IL VAJONT DOPO IL VAJONT - 1963/2000

IVO MATTOZZI

IL DOPO VAIONT A SCUOLA.
DALLA STORIOGRAFIA ALL'INSEGNAMENTO

Siamo in questa situazione: la ricostruzione di Longarone, del suo tessuto produttivo, della sua popolazione è stata finora una storia vissuta dai cittadini che ne sono i soggetti e i testimoni e i custodi della memoria. A quasi cinquant'anni dalla catastrofe, grazie all'azione dei sopravvissuti la Longarone nuova e una realtà sia urbanistica sia demografica sia produttiva sia sociale.

I processi ricostruttivi, con i problemi che man mano ponevano e risolvevano più o meno soddisfacentemente, sono stati oggetto di riflessione da parte di sociologi, di urbanisti e di economisti. Ora, essa e diventata un caso di studio organico e, grazie al lavoro di specialisti, la rappresentazione della storia e disponibile in un libro che puo circolare nelle scuole e nelle università. Si tratta di capire se vale la pena usare il libro per far conoscere la vicenda alle nuove generazioni e come potrebbe avvenire l'insegnamento di questa storia.

È un libro di storia contemporanea, nel senso più pregnante del temine: ha come oggetto un processo che si svolge e si ricostruisce storiograficamente nello stesso tempo in cui vivono sia coloro che l'hanno esperita e continuano a vIVerla sia coloro che l'hanno studiata.

Si tratta di una storia immediata1 e di una storia del tempo presente. Una storia che gli insegnanti hanno difficoltà a integrare nel curricolo per tanti motivi. Pensano che: L. riguarda un periodo al quale generalmente non si riesce ad arrivare svolgendo il libro di testo; 2. si tratta di una storia calda e più controversa di quella che è sopportabile nelle aule scolastiche; 3. si tratta di una storia verso la quale gli storici delle età prenovecentesche nutrono molta diffidenza e suscitano discredito, perché è una conoscenza che viene prodotta prima che ci sia il necessario distacco e prima che si sappia la fine del processo dal quale gettare lo sguardo sul passato.

Vorrei sostenere che proprio l'insegnamento dovrebbe superare le tre inibizioni e assumere un tema come questo nel percorso di formazione delle nuove generazioni. I saggi sono costruiti secondo le procedure del lavoro storiografico. Gli storici proiettano il loro punto di vista da questa «fine» provvisoria del processo (la ricostituzione di un tessuto urbano e di ripopolazione e di un'economia) - ma essa è una conclusione consolitiata - e cercano di ricostruire i processi intrecciati che l'hanno prodotta a partire da quel deserto desolato e angoscioso della notte del 9 ottobre 1963. Lo indagano usando le tracce che i processi hanno lasciato mentre si svolgevano e, sulla base delle informazioni disponibili, elaborano interpretazioni.

Ma è un lavoro storiografico che si applica a un processo che noi possiamo seguire nel suo attuale svolgimento, in una sorta di 'presa diretta' che permette sia agli storici sia a chi legge i saggi e impara da essi di mettere alla prova la loro ricostruzione.

Dunque, il libro offre un formidabile punto d'appoggio all'insegnante che volesse far conoscere agli allievi come funziona la storiografia in rapporto con il passato e come funziona il rapporto tra conoscenza del presente e conoscenza del passato.

Ma il tema è fuori tiro rispetto allo «svolgimento dei programme» è quel che pensano gli insegnanti abituati a seguire pedissequamente l'indice del manuale. Non lo è se assumiamo che è l'insegnante che ha la responsabilità di programmare i propri piani di lavoro selezionando e ristrutturando le conoscenze presenti nella manualistica. L'insegnante è il dominus della situazione e può decidere che gli preme realizzare un processo di insegnamento e di apprendimento sul processo di ricostruzione di Longarone. Allora può gestire la sua cinquantina di ore di lezione in modo che anche questo tema possa esservi trattato.

Proprio per il fatto che il tema sia 'caldo', gli studenti potrebbero appassionarsi a esso e potrebbero profittare delle controverse che suscita per capire come funziona la conoscenza storica, la sua costruzione, il suo uso pubblico, il suo destino di essere revisionabile e terreno di controversie. Un'altra obiezione può essere opposta dagli insegnanti. Ma questa è storia locale e potrebbe eccitare solo l'interesse degli abitanti del Bellunese o addirittura dei soli abitanti di Longarone. E vero la scala spaziale della conoscenza è locale. Il territorio investito dai fenomeni studiati in questo libro è di pochi chilometri quadrati. Da questo punto di vista, certamente, sono i giovani del Vajont che potranno essere i più avvantaggiati poiché vivono il territorio, lo conoscono e sono più interessati alle sue vicende. Ma i fenomeni non sono solo locali. Essi si sono verificati con l'intervento di soggetti nazionali e locali, in conseguenza di decisioni prese dal Governo e dal Parlamento italiani.

Il caso di Longarone è esemplare di come ha storicamente agito lo Stato nei confronti delle aree marginali del paese. «Esemplare» per due motivi: uno negativo, e cioè che solo la tragedia lo fece muovere, mentre quelle necessitavano comunque di una precedente attenzione, e invece ci vollero migliaia di morti perché essa scattasse; uno positivo perché un insieme di fattori (certo, uniti agli interventi straordinari, ai risarcimenti eec.) determinarono un percorso di crescita che trasformò un'area marginale in un'area ad economia diffusa e vivace. E colpiscono le mille risorse che da un contesto povero, e grazie ad una situazione d'emergenza, scaturirono2.
E il caso di studio si presta a far comprendere agli studenti l'intreccio tra la storia che si svolge a livello locale e la storia nazionale o sovranazionale. E anche a far capire come la rappresentazione di un processo a scala locale possa fornire un modello che può servire alla comprensione di fenomeni generali. Dunque, è un caso di studio interessante e vale la pena assumerlo nell'ambito del curricolo in qualunque scuola. Ma esso è anche molto formativo, poiché implica riflessioni sulla questione ecologica e promuove il risveglio della cittadinanza attiva.

La storia della ricostruzione di Longarone dimostra come si faccia storia positivamente con efficacia se gli amministratori comunali e i cittadini della società civile sanno interpretare le esigenze della comunità e imparano a gestire i problemi con intelligenza e con flessibilità: Fu l'energia dei sopravvissuti a fare la differenza, e a sfruttare al meglio le provvidenze statali. Giocarono in ciò, e non poco, un ceto politico insolitamente attento alla specificità locale, e capace di innescare meccanismi virtuosi tenendo tuttavia presente che essi erano legati al territorio, e quindi non astrattamente replicabili altrove3. A quale livello scolastico proporre le attività di studio? credo che possa essere un buon lavoro in terza media. Ma gli studenti dell'ultimo anno delle scuole superiori e gli studenti universitari potrebbero essere i più maturi e più reattivi alle proposte di studio e attività laboratoriali che il libro permette di programmare.

