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Vent-on prevoir les catastrophes naturelles?
Titolo originale Vent-on prevoir les catastrophes naturelles?
Copyright © 1970 Presses Universitaires de France, Paris
Copyright © 1973 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

MARCEL ROUBAULT - LE CATASTROFI NATURALI SONO PREVEDIBILI

Alluvioni, terremoti, frane, valanghe

Edizione italiana a cura di Floriano Calvino - Prefazione di Mario Fabbri

Traduzione e integrazioni di Floriano Calvino

Piccola Biblioteca Einaudi

Indice

IX Prefazione del giudice Mario Fabbri

XI Prefazione all'edizione francese

Le catastrofi naturali sono prevedibili

   3 Introduzione

   7 Cap. I. Le alluvioni
   7 Cenni storici
   9 Nozioni fondamentali
  11 Due esempi di piene secolari
12 La piena del Tarn nel marzo del 1930
16 Le inondazioni del bacino di Lorena nel dicembre del 1947
21 La previsione delle piene
25 La previsione delle piene nel bacino della Dordogna
26 Le misure di protezione
28 I serbatoi
33 La sistemazione dei corsi d'acqua
35 Conclusioni
37     [Le alluvioni in Italia]

39 II. I terremoti
40 Nozioni fondamentali
50 I terremoti si possono prevedere?
55 Le costruzioni antisismiche
57 Caratteristiche generali
60 La situazione della Francia di fronte ai terremoti
66 Le eruzioni vulcaniche
69 I maremoti
70     [I terremoti in Italia]
72     [Il vulcanismo in Italia]
72     [I maremoti in Italia]

74 III. Le frane
75 Nozioni fondamentali
80 Alcuni esempi caratteristici
80 Smottamento di materiali sciolti non consolidati
81 Scoscendimenti di masse argillose
82 Scivolamenti su pendIl rocciosi stratificati
83 Crolli di roccia
84 I segni premonitori
86 Esempi di movimenti franosi misurati
91 Conclusioni pratiche sulle frane di scorrimento in senso ampio; la previsione
94 Il caso del crolli di roccia
95 Che fare in avvenire?
97     [Le frane in Italia]

99 IV. Le valanghe
99 Nozioni fondamentali
101 La previsione delle valanghe
104 La difesa passiva
105 La protezione attiva
106 La situazione in Francia
110     [Le catastrofi glaciali]

112 V. La rottura di grandi dighe
114 Il dramma di Malpasset
114 Caratteristiche dell'opera
114 Circostanze della rottura
115 L'osservazione dei fatti
119 Il probabile meccanismo della catastrofe
119 Le cause principali del dramma
121 Cause addizionali
123 Che cosa si sarebbe dovuto fare?
124 La funzione del geologo
127 Epilogo

129 VI. Problemi amministrativi
130 La licenza edilizia
130 Le norme di base
132 Esistono norme precise che riguardino un rischio particolare?
136 Quali autorità rilasciano la licenza edilizia?
140 La difesa dell'ambiente

144 VII. Problemi giuridici
147 Considerazioni preliminari
152 Qualche esempio istruttivo
152 La rottura della diga di Malpasset
157 Il crollo di Champagnole
161 La frana del Vajont
166 I terremoti artificiali
168 Che fare dunque?
171 La nozione di rischio
174 La personalizzazione delle responsabilità
178     [La frana di via Digione a Genova]
181 Conclusioni

185 Bibliografia

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Ogni volta che eventi catastrofici definiti «imprevedibili» (il Vajont,il terremoto in Sicilia, la valanga della Val d'Isère) ci mettono difronte al fatto compiuto delle vittime e dei «senzatetto», si riaccende la discussione sul problema di cogliere in anticipo le premonizioni naturali e di scongiurare, se non il fenomeno, quanto menoil danno che ad esso si accompagna.

In questo libro il geologo francese Marcel Roubault mette a fruttola sua lunga esperienza di studioso per analizzare, con linguaggioaccessibile a tutti, la dinamica di inondazioni, terremoti, frane, valanghe, eruzioni vulcaniche e maree.

Le sue conclusioni («se l'uomonon può impedire tutto, può prevedere molto») si impongono all'attenzione dei tecnici, dei pubblici amministratori, dei magistratie di tutti i cittadini.

Marcel Roubault è direttore della Ecole Nationale Supérieure de GéologieAppliquée e del Centre de Recherches Pétrographiques et Géochimiques.

Ha diretto con successo le prime ricerche di uranio in Francia e nei possedimenti francesi d'Oltremare, ed è autore di numerosi lavori sulle rocce cristalline.

Prefazione - Mario Fabbri


giudice Fabbri 1963Da un'intera vita di studio e dall'esperienza - direttamente sofferta nel ruolo di perito giudiziario - di numerosi eventi disastrosi, tra i quali vanno ricordati l'inondazione di Fréjus e la frana del Vajont, il professor Marcel Roubault ha tratto lo spunto per proporre, attraverso una fredda e penetrante analisi dei fatti, alla attenzione di studiosi di tecnici di uomini del mondo politico e giuridico di Francia e - più ancora - alla attenzione di tutti i suoi concittadini, il problema della previsione delle grandi catastrofi naturali.
Il tema, di fondamentale importanza per coloro che hanno la responsabilità di tutelare l'incolumità collettiva e i beni pubblici e privati, si rivela di estremo interesse anche per il nostro paese, non solo per la simiglianza dell'ordinamento giuridico e delle strutture politico-economiche che accomuna i due popoli, ma soprattutto per l'attualità dei problemi, nell'opera indicati dall'autore, identici a quelli che la nostra società si trova oggi ad affrontare, spesso senza disporre di mezzi adeguati a stabilire un armonico ed equilibrate sviluppo tra progresso tecnologico ed avanzamento sociale.

Per questa ragione allorché il professor Floriano Calvino mi propose di collaborare all'edizione con aggiornamento per l'Italia, dell'opera del professor Roubault, di buon grado accolsi l'invito, ritenendola un utile contributo - e, prima ancora, un basilare elemento di valutazione e di giudizio - per quegli Enti politici, economici, accademici e di ricerca tecnica che, da almeno un decennio, nell'assistere alla quotidiana degradazione degli ambienti naturali conseguente ad una affrettata riforma delle strutture produttive, si mostrano preoccupati della tutela dei diritti dell'uomo e dell'uomo stesso, in relazione all'ambiente nel quale egli si è costretto a vivere e a lavorare.

L'Italia, in meno di un secolo ha conosciuto - purtroppo - decine di eventi catastrofici determinati da alluvioni, terremoti, inondazioni, valanghe, scoscendimenti di terreno. Tali fatti, ogni volta, hanno proposto alla coscienza dei cittadini e ai pubblici poteri il dramma dei «senzatetto», dei «superstiti», degli «sfollati», dei «baraccati», delle «catene di fraternità e di solidarietà ». Da dieci anni ad oggi, più volte, abbiamo visto intere comunità percosse da simili tragici eventi: la catastrofe di Longarone, le alluvioni del 1966, i terremoti della valle del Belìce, i terremoti delle Marche, le alluvioni di Calabria e di Sicilia. Ogni volta si è nuovamente proposto, con il senno del dopo, di cogliere in anticipo le premonizioni naturali e di scongiurare, se non il fenomeno, quanto meno il danno che ad esso si accompagna.

Sul piano della organizzazione e della prevenzione va sottolineato il lavoro della Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo (istituita con Legge 27 luglio 1967 n. 632), presieduta dal professor Giulio De Marchi che, in apertura della relazione conclusiva, così scrive: «La difesa del territorio nazionale contro gli eventi idrogeologici risponde ad un pubblico vitale interesse e come tale non può che essere di esclusiva spettanza dello Stato, rimanendo affidata ai due ministeri - Lavori pubblici e Agricolturae foreste - che se ne sono fino ad oggi occupati». Sul punto il De Marchi conclude: «Se lo Stato intende avviare nel campo della difesa idraulica e del suolo quella politica costruttiva, che costituisce per esso un preciso indilazionabile dovere verso il paese, occorre che sia disposta senza indugio la rapida ricostruzione delle strutture tecniche direttive del corpo del genio civile e del corpo forestale, che sono gli strumenti umani indispensabili per la realizzazione di tale politica».

Le indicazioni scientifiche, i suggerimenti tecnici, gli ammodernamenti amministrativi dalla Commissione prospettati non hanno, per la gran parte, ancora trovato accoglimento, fors'anche per il sopravvenire del recente assetto regionale. È sintomatico tuttavia che essi siano stati presto raccolti e abbiano fermentato opinioni nella coscienza dei cittadini di ogni ceto, nei sindacati operai, nei consigli regionali, nei convegni di giuristi e - il che è forse non meno importante - nelle decisioni dei giudici penali della Repubblica.

La questione ecologica italiana è dunque esplosa. Ma perché essa non s'appalesi come effimera epidermica moda, perché la difesa del suolo sia fondata sul rigore della ricerca scientifica, perché le conseguenze dei disastrosi eventi siano evitate o ridotte e necessario che, senza esitazioni, si ponga mano al rinnovamento delle strutture legislative ed esecutive, ormai logore anacronistiche e insufficienti a regolare il nuovo contesto socio-economico del paese.
È soprattutto necessario (come ebbe a dire - con l'estrema chiarezza che lo distingueva - il procuratore generale della Repubblica di Milano Luigi Bianchi d'Espinoza nell'introdurre il convegno sul tema «L'ambiente la legge il giudice», tenuto a Cervia nel 1971) «vincere non lievi resistenze per la strenua opposizione che a qualsiasi provvedimento oppongono ben precisi interessi individuali e la volontà di chi mostra di curarsi soltanto di accrescere i propri profitti, incurante degli interessi della collettività».

Nel licenziare questa breve nota di presentazione dell'opera del Roubault m'è d'obbligo ringraziare per il compito assegnatomi e la fiducia dimostratami, ricordando achi legge che l'autore, con il professor Alfred Stucky rettore del Politecnico di Losanna e con il professor Henry Gridel direttore generale dell'Electricité de France - oggi scomparsi - nonché con il professor Floriano Calvino docente di geologia applicata nell'Università di Genova, si gravò dell'incarico di perito - da me affidato - per la catastrofe del Vajont, incarico assolto con imparzialità,competenza, onestà.
E con umanità, che si compendia in una frase del costruttore di imponenti dighe Alfred Stucky:

«Nessuna costruzione dell'uomo, neppure la più grandiosa, vale la vita dell'ultimo degli operai che ha contribuito, con il suo sudore, ad erigerla».

MARIO FABBRI       




Michel_Roubault(Prefazione dell'Autore all'edizione francese)

Purtroppo ogni anno che passa impone agli uomini il suo doloroso tributo di catastrofi naturali. Il bilancio del 1970 è stato particolarmente pesante. In Francia vi furono i drammi di Val d'Isere e del Roc-des-Fiz, in Turchia si ebbe il terremoto di Gediz, il Perù fu devastato da allucinanti convulsioni del suolo che annientarono un'intera popolazione, in Romanìa e Bulgarìa il Danubio fece più distruzioni che l'ultima guerra.

Questi grandi fenomeni al cui cospetto l'uomo si sente disarmato sollevano l'emozione del mondo ed ogni volta si ripete il medesimo terribile spettacolo di famiglie intere scomparse, di cadaveri allineati a diecine se non a centinaia o a migliaia, perdite di vite umane accompagnate da danni materiali considerevoli, ammontanti a centinaiadi milioni o a miliardi. Ed ogni volta si pone la stessa domanda: l'uomo è veramente impotente? Non si sarebbe potuto - se non impedire che il fenomeno si producesse cosa impossibile nella maggior parte dei casi - prendere misure per limitarne le conseguenze? Insomma, cosa si può prevedere e che si può fare?

Nella mia vita sono stato chiamato più volte come esperto, a seguito di questi drammatici eventi, fossero essi fenomeni completamente naturali, o catastrofi cheavessero messo in gioco le forze della natura, in caso di rottura di grandi opere d'ingegneria. E più d'ogni altra cosa ho sentito il peso terribile dell'espressione «era imprevedibile», impiegata con troppa facilità da uomini lacui ignoranza è imperdonabile, che cercano solo di coprire miseramente le proprie responsabilità, aiutati in ciò da disposizioni giuridiche o amministrative troppo spesso inadeguate alle ambizioni dell'uomo moderno. Perché io affermo che se l'uomo non può impedire tutto, può prevedere molto. Ed affermo anche che pochi sono i grandi sinistri naturali di fronte ai quali non resti veramente che chinarsi a piangere i morti.

Malpasset, Longarone: sono nomi scolpiti per sempre nella mia memoria. Le bare allineate sulla piazza di Fréjus, e il cimitero ove sono raccolti i duemila morti travolti dall'onda del Vajont sono spettacoli che non si possono dimenticare. È pensando ad essi che ho scritto queste pagine, pensando anche ai poveri bambini del sanatorio di Roc-des-Fiz, vittime innocenti delle debolezze umane.

