questione, non posso nasconderlo, presenta notevoli difficoltà; confido però che la buona volontà, la collaborazione e l'impegno di tutti gli interessati sapranno superarle ed è naturale che gli Enti e le Autorità politiche, amministrative ed economiche della Provincia di Belluno debbano essere in testa in questa azione, trattandosi di un problema di vitale importanza economica e sociale per lo svqluppo delle nostre Vallate.

Con distinti saluti.

IL PRESIDENTE
dott. ing. Pietro Vecellio



0 Fonte: "Protagonisti", rivista edita da ISBREC (BL) e reperita attraverso la biblioteca dello IFSML di Udine, che ringrazio.

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