Sgombrato il campo dai motivi inibitori, cerchiamo di capire come trasformare la raccolta dei saggi in ispiratrice di decisioni didattiche.

1. LE RISORSE STORIOGRAFICHE

Innanzitutto riconosciamo quali risorse il libro mette a disposizione dell'insegnamento.

Il saggio di Daniele Ceschin4 proietta sulla scena nazionale il caso Vajont e ne analizza il senso nella vita politica degli ultimi decenni del secolo scorso. Ci sono saggi che ricostruiscono i filoni dei fatti che compongono il complesso processo della ricostruzione. Sono prese in considerazione le attività degli amministraton comunali (Ferruccio Vendramini5), le vicende demografiche (Fiorenzo Rossi6) la ricostruzione e l'espansione del distretto industriale (Giorgio Roverato), la formazione della società nuova con gli immigrati (Lnciana Palla), il ruolo e la funzione dei vescovi e dei parroci (Gianmario Dal Molin9). In altri due saggi abbiamo la rassegna delle opere letterarie e audiovisIVe ispirate alla tragedia del Vajont (Francesco Piero Franchi10 e Carlo Montanaro11). Insieme esse ci danno l'idea di un sesto filone: quello dell'elaborazione artistica del lutto e della memoria. Per le vicende giudiziarie dobbiamo, invece, contare sull'inventario dell'archivio del Tribunale dell'Aquila (Giovanna Lippi e Daniela Nardecchia12). Infine, il saggio di Cristina Zaetta e Angela Favaro13 ci dà la possibilità di comprendere come i sopravvissuti hanno patito il loro trauma nei decenni seguenti alla catastrofe. C'è anche un inserto di fotografie che possono documentare i diversi momenti della ricostruzione.

Dunque, sono otto i filoni che possiamo integrare in una vista di insieme per far comprendere il caso della ricostruzione.

La integrazione richiede un lavoro di trasposizione del testi in modo che ne risulti uno che sia adatto a suscitare interesse, a tac tare lo studio, a sostenere la comprensione della ricostruzione e problemi storici.

2. MONTARE UNA STORIA: CONOSCERE IL PUNTO TERMINALE

La prima cosa è far conoscere agli studenti i due capi del processo: la situazione di Longarone attualmente e quella all'indomani della catastrofe.

Leggiamo nel sito del Comune che oggi (2008) Longarone centro ha 1.992 abitanti. La sua economia è prevalentemente industriale, fondata sull'occhialeria, l'elettronica, il tessile, la lavorazione del legno: il principale distretto industriale del Bellunese. Ha un palazzo delle Fiere ove si svolgono una decina di manifestazioni fieristiche cui primeggia la Mostra internazionale del gelato, rassegna di attrezzature e di prodotti per la gelateria artigianale. Le tracce della sua storia sono ormai soltanto i Murazzi, il palazzo Mazzolà (1747), sede del Municipio, il campanile della chiesa di Pirago, del XVI secolo. Essa è, dunque, una città nuova. Vi funzionano numerose scuole, tra cui l'Istituto professionale statale alberghiero «Dolomieu», dove si diplomano cuochi e camerieri d'albergo, e un Istituto professionale per meccanici ed elettricisti. C'è la bella casa di riposo per anziani, costruita con specifiche donazioni all'epoca del Vajont.
Ci sono i moderni e funzionali impianti della zona sportiva del parco Malcolm. Costituiscono il Comune dieci frazioni che assommano a 2.132 abitanti. Una città viva, attiva, che svolge una funzione organizzatrice di un territorio molto più ampio di quello comunale.
Spostiamo il nostro sguardo all'indomani del 9 ottobre 1963 e troviamo il punto zero della storia.

3. IL CENTRO DI LONGARONE: DA «LUOGO» A «NON LUOGO»

Noi ci rivolgiamo a studenti di tredici o di diciotto o di venti anni. Essi non hanno conosciuto il centro «storico» di Longarone com'era e non conoscono, probabilmente, niente della tragedia del 1963. Dobbiamo dare loro le conoscenze sul momento iniziale di questa storia, quello in cui il luogo storico era diventato un «non luogo» e non nel senso coniato da Marc Augé di luogo omologo a tanti altri e a identità locale - ma in quello terribile che fa pensare a un azzeramento delle opere che la sequela delle generazioni aveva creato per dare fisionomia e identità al territorio. Ne conseguì un vuoto di riferimenti spaziali, sociali, identitari. Solo il settecentesco palazzo Mazzolà, la sede del Comune, rimaneva in piedi.

Sono disponibili le fotografie, i documentari, le testimonianze dei sopravvissuti e dei superstiti e dei soccorritori. Un confronto tra il prima dell'istante fatale e l'immediatamente dopo può dare la conoscenza dell'immane tragedia e del viluppo di dolori e di lutti che la seguirono. Alcuni ricordano d'aver visto una nube nera e poi un arco schiumoso e bianco d'acqua:

Un arco schiumoso e bianco d'acqua che si dirigeva verso Longarone, ho visto tutta l'illuminazione pubblica che saltava da sud a nord man mano che l'acqua toccava i fili; ho visto cadere il campanile della chiesa14.

Era una bella serata, c'era la luna e faceva freddo [...], ho sentito un rumore e mi sono meravigliata che fosse un temporale; sono uscita e ho visto tutto nero, una nube nera, ho sentito un forte odore di fango marcio e poi il rumore dell'acqua che batteva, il fango che entrava sotto la porta15.

Nel momento del disastro molti superstiti si trovavano nelle loro case e alcuni stavano dormendo; sono stati travolti prima dallo spostamento d'aria provocato dalla pressione dell'acqua che scendeva nella gola del Vajont e poi dall'ondata incontrollabile precipitata nella valle. L'ondata è stata preceduta da un forte vento:
Ricordo il forte vento ed il rumore delle tapparelle che sbattevano16.

Ho sentito un sussulto del terreno che si è amplificato all'inverosimile. dai piedi ti è entrato nel corpo fino alla testa che ti scoppiava. Poi il rumore è cessato e si è tramutato in uno scroscio d'acqua. Lo spostamento d'aria e i primi spruzzi mi hanno sollevato e riportato da dove venIVo; mi sono ritrovato nudo e con le chiavi di casa in mano17.

Nel disastro i sopravvissuti hanno perso non solo i loro cari, il loro paese, la loro vita, ma anche la propria identità, a causa del crollo dei rifenmenti spazio-temporali che costituivano la struttura della vita quotidiana18.