MARCEL ROUBAULT       




LE CATASTROFI NATURALI SONO PREVEDIBILI

INTRODUZIONE

Questo libro non è assolutamente un'opera tecnica.
Eccellenti libri e numerosissime pubblicazioni sono gia stati scritti sui fenomeni in questione; un indice bibliografico che precede quello generale reca i riferimenti aidocumenti consultati nonché i titoli di opere specializzate, alle quali potranno rivolgersi i lettori che desiderassero approfondire le proprie conoscenze. Alle catastrofi naturali, infatti, è già stata dedicata una massa considerevole di lavori e di ricerche; in certi campi - ed in particolare per le alluvioni - si sono ottenuti risultati spettacolosi.
Disgraziatamente è come se gli ingegneri e gli scienziati avessero lavorato nel più assoluto isolamento; la gente, nella stragrande maggioranza, non èinformata; ma il fatto più grave è che molte persone, che per funzioni amministrative o per mandato politico sono responsabili di decisioni da cui troppo spesso dipende la vita dei loro contemporanei, ignorano - talora fino all'inverosimile - dei fatti che avrebbero tuttavia il dovere di conoscere.

Lo scopo che ho cercato di raggiungere è dunque chiaro: dopo una rapida presentazione dei fenomeni ed un richiamo alle nozioni essenziali di base, mostrare casoper caso, appoggiandomi il più possibile ad esempi che conosco oppure ho vissuto, ciò che l'uomo oggi può fare per limitare i rischi.

Uno studio siffatto conduce inevitabilmente ad esaminare la probabilità di tali rischi. Certo, per evitarli del tutto si potrebbe benissimo prendere un atteggiamentosistematicamente pessimista e perciò assurdo. Ma con questo spirito, spingendo le cose all'estremo, si potrebbe evidentemente sconsigliare la gente di abitare sulla Costa Azzurra, col pretesto che colà il rischio di terremoti non è nullo, o di vivere nelle valli delle Alpi, dato che frane e valanghe sono un requisito indissociabile dei paesi di montagna.

L'essenziale è invece di saper discernere il possibile dall'impossibile e siccome al giorno d'oggi il progresso delle tecniche consente di eseguire lavori di un'ampiezzaieri insospettata, l'esame condurrà inevitabilmente a considerazioni economiche, senza tuttavia dimenticare che, su un piano superiore, la vita umana non ha prezzo.

Così concepite, queste pagine sono rivolte anzitutto al grande pubblico; ma anche a tutti coloro che costituiscono i «pubblici poteri». Troppo spesso, infatti, in passato, le decisioni prese - quando piuttosto non si tratti di assenza di decisioni - hanno potuto lasciar credere che la Natura dovesse piegarsi ad esigenze di cui, in realtà, essa si preoccupa assai poco. Questi gli argomenti che verranno trattati:

- Le alluvioni.

- I terremoti
(con cenno alle eruzioni vulcaniche edai maremoti).

- Le frane.

- Le valanghe.

- La rottura di grandi dighe
(opere costruite dall'uomo, la cui rottura tuttavia comporta catastrofi paragonabili a quelle naturali).

- Problemi amministrativi.

- Problemi giuridici.

- Conclusioni.

Lo studio dei fenomeni atmosferici, fuori della competenza dell'autore, non è stato preso in considerazione; del resto i tornados ed i cicloni, la cui evenienza rientra nel quadro delle previsioni meteorologiche, sono fenomeni essenzialmente caratteristici dei paesi tropicali e fortunatamente ben rari nelle regioni temperate.

La redazione e la messa a punto di questo lavoro, realizzate in un tempo molto breve, non sarebbero state possibili senza la compiacenza di varie personalità, colleghi o amici, che hanno voluto aiutarmi a raccogliere rapidamente la documentazione necessaria ed esprimermi opinioni ed osservazioni. A tutti porgo i più sinceri ringraziamenti e in particolare a René Degouy, consigliere di Cassazione, al collega ed amico Jean P. Rothe, direttore dell'Istituto di Physìque du Globe di Strasburgo, nonché al mio collaboratore di tutti i giorni, Pierre Bristiel, laureato in legge, segretario generale del Centre de Recherches petrographiques et geochimiques, il quale si è largamente prodigato per facilitarmi il lavoro.

CAPITOLO I - LE ALLUVIONI

Tra tutti i fenomeni naturali che abbiano investito gli uomini, le alluvioni a seguito di piene di fiumi e torrenti sono certo quelli meglio conosciuti; contro questi fenomeni è stato elaborato da più lungo tempo un insieme di misure di prevenzione la cui efficacia non si può contestare. Alcuni storici ritengono anzi che gli argini in terra destinati a proteggere gli abitanti delle vallate contro le inondazioni siano forse le prime «grandi opere» realizzate dall'uomo.Ciò non impedisce che ad ogni alluvione di una certa gravità o dopo il passaggio di una minacciosa onda di piena l'opinione pubblica si ponga sempre le stesse domande; e purtroppo, malgrado i reiterati avvertimenti, non si può che constatare il riprodursi dei medesimi errori.

Cenni storici

Il Nilo è probabilmente, tra tutti i fiumi del mondo, quello di cui si conoscono le variazioni di livello da tempi più remoti. La conoscenza delle sue piene annuali,fonte di fertilità per la pianura alluvionale grazie ai limi sedimentati nel corso delle inondazioni, è ricordata a partire dal V° e VI° millennio. L'argine che protegge la riva sinistra, da Assuan al Mediterraneo per un'estensione di oltre 100 km, esisteva - almeno in gran parte - al tempo dei Faraoni; furono gli Arabi, in seguito, a realizzare un'analoga protezione sulla riva destra.

Anche in Francia, la necessità di eseguire simili lavori sulla Loira si è fatta sentire da lungo tempo; alla fine del Medioevo il letto del fiume è racchiuso fra Orleans e Angers da argini alti da 3 a 4 m. A partire dal 1783 una doppia arginatura venne eretta a valle del becco d'Allier, cioè della confluenza della Loira e dell'Allier, mentre parecchie città davano avvio ad importanti lavori per difendersi dalle alluvioni. Quanto al numero ed all'importanza delle inondazioni eccezionali di cui si conserva il ricordo, la lista è assai lunga. Si possono citare anzitutto gli straripamenti dei grandi fiumi della Cina, lo Yang-tze e il Fiume Giallo, di cui vien fatta menzione fin dal IV secolo a. C..
E poi, saltando all'epoca contemporanea, per la quale si dispone di informazioni certamente molto più precise, si possono ricordare:

- In Europa: le piene della Senna a Parigi negli anni 1658, 1910 e 1924; della Vistola a Varsavia nel 1861 e nel 1934; del Tevere a Roma nel 1530 e nel 1557; dell'Arno a Firenze nel 1333, 1557, 1844 e soprattutto nel 1966; del Danubio nel 1342, 1402, 1501, 1830 e 1970.

- Negli Stati Uniti: un insieme di cataclismi, direttamente collegati ai tornados ed ai cicloni generati nel mare dei Caraibi dall'incontro di correnti d'aria secca e fredda di provenienza artica e d'aria calda ed umida risalente dall'Atlantico meridionale, che devastarono a più riprese il Sud-Est del paese; uno dei più noti è rappresentato dalle alluvioni dell'Ohio, che nel 1913 fecero 500 vittime, 5 miliardi di danni ed asportarono 400 ponti; e del Mississippi, che nel 1937 fecero 140 vittime e provocarono inoltre parecchi miliardi di dollari di distruzioni.

- In India: i cataclismi periodici, conseguenza nefasta delle piogge diluviali della stagione dei monsoni, che seminarono la distruzione in tante province, causando lamorte di migliaia di persone, come gli straripamenti dei fiumi Mahanadi e Orissa, che nel 1955 isolarono 300.000 persone, di cui gran numero, in proporzione purtropposconosciuta, scomparve.

- In Australia: nello stesso 1955, nella Nuova Galles del Sud i fiumi Macquarie, Castlereagh, Namoi, Hunter e Givydir fecero 50 vittime e distrussero 40.000 case inuna quarantina di città . E molti altri casi ancora, poiché questi pochi esempi riguardano unicamente - com'è ovvio - le inondazioni catastrofiche, quelle che chiameremo 'secolari'.

Nozioni fondamentali.

Il profilo dei fiumi e dei torrenti differisce nettamente a seconda che si considerino corsi d'acqua di montagna a forte pendenza, che scorrano a grande velocità in unavalle generalmente stretta con depositi alluvionali scarsi o inesistenti, oppure si consideri un fiume di pianura, come la Marna o la Garonna, che fluisce talora pigramente,descrivendo numerosi meandri in una valle ampia, il cui fondo sia ricoperto da una notevole coltre di ghiaie e limi. È essenzialmente di quest'ultimo tipo di corso d'acqua che ci occuperemo, dato che sono state proprio le vaste distese alluvionali ad attirare gli uomini in ogni tempo, tanto per la caratteristica di «via di traffico» che i fiumi hanno sempre posseduto, quanto per l'elevato valore agricolo dei terreni.

Indubbiamente esistono tutti i possibili termini di transizione fra i rapidi torrenti d'alta montagna e la Senna o la Loira. Ma questo ha poca importanza; ci soffermeremo solo su un elemento essenziale, costituito dal profilo trasversale della maggior parte dei corsi d'acqua di pianura. Tale profilo, che ci permetterà di cogliere immediatamente gli aspetti fondamentali del fenomeno chiamato inondazione, si può schematizzare come nella figura 1.

D'estate il corso d'acqua scorre nel letto L, considerato in genere come il suo alveo normale. Ma in certi periodi dell'anno, per esempio in occasione di forti piogge (anche non eccezionali) o allo sciogliersi delle nevi, il letto L non basta più al deflusso delle acque; il fiume fuoriesce dalle sponde e ricopre la pianura in tutta la zona L', detta letto maggiore.

In ciò risiede una prima nozione della quale occorre essere ben persuasi; il territorio proprio del fiume, quello in cui il corso d'acqua si trova a casa sua, è costituito dal letto maggiore L/; poveretti gli uomini che hanno costruito le loro case sulla pianura alluvionale: si sono comportati nei riguardi del fiume né più né meno come degli intrusi, come se occupassero dei locali che non gli appartengono.

Ma non si poteva evidentemente pensare di lasciare abbandonate ogni anno, per lunghi mesi, quelle zone così fertili e pianeggianti, così invitanti insomma, per il semplice fatto che per la durata di otto o quindici giorni all'anno il fiume faceva valere i suoi diritti di «proprietario». Fu così che nacque, da millenni, l'idea prudente e ragionevole di costruire gli argini di protezione.

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Così si presenta dunque lo schema di quelle che chiamerò le alluvioni normali. Per gli uomini il problema è semplice. Volendo beneficiare dei vantaggi incontestabili che l'utilizzazione del letto maggiore comporta, essi corrono un rischio sicuro, ma di proporzioni limitate; tocca a loro prendere delle precauzioni, sia erigendo argini protettivi per contenere e canalizzare le piene stagionali normali, sia costruendosi case con fondazioni solide, sapendo che il pianterreno ed a maggior ragione la cantina saranno sommersi ogni anno per qualche giorno dall'acqua; vedremo fra poco quanto sia costato a volte non rispettare questa norma, peraltro dettata dal buon senso.

Fino a qui, niente di straordinario. Non è possibile beneficiare di tutti i vantaggi di una situazione senza doversopportare al tempo stesso qualche inconveniente e soprattutto non si può pretendere di scaricare sulla collettività la responsabilità di una scelta fatta per conto proprio. «Aiutati, che il ciel t'aiuta», dice il proverbio.

Ma non succede sempre così . Certi anni, il fiume - diciamolo con un'espressione un po' volgare - «esagera» e le sue acque raggiungono un livello veramente anormale. Qualche volta, anzi, per fortuna molto di rado, «esagera» eccessivamente e l'acqua esonda anche dalla zona convenientemente denominata letto maggiore per invadere considerevoli estensioni, distruggendo ogni cosa al suo passaggio. Vi è chi chiama «imprevedibili» tali eventi, sebbene occorra avanzare riserve sul fatto che si tratti di un attributo appropriato, tenuto conto degli insegnamenti del passato. Queste sono le piene eccezionali chiamate in genere piene secolari, dato che si verificano solo di rado nell'arco di un secolo; tali sono quelle ricordate nel breve richiamo storico precedente.

DUE ESEMPI DI PIENE SECOLARI.

1 Le caratteristiche della piena del Tarn sono state descritte daMaurice Pardé in un articolo assai documentato, dal quale sono statiestratti i principali dati utilizzati nel presente capitolo.
Per illustrare il carattere delle piene secolari ed introdurre il difficile problema della previsione, non c'è dimeglio che servirsi degli esempi. Ne sceglierò due, il primo con carattere veramente catastrofico - la piena delTarn nel marzo del 1930 - il secondo di carattere eccezionale, pur senza toccare il livello della grande catastrofe - la piena della Meurthe e della Mosella nel dicembredel 1947.

La piena del Tarn nel marzo del 1930

Questo fenomeno presentò tutti i caratteri di una catastrofe nazionale, come si può vedere dal seguente drammatico bilancio: 200 vittime umane, parecchie migliaia dianimali domestici uccisi o scomparsi, 3000 case distrutte,11 grandi ponti, varie diecine di opere più modeste e chilometri di strade e ferrovie asportati dalle acque, danni per più di un miliardo di franchi dell'epoca.

I caratteri scientifici della piena. La piena fu la conseguenza diretta di piogge diluviali cadute nei primi giorni di marzo in Linguadoca e sulla Montagne Noire, dopo un lungo periodo di piogge egualmente intense avutosi nelle stesse regioni; di conseguenza, ai primi di marzo il terreno era saturo d'acqua ed il coefficiente di ruscellamento - cioè la proporzione d'acqua piovana che ruscella in superficie e non s'infiltra - eccezionalmente elevato.Alcune cifre permettono di avere un'idea dell'importanza delle piogge nei mesi precedenti e poi nei giorni che precedettero immediatamente la piena.
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Tali piogge torrenziali si tradussero in un aumentoestremamente rapido della portata dei corsi d'acqua, i cui bacini imbriferi erano veramente inondati, soprattutto l'Aveyron, il Tarn e l'Agout.