Non esistevano più ne scuole, ne negozi, né posta, né banca, né chiesa. La sera del 9 ottobre 1963 essi hanno perso ogni punto di riferimento; l'onda ha spazzato via non solo le case, ma l'intera comunità, e insieme la continuità culturale, storica, l'ambiente geografico. È mancato quindi, per chi doveva ricominciare a vivere, il sostegno che viene dall'interno del proprio mondo, dai parenti, dagli amici, dai luoghi familiari, dagli oggetti della vita quotidiana20.

L'alba del 10 ottobre si è alzata su di una seconda Hiroshima della quale erano polverizzati perfino i ruderi, su un panorama di sterminio e di sfacelo una spianata livida, livellata a zero, pavimentata di sassi e di fango. Longarone, con i suoi sobborghi lungo il fiume, era morta nel sonno, cancellata dalle fondamenta. Era nient'altro che una necropoli tra le macerie e la melma: solo e sempre morti fra i rottami, tra le umiliate armature di cemento armato, gli ammassi di legname accatastato, il groviglio degli arbusti sradicati, le rotaie divelte e contorte in spirale, le assi dei mobili in pezzi, le stoviglie, gli indumenti, i libri squinternati, i giocattoli, gli oggetti d'ogni sorta, e, come piattaforma, l'immensa pietraia, la distesa dei sassi e della poltiglia, le pozze d'acqua torbida, e ancora e sempre i grumi dei cadaveri imbrattati di fango, piccoli o grandi grumi secondo l'età delle vittime.
Ma è vano e ridicolo ogni sforzo di raccontare come era la valle dopo il diluvio. Era la valle del nulla.

Un paesaggio tenuto a bagno in acido corrosivo e cancellato con la scolorina da tutti gli atlanti. Era il vuoto sotto un cielo cinicamente terso e un sole sfrontato e assurdo come furono appunto il cielo e il sole del 10 ottobre, trionfanti sulla valle della morte. Un bilancio? È come un inventario fatto tutto di zeri: Longarone sparita, sparite le frazioni di Malcolm, Rivalta, Pirago, Villanova, Faè. Seicento case fracassate e triturate in minutissimi frammenti da una sola zampata. Di Longarone capoluogo, soltanto 22 edifici in piedi all'estremo nord dell'abitato. Del grosso borgo di Pirago, posto a sottovento di una altura che sembrava fargli scudo, tre soli relitti superstiti: una casa sul colle, una chiesetta sventrata, un esile campanile rimasto a guardia del cimitero sconquassato ai suoi piedi.

Sulla destra del Piave cinque chilometri di rovine, un lenzuolo tessuto di sassi polvere e fango lungo cinquemila metri. Spazzati via in un amen i 7 complessi industriali che davano lavoro a 600 persone, 56 aziende artigiane, opere, manufatti, telefono, ferrovia, acquedotto, attività, beni per diecine di miliardi.

[...] Centinaia di morti, ignudi, straziati, dilaniati, tumefatti, lividi, disseminati nel mare di fango o portati dalla corrente lungo il Piave ad accatastarsi contro le griglie, nelle anse, sugli argini, o navigare tra i flutti per decine di chilometri. I pochi redIVivi non sanno ridire come si muore sotto un'ondata di quella sorte. Ricordano a stento: «Ho volato per 300 metri»; oppure: «Mi sono svegliato con la testa spaccata in mezzo al fango»; o ancora: «Non so, mi hanno trovato nudo, impigliato tra i rami, in cima ad un albero». Per la maggior parte delle vittime la diagnosi non sarà di annegamento ma di altre cause rivelate dalle ecchimosi, fratture, mutilazioni, chiazze, gonfiori: morti per lesioni da crollo, traumi da spostamento d'aria, polmoni scoppiati, asfissia21. Credo che le parole scritte da Andrea Pais sul numero speciale della rivista «Antincendio e protezione civile» nel giugno del 1964 diano icasticamente l'immagine di come divenne desolata la terra che era stata vitale fino alle 22.39 del 9 ottobre.

Ma gli studenti devono comprendere che non fu il grado zero della storia, poiché c'erano i superstiti dell'ondata tragica e i sopravvissuti di tutte le frazioni che avevano bisogno di piangere e di onorare i morti ma anche di continuare a vivere dignitosamente e in sicurezza. Essi ebbero la forza d'animo di trovare le ragioni per nuovo inizio. E grazie alla loro volontà e capacità di resistenza Longarone fu rifondata e attualmente si presenta come una città di nuovo popolosa, vitale, produttiva.

Il confronto fra i tre momenti può essere reso più immediatamente efficace mediante una tabella.

4. LE QUESTIONI STORICHE

Gli scarti tra la situazione precedente la catastrofe, quella immediatamente successiva e quella odierna inducono a porsi questioni. Possiamo guidare gli alunni a esprimere le loro domande sul saggio dalla situazione così desolata e desolante della fine del 1963 e quella così vitale di 45 anni dopo.

Come si mise in moto la ricostruzione? In quanto tempo? Chi furono gli attori e i protagonisti della ripresa? Quali furono le condizioni favorevoli? Come si è ricostituita la zona industriale? Come si è ripopolata la città? Quando le situazioni urbanistica, economica e demografica sono diventate soddisfacenti e simili a quelle odierne?

La motivazione a studiare è sostenuta dalla scoperta che c'è qualcosa di interessante da conoscere. La ricostruzione storica della sequenza delle decisioni, delle azioni, delle attività, delle opere, dei flussi demografici (cioè del processo dei mutamenti) e la risposta a domande siffatte.

5. UNA PERIODIZZAZIONE

Per facilitare la comprensione degli intrecci delle serie dei fatti amministrativi, legislativi, urbanistici e demografici conviene proporre una sintesi mediante una periodizzazione. Essa produce una conoscenza anticipata rispetto a quella più dettagliata della ricomposizione del processo, ma costituisce il quadro cronologico di riferimento entro il quale collocare i dettagli informativi della ricostruzione.

Schema L. Periodizzazione 1963-1975

(SCHEMA, da inserire)

Lo schema rende evidente che la ricostruzione fondamentale avvenne in una decina di anni, un tempo breve che fa pensare a rapide decisioni, efficienza di esecuzione, abbondanza di mezzi per realizzare le opere necessarie.
Si può comprendere che l'inizio del processo di ricostituzione degli impianti industriali precedette quello della ricostruzione della città e che i due incentivarono l'afflusso di immigranti e la natalità. In seguito i tre processi si intrecciarono sostenendosi a vicenda. Nel 1975 la situazione era ormai già soddisfacente: nelle industrie lavoravano oltre 1.300 addetti, il 90% delle abitazioni ormai costruite erano avviate le costruzioni del Parco Malcolm; erano in via di sistemazione le vie e gli spazi pubblici del centro; fu messa la prima pietra della nuova chiesa.