Così a Montauban il sabato 1° marzo, alle 12, si misura un'altezza di 1,70 m per il Tarn, cioè una portata di400 mc/s, leggermente superiore al normale senza presentare nulla di preoccupante; infatti la portata media ai primi di marzo è di 250 mc/s. La piena ha veramente inizio nel pomeriggio, sempre però senza sembrare grave; si registrano 2,10 m il 1o marzo alle 18, poi 2,85 m il 2 alle ore 6. A partire da questo momento si produce un'accelerazione, dapprincipio fortissima (4,10 m alle 12, quindi 5,15 alle 16) e in seguito terrificante, tanto da raggiungere la crescita di 40 cm all'ora; il 3 marzo, il Tarn con portata di 5.000 mc/s raggiunge l'altezza di 11,40 m, che si mantiene dalle ore 18 alle 23, distruggendo 570 case alla periferia della città e facendo 28 vittime, annegate o schiacciate.

Un altro fatto da un'idea della violenza della corrente: 2 km a valle di Moissac il ponte Cacor della ferrovia Bordeaux-Sete, ponte metallico a forma tubolare dalle pareti disgraziatamente piene, viene portato via dall'acqua. Sempre a Moissac si contano 646 case distrutte e 120 morti. La figura 2 indica eloquentemente quale sia stata la straordinaria crescita dei fiumi.

Cosa si poteva fare? La condotta degli uomini.

Su questo piano occorre fare una netta distinzione tra i membri dei servizi o degli organi ufficiali, che hanno precise funzioni da svolgere, e la popolazione.

1 Disgraziatamente non sono noti i livelli corrispondenti alle pieneanteriori, degli anni 1441, 1522, 1567, 1603, 1609 e 1652, ma ciò nonattenua il carattere drammaticamente eccezionale della piena del marzo 1930.
Il principale organismo in questione, appartenente al primo gruppo, era a quell'epoca il Servizio di segnalazione delle piene, dipendente dall'Amministrazione deilavori pubblici (Ponts et Chaussées). Immediatamente si pone il quesito, direi l'eterno quesito: la piena era prevedibile? In questo caso, considerate che si era nel 1930, si deve purtroppo rispondere di no: la piena ebbe un'ampiezza imprevedibile perché le quote raggiunte superarono tutti i livelli conosciuti da oltre un secolo, mentre d'altra parte non esisteva a quel tempo un servizio di previsioni basato sulle osservazioni meteorologiche. Effettivamente, a Montauban dal 1766 erano state registrate le seguenti altezze idrometriche sul Grand Font, detto Ponte Vecchio: 10,10 m nel novembre del 1766; 8,8 nel gennaio del 1802; 8,00 nell'ottobre del 1872; nel novembre del 1907 e 11,20 m nel marzo del 1930, un livello mai toccato.

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Cosa poteva fare il Servizio di segnalazione delle piene, dal momento che occorreva portare a conoscenza ditutti la minaccia incombente? Doveva avvertire d'urgenza la popolazione attraverso i municipi e con ogni mezzopossibile affinché fossero prese le misure di salvaguardiache la situazione esigeva.Un'inchiesta fatta a posteriori ha dimostrato che nelcomplesso, malgrado la straordinaria rapidità del fenomeno, il Servizio fece il massimo possibile; alcuni agentioperarono al limite delle loro forze; indubbiamente vi furono incidenti, come la mancata trasmissione di telegrammi, ma essa fu dovuta alla piena stessa, così rapida che ifili vennero strappati e le comunicazioni interrotte.

Da parte sempre degli organi ufficiali, che altro poteva essere fatto? Sul momento, purtroppo, praticamenteniente. Beninteso, nei mesi successivi vennero compiutidegli studi, sui quali ritorneremo perché le loro condusioni si collocano in un quadro generale che riguarda tutti i fenomeni alluvionali: necessita di prevedere le pienein funzione delle osservazioni meteorologiche; miglioramento del profilo dei corsi d'acqua per fadlitarne il deflusso; misure da prendere in montagna per diminuire ilruscellamento negli aiti bacini, eccetera.

Vediamo ora quale fu la condotta della popolazione,cercando di immedesimard nel tragico dima del momento; perché, a causa della straordinaria brutalità dei flutti e in pardcolare della rottura degli argini del Canaledel Mezzogiorno che proteggevano una grandissima partedella pianura alluvionale, l'acqua raggiunse, a chilometridi distanza dal Tarn, dei luoghi in cui a memoria d'uomomai v'era stata inondazione. Come stupirsi allora del fatto che in numerosi punti gli abitanti si rifiutarono di evacuare le case, senza sospettare che in maggior parte, costruite in mattoni «crudi», sarebbero crollate, seppellendoli sotto le macerie o abbandonandoli ai flutti che liavrebbero inghiottiti?

Questa fu purtroppo la causa, essenziale del numero considerevole di case distrutte e pertanto della morte della maggior parte delle vittime. Infatti, nelle pianure del Tarn e della Garonna, zone di scarsa e media cultura i cui abitanti versano in genere in condizioni modeste e dove la buona pietra da costruzione e rara, quasi tutte le abitazioni rurali erano fatte in modo ancestrale, mediante mattoni ottenuti mescolando terra e un po' di paglia, semplicemente seccati al sole, mentre i veri mattoni cotti, quei mattoni rosa caratteristici dei vecchi palazzi di Tolosa, venivano usati solamente negli spigoli, per stipiti ed architravi delle porte o nelle parti delle costruzioni esigenti una maggiore solidità . Queste case contadine,molte delle quali avevano uno o due secoli d'esistenza,inzuppate, sgretolate e veramente disciolte dalla corrente, si afflosciavano come castelli di carte con tutte ledrammatiche conseguenze che ciò comportava.

Francamente, la conclusione è semplice: in tutte lepianure alluvionali la costruzione in materiale «solido»è una condizione imperativa di sicurezza. Questa condizione appartiene realmente al campo del prevedibile nelle mani degli uomini. Ma a questo punto entriamo nell'ambito del possibile o dell'impossibile in materia di leggi o regolamenti, dato che bisogna imporre una misuradi sicurezza; questo problema, che ritroveremo sotto svariate forme riproposto nelle pagine che seguono, sarà oggetto degli ultimi capitoli di questo libro.

Le inondazioni del bacino di Lorena nel dicembre del1947.

Fra il 25 ed il 31 dicembre del 1947, i corsi d'acquadell'Est della Francia ed in particolare la Mosella, laMeurthe, la Sarre, la Seille ed i loro affluenti ricevetterouna piena di conseguenze estremamente gravi. Senza raggiungere forse l'importanza di quella del Tarn del 1930,poiché non s'ebbe a deplorare alcuna vittima umana, questa piena assunse nondimeno l'aspetto di una vera e propria catastrofe a causa dell'entità delle distruzioni provocate.

Passata la calamità e prese le misure più urgenti, ilprefetto del dipartimento di Meurthe-et-Moselle, in stretto collegamento con il Consiglio generate del dipartimento, costituì una Commissione tecnica di studio delle alluvioni col mandato di eseguire uno studio scientificoe tecnico del fenomeno, al fine di individuare i mezzi attiad impedire il ripetersi di nuovi eventi del genere o almeno a limitarne al massimo le conseguenze distruttive.
Di per sè stessa, questa risoluzione era semplicementeconforme a quelle che sempre erano state prese in analoghe circostanze (Commissione Picard per la Senna a seguito della piena del 1910, Commissione Dusuzeau perquella del 1924, lavori diretti da Maurice Parde per ilTarn nel 1930, eccetera).

Viceversa, ciò che distinse i lavori di questa Commissione dalle precedenti fu il metodo adottato per ricostruire a posteriori una vera e propria «fotografia» del fenomeno. L'inchiesta venne infatti condotta seguendo un metodo ispirato a quello in uso dopo i terremoti nei paesi, come il Giappone, in cui essi si verificano di frequente.

Fu redatto un questionario dettagliato; conteneva vari paragrafi, concernenti lo stesso corso d'acqua nella località considerata, i dati meteorologici, le cause locali,l'importanza dei danni, eccetera; le domande erano state preparate in modo accessibile a chiunque. Venne diffuse all'incirca in 1500 esemplari, indirizzati non solo ai servizi tecnici che potessero sembrare a priori i meglio abilitati a contribuire all'inchiesta (Eaux et Forêts, Genio rurale, Ponts et Chaussées), ma anche a tutti i Comuni, conl'incarico di sentire nella propria giurisdizione chiunquepotesse fornire informazioni degne di fede. La Commissione ricevette 740 risposte, delle quali 450 sufficientemente particolareggiate per poter essere effettivamenteutilizzate, in maggior parte accompagnate da piante oschizzi di una precisione talvolta sorprendente benchéfatti da non-specialisti, spesso anche corredate da fotografie.

La composizione della Commissione fu stabilità come segue: R.Brunotte, ispettore generale del Genio rurale e dell'Idraulica agricola; J. Frontard, ispettore generale dei Fonts et Chaussées;; A. Oudin, ispettoregenerale delle Eaux et Forêts e direttore dell'omonima scuola nazionale; la presidenza venne affidata allo scrivente.

Lo spoglio di tale documentazione, unica nel suo genere, servì di base ai lavori della Commissione, i cui risultati vennero pubblicati nell'aprile del 1949, costituendoun volume di 124 pagine, illustrate da numerose carte egrafici.

Non è il caso di riprodurre qui le molteplici informazioni riguardanti ciascun fiume e ciascun comune interessato dall'alluvione devastatrice. Una prima constatazionefu fatta, che purtroppo non ha nulla di originale, poiché concerne la causa stessa di tutte le inondazioni: una piovosità eccezionale, specialmente il 27 ed il 28 dicembre 1947, giorni in cui nel bacino della Mosella e della Meurthe caddero, a seconda dei punti di registrazione, quantità d'acqua da 10 a 27 volte superiori alla piovosità giornaliera normale nella stessa stagione. A questa piovosità venne ad aggiungersi il risultato di una anormale fusione delle nevi sugli alti Vosgi, causata da una temperatura insolitamente dolce per la stagione (12,8 °C a Nancy e 14,9 a Strasburgo il 28 dicembre).

Il livello dei fiumi salì bruscamente, come indica la figura 3 relativa alla Mosella; questi corsi d'acqua, dal regime abituale di fiumi tranquilli, trasformati in veri torrenti toccarono livelli mai ancora registrati e, in particolare, notevolmente più aiti dei massimi fino ad allora conosciuti, risalenti al 1919 (0,87 m in più a Toul e 1,70 in più a Metz per il livello della Mosella).

Stabilite queste circostanze di base, si ritrovano nelle conclusioni della Commissione e nell'enunciazione delle misure da prendere, espresse in vari punti in forma volutamente categorica, gli stessi due ordini di preoccupazioni emersi dopo l'alluvione del Tarn:

- da una parte i lavori da eseguire e le disposizioni daprendere a livello degli organi statali o delle collettività interessate: miglioramento del Servizio di segnalazione delle piene ed in particolare delle comunicazioni telefoniche per trasmettere gli avvisi (l'inondazione della Centrale telefonica di Nancy ebbeconseguenze particolarmente gravi), manutenzionedei corsi d'acqua e miglioramento del deflusso mediante soppressione di ostacoli naturali o artificiali,costruzione eventuale di dighe di ritenuta, eccetera.

- dall'altra - e questo è il punto sul quale insisteremo - le misure particolari riguardanti gli abitanti, accompagnate da raccomandazioni formali in merito a quel grande fenomeno naturale che chiamiamo alluvione.

Figura 3.
Diagramma delle variazioni di livello della 'Mosella in varie località nel periodo dal 26 al31 dicembre 1947.
A questo proposito la Commissione disponeva di una eccezionale documentazione, avendo potuto redigere la carta precisa di tutte le zone raggiunte dall'alluvione e perciò ubicare le costruzioni tenendo conto di quali zone fossero suscettibili d'essere invase dalle acque. Indubbiamente in Lorena s'ebbero relativamente poche case totalmente distrutte, a differenza di quanto accadde nel 1930 nelle pianure alluvionali della Guascogna; ma ciò non sminuisce il valore delle espressioni usate in certeparti della relazione di questa Commissione, che meritano d'essere citate per esteso. Anzitutto, dopo aver preso in considerazione un'eventuale proibizione di costruirenelle zone alluvionabili, è detto:

"...Non si insisterà mai abbastanza sull'applicazione rigorosa delle disposizioni d'interdizione e non si può fare a meno di ripetere quanto già scritto nell'introduzione: non è concepibile che si possa permettere ai privati o alle collettività di costruire dove pare e piace, per poi vederli rivolgersi ai pubblici poteri onde ottenere la riparazione del danno patito.
Tecnicamente parlando, esistono opere o anche interi paesi che non si sarebbero mai dovuti costruire nella loro ubicazione attuale: se i pubblici poteri non arriveranno adimporre in tutte le situazioni il necessario trasferimento, avranno perlomeno fondato motivo di vietare ogni espansione."
E in seguito, dopo aver indicato quanto lo Stato può e deve fare nell'immenso campo della previsione, la relazione così si conclude:
"Resta tuttavia il fatto che in molti casi l'assenza o la presenza d'iniziativa locale abbia modificato il corso degli eventi. Quali che possano essere i miglioramenti auspicati, quanto è successo ieri rischia di ripetersi domani. Di fronte ai grandi fenomeni naturali, chi potrebbe affermare che un cavo telefonico un giorno non possa nuovamente essere strappato da un'alluvione ancora più grave? Le autorità locali, e in primo luogo i sindaci, si rendano ben conto che l'organizzazione di un Servizio di segnalazione delle piene, per quanto perfetto possa essere, non li dispensa affatto dal prendere essi stessi i provvedimenti d'urgenza che potrebbero imporsi. Un'inondazione è per definizione un fenomeno eccezionale che richiede misure eccezionali; essa non può venire interamente iscritta nel contesto umano, e perciò imperfetto, di un regolamento. Non si può dire che faccia tutto il suo dovere chi attende istruzioni telefoniche o telegrafiche ed obbedisce a degli ordini; anche se questi sono stati spediti, un fatto imprevisto o imprevedibile potrebbe domani impedirne la trasmissione..."
Dunque, si tratti della Lorena o della Guascogna, oppure di qualsiasi altra regione della Francia o del mondo, il grande fenomeno naturale delle alluvioni pone gli uomini, messi davanti ai problemi del caso, di fronte ad un duplice obbligo:
1. Di agire in maniera coordinata, prendendo precauzioni o realizzando opere, come risultato di un'azione che non può essere che collettiva, essenzialmente a livello detto Stato;

2. Di agire isolatamente in quanto individui coscientidei propri doveri, prendendo da soli le decisioni imposte al tempo stesso dalle leggi della natura e dalle circostanze, cioè anzitutto non correndo deliberatamente rischi inutili, dai quali nessuna previsione o nessuna protezione può tenerli al riparo.

Il primo di tali obblighi rientra nel campo della scienza e della tecnica e verrà esaminato fra breve. Il secondo è essenzialmente d'ordine legislativo o giuridico, nel senso già rilevato più indietro (p. 15); se gli uomini si dimostrano incapaci di proteggersi da se stessi - il che equivale a dire che nei confronti della società essi fanno cattivo uso della propria libertà - si tratterà di stabilire entro quali limiti prendere provvedimenti di divieto, che saranno sempre interpretati come una necessaria limitazione di tale libertà .

LA PREVISIONE DELLE PIENE.

1 «La previsione delle piene e la protezione contro le inondazioni»era il tema posto all'ordine del giorno di un Colloquio internazionaleorganizzato dalla Società Idrotecnica di Francia a Parigi, dal 3 al 7 luglio 1968, nel quadro delle sue «Decime giornate dell'idraulica». Ilrendiconto di queste giornate costituisce una documentazione d'eccezionale valore, che è stata largamente utilizzata nel presente lavoro; salvoparticolare menzione, i nomi degli autori citati in questo capitolo siriferiscono alle comunicazioni svolte in detto Colloquio.
In materia di alluvioni, come per tutti i grandi fenomeni naturali, la prima cosa da fare è evidentemente di tentare di prevedere', affinché gli abitanti delle zone chesaranno sommerse vengano informati a tempo, possano prendere tutte le disposizioni opportune ed anche evacuare le zone stesse; questa idea molto semplice s'è imposta agli uomini fin da antiche epoche, per portare negli ultimi decenni alla creazione dei Servizi ufficiali di segnalazione delle piene, di cui s'è già parlato a proposito degli esempi dianzi presentati. Ma l'esperienza ha mostrato che in molti casi il fenomeno è così rapido che l'intervallo di tempo tra l'annuncio della piena e l'arrivo dell'inondazione è talmente breve - seppure con trasmissioni telefoniche o telegrafiche supposte ideali - che le misure di salvaguardia non possono essere prese a tempo.
Così da diversi anni ci si è sforzati - grazie ai progressi della meteorologia - di dedurre l'eventualità di una piena e la sua importanza dalle osservazioni compiute sull'evoluzione climatica, vari giorni prima che la piena stessa si manifesti. In altri termini, la previsione ormai deve essere formulata sotto due aspetti: possibilità fornite dalla meteorologia prima che il fenomeno cominci e successive studio della progressione dell'onda di piena; l'efficacia di questi due tipi di osservazioni è subordinata alla trasmissione più rapida possibile dell'informazione.

L'altro aspetto della protezione riguarda l'importanza del volume d'acqua che sta defluendo e gli accorgimenti che si possono adottare per impedire all'acqua di raggiungere edifici o zone vulnerabili. In via preliminare, prima di approfondire l'esame di tali accorgimenti, si devono tenere ben presenti due fatti fondamentali, che hanno praticamente valore di assiomi:

1. La quantità totale d'acqua caduta su una regione aseguito di precipitazioni eccezionali o di scioglimento della neve è un dato intangibile della natura, chenulla può modificare. In un modo o nell'altro quest'acqua dovrà defluire e finire al mare; tutto ciò che l'uomo può fare è di prendere misure che modifichino il processo di deflusso distribuendolo neltempo, in modo da abbassare il più possibile il livello massimo che verrà raggiunto dalle acque.

2. Proteggere una regione o delle costruzioni contro le inondazioni non significa dover realizzare opere capaci di ritenere l'acqua con continuità ad un determinato livello per molte settimane, come avviene con le grandi dighe; significa piuttosto costruire delle opere, indubbiamente resistenti, il cui funzionamento deve però essere considerato in funzione del passaggio di un'onda di piena, il cui livello massimo persiste solo per un tempo relativamente breve, accompagnato eventualmente da fenomeni vorticosi otorrenziali di grande violenza.

Prevedere una piena comporta essenzialmente la determinazione di due elementi: il livello più alto che verrà toccato dalla piena stessa e l'ora in cui esso sarà registrato. Per conoscere questi due valori si dispone di un certonumero di dati:
- le misure pluviometriche, cioè la quantità d'acqua caduta in un certo periodo;

- le misure limnimetriche, cioè le altezze d'acqua registrate agli idrometri, che consentono di impostarebilanci idrologici e quindi di definire le perdite al deflusso, dovute alle quantità d'acqua di precipitazione che s'infiltrano nel sottosuolo o che evaporano;

- le caratteristiche del corso d'acqua considerate, edin particolare il suo profilo altimetrico, che condiziona la velocità di deflusso dell'acqua;

- infine, tutte le informazioni storiche che si possonoraccogliere.

Dall'insieme di questi elementi si possono dedurre deidati previsionali, che saranno trasmessi il più rapidamente possibile a valle perché vengano ampiamente diffusiprima del passaggio dell'onda.

Fino a questi ultimi anni, un grande empirismo hapresieduto all'elaborazione di tali informazioni, tanto è complesso l'insieme dei dati utilizzabili. Tale fu il casodell'enunciazione di formulette, escogitate dopo aver passato in rassegna i dati caratteristici delle piene trascorseche si conoscevano, corretti per tener conto di certi elementi complementari, formulette che consentivano agliagenti di sapere immediatamente, introducendo un fattore costante, quale fosse la portata corrispondente all'altezza d'acqua letta sulla scala millimetrica della stazione.

Oggi la soluzione di tale genere di problemi è entratacon successo nel campo di utilizzazione dei calcolatorielettronici e si stanno facendo ricerche per automatizzare queste operazioni.
Ma detto ciò, occorre osservare che la natura mette gliuomini in presenza di corsi d'acqua che possiedono caratteristiche estremamente diverse, fatto che complicaestremamente le cose. Anzitutto, diversità enorme frabacini imbriferi: così la Senna, il cui bacino a monte diParigi ha una superficie di 44.300 kmq, ha avuto nellapiena del febbraio 1968 una portata stimata di 2.500mc/s; ora, tale portata è sensibilmente la medesima che furegistrata nel settembre del 1958 (2.800 mc/s) per laCeze, piccolo affluente del basso Rodano, il cui bacinoimbrifero è di appena 361 kmq, cioè 120 volte più piccolo di quello della Senna (J. de Beauregard e A. Dumaine).

Questo semplice paragone permette di capire perché non si sia potuta sviluppare una formula matematica che consenta la previsione in ogni caso; vi si oppongono ledifferenze fra i regimi dei vari corsi d'acqua - ciò che si chiama effetto di situazione geografica - e le diverse estensioni dei bacini - effetto di scala. Con diverso intento abbiamo già messo in risalto per casi concreti l'importanza di una trasmissione rapida dell'informazione e a prima vista si potrebbe immaginareugualmente un metodo generalizzato che sia sempre valido.

1 Dal nome dell'autore di un tipo di formula impiegato.

2 C. Fabret, J. Minet e J. Molenat.

Purtroppo non e così facile, dato che se certi fiumi dimontagna, veri e propri torrenti, vedono le onde di piena spostarsi con una velocità tale che rischiano di arrivarenelle zone critiche insieme al telegramma che le annuncia, altri corsi d'acqua, anche molto importanti, procedono invece con sapiente lentezza, lasciando tutto il temponecessario per eseguire i calcoli più elaborati. In tal modole onde di piena del Danubio e dei suoi affluenti, che dispongono di pendenze dell'ordine dello 0,05 per milleed anche meno, impiegano parecchi giorni per attraversare i 430 km del tratto ungherese del fiume; il transito diun'onda di piena del Tibisco arriva a durare anche 14 giorni, per coprire un tragitto di 600 km.

Così non ci si deve stupire se il professor Banal, paragonando fra loro i differenti modi di trasmissione dell'allarme, abbia potuto scrivere: «Per il Tibisco è sufficiente servirsi della posta; per laSenna, il telegrafo e le formulette di Bachet1 si sono dimostrati validi; ma il sistema di protezione della Dordogna è irrealizzabile senza i collegamenti radio».
Insomma, tanti fiumi, tanti casi da studiare isolatamente. E il caso della Dordogna quello che ho scelto per illustrare quanto si possa fare in materia di previsioni, visto che il metodo impiegato, adattato ad un complesso idrografico a forte pendenza, può essere citato ad esempio.

La previsione delle piene nel bacino della Dordogna2.

Il fatto importante che ha motivato lo studio particolarmente attento del problema è la straordinaria repentinità delle piene della Vezere e della Correze, che rendono praticamente impossibili le previsioni basate sull'osservazione delle altezze idrometriche, misurate con i metodi tradizionali. Il Servizio idrologico centralizzato del bacino della Dordogna si è perciò impegnato deliberatamentenella ricerca di un metodo di previsione delle piene a partire dai dati meteorologici e soprattutto dall'entità delle precipitazioni.

Il sistema che è stato elaborato ed anche sperimentato con successo è basato essenzialmente sull'utilizzazione congiunta delle osservazioni meteorologiche fatte nel passato (relazioni fra le altezze di pioggia e ampiezza delle piene) e delle osservazioni meteorologiche attualizzate (altezza di pioggia, stato di saturazione dei terreni), rese sempre più precise, a partire dalle quali vengono estrapolate le concomitanti variazioni di portata dei fiumi.

Un metodo siffatto esige naturalmente una collaborazione assai stretta fra il Servizio di segnalazione delle piene di Perigueux ed il Centro meteorologico regionale diBordeaux, che ha moltiplicato i propri centri di osservazione nel bacino della Dordogna, di cui elabora le osservazioni locali unitamente ai dati generali sull'evoluzionedel tempo sul golfo di Guascogna e nel Sud della Francia.

Sul piano pratico è stato organizzato un dispositivomolto perfezionato di trasmissione per via telegrafica evia radio, dal Servizio meteorologico al Servizio idrologico di Perigueux, e quindi dal Servizio idrologico verso leautorità responsabili della sicurezza della popolazione.(fig. 4).

Così i bacini degli affluenti dell'alta Dordogna ed inparticolare della Vezere dispongono ormai di un dispositive di allarme che permette anzitutto di prevedere conun'approssimazione soddisfacente le portate di piena sulla base delle precipitazioni, prima che le piene abbianoiniziato a scatenarsi; in secondo luogo, questo dispositive permette anche un apprezzamento del rischio di piena prima ancora che piova, così come una previsione a più lungo termine sulla tendenza del fenomeno ad aggravarsi ovvero ad attenuarsi.

LE MISURE DI PROTEZIONE.

Le possibili misure di protezione contro le alluvioni sono di varia natura. Anzitutto si può cercare di diminuire la portata dei corsi d'acqua in piena; naturalmente, si tratterà di provocare - come si è già fatto osservare semplicemente un rallentamento del deflusso. Per fare ciò si possono costruire dei serbatoi per mezzo di dighe, mantenendoli vuoti o quasi nei periodi di attesa e riempiendoli al momento della piena.

Si può ugualmente facilitare il deflusso della piena; l'esperienza ha dimostrato infatti che con l'esistenza di ostacoli, come ponti dalle luci troppo anguste, chiuse mal disposte, tratti di alveo troppo stretti, si formavano strozzature tali da provocare un anormale innalzamento del livello più a monte. Infine, come fu fatto da tempi remoti, si possono proteggere le rive mediante argini, che mantengano l'acquaentro limiti predeterminati e si oppongano all'inondazione delle pianure alluvionali.

Figura 4.