Schema 2. Periodizzazione 1976-1988

1981 1982 1983 :1984 1985 ------------------>» 2000

PERIODO della crisi congiunturale del nuovo slancio industriale con l'impianto di occhialerie

In seguito, i processi industriali e demografici continuarono a svilupparsi fino al 1980. Dal 1981 i contraccolpi della crisi congiunturale segnarono la perdita di circa 600 posti di lavoro. Ma il successivo slancio con l'impianto delle occhialerie dimostrò la solitiità delle strutture della zona industriale e la sua capacità di attrarre nuove imprese, fino al punto che l'area di 74 ettari divenne satura di impianti industriali e di servizi.

Ora possiamo stabilire che il periodo della rinascita si estende fino al 1980. Quel che accadde in seguito è l'effetto della situazione maturata con i processi precedenti: sia la crisi sia lo sviluppo impetuoso degli ultimi anni ottanta furono generati da congiunture nazionali e dalla forza d'attrazione del nuovo polo industriale ormai attivo a Longarone e grazie alle provvidenze della legge sul Vajont.
La nostra attenzione deve rivolgersi, dunque, soprattutto al processo di mutamento che si svolse dal 1964 al 1980.

IL PROCESSO DI RIFONDAZIONE (1963-1980)

6.1. Il periodo delle decisioni (1963-1965)

All'indomani del 9 ottobre gli amministratori superstiti e il nuovo parroco si misero subito all'opera per ripristinare il minimo di servizi civili e religiosi, per assecondare le opere di soccorso, per confortare coloro che avevano perso i loro cari. Già il 15 ottobre (6 giorni dopo il disastro) si riunirono i consiglieri comunali superstiti e il 18 inviarono alle autorità di Governo una presa di posizione e un documento di richieste lucidamente premonitore. Chiedevano di
risolvere il problema di Longarone in funzione delle esigenze delle popolazioni delle vallate che gravitavano su Longarone (20.000 abitanti). È necessario cioè che vengano istituite nella Vallata [di] Longarone da Castellavazzo a Fortogna industrie per circa 4.000 posti di lavoro. L'insediamento di tali industrie farà gravitare nella zona di Longarone i valligiani che finalmente nella sicurezza del lavoro potranno disporre di redditi dignitosi e condurre una vita civile in seno alla ricostituita famiglia22.

Ma pure la società civile si mise all'opera: il 21 ottobre si costituì il Comitato dei superstiti e il direttore didattico si adoperò per riaprire la scuola, e presto la Faesite, l'unica fabbrica rimasta in piedi, riprese la produzione.

Anche Governo e Parlamento a Roma furono solleciti ed efficienti nel prendere decisioni importanti per il futuro: 16 ottobre Commissione bicamerale d'inchiesta, 18 ottobre L. 1358, 31 ottobre. L. 1408, 4 novembre L. 1457: in una ventina di giorni quattro provvedimenti importanti per la loro capacità di dare animo ai cittadini dei comuni colpiti. Sospendevano i termini dei pagamenti delle imposte, davano moto agli interventi per mettere in sicurezza le zone colpite dalla sciagura, stabilIVano provvidenze a loro favore.

La dialettica tra amministrazione e società civile locale e Governo continuò nel 1964 di fronte a dilemmi lancinanti: con l'invaso della diga ancora pieno di acqua c'era il rischio di esondazioni e perciò l'idea dei tecnici del Ministero dei lavori pubblici era di ricostruire Longarone più a valle. Era una prospettiva del tutto sgradita agli abitanti delle frazioni e ai superstiti. Ma già il 12 gennaio 1964 il Governo si impegnò a far ricostruire la città nello stesso luogo.

Occorre tener conto del contesto istituzionale: prima del non esisteva l'autonomia regionale e c'era il massimo di centiTutte le decisioni dovevano essere prese a Roma da Governo e Parlamento. A livello locale amministrazione e società civile potevano elaborare richieste o inscenare proteste, ma dovevano aspettare che fossero il Governo e il Parlamento a legiferare. In effetti le istituzioni romane agirono concitatamente nel 1964. Furono decisioni plurime che man mano integravano o emendavano le leggi già varate.
Il 20 febbraio 1964 l'architetto Samonà presentò presso il municipio le linee del piano regolatore. Il suo progetto non piacque ai sopravvissuti che l'avversarono.
Il 31 maggio 1964 - otto mesi dopo la catastrofe - il Parlamento approvò la L. n. 357, che fu alla base dei successivi interventi anche amministrativi. Il Parlamento inserì l'area del Vajont in un comprensorio più ampio (non quindi solo i comuni di Longarone, Castellavazzo, Erto e Casso).
L'art. 3 della legge introdusse «nella legislazione urbanistica uno strumento nuovo costituito dal piano comprensoriale tendendo a una razionale organizzazione degli insediamenti sul territorio e considerando a tal fine tutti gli aspetti della convivenza». Il Ministero dei lavori pubblici affidò a Giuseppe Samonà, rettore dell'Istituto universitario di architettura di Venezia, l'incarico dello studio e dell'elaborazione dei due piani comprensoriali, uno per la provincia di Belluno (42 comuni), l'altro per quella di Udine (13 comuni). Samonà espose già nel settembre 1964, in una relazione, i criteri fondamentali dei piani. Il Ministero accolse i criteri con alcune precisazioni e con suo decreto del 7 novembre 1964 delimitò l'estensione dei due territori indicando i comuni compresi in ciascuno di essi. Ma con la delimitazione dei piani comprensoriali non si precisarono la destinazione d'uso e le norme per l'utilizzazione del territorio23.

La Commissione Samonà aveva bisogno di tempi distesi per la raccolta della base di dati necessari all'elaborazione dei piani. Ciò sembrò un ritardo insopportabile alla popolazione, che «con proteste locali e viaggi nella capitale»24 riuscì a ottenere che le zone sinistrate non dovessero attendere la definizione del piano urbanistico comprensoriale per dare inizio ai lavori di rifondazione. A novembre la giunta comunale Protti appena eletta rigettò il piano particolareggiato di Samonà. A lui restava la responsabilità del piano comprensoriale. Il piano particolareggiato e la progettazione della maggior parte dei singoli edifici, privati e pubblici, divenne responsabilità degli architetti Avon e Tentori.

Di fronte alla impazienza della popolazione, la maggioranza parlamentare approvò la L. 1321 del 6 dicembre 1964 che dava efficacia al piano regolatore generale di Longarone e Castellavazzo da attuarsi mediante piani particolareggiati, nell'attesa che il piano comprensoriale entrasse in vigore. Inoltre approvò una deroga alla L. 357 allo scopo di consentire l'individuazione delle aree destinate agli insediamenti industriali.
Intanto le case provvisorie sorte in località Pians cominciarono ad animarsi di superstiti i quali usufruIVano di uno spaccio cooperativo. Si aprivano i primi negozi prefabbricati, un nuovo bar funzionava già nel vecchio edificio delle scuole elementari come punto d'incontro fra i cittadini. Era stato istituito in paese un centro assistenza per i sinistrati. Erano questi segni, insieme a molti altri, di come grazie ai primi interventi statali e alla solidarietà nazionale e internazionale - la vita stesse riprendendo a passi veloci25.

6.2. Si passa all'opera. Il periodo delle costruzioni (1965-1980) Il piano particolareggiato fu approvato dal Comune nel 1965. Il 17 marzo 1966 giungeva finalmente la notizia «che il piano particolareggiato con le varianti suggerite dal Consiglio superiore dei lavori pubblici e studiato in sede locale, era stato approvato»26.
«A tre anni dalla catastrofe e a oltre due anni e mezzo dalle prime leggi varate dal Parlamento in favore di quelle popolazioni, la ricostruzione dei centri abitati di Longarone [...] è appena agli inizi (e questo è un giudizio abbastanza indulgente)»27.
Negli anni 1964-1968 si concentrò un'intensa stagione di progettazione dei singoli edifici e negli anni 1966-1972 si realizzarono le opere che fecero considerare la città ricostruita già nel 1972. Intanto si era messa in moto la nuova industrializzazione con la costruzione della Procond (1965) e con l'impianto della zona artigianale (1966). Racconta un testimone:

Nel 1968 già prevaleva la percezione che la vita urbana si fosse rianimata. Il 1968-1969 è il periodo in cui il paese si ripopola, con le case che vediamo adesso. C'è stata un'immigrazione massiccia di persone, tante dai paesi limitrofi ma tante da fuori... I bambini venivano a scuola con noi, arrivavano anche durante l'anno28.
E il bollettino parrocchiale scriveva, il 1° luglio:
Chi percorre ora il centro del paese [...] ha davanti a sè l'immagine di cittadina moderna che giorno per giorno viene assumendo una sua fisionomia definitiva [...] A buon punto i lavori di costruzione di tutti gli edifici pubblici che entro l'anno dovrebbero essere completati; terminate molte case nelle quali già si vede l'andirivieni degli inquilini, il centro viene via via assumendo il suo carattere.

L'apertura di un bar e di qualche negozio era il segno della ripre¥a della vita normale: "Un altro bar si è aggiunto a quello di Luciano Teza; qualche negozio si è aperto; un senso di attività si scorge dovunque: speriamo che esso continui e che l'attività edilizia, una volta cessata, ceda il posto a quella più duratura delle industrie, che consenta al nuovo paese un futuro prIVo di preoccupazioni economiche"29.

Ma anche le preoccupazioni economiche si stavano stemperando. Nel marzo 1970 nella zona industriale attrezzata alla Procond e alla risorta Filatura del Vajont, che occupavano complessivamente più di 600 operai (come nel 1963), si stavano affiancando uno stabilimento per lavanderla industriale e uno per la torrefazione del caffè . Nel censimento del 1971 c'era la prova della dinamica virtuosa che s'era messa in moto: le industrie manifatturiere del Comune davano lavoro a 1.326 lavoratrici e lavoratori e l'industria nel suo complesso a 1.609, quasi 1.000 in più che nel 1961.
Nel 1972 la popolazione residente nel Comune era tornata al livello precedente la catastrofe: 4.346 abitanti.
Il bilancio del 1975 era ormai saldamente attivo sia per la ricostruzione urbana, sia per quella industriale: «la ricostruzione privata è attuata al 90%, sono ormai iniziate le opere pubbliche della zona ricreativo-sportiva del Parco Malcolm, la sistemazione delle vie e delle piazze del centro»50.
Nel quinquennio seguente proseguirono sia l'attività edificativa sia l'incremento delle attività economiche. Anzi, a esse si aggiunse il rafforzamento dell'ente che organizzava la mostra del gelato artigianale con la sua costltuzione in ente fieristico e con la costruzione del polo fieristico. L'ente si qualificò con l'organizzazione di altre fiere come quella dell'arredamento e quella dell'agricoltura in montagna (1977 e 1979)
Alia fine del quindicennio della rifondazione i dati erano confortanti: nel 1981 i lavoratori nell'industria manifatturiera del Comune di Longarone erano ormai 1599, con un incremento di 273 rispetto all97131. Nel 1981 a Longarone i residenti erano 4481: era aumentato sia il numero delle famiglie che dei loro componenti. «Negli anni ottanta anche la vita comunitaria aveva ripreso una sua "normalità "»32. La costruzione della chiesa di Michelucci tra il 1975 e il 1980 sembro suggellare il periodo di rinascita. Era ormai nata «Tunica città "rifondata" dalla Repubblica italiana»33. 7. DALLA CRISIAL NUOVO SLANCIO (1980-2000) Nel triennio 1981-1984 anche l'industria longaronese subl la crisi congiunturale con conseguente perdita di centinaia di posti di lavoro. Ma il Parlamento nazionale dette ancora un contributo con un nuovo finanziamento per la prosecuzione della costruzione di opere pubbliche con la L. 190 del 10 maggio 1983. E dal 1984 la congiuntura divenne favorevole e l'area industriale di Longarone non solo recupero tutti i posti di lavoro ma dette prova «di vitalità imprenditoriale, con la nascita di nuove realtà produttive»34 e prese nuovo slando. I risultati raggiunti nel 1988 furono «veramente confortanti»; i nuovi insediamend industriali nell'area CONIB portarono «ad un notevole incremento dei posti di lavoro e, in pratica, alla saturazione dell'area stessa». Numerosi imprenditori avevano inoltre deciso di avviare «attività indotte dalle prime, a loro supporto e servizio»; si stava così realizzando un obiettivo fondamentale: creare un'imprenditoria locale che a poco a poco andasse a sostituirsi a quella esterna55. Tre fabbriche di occhiali tra le più importanti nel mondo (Marcolin, Safilo, Dierre del gruppo De Rigo) si aprirono o si spostarono dal Cadore a Longarone creando altre centinaia di posti di lavoro: nel 1991 davcino lavoro a circa 800 persone. Intanto il programma delle costruzioni era portato a compimento con la inaugurazione del palazzetto dello sport, della piscina e del museo della chiesa di Longarone nel 1988. 366 IL DOPO VAJONT A SCUOLA. DALLA STORIOGRAPIA ALL'INSEGNAMRNTO Nel 1991 ad abitare Longarone erano in 4234. Erano così adempite le visioni e le richieste espresse dagli amministratori comunali all'indomani della catastrofe. 8. L'ESITO DEL PROCESSO Il volano economico era ormai in moto e nei successivi dieci anni le industrie continuarono ad assorbire mano d'opera in sempre maggior numero. Nel 1996 le fabbriche di occhiali occupavano 2298 addetti e nel luglio del 1998 Longarone era il maggiore «polo industrial della provincia di Belluno. Erano in 3300 a lavorare nelle fabbriche di occhiali, elettroniche, meccaniche, tessili. I 74 ettari dell'area industriale erano saturi. E la densita delle produzioni industriali comincio a generare addirittura problemi ecologici preoccupanti che indussero Famministrazione a istituire una «Commissione ambiente». Nel 2001 gli abitanti di Longarone erano circa 4122, un centinaio meno di dieci anni prima, distribuiti in 1619 nuclei familiari. Ma risultavano occupati nelle imprese insediate nel territorio comunale complessivamente 4642 individui, pari al 112,62% del numero complessivo di abitanti del Comune. JK|_ Questo dato mostra che Longarone assolve la sua funzione di polmone economico di un comprensorio demografico molto ampio. Esso rivela, mi pare, che si è realizzata anche la visione lungimirante del Governo e del Parlamento nazionali che avevano legato la rinascita di Longarone alla pianificazione comprensoriale: Bt. La provincia [...] vede gravitàre proprio nel Longaronese il baricentro della sua rinascita. La robustezza dell'impianto manifatturiero del comprensorio e dimostrata anche dalla consistenza percentuale delle società di capitali, di alme"o 13 pnnti superiore alla media provinciale. Ed anche il peso delle aziende con più di 50 addetti, e della relativa occupazione, si distanzia nettamente dal dato medio: più di quattro volte per quanto riguarda le imprese, e più del doppio per quanto riguarda la percentuale di quanti sono in esse impiegati, tenendo anche presente che le tre imprese provinciali con più di 500 addetti sono tutte 11 concentrate36. IVO MATTOZZI 9. DALLA RICOSTRUZIONE AI PROBLEMI Abbiamo seguito i fili della rifondazione urbana, della rinascita e sviluppo delle industrie e della demografia poiché essi ci forniscono dad concreti che mostrano l'esito delle decisioni e delle azioni di istituzioni e persone. La conoscenza dei fatti e mutamenti fondamentali che si sono verificati in una quarantina di anni e primaria rispetto a ogni altra operazione di valutazione, di interpretazione, di spiegazione. Ora su tale base possiamo pensare ai problemi storici. Quali sono stati i fattori che di volta in volta hanno prodotto lo sviluppo industriale di Longarone? Perché la rifondazione urbana non ha soddisfatto ne chi voleva la resurrezione di Longarone com'era ne gli urbanisti che sognavano una città nuova del Novecento? Perché nuovi e vecchi cittadini di Longarone non sono riusciti a rifondare anche il senso di una convivenza comunitaria come quella che segnava la vita di Longarone prima dell'ottobre del 1963 ? Perché all'abbondanza di posti di lavoro degli anni novanta non ha corrisposto la crescita demografica della città e la popolazione ha avuto una piecola diminuzione dopo il 1991? Queste domande e altre che si possono formulare orientano a cercare le relazioni tra i fatti e a individuare le responsabilità e i meriti dei diversi attori. Alcune risposte si possono trovare nei diversi saggi di questo volume. Far evidenziare le interpretazioni che essi propongono e far affrontare il ragionamento sui problemi e sulle spiegazioni degli storici e il modo più conveniente per far capire agli studenti come funziona il ragionamento storiografico e come la molteplicità dei fattori sia da preferire alla banalità del pensare i legami «causa-effetto» e come la pluralita delle interpretazioni possibili sia caratteristica della conoscenza storica. La lettura e lo studio in questa chiave diventano una palestra di esercitazione del pensiero storico e delle capacità critiche. Net saggi si leggono le valutazioni, le interpretazioni e le spiegazioni degli autori. Nel saggio di Vendramini emerge come le Giunte e i Consigli comunali che si sono succeduti nei tre decenni siano stati all'altezza dei loro compiti nel far fronte alle emergenze e nel gestire gli affari correnti. Dal saggio di Dal Molin si impara come la Chiesa abbia svolto la sua azione per consolare e confortare gli afflitti e per animare alla speranza e alla ripresa della vita e come il parroco don Bez seppe offrire dei punri di riferimento alla vita giovanile. 368 IL DOPO VAJONT A SCUOLA. DALLA STORIOGRAHA ALI.'INSEGNAMENTO E amministrazione civica e cura religiosa furono assiduamente igili in seguito in tutte le fasi in cui si presentarono le proposte della |icostruzione urbanistica ed economica e in quelle per affrontare le |tcende giudiziarie; fu necessario prendere decisioni anche difficili e lte, in dialettica con il Governo e il Parlamento. Ma quando si avviarono le opere per la ricostruzione della città di pietra e della atta economica e cominciarono ad arrivare gli immigrati allora le ptività amministrative e quelle di cura religiosa divennero sempre :>iu risolutive. ã,, La società civile emerge da vari saggi (Vendramini, Palla, Roveralll'lome attiva interlocutrice e attrice, a volte assumendo iniziative Il protesta dirompente, ma più ancora organizzandosi in comitati e J-amite la Pro loco. " La rinascita del Longaronese e merito anche di una Pro loco che seppe pensare «in grande», e che tuttavia ebbe il merito - nel momento di una classica «crisi di crescita» - di «passare la mano» a una struttura in grado di valorizzare il patrimonio costruito nel tempo, peraltro contribuendo a costituiria ed essendone ancor oggi parte37. Si pose Palternativa tra la soluzione di limitare gli incentivi alle sole aree disastrate e quella di legare il destine di esse a quello di un comprensorio di comuni e essa mise in contrapposizione popolazioni colpite dalla catastrofe e Governi. Si temeva che la soluzione comprensoriale determinasse tutt'altro che la concentrazione industriale di Longarone, ma «il dissanguamento, il depauperamento demografico, industriale e produttivo», come dichiarò il deputato Giacomo Corona in una seduta della Camera del 31 maggio 196658. Ma l'andamento del processo ricostruttivo e il suo esito dimostrano che la prospettiva comprensoriale fu risolutiva. E nel saggio di Roverato si legge l'analisi delle dinamiche che la legislazione promosse con efficacia: i'|' La quale scaturi da uomini ed istituzioni, che seppero dare corpo e vita ) ad una intuizione, nelle norme solo abbozzata. Verrebbe da dire che furoi no dette norme, con continui rinvii a successive decisioni (anche discrezioali) dei vari Comitati in esse previsti, a consentire l'esito virtuoso che dian2;i richiamavo. In sostanza si tratto di una legislazione «apertd», che fu poi oodulata - grazie agli spiragli normativi in essa contenuti - nell'obiettivo K.di conseguire un risultato che, nel momento legislativo, non poteva essere Previsto. A me appare questa legislazione, sia nella sua prima redazione ex 369 IVO MATTOZZI 1. 