Carta del dispositivo di allarme realizzato nel bacino della Dordogna. (Da C. Fabret e J. Minet).A queste opere che richiedono la costruzione di manufatti vanno aggiunti accorgimenti di ordine diverso, il cui effetto si fa sentire solo a lunga scadenza; il principale di tali rimedi è rappresentato dal rimboschimento delle zone montagnose dei bacini imbriferi, col duplice scopo di diminuire la proporzione dell'acqua di ruscellamento ed aumentare quella destinata ad infiltrarsi nei terreno, oltre a proteggere i rilievi per effetto della fissazione del suolo ad opera delle radici degli alberi.

I serbatoi.

Il migliore esempio che si possa portare per illustrare l'importanza della costruzione di serbatoi, onde «mettere in bottiglia le piene» - come qualcuno dice - è senza dubbio quello della Senna*.

I dati numerici sulle piene del flume risalgono fino al 1651. Da quell'epoca lontana ai giorni nostri si possono enumerare più di quaranta forti piene, i cui effetti nonsono stati veramente catastrofici se non dopo la fine del XIX secolo e soprattutto dopo l'inizio del XX, cioè successivamente all'accrescimento straordinario delle zone abitate nella pianura alluvionale, conseguenza diretta dello sviluppo industriale della regione parigina.

Naturalmente, non è da ieri che tali piene preoccuparono le autorità cittadine. Fin dal XVII secolo fu presa in considerazione la possibilità di aprire uno scolmatore, cioè un vero e proprio canale che prendesse l'acqua dalla Marna a monte della capitale per restituirla più a valle; questo grandioso progetto, ripreso anche più tardi, alla fine non ebbe seguito.

In breve, dopo molte discussioni e soprattutto quelle che si ebbero dopo il disastro del 1910 e la piena del 1924, venne finalmente deciso di costruire un complesso di sbarramenti di ritenuta, la cui funzione protettiva non è più contestata da alcuno.

Figura 5.Cartina dei serbatoi del bacino della Senna a monte di Parigi.
(DaJ. Moreau de Saint-Martin e N. Tien Due).

Questo sistema di dighe, costruito con sovvenzione statale dal dipartimento della Senna e da esso dipendente, comprende i seguenti serbatoi (fig. 5):
- il serbatoio del Crescent (15 hm cubi, di cui 6 per la regolazione della Cure, affluente dell'Yonne), entrato in esercizio nel 1931;

- il serbatoio del Bois de Chaumecon (19 hm3) sul Chalaux, affluente della Cure, entrato in esercizio nel 1934;

- il serbatoio di Champaubert-aux-Bois (23 hm3) in derivazione dalla Blaise, affluente della Marna, entrato in esercizio nel 1938;

- il serbatoio di Pannesiere-Chaumard (82 hm3) sull'Yonne, entrato in esercizio nel 1949;

- il serbatoio «Senna» (205 hm3) in derivazione dalla Senna a monte di Troyes, entrato in esercizio nel1966;

- infine il serbatoio «Marna» (350 hm3) in derivazione dalla Marna e dalla Blaise, che incorporerà il serbatoio di Champaubert-aux-Bois, in corso di ultimazione.

Figura 6.

Effetto dei serbatoi realizzati nel bacino della Senna sulla piena del 1955. (Da J. Moreau de Saint-Martin e N. Tien Due).

L'efficacia di questo impressionante dispositivo è oggi riconosciuta da tutti. Il grafico della figura 6, che ce nemostra gli effetti sulla piena del 1955, è particolarmente eloquente, come lo è pure la diminuzione delle superfici allagate; a titolo di esempio, a parità di portata, l'estensione alluvionata dalla piena del 1924 era stata di 2.500 ha, mentre quella colpita dalla piena del 1955 fu di soli 800 ettari.

La sistemazione della Senna è solo un esempio fra tanti - del resto di eccezionale valore. In Francia si possono egualmente citare i fiumi della regione del Gard, indubbiamente fra i primi ad attirare l'attenzione dei pubblici poteri; il decreto di Napoleone I che li riguarda fu infatti firmato il 18 ottobre 1812 al quartier generale di Mosca. Le dighe a scopo di «laminazione» delle piene realizzate sull'Herault, il Vidourle, il Gard ed il Ceze sono oggi in numero di nove; queste opere presentano un profilo alquanto diverso da quello delle opere del bacino della Senna, poiché si tratta di corsi d'acqua a più forte pendenza ed a regime violentemente torrenziale in periodo di piena (Villemagne).

La costruzione di questi sbarramenti, il cui costo è di miliardi, ha presto sollevato la questione della loro economicità ; si è pensato di poter realizzare dei serbatoi ad uso promiscuo. Anzitutto utilizzare a scopo di laminazione delle piene gli impianti idroelettrici, come per esempio quello di Vouglans sull'Ain. Purtroppo, le condizioni di esercizio di un serbatoio destinato unicamente a raccogliere l'acqua nel corso delle piene e di uno la cui acqua serva ad azionare delle turbine sono assai differenti; all'atto pratico vi è addirittura contraddizione fra le due esigenze e l'esperienza dimostra che se si tiene vuoto un lago realizzato per alimentare una centrale elettrica onde poter immagazzinare la piena successiva, si lascia defluire - e quindi perdere in termini economici - l'acqua equivalente ad un'importante quantità di chilowattora, cioè una ricchezza non indifferente.

Perciò nella quasi totalità dei casi l'utilizzazione promiscua dei serbatoi artificiali non può essere che parziale; nel caso della diga di Vouglans, inizialmente prevista dall'Electricité de France esclusivamente a fini energetici, il desiderio di utilizzarla per laminazione delle piene ha indotto a modificare il progetto originario, per innalzare la quota del coronamento a spese del ministero delle infrastrutture e secondo modalità di esercizio precisate in una speciale convenzione.

Un'altra difficoltà riguarda la natura stessa delle dighedi ritenuta delle piene; si tratta in genere di dighe in terra di limitata altezza, erette spesso attraverso corsi d'acqua a debole pendenza e perciò poco adatti alla produzione idroelettrica. Dunque soltanto i serbatoi idroelettricisi potrebbero praticamente adattare ai due scopi, ma conle riserve già segnalate.

1 La realizzazione dei serbatoi e parimenti benefica da un altropunto di vista; regolarizzando le portate del corso d'acqua, si regolarizzano in pari tempo quelle della falda freatica contenuta nei depositi alluvionali, donde un considerevole miglioramento delle possibilità d'utilizzazione di questa, in periodo di magra.

Viceversa, esiste un'utilizzazione secondaria dei serbatoi artificiali del tipo di quelli realizzati nel bacino della Senna, che non crea alcuna nuova servitù e purtuttavias'impone all'attenzione: l'impiego degli enormi specchid'acqua a fini turistici, in particolare per lo sviluppo degli sport nautici1.
D'altronde, sia per i serbatoi di compenso, sia per leregole di previsione, esistono tanti casi particolari quanti sono i corsi d'acqua da sistemare. E evidente, infatti,che non e possibile alcun paragone tra le splendide realizzazioni della Compagnia nazionale del Rodano, che comportano un complesso sistema di sbarramenti alimentatori di centrali elettriche, di canali artificiali di derivazionea scopo tanto energetico, quanto di navigazione e di regolazione di portata, e quello che e stato realizzato perla Senna o per l'Ain.

Per il Rodano, infatti, la regolazioneche ha per obbiettivo di facilitare il deflusso si è rivelataindissociabile dalla realizzazione di sbarramenti, ideatiper alimentare centrali idroelettriche, ma rivelatisi capaci di svolgere un'efficace funzione nella laminazione delle piene. Per la Senna, invece, sono stati previsti serbatoi unicamente per accumulare le piene, senza curarsi diutilizzare il potenziale energetico dell'acqua. Quanto alserbatoio di Vouglans sull'Ain, il fatto che sia stato progettato dall'EDF, e quindi alimenti una centrale, rendepuramente accessoria la sua funzione nella laminazionedelle piene.

LE ALLUVIONI

La sistemazione dei corsi d'acqua.

La sistemazione dei corsi d'acqua per facilitarne il deflusso si può affrontare in due modi: eliminazione degli ostacoli che provocano, in caso di piena, un rigurgito amonte e rettifiche propriamente dette del letto stesso del fiume.

La necessaria eliminazione degli ostacoli, per lo più artificiali, che ingombrano gli alvei è ben comprensibile e non ci dilungheremo a questo proposito. Come sempre, ogni fiume ha i suoi casi particolari; e ben evidente che un ponte a luce unica è preferibile ad un altro a luci multiple, le cui pile sono a priori influenti in modo negativo. A questo proposito, a parte il caso dei ponti, i Parigini conoscono bene un esempio istruttivo: quello della diga e della chiusa della Monnaie, sul ramo minore della Senna che abbraccia l'Ile de la Cite; furono soppresse dopo la piena del 1910, essendo risultato che la loro presenza aveva aggravate le inondazioni a monte di tali ostacoli.

In Lorena, al tempo della piena del dicembre 1947, fu osservato che i vasti bacini di decantazione dei residui di certe industrie chimiche, costruiti in rilevato sulla pianura alluvionale della Meurthe, avevano esercitato una netta influenza sul decorso dell'alluvione; si dovettero perciò indicare importanti modifiche per rimediare a tale stato di cose. È il caso, però, di dilungarsi un po' di più su quei procedimenti che si possono chiamare di correzione fluviale, che in Francia sono stati estesamente applicati nel XIX secolo ed hanno accompagnato generalmente la costruzione degli argini.

A parte la Loira, le cui arginature ebbero inizio nel Medioevo, si possono citare: la Drome, sistemata già alla fine del XVIII secolo e poi dal 1810 al 1846; l'Isere, arginata dapprima nei tratti a monte ed a valle di Grenoble fra il 1824 ed il 1870; il Reno «corretto» da Basilea a Lauterbourg dal 1840 al 1860; il Rodano fra Beaucaire e Arles, nonché il grande ed il piccolo Rodano da Arles al mare, dal 1840 al 1850. Infine, a monte di Lione, la costruzione del canale di Miribel per derivare il Rodano, dal 1844 al 1874.
Successivamente, vennero realizzati numerosi lavori dello stesso genere. Fra essi si ricordano: la protezione della pianura d'Alsazia per arginatura longitudinale delReno, la sistemazione del Rodano, nuovi lavori sull'Isere, sulla Mosa nella regione di Liegi in Belgio, eccetera.

Si tratta di una tecnica ormai ben collaudata, che peraltro non dev'essere impiegata senza studiare le eventuali modifiche che la realizzazione degli argini può comportare nei riguardi del regime dei corsi d'acqua così « canalizzati». Osservazioni compiute sul Reno hanno dimostrato in particolare che l'impossibilità da parte del fiume di espandersi nella pianura aveva come conseguenzal'accentuazione dell'erosione del letto, con variazione sensibile della quantità di materiale solido così asportato (aumento del trasporto solido).

In ogni caso, i lavori di questa importanza - così comela costruzione dei serbatoi di compensazione - vanno annoverati tra i mezzi più efficaci per limitare le distruzioni dovute alle alluvioni. Gli argini devono tuttavia essere costruiti con particolare cura, soprattutto nelle zone in cui sono suscettibili di venire sommersi in caso di piene particolarmente forti. Un argine in terra che non sia protetto da un rivestimento impermeabile sul fianco esterno è infatti irrimediabilmente compromesso se viene ricoperto dall'acqua; rischia allora la distruzione totale,con tutte le conseguenze che conobbe la pianura del Tarn presso Montauban nel marzo del 1930.

Abbiamo così passato in rassegna i tipi essenziali diprotezione che l'uomo può predisporre in vista delle alluvioni. Questo capitolo resterebbe tuttavia incompletose non facessimo menzione dei lavori di tutt'altra natura che da decenni si continuano ad eseguire in tutti i paesi dotati di un servizio forestale organizzato. Si tratta delrimboschimento montano e della protezione idrogeologica dei bacini montani, che si propone la sistemazionedei torrenti e, più in generale, l'applicazione di tutte letecniche capaci di assicurare stabilità ai versanti.

In ambo i casi, si tratta di lavori di amplissimo respiro. Nei confronti delle alluvioni, il rimboschimento haessenzialmente come conseguenza la diminuzione dellaproporzione d'acqua piovana che ruscella, e dunque di ridurre la quantità d'acqua che contribuirà ad ingrossare i corsi d'acqua nelle ore, se non nei minuti, che succedono alle precipitazioni.

Lo scopo perseguito dalla bonifica dei terreni di montagna è piuttosto differente, in quanto essa ha per oggetto di ostacolare i franamenti, almeno quelli più superficiali. E poiché uno dei fattori di tale stabilizzazione è lapiantagione di alberi capaci di fissare il terreno, questoparticolare rimboschimento contribuisce, come il precedente, a diminuire il ruscellamento. Va comunque detto che il complesso degli accorgimenti da mettere in atto,nell'intento di rendere più stabile il terreno, è indissociabile dal più vasto problema delle frane in territorio montuoso, che sarà oggetto di un successivo capitolo.

Il lettore tenga presente che anche in questo campo sonostate portate a termine delle realizzazioni umane, in grado, a più o meno lunga scadenza, di attenuare l'importanza delle alluvioni. Sforzi in tale direzione sono già staticompiuti in numerose parti del mondo: Pirenei, Alpi (inFrancia ed in Svizzera), Africa del Nord, Stati Uniti, eccetera.

CONCLUSIONI.

Se ci si limita a considerazioni scientifiche e tecniche, si può oggi affermare, alla luce dell'enorme mole di lavori e di ricerche eseguita da oltre un secolo, che ormai non esistono più alluvioni imprevedibili.