1457/1963 (governo Leone) che nella sua riscrittura ex L. 37 (governo Moro), una formulazione d'intenti ricostruttivi utile poi ad p4 (pur nelle norme cogenti in quanto a massa di finanziamenti, peraltr sere tempo integrati) duttilmente applicata sul terreno. nei L'obiettivo era comunque fin dall'inizio chiaro: la ricostruzione « ¥l' 1994 mica» di un territorio distrutto, e non il semplice ristabilimento dellp c a . 1, . . 11 i . .£. . . , . , . -m- situa zioni d ongme. be penso ad altre ed a noi più vicme legislaziom ricostrur ve (per l'Irpinia, 1980, ed Umbria, 1997), il divario d'impianto appare suk1 to evidente39. E il successo economico della visione comprensoriale potrebhp far rivalutare la proposta urbanistica di Giuseppe Samonà e del suo gruppo multidisciplinare secondo la valutazione di Cervellati: E fra le prime proposte progettuali di piano intercomunale che si stanno redigendo in Italia. La visione di Samonà e d'avanguardia, attualissima. Connette i comuni in un comprensorio territoriale - (d'area vasta si dira venti anni dopo) - facendo di Longarone l'epicentro organizzativo senza ledere l'autonomia «campanilistica» degli altri comuni. Con razionalità impregnata di nozioni lecorbusieriane, Samonà lega il tuturo dell'insediamento distrutto al territorio circostante. Agli altri insediamenti. Il passato è stato cancellato dall'acqua. Il passato non è rappresentato dalle povere case e dalla scarna struttura urbanistica: la nuova articolazionc pluricentrica evidenzia che la storia e l'identità del luogo, sono rappresentate dal territorio40. 10. STORIA NAZIONALE E STORIA A SCALA LOCALE Longarone e rifondata grazie alle provvidenze e alle azioni decise dai Governi e legiferate dai Parlamenti che si susseguirono nelle legislature durante i quattro decenni del «dopo Vajont». La vicenda locale e legata anche alle congiunture nazionali e, owiamente, internazionali. Ma la storia dello slancio industriale del comprensorio bellunese e del suo polo contribuisce allo sviluppo del Veneto e dell'italia intera. Insomma i fill tra storia nazionale e storia a scald locale sono fitti. Percio la conoscenza del contesto istituzionale e politico ed economico nazionale e, dal 1970, di quello regionale e nece saria e utile per comprendere come le cose siano andate. Le qu stioni dei processi, dei risarcimenti, delle transazioni si sono dipao te parallelamente al processo di rifondazione urbana, economi0 demografica e hanno influenzato l'atteggiarsi dei cittadini '-1 llv locale. Ma esse hanno avuto risonanza nazionale. 370 OPO VAJONT A SCUOLA. DAUASTORIOGRAFIA ALL'INSEGNAMENTO n 11 e il saggio di Ceschin che esamina come la tragedia del Vajont fata efretto degli intrecci tra politica ed economia, e rivelazione sla dappocaggine e delle vilta di amministratori statali, di tecnici, e' mrenditori, di manager. E come sia stata percepita e messa sotto list nei decenni seguenri e considerata, da una parte, come para yndtica e ammonitrice, e dall'altra, come una prova che la storia cligmauLd ã ' r non insegna nulla. II. LE STRATEGIE DIDATTICHE Ora che abbiamo delineate il processo e il suo esito e l'intreccio delle storie che lo costituiscono, possiamo riflettere sulle strategic che possono renderlo oggetto di insegnamento e di apprendimento. 11.1. Una questione di trasposizione Usare didatticamente una raccolta di saggi storiografici comporta un esercizio di trasposizione. I saggi sono scritti da storici di professione per un pubblico colto, la cui lettura può essere fatta in piena autonomia. Invece, la destinazione agli studenti e lo scopo di formazione della loro cultura e del loro pensiero storico richiedono che i saggi siano ristrutturati, ridotti, resi leggibili e agevolmente comprensibili a giovani che non hanno già le preconoscenze di fondo adeguate. Si tratta innanzitutto di fare l'analisi dei temi e della struttura dei testi e poi di prendere decisioni su come tematizzare per l'attività didattica e su come ristrutturare i testi. Se fondere più saggi, se usaru tutti, se montarii in una sequenza modulare diversa da quella che Propone la struttura del libro. 1 ossiamo immaginare due situazioni: L. scrivere un testo dedica0 li studenti; 2. proporre percorsi di lettura guidata di alcuni ggioditutti. .'e1 pnmo caso si pone la necessità di produrre un testo che ha ei saggi il sapere di riferimento, ma una dimensione molto minore, ,. a struttura adatta a sostenere l'interesse e la motivazione a stu e a riflettere, e una scrittura che facilita la comprensione e Pap prendlmento. ip secondo caso potrebbero essere gli studenti gli autori della isizione. Si potrebbe progettare un'attività laboratoriale m cui 371 IVO MATTOZZI l'insegnante organizza gli studenti in gruppi di lavoro, assegna a ciascun gruppo la lettura di un saggio e il compito di selezionare e riorganizzare le parti di testo essenziali, di sintetizzare i fatti con i grafici temporali, mappe concettuali, tabelle e schemi secondo le esigenze della comunicazione. Ogni gruppo riferisce agli altri dei risultati del proprio lavoro e alla fine combinano i grafici temporali insierne per costruire una sintesi complessiva. In tal caso gli studenti fanno un esercizio di riscrittura della storia. E su tale base di conoscenza dei fatti e delle interpretazioni potrebbero ragionare sui problemi e sulle spiegazioni. Sarebbe un buon modo di coronare dieci anni di studio della storia. 12. UNA STORIA UTILE A EDUCARE IL CITTADINO ATTIVO Nella storia della rifondazione di Longarone si intersecano azioni di molti soggetti, di molti attori che hanno interagito con diversi livelli di responsabilità e di potere. Sono i superstiti che si organizzano in Comitati, gli amministratori locali che sono superstiti ma ricevono dalla popolazione il mandato di prendere decisioni e di rappresentarli, governanti e burocrati di magistrature statali, cittadini individuali, uomini di chiesa, imprenditori, lavoratori. Essi sono attivi in ogni Ease del processo di rifondazione nell'esercizio della loro cittadinanza. Ci sono poi i tecnici (geologi, architetti urbanisti, architetti compositori) che entrano in gioco con la loro professionalità, con le loro rigidezze intellettuali o con i limiti delle loro abilità. E ci sono questioni etiche come quelle che hanno dovuto affrontare con i loro comportamenti i geologi italiani prima della catastrofe e durante lo svolgimento dei processi. Ci sono le questioni dei tempi e della loro percezione: i tempi del l'urgenza e dell'impazienza dei sopravvissuti giustamente ansiosi di sentire assicurato il future il più presto possibile, i tempi della legislazione e della burocrazia - inevitabilmente mono solleciti nel dare rapida attuazione alle decisioni - i tempi necessari allo studio e alla elaborazione dei piani comprensoriali e particolareggiati, inevitabilmente più lunghi di quel si potesse desiderare, la durata degli effet" ti delle decisioni realizzate (in campo economico con lo svilupp0 dell'area industrializzata, in campo urbanistico con la struttura e la fisionomia della nuova città). C'è il successo della visione ad ampio raggio dell'applicazione del beneficio delle leggi in favore delle zone disastrate: i due comprensori hanno profittato senza che Longarone perdesse i suoi diritti e la sua capacità di attrarre nuove imprese, come temevano i suoi cittadini. Insomma, gli ingredienti di questa storia messi sotto la lente di orandimento della riflessione ragionata su come sono andate le cose puo rendere lo studio della storia un'utile palestra per comprendere i processi in corso o per porsi questioni su altri processi del passato. Credo che per tutti i giovani la storia del «dopo Vajont» possa apparire la storia di un caso esemplare da cui imparare come agire da cittadini democratici per ottenere leggi virtuose, collaborare alla loro applicazione, fare la loro parte a beneficio di tutta la comunità. Ma ai giovani di Longarone questa storia può dare buone ragioni per comprendere e apprezzare Longarone - città, comunità, economia - come l'esito - non perfetto e, tuttavia, esaltante - delle tensioni vitali delle generazioni attive nel «dopo Vajont». Di tale storia possono andare orgogliosi sia i longaronesi di vecchia cittadinanza sia gli immigrati che a Longarone hanno portato la loro voglia di lavoro, di impresa, di fare famiglia. Ciascuno di essi ha dato contributi che ne hanno fatto un paese così vivo e memore. Senza la ricostruzione i sopravvissuti sarebbero stati colpiti due volte: dalla catastrofe ecologica, dall'assassinio d'impresa, dal lutto per la perdita di cari familiari e compaesani e dalla persistenza del deserto lunare. I 1.450 morti di Longarone non avrebbero avuto la memoria lunga che è , invece, seguita alla strage. La Longarone attuale è il monumento più significativo in onore dei morti.