Spero che gli esempi presentati al lettore nelle pagineprecedenti l'abbiano convinto dell'importanza dei risultati ottenuti; pertanto queste conclusioni non hanno altro significato che quello di un rapidissimo sorvolo sull'immensa attività compiuta. Naturalmente, tutti i lavorieseguibili su tutti i fiumi del mondo non sono stati ancora fatti; ma l'essenziale dei metodi da seguire è al giornod'oggi ben noto, i principi sono stati enunciati e questo è fondamentale. In altri termini, almeno per i paesi ad alto sviluppo ed in particolare per la Francia, il problema è risolto in linea di principio.

Senza dubbio, se si volesse sottilizzare, mi si potrebbeobiettare - e giustamente - che in condizioni meteorologiche eccezionali si potranno produrre delle piene superiori in intensità alle massime registrate finora, anche aquella della Senna del 1910 o a quella del Tarn del 1930.Tuttavia, malgrado si possano ancora verificare tali estreme circostanze, le future straordinarie alluvioni saranno,proprio in quanto fenomeni di straordinaria portata, segnalati in tempo utile alle popolazioni, sì che possanoprendere le misure necessarie a porsi al riparo dall'inondazione. Se non sarà così, cosa che purtroppo accadrà incerti paesi sottosviluppati, non lo si dovrà alla mancanzadi conoscenze sul fenomeno, ma solo alla carenza di mezzi.

Occorre d'altra parte riconoscere che nel caso di fiumicome il Gange il problema è ben difficilmente solvibile; esso ha una lunghezza di 2.500 km, una pendenza mediadi 14 cm al chilometro negli ultimi 1.600 km ed attraversa pianure immense, praticamente orizzontali, popolateda milioni di persone ed allagate inesorabilmente ad ognimonsone.

Resta il problema dei danni materiali, cioè delle distruzioni provocate dalle acque sugli edifici situati nelle zone che rimangono inondabili, edifici che non si potrannodemolire, se non altro per ragioni storiche. Chi oserebbe, infatti, pretendere di evacuare una buona parte diParigi per il fatto che la città, come tante altre, è statacostruita sulle pianure alluvionali, e inondabili, della Senna? Tutto quello che si può fare in tal caso, ed in granparte è stato già fatto, è di ridurre l'estensione delle zone raggiungibili dalla piena.

Ma resta da considerare il futuro, con tutte le sue possibilità di nuovi insediamenti nelle pianure inondabiliche si presentano ancora disponibili per l'urbanesimo didomani. Qui l'uomo può e deve fare qualcosa; e questoqualcosa comincia con una realizzazione tanto urgentequanto semplice nella sua concezione: generalizzare a tutte le valli alluvionabili il preciso rilievo cartografico delle superfici che verrebbero allagate qualora l'acqua salisse adeterminati livelli di riferimento. Una cosa del generenon è stata ancora realizzata se non molto parzialmentee, di conseguenza, senza una definizione precisa delle zone soggette al vincolo 'non aedificandi', l'autorità dei pubblici poteri - disgraziatamente troppo spesso timida - non ha modo di manifestarsi. Non va neppure minimizzata l'importanza dei fattori economici in gioco, una volta supposto che le vite umane non corrano pericolo.

Infatti, non bisogna nascondersi che le varie installazioni ed i diversi lavori dianzi ricordati costano sommeenormi, dell'ordine di centinaia di milioni ed anche dimiliardi, allorché si tratti per esempio dei serbatoi di compensazione costruiti nel bacino della Senna o della sistemazione della vallata del Rodano. Perciò, una volta assicurata la protezione della popolazione, tali spese trovano giustificazione solo nella misura in cui il valore deibeni da proteggere e in rapporto con l'entità delle speseda affrontare per proteggerii; in altri termini, l'opinionepubblica deve persuadersi di una verità evidente: è possibile intraprendere una data sistemazione soltanto se essa è giustificata sul piano economico. Occorre infine avere coscienza dei rischi che si affrontano e valutare la probabilità dei rischi stessi.

Entriamo così nel campo delle leggi e dei regolamenti, che tratteremo ulteriormente. Nel quadro della legislazione francese il problema emergente e quello dellaconcessions delle licenze edilizie, che va considerato nella prospettiva di tutto l'insieme dei rischi naturali.

Le alluvioni in Italia.

Su tutto il territorio nazionale incombe la minaccia di disastrose alluvioni, nonostante che da secoli si continuino ad eseguire lavori di protezione; celebri le sistemazioni idrauliche compiute dalla Repubblica di Venezia.

Ma se le 214 rotte d'argine del maggiore fiume italiano dal1801 al 1876 si sono ridotte alle 6 dal 1918 ad oggi, se il centro storico di Roma è ormai al riparo da ogni pericolo d'inondazione, anche nell'eventualità di piene alquanto superiori a quella insuperata con cui nel dicembre del 1870 il Tevere salutò la nascita della nuova capitale, ciò che maggiormente preoccupa è la constatazioneche la pericolosità dei corsi d'acqua - di qualunque dimensione va aumentando col trascorrere del tempo, anziché diminuire.

Le opere di difesa che vengono apprestate ex novo, o irrobustite, o semplicemente preservate dal deterioramento non riescono atenere dietro all'espansione delle città, degli impianti industriali,delle vie di comunicazione. Troppo disinvoltamente si coprono, siscavalcano, si inalveano ruscelli e torrenti, che prima o poi si gonfieranno al punto da rifiutare l'angusta canalizzazione; si erigonoopifici e casamenti e persino campi sportivi con tanto di tribuneproprio attraverso il letto di piena di corsi d'acqua, che nei momenti di furia avranno inevitabilmente ragione di quegli ostacolie proprio per la loro presenza acquisteranno maggior impeto; s'invadono con popolose «borgate», come a Roma, certe depressionidel suolo che le piogge facilmente colmeranno d'acqua perché mancano le indispensabili opere di drenaggio.

Le competenti amministrazioni dello Stato sono ben conscedella gravità della situazione, ma negli ultimi decenni hanno potuto opporre all'incalzare delle piene ben poco più che cumuli di perizie, colonne di preventivi, e pile di programmi. Dopo l'allucinanteinondazione del Polesine del 1951 fu messo a punto un «Pianoorientativo per la sistematica regolazione dei corsi d'acqua naturali», richiedente l'impiego di 1500 miliardi in un trentennio.

Ma nel 1970 la Commissione interministeriale istituita a seguito delle gravissime alluvioni del 3-7 novembre 1966 e presiedutadal professor De Marchi doveva constatare che l'erogazione diquei fondi «e stata così limitata da non poter far fronte neppurealla manutenzione ordinaria». E ribadiva l'urgenza di eseguire ilavori previsti, saliti nel frattempo a 3.000-3.500 miliardi di spesa,cui aggiungeva un sistema di serbatoi di piena, pressocché sconosciuti nel Bel Paese, pervenendo all'importo totale di 5.300 miliardi in trent'anni. Per «un primo organico piano di provvedimenti nel campo della previsione, segnalazione ed annuncio deglieventi alluvionali», cioè essenzialmente per organizzare i servizinecessari a salvare almeno le vite umane, stimava che sarebberobastati 3 miliardi e mezzo in un quinquennio.

Le spese necessarie a dare un assetto appena normale alla reteidrografica nazionale («esce dalle umane possibilità arrivare alladefinitiva sicurezza dell'intero territorio» - ammonisce la relazione De Marchi) non possono apparire in alcun modo rilevanti, separagonate alle molte diecine di vittime ed alle centinaia di miliardi di danni che dobbiamo registrare con tragica regolarità efrequenza: novembre '68 in Valle Strona e Piemonte; ottobre '70a Genova e provincia; gennaio '73 in Calabria e Sicilia, tanto percitare solo le ultime catastrofi.

Ma anche il piano De Marchi non va avanti. Alla ormai scontata evanescenza di una responsabile volontà politica si è aggiuntoun fatto... imprevisto: l'istituzione delle Regioni ed il conseguente smembramento dei corpi tecnici dello Stato, cui si sarebbe dovuta affidare l'attuazione di questi provvedimenti.

CAPITOLO II.

I TERREMOTI

I terremoti, o sismi, sono causati da brusche deformazioni della crosta terrestre. Il loro studio rappresental'oggetto di una spedale scienza, la sismologia; questa sipuò orientare verso due diversi scopi, e cioè rivolgersi alla conoscenza dei rapporti di tali fenomeni con la vita degli uomini, oppure, utilizzando i fenomeni stessi comeuno strumento, indagare le proprietà delle zone internedel globo e più in generale la costituzione fisica del pianeta.

Solo il primo aspetto della sismologia verrà qui presoin considerazione. Alcuni terremoti, infatti, vanno annoverati fra le più grandi catastrofi che abbiano mai afflittol'umanità ; e se la concentrazione di questi fenomeni èsentita in modo precipuo in certe regioni della Terra, come il Giappone ed il Cile, molti paesi ritenuti stabili sono nondimeno suscettibili di vedere inaspettatamente tremare il proprio terreno. Fra essi vi è la Francia.

Le scosse sismiche danno origine ad onde che si propagano tanto lungo la parte superficiale della crosta terrestre, quanto nell'interno del globo. Sarà sufficiente dire che è lo studio approfondito della propagazione di tali onde a permettere di conoscere o almeno d'intravvedere le proprieta della materia costituente la Terra.

Ma è evidente che i due aspetti dello studio dei sisminon sono indipendenti fra loro. Perciò, prima di ricordare qualche esempio caratteristico e di esaminare in quale maniera l'uomo possa prevedere i terremoti o diminuire i rischi delle popolazioni, è indispensabile fornirequalche nozione di base.

Nozioni fondamentali.

1 La scala internazionale di intensità correntemente impiegata permette una classificazione dei terremoti in funzione di dati direttamenteaccessibili agli uomini; ma le impressioni di questi non sempre corrispondono ai dati raccolti dagli apparecchi di registrazione.
Per tenereconto di queste differenze, il sismologo Richter ha introdotto un concetto più preciso, quello di magnitudo, che consente di paragonare i sismi in funzione dell'energia liberata al momento del fenomeno.
GRADO IScossa impercettibile all'uomo, registrata solo dai sismografi.
GRADO IIScossa avvertita da alcune persone in riposo, specie se si trovano ai piani superiori degli edifici.
GRADO IIIScossa avvertita da alcune persone all'interno delle case; vibrazione analoga a quella prodotta da un camion leggero; lieve oscillazione di oggetti appesi, soprattutto ai piani più alti.
GRADO IVSisma percepito all'interno delle costruzioni da molte persone e all'esterno da alcune; dormienti isolati che si svegliano; vibrazioni delle finestre, delle porte, del vasellame, scricchiolii nei pavimenti e nei muri. I liquidi ondeggiano leggermente nei recipienti.
GRADO VTremito avvertito da tutta la popolazione. I dormienti si svegliano. Costruzioni interessate da uno scuotimento generale. Ampia oscillazione degli oggetti appesi. Molte persone spaventate escono dalle case.
GRADO VIIntonaco che si fessura, vasellame che si rompe, campane che oscillano, caduta di calcinacci.
GRADO VIICase lievemente danneggiate, crepe nei muri,caduta di comignoli, crollo di determinati edifici (chiese mal costruite, minareti, eccetera). Fessure attraverso le strade. Inaridimento di alcune sorgenti.
GRADO VIIISpavento e panico. Danni seri, crepe beanti nei muri, caduta della maggior parte dei camini, caduta di campanili, rovesciamento o rotazione delle statue. Piccole frane. In molti casi variazioni nella portata e nei livello dei pozzi.
GRADO IXPanico generale. Danni considerevoli alla mobilia. Animali come impazziti. Molte case dall'apparenza solida sono seriamente danneggiate, un gran numero è reso inabitabile. Altre crollano. Caduta di monumenti e colonne. Danni considerevoli ai serbatoi posati a terra. Rottura di tubature interrate. Strade danneggiate, frane, etc.
GRADO XLa maggior parte delle costruzioni in pietra edin legno sono distrutte insieme alle loro fondamenta. Larghe fessure nei suolo. Gravi danni ai ponti, agli argini, alle dighe. Frane.
GRADO XIDistruzione totale delle costruzioni in pietra,dei ponti e degli argini. Crepacci multipli.Grandi frane.
GRADO XIINon rimane più niente delle opere umane.Cambiamenti importanti nella topografia, valli sbarrate e trasformate in laghi, eccetera
I terremoti si possono studiare per osservazione diretta o mediante apparecchi registratori, detti sismografi.
Studio dei sismi per osservazione diretta.
L'uomo,nonostante la relativa imperfezione dei sensi, può compiere un certo numero di osservazioni, ricavandone unaimmagine di quel che si chiama l'intensità del terremoto.I fatti direttamente percettibili dall'uomo vengono utilizzati per stabilire i vari gradi delle scale d'intensità, lapiù nota delle quali è detta scala internazionale1. Derivata dall'antica scala del Mercalli, essa comprende 12 gradi, che vanno dalle scosse avvertite unicamente dagli strumenti fino alle grandi catastrofi.

Raccogliendo per ciascun terremoto un gran numerodi osservazioni di questo genere, si arriva in modo soddisfacente a localizzare la regione in cui il sisma ha presentato la massima intensità. Questo concetto di intensità«non ha alcun significato meccanico preciso. Tuttavia sipuò stabilire una certa relazione tra l'intensità del sismae l'accelerazione orizzontale corrispondente, valutata inrapporto a quella di gravità .Le scosse iniziano a divenire sensibili per l'uomo allorché l'accelerazione orizzontale e dell'ordine di 1/4000 dell'accelerazione di gravità. Le grandi catastrofi corrispondono ad un'accelerazione orizzontale superiore o ugualea 1/20 di g. Di qui la grande importanza di conoscere tale accelerazione per poter calcolare la resistenza degli edifici destinati a sopportare gli effetti dei terremoti.

Gli apparecchi di registrazione. Gli strumenti usati sono i sismografi. Il loro principio è molto semplice, poiché si basano sul principio dell'inerzia. Schematicamenteun sismografo (fig. 7) è costituito da un supporto rigidocollegato al suolo; a tale supporto è sospesa una massapesante M, che puo eventualmente avere dimensioni considerevoli (raggiungere ed anche superare la tonnellata).
L'apparecchio così costituito è un pendolo pesante. Quando si produce un terremoto, il supporto subisce un impulso in un determinate senso; per il principio d'inerzia,la massa pendolare tende a conservare la propria posizione iniziale e perciò si mette ad oscillare. Potendo le scosse essere tanto orizzontali, quanto verticali, si hanno i duetipi di sismografi detti orizzontali e verticali.

Figura 7.

La registrazione delle oscillazioni (fig. 8) viene fattacon un procedimento fotografico per i pendoli leggeri, lacui massa è compresa fra alcuni grammi e 10 kg. Si fa invece con una punta scrivente su nerofumo per i pendolipesanti, di massa che raggiunge varie tonnellate. Infine,nei paesi a debole sismicità, la registrazione viene amplificata con procedimento elettrico. Non è possibile del resto amplificare esageratamente le oscillazioni dei sismografi perché essi registrano in permanenza dei piccolissimi impulsi, anche nelle regioni considerate molto stabili; è quella che si chiama l'agitazione microsismica.

Epicentro e ipocentro. Immaginiamo che dopo un terremoto si congiungano fra loro tutti i punti nei quali ilsisma ha avuto la medesima intensità; si ottengono cosìdelle curve, dette isosiste o linee isosiste (fig. 9). Tali linee sono generalmente concentriche e permettono di delimitare una zona o un punto in cui il sisma ha raggiunto la massima intensità. Questo punto viene chiamatoepicentro; quando una simile intensità massima viene ottenuta in tutta una zona, si parlerà di regione epicentrale.Il concetto di epicentro è un concetto relativo; in effetti lo scuotimento che ha prodotto ciò che chiamiamo terremoto, cioè le manifestazioni superficiali del fenomeno, è avvenuto in profondità, in un punto (o più esattamente in una zona) indicate) col nome di focolaio. L'epicentro altro non è dunque che la proiezione del focolaio o ipocentro sulla superficie terrestre, o meglio ancora ilpunto di tale superficie che si trova più vicino al focolaio.

Per molto tempo si è creduto che l'origine dei terremotifosse situata a qualche chilometro o al massimo a qualchediecina di chilometri di profondità; una delle scoperte importanti della sismologia moderna è stata, negli ultimi decenni, quella dei sismi a focolaio profondo, fino a 700 km.

Figura 9. :Linee isosiste del terremoto di Provenza (11 giugno 1909).(Da J.P. Rothe).

Conseguenze geologiche dei terremoti.

A parte la distruzione delle opere umane, i terremoti causano modifiche considerevoli nel suolo, modifiche tanto più importanti, quanto più vicini ci si trovi all'epicentro. Questicambiamenti sono di varia natura: o modifiche del livello del suolo, che può abbassarsi o sollevarsi, o fratture diverse, veri e propri crepacci che attraversano le rocce, formando sistemi più o meno paralleli o divergenti, o infine autentiche faglie (fig. 10), che possono comportare un sensibile spostamento di una parte rispetto all'altra separata dal piano di faglia ed essere in tutto paragonabili alle faglie solitamente descritte dai geologi nelle regioni stabili, o che almeno paiono stabilizzate da tempo.
Dal punto di vista strutturale, le faglie sono incontestabilmente le manifestazioni più importanti fra le modifiche indotte dai terremoti nella crosta terrestre.
Questo fatto è illustrate da numerosi esempi:

- la faglia di Midori in Giappone, provocata dal terremoto del 20 ottobre 1891, il cui rigetto tocca un'altezza di 6 m;

- la faglia di Chedrang, risalente al terremoto dell'Assam del 1897, con rigetto che arriva a 11 m;

- la faglia di Sant'Andrea in California; essa, già nota ai geologi, fu rimessa in movimento nel terremotodi San Francisco del 18 aprile 1906. Ha una lunghezza di circa 900 km. Nel 1906 e tornata a muoversiin due tratti di 320 e 150 km ed il suo rigetto e arrivato ad 1 m;

- all'epoca del grande terremoto in Giappone del 1923fu constatato sulla terraferma un sollevamento finoa m 1,50. Altre zone e soprattutto i fondali marinidella baia di Sagami subirono subsidenze di moltosuperiori a quelle osservate in precedenza;

Figura 10.Schema di una faglia.
r - rigetto della faglia

- la faglia provocata dall'importante sisma che colpìle Ande peruviane il 10 novembre 1946, il cui rigetto raggiunse i 3 m;

- il sisma di Orleansville in Algeria, del 9 settembre1954, ha dato origine ad una frattura lunga più di 6km, il cui rigetto è compreso, secondo i punti, fra0,60 e 1 m.

I movimenti del suolo che accompagnano la formazione di queste faglie non sono limitati ad uno spostamentoverticale; è possibile anche osservarvi uno spostamentoorizzontale di varia entità. Così il terremoto di San Francisco ha comportato una dislocazione orizzontale fino a 7 m.

La produzione di tali faglie non è un fenomeno semplice. È stato dimostrato, particolarmente in Giappone,mediante esecuzione in una medesima regione di misuretopografiche di precisione (triangolazioni e livellazioni)prima e dopo i terremoti, che esistono deformazioni presismiche ed anche postsismiche. Gli scienziati giapponesiammettono che la scossa sismica altro non sia che unodegli ultimi stadi dell'attività sismica.

Le stesse circostanze sono state osservate in altre regioni ed in particolare nei dintorni di San Francisco. Una triangolazione fatta prima e dopo il sisma del 1906, già citato, ha dato i seguenti risultati:A ovest - distanza dalla faglia km 2 5,8 37spostamento verso Nord cm 295 238 i/S.
A est - distanza dalla faglia km 1,5 4,2 6,4spostamento verso Sud cm 154 86 58
Appare chiaro che le deformazioni si fanno sempre piudeboli a mano a mano che ci si allontana dalla frattura.

Dove accadono i terremoti. Uno studio ormai anticodello scienziato francese Montessus de Balloré (1851/1923), basato su 160.000 terremoti, ha dimostrato già nel 1906 che la distribuzione geografica dei terremoti nonera casuale. I sismi si manifestano infatti, in grandissima maggioranza, nelle seguenti due zone:

1. Ai margini dell'oceano Pacifico, nella regione ordinariamente chiamata arco circumpacifico o andinogiapponese-malese, dove si localizza all'incirca il 48per cento dei sismi, fra i quali i più importanti (sismi del Giappone, dell'arcipelago malese, della cordigliera delle Ande e della California).

2. Lungo un'ampia fascia grosso modo parallela all'equatore, situata nell'emisfero settentrionale, la quale comprende l'Himalaya, l'Iran, il Caucaso e tuttele montagne designate dai geologi col nome di 'catene alpine' in senso ampio (Alpi propriamente dette, Carpazi e margini del Mediterraneo).
Questa fascia è caratterizzata da una percentuale di sismi del 52 per cento circa.

La zona che va dall'Himalaya alle Alpi interessa particolarmente l'Europa (fig. 11). Tristemente evocatrice è la lista delle principali catastrofi nella regione circummediterranea:Figura 11. Distribuzione geografica dei principali terremoti registrati attornoal Mediterraneo.

La stessa Francia, nella sua parte meridionale, non è stata esente da sismi, come vedremo nelle pagine seguenti; il terremoto della Liguria del 1887 si è largamente esteso in territorio francese.Affinando le loro investigazioni, i sismologi sono stati indotti a calcolare il cosiddetto indice di sismicità di un paese, cioè il numero annuo di scosse ogni 100.000kmq (scosse percepite dall'uomo o registrate dai sismografi). La seguente tabella permette così di rendersi conto della situazione relativa alle principali regioni interessate e della minaccia che grava su ciascuna di esse.

* Da Montessus de Balloré.

Queste cifre non devono essere considerate di valore assoluto, dato che ciò che interessa gli uomini è soprattutto la probabilità di andare incontro ad importanti catastrofi e non la frequenza scientifica delle piccole o grandi scosse, che interessa i sismologi.Questa considerazione puramente utilitaria ha condotto alla classificazione dei vari paesi su nuove basi, calcolando per ogni regione il numero dei sismi distruttivi persecolo, rapportandolo alla superficie di un milione di miglia quadrate (equivalente a 2.600.000 kmq), unità di misura scelta da Davison, autore di questo tipo di calcolo. Tale sistema colloca in testa la Grecia, con il numero 1.478, seguita dall'Italia con 612, mentre il Giappone segue solo in settima posizione con 271.

In Giappone e in California è indubbia l'esistenza di movimenti del suolo prima di certi terremoti. Abbiamo già citato alcuni risultati ottenuti da Tsuboi nella regione di Tango. Inoltre, a seguito della revisione nel 1950 della livellazione generale del Giappone risalente al 1884, è stato accertato che il fondale della baia di Sagami, ad ovest di Tokyo, si è sollevato di 1,40 m nel periodo 1896/1925, ma che posteriormente al 1925 la stessa zona s'è abbassata di 0,120 m. Questo fatto, messo in relazione conil grande terremoto del 1923, ha condotto all'ipotesi che l'inversione del movimento sia stata provocata da quel terremoto. Fenomeni dello stesso genere sono stati registrati altresì nella regione di Niigata, sul mar del Giappone.

Per parte loro, gli Americani hanno installato una rete molto fitta di sismografi sulla faglia di Sant'Andrea e sulle sue satelliti; hanno inoltre eseguito triangolazioni e livellazioni di alta precisione, le quali hanno rivelato, come in Giappone, delle deformazioni della superficie del suolo anteriori ai sismi.

Ma in definitiva, se si trae un bilancio dalla massa di lavoro svolta fino ad oggi, si perviene alla seguente conclusione; le osservazioni compiute appaiono più adattea permettere una migliore comprensione del meccanismo dei terremoti che non a consentire una vera e propria previsione di questi grandi fenomeni. Che i sismi siano - secondo l'ipotesi enunciata ormai da tempo dal Reed - il punto d'arrivo di una lenta deformazione della crosta terrestre, nel momento in cui il superamento del limite di resistenza delle rocce dà adito a rottura, appare ben certo. Ma da qui a permettere di conoscere esattamente il momento della rottura il passo è ancora molto lungo. Per di più, è egualmente certo che in numerosissimi casi i sismi si verificano senza alcuna manifestazione preventiva.

Del resto, come si è già fatto notare, anche supponendorisolto il difficile problema della previsione, dal punto divista della sicurezza delle popolazioni non si farebbe chespostare le difficoltà. Come fare, infatti, ad evacuare nelgiro di alcune ore un'intera regione? Un recente articolo,per illustrare tale difficoltà, descrive come potrebbe svolgersi il trasferimento di centinaia di migliaia di abitantidi una zona del Giappone o della California.

Di conseguenza, a parte il notevole interesse scientificoconnesso ad una migliore conoscenza dei sismi, già datempo l'attenzione si e rivolta ad un diverse aspetto delproblema, quello dei provvedimenti capaci di permettereagli uomini di vivere in condizioni di sicurezza nelle regioni instabili del mondo, cioè della costruzione di case ein genere di edifici adatti a sopportare con danni minimiIe scosse ricevute dal terreno sul quale sorgono tutte queste costruzioni.

LE COSTRUZIONI ANTISISMICHE.

A parte i fenomeni geologici che si sono detti ed inparticolare la comparsa di faglie, una delle conseguenzepiu visibili e più nefaste dei terremoti e la distruzione delle case.

Sotto l'effetto di impulsi laterali il più spesso violenti,come anche di impulsi in direzione verticale, la maggiorparte delle costruzioni umane si dissocia e, crollando,schiaccia gli abitanti che vi si trovano all'interno. È bennoto, del resto, che quando la gente percepisce la minimascossa sismica, per un riflesso naturale si precipita all'aperto, fuori dalle case.
Si constata d'altra parte, come e statisticamente provato, che i sismi più micidiali sono in genere quelli che siverificano di notte, in un periodo cioè in cui tutti si trovano all'interno degli edifici. Questa fu una delle ragioniessenziali del grande numero di morti avutisi nel terremoto di Agadir.

Naturalmente, dopo ogni terremoto sono state compiute molte osservazioni per sapere in quali condizionifossero crollate le case e come fossero costruite quelle chemeglio avevano resistito. L'idea di costruire case ed ingenere edifici in grado di resistere ai sismi è dunque molto antica.La prima idea fu quella di costruire case molto leggere,il cui crollo non fosse pericoloso. Tale fu il caso delle antiche case giapponesi.
Le nuove tecniche di costruzione, specie dopo l'apparizione del cemento armato, hanno completamente modificato i termini del problema e permesso di progettare costruzioni abbastanza resistenti da non essere demolitedal terremoto.A dire il vero ed a rischio di fare un paragone che potrebbe sembrare curioso, va osservato che da lungo tempo gli uomini sapevano costruire degli edifici resistentia sollecitazioni talora assai violente, inferte nelle direzioni più disparate: si tratta delle navi. Una nave non è altro che un sistema rigido, resistente agli urti senza schiacciarsi.