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1 Sull'importanza della storia immediata si può consultare L'histoire immediate sur le web, http://w3.grhi.unIV-tlse.fr/cahier/cahier.htm, che presenta un repertorio di articoli pubblicati dalla rivista «Les cahiers d'histoire immediate». Esiste anche una collana «L'histoire immedlate» delle Editions du Seuil.

2 Si veda in questo volume il saggio di Giorgio Roverato, L'economia: dalla tragedia alla rinascita.

3 Ibidem.

4 Si veda in questo volume il saggio di Daniele Ceschin, Il Vajont come metafora della nazione infetta».

5 Si veda in questo volume il saggio di Ferruccio Vendramini, Vicende di amministrazione locale fra centro e periferia (1963-1999).

6 Si veda in questo volume il saggio di Fiorenzo Rossi, La popolazione di Longarone., 1951 Cfr. il saggio i Roverato in questo volume. 7 Si veda in questo volume il saggio di Luciana Palla, La «nuova città » e la sua gente: un difficile percorso dal 1963 a oggi. 8 Si veda in questo volume il saggio di Gianmario Dal Molin, I vissuti religiosi nella tragedia del Vajont.

10 Si veda in questo volume il saggio di Francesco Piero Franchi, Gli alfabeti della consolazione. Elementi per uno. «letteratura del Vajont».

11 Si veda in questo volume il saggio di Carlo Montanaro, Macabro e pietas: la rappresentazione del disastro.

12 Si veda in questo volume il saggio di Giovanna Lippi, Daniela Nardecchia, L'archivio del Vajont. Inventario.

13 Si veda in questo volume il saggio di Cristina Zaetta, Angela Favaro, Memorie e dolore a 45 anni di distanza. Le conseguenze a lungo termine sulla salute psichica e fisica dei sopravvissuti.

14 Ibidem.

15 Ibidem.

16 Ibidem.

17 Ibidem.

18 Ibidem.

19 Cfr. il saggio di Vendramini in questo volume.

20 Cfr. il saggio di Luciana Palla in questo volume.

21 Andrea Pais, Longarone, in L'opera del Corpo nazionale VV.FF. nella zona del Vajont Longarone. 9 ottobre - 23 dicembre 1964, «Antincendio e protezione civile», numero speciale, giugno 1964, p. 4.

22 Vendramini, Vicende di amministrazione locale.

23 IX Commissione lavori pubblici della Camera dei deputati, verbale della seduta del 19 maggio 1965.

24 Cfr. il saggio di Palla in questo volume.

25 Ibidem.

26 Ibidem.

27 Onorevole Busetto, Camera dei deputati seduta del 31 maggio 1966, Discussione del disegno di legge: conversione in legge del decreto-legge 9 maggio 1966, n. 258, concernente modifiche e integrazioni delle leggi 4 novembre 1963, n. 1457, e 31 maggio 1964, n. 357, recanti provvidenze a favore delle zone devastate dalla catastrofe del Vajont (3150), Atti Parlamentari. Camera dei deputati, IV Legislatura - discussioni - seduta del 31 maggio 1966, p.23 797.

28 Cfr. il saggio di Palla in questo volume.

29 Ibidem.

30 Ibidem.

31 Ibidem.

32 Cfr. il saggio di Vendramini in questo volume.

33 Si veda in questo volume il saggio di Pier Luigi Cervellati, Identità perdutae assenza dell'urbanistica.

34 Cfr. il saggio di Roverato in questo volume.

35 Cfr. il saggio di Vendramini in questo volume. Le citazioni riportate da Vendramini sono tratte da una testimonianza dell'ex sindaco Gioachino Bratti.

36 Cfr. il saggio di Roverato in questo volume.

37 Ibidem.

38 Atti parlamentari, Camera dei deputati, IV Legislatura - discussioni - seduta del 31 maggio 1966, p.23 808.

39 Cfr. il saggio di Roverato in questo volume.

40 Cfr. il saggio di Cervellati in questo volume.




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