Negli ultimi decenni, in un numero sempre crescentedi paesi sono state emanate regole di costruzione antisismica. È anche stata pubblicata, nel 1963, dall'International Association for Earthquake Engineering un'operadal titolo Earthquake Resistant Regulations. A WorldList. Questa rassegna è stata edita in Giappone e contiene il testo dei regolamenti emanati in diciassette paesi; successivamente, analoghe disposizioni sono state prescritte in Spagna. In alcuni paesi questi regolamenti hanno anche forza di legge e vi si prevedono gravi sanzioni per i trasgressori.
Le predette nazioni fanno parte del seguente elenco:
Argentina, Austria, Canada (disposizioni particolari nelNational Building Code, 1962), Cile (articoli della leggee dell'ordinanza generale per le costruzioni e l'urbanizzazione), Germania Ovest, Grecia (decreto reale, 1959), India, ItAlla (regio decreto-legge, 1937), Giappone (legge), Messico (Codice del distretto federale), Nuova Zelanda (legge, 1955), Filippine (ordinanza per la città diManila), Portogallo (decreti del 1958 e 1961), Romania,Turchia (testo con forza di legge per le zone sismiche),Urss e Venezuela (Caracas).

Come si vede, purtroppo la Francia non figurava, néancora figura tra i paesi che hanno diramato regole obbligatorie, malgrado che una regolamentazione in tal senso sia stata già prevista in nazioni vicine come l'Austria e la Germania federale, la cui sismicità e inferiore. Ritorneremo su questo argomento nel paragrafo dedicate ai problemi sismici esistenti in Francia.

Caratteristiche generali.

Non è il caso di illustrare nei particolari le varie prescrizioni raccomandate o imposte per la costruzione diimmobili resistenti al terremoto. È tuttavia essenziale fissare i principi generali ed esprimere alcune idee che, a pensarci bene, rientrano quasi tutte in quello che si potrebbe definire l'ambito del buon senso.

Alla base di tutto si devono rispettare regole molto semplici. Anzitutto costruire con fondazioni solide su terreno fermo. L'esperienza ha dimostrato, infatti, che tuttele case costruite su terreno solido, roccioso, compatto resistevano molto meglio di quelle costruite sul terreno sciolto, come la sabbia o le alluvioni di un fondovalle. Nello stesso spirito si devono evitare le costruzioni su terreni in pendenza.

Il secondo principio consiste nel fabbricare gli edifici in modo che abbiano un''armatura sufficientemente rigida da non spezzarsi per azione di impulsi laterali. Occorrequindi concepire le case come strutture rigide, capaci di inclinarsi senza che i muri crollino. Proscrivere dunque sistematicamente ogni costruzione che segua i procedimenti purtroppo classici, specialmente una volta, consistenti nell'erigere dei muri fatti di blocchi più o meno regolari di pietra uno sopra l'altro, legati da una malta nonmolto consistente, i quali rimanevano in piedi solo a condizione di non ricevere urti e, beninteso, di restare sempre in posizione verticale. Tale è del resto la ragione per cui i sismi causano tanti morti nelle zone rurali, dove le case contadine, costruite secondo metodi arcaici e con materiali mediocri, crollano immediatamente alla minimascossa.

Al contrario, oggi si constata che tutti gli edifici realizzati in armatura di cemento armato, con serietà ed applicando le normali regole dell'arte anche al di fuori delle norme antisismiche, resistono generalmente abbastanza bene ai terremoti. Questo sottintende evidentemente che siano rispettate le regole d'arte che ho dianzi definite normali e che si eviti specialmente di fare come all'albergo Saada di Agadir, fabbricato con solette in calcestruzzo intervallate da pilastri insufficienti e soprattutto senza collegamenti orizzontali, sì che quando venne il terremoto i pilastrini si ruppero istantaneamente e le solette si sovrapposero una all'altra, schiacciando letteralmente gli sventurati abitanti che si trovavano ai diversi piani dell'edificio imploso.

È essenzialmente l'intelaiamento delle diverse parti dell'immobile ciò che occorre realizzare. Deve stabilirsi un collegamento molto saldo fra le fondazioni e la sovrastruttura. Essere evitate le costruzioni troppo sviluppate in altezza, le aperture eccessivamente ampie, tutte le ornamentazioni o gli elementi costruttivi esterni che sporgano e siano realizzati a sbalzo, come cornicioni, balconi più o meno solidamente collegati alla costruzione. Bisogna in pari tempo abbassare il più possibile il centro di gravità, evitare coperture pesanti ed assicurare l'indeformabilità di tutta l'ossatura mediante tiranti orizzontali ed un rinforzo di tutti gli angoli.

Quando vengano prese queste precauzioni, l'esperienza dà risultati perfettamente favorevoli. Le grandi citta del Giappone che furono crudelmente provate dai terremoti nei secoli scorsi hanno oggi un'attività normale; uno degli esempi più celebri e quello dell'Hotel Imperiale di Tokyo, una delle prime costruzioni di nuovo tipo che resistette anche al terribile terremoto del 1923, rimanendo saldo ed intatto in mezzo alle case crollate ed incendiate. E la recente catastrofe del Perù è venuta ad aggiungere una prova eloquente in più in favore della resistenza delle costruzioni antisismiche.

1 Devo queste notizie alla cortesia di L. Lliboutry, professore dellafacoltà di scienze di Grenoble, che fu inviato in missione sul posto nellesettimane successive alla catastrofe del 2 giugno 1970.
Così a Casma (sulla costa, nel deserto) la distruzionedelle case in rozza muratura, di un solo piano, fu totaleal pari di quella di un nuovo ospedale in mattoni e malta,costruito senza regole antisismiche; viceversa a Chimbote,situata su un terreno analogo, mentre tutte le case in muratura crollavano seppellendo cinquecento abitanti, l'albergo Chimu, antisismico e con intelaiatura di calcestruzzo armato, rimase intatto senza una fessura1.

Riguardo alle costruzioni individuali delle regioni rurali, caso particolarmente grave a causa delle modeste risorse degli abitanti, si può citare l'esempio della Turchia,che ha emanato particolari disposizioni per incoraggiarela costruzione di case a basso costo, le quali nondimeno presentano caratteristiche tali da assicurare unminimo di sicurezza (fig. 14).

Figura 14.Modello di casa rurale raccomandato in Turchia, tratto da un manifesto di propaganda.

Inoltre, sempre in Turchia, l'azione delle compagnie d'assicurazione, sostenuta dal governo, è venuta a confermare l'importanza e la validità delle norme antisismiche. Le disposizioni tariffarie messe ufficialmente in vigore all'inizio del 1966 tengono conto, per i vecchi stabili, del modo in cui sono costruiti ed il tasso dei premivaria dallo 0,20 al 4,75 per mille a seconda delle zone e della natura dell'immobile; inoltre, per le costruzioni nuove, le assicurazioni «sono autorizzate solo nei casi in cui i progetti siano conformi alle basi ed alle condizioni tecniche di resistenza alle scosse sismiche previste dal regolamento ufficiale ad hoc» (H. B. Otkeren).

LA SITUAZIONE DELLA FRANCIA DI FRONTE AI TERREMOTI.

Indubbiamente il territorio francese può essere considerato per la maggior parte al di fuori delle zone sismiche qualificabili come pericolose. Ma si avrebbe tuttavia torto a minimizzarvi eccessivamente l'importanza dei terremoti e ciò soprattutto vale, come vedremo, per il Mezzogiorno.

Uno studio molto approfondito della sismicità della Francia e stato realizzato da J. P. Rothe; si è rivolto in particolare allo spoglio di 1.650 schede corrispondenti al periodo di cento anni dal 1861 al 1960. Grazie a tale studio l'autore ha potuto redigere una carta delle intensità massime osservate in Francia nel corso di un secolo, carta che è servita di base alla delimitazione di zone dotate disismicità notevole.

Storicamente parlando, si ebbero terremoti distruttori in zone alquanto diverse. Così, nel 1356 la città di Basilea fu distrutta da un grande sisma che causò notevoli danni nell'alta Alsazia. Nel 1905 si registrarono danni nella valle di Chamonix, ma è specialmente nel Sud e più specificatamente nel SudEst della Francia che si sono avuti, anche in epoche molto recenti, dei sismi devastatori. Infatti il Sud-Est della Francia e più particolarmente la Provenza e la contea di Nizza hanno conosciuto scosse devastatrici negli anni 1227, 1348, 1494, 1556, 1564,1612, 1617, 1644, 1752, 1756, 1769, 1799, 1818, 1854, 1887, 1905, 1909.

Tra i più importanti sismi della regione va ricordato quello di Mentone e Diano Marina, del 23 febbraio 1887, che colpì l'Italia e si estese ampiamente verso la Francia,facendo in totale 640 morti e rendendo inabitabili 115 case a Mentone ed a Nizza.

Più vicino a noi, l'11 giugno 1909, un importante sisma colpì la regione di Lambesc e di Rognes, a nord di Aix-en-Provence, facendo una quarantina di morti e causando danni considerevoli. Questo terremoto mostrò in particolare i rapporti chepossono esistere tra la resistenza degli edifici e la natura del substrato sul quale essi sorgono. Il paese di Vernegues, costruito su un cocuzzolo di tufo calcareo di età miocenica, molto tenero, fu interamente distrutto, mentre i villaggi vicini, ubicati sul calcare del Cretaceo, compatto e molto più resistente, furono praticamente risparmiati.

Sempre in Francia e questa volta nei Pirenei, che furono a più riprese egualmente interessati da scosse sismiche, è stato registrato il 13 agosto 1967 il più violento terremoto avutosi in Francia successivamente a quello dell'11 giugno 1909.
Questo sisma, che fu chiamato di Arette, ebbe intensità appena inferiore a quello di Agadir. I danni furonogravi. 62 comuni del dipartimento dei Bassi Pirenei vennero dichiarati sinistrati. 2283 immobili risultarono colpiti e di essi 340 completamente distrutti. I comuni piùdanneggiati furono: Arette, Lannes e Montory, nei quali il 40 per cento degli immobili fu dichiarato irreparabile.

Il sisma fece fortunatamente poche vittime: un morto ed una quindicina di feriti. Lo si dovette al fatto cheaccadde d'estate, in fine di giornata (ore 22.08), in unaora nella quale i Meridionali amano, secondo un'espressione ben nota, «prendere il fresco» davanti all'uscio e di conseguenza si trovavano quasi tutti fuori di casa; equelli che erano già rientrati ebbero il tempo di precipitarsi fuori alla prima scossa. Si poté in pari tempo constatare che la cattiva qualità delle murature svolse una funzione importante e facilitò le distruzioni. In questi paesi dove la pietra è rara, molti muri erano costruiti per sovrapposizione di ciottoli arrotondati, di dimensioni variabili, legati fra loro da una malta di cattiva qualità.

La conclusione di tutto ciò è assai semplice. Il Mezzogiorno di Francia ed in modo particolare la Provenza, così come una parte del Pirenei, sono regioni in cui bis'ogna essere vigilanti nei riguardi dei fenomeni sismici.Questo fatto non è sfuggito agli specialisti ed a seguito dei terremoti di Agadir e di Orleansville fu costituita una Commissione per esaminare tale importante problema e dettare le norme che si devono applicare da parte di costruttori ed architetti onde ridurre al massimo i danni in caso di futuri sismi.Questa Commissione, che era presieduta dell'eminente ingegnere francese Caquot, membro dell'Accademia delle Scienze, ed ebbe per relatore J. Despeyroux,pervenne alla redazione di un fascicolo a stampa di 97pagine, intitolato Norme PS 67. Istruzioni generali sulla redazione dei progetti di massima di costruzioni antisismiche ad uso dei costruttori, architetti ed ingegneri.
Contemporaneamente, il ministero delle costruzioni incaricò una Commissione amministrativa, sotto la presidenza dell'ingegnere generale Salmon, di stabilire l'elenco dei cantoni in cui applicare le anzidette istruzioni ed icoefficienti d'intensità da assumere (fig. 15).

Le norme espongono dapprima un certo numero didati generali, tendenti, come già dissi, ad attirare l'attenzione dei costruttori sul fatto che gli immobili devonoessere realizzati molto seriamente, anche al di fuori delle particolari prescrizioni antisismiche; proseguono conun insieme di direttive precise per lo studio dei progetti,di massima e definitive.Purtroppo, arrivati a questo punto non si può fare ameno di constatare una situazione infinitamente spiacevole. Infatti, l'applicazione del testo predetto, che delresto e stato già riveduto e dev'essere pubblicato quanto prima col titolo Norme di costruzione da applicarenelle zone soggette a terremoti (Norme PS 69), non èstata ancora resa obbligatoria. Dal momento della loropubblicazione nella nuova forma, queste norme costituiranno un «Documento tecnico unificato», cioè un regolamento applicabile a tutte le costruzioni dello Stato o eseguite con il concorso finanziario dello Stato; viceversa, per il settore privato, in mancanza di un decreto che le renda obbligatorie, rischiano di continuare ad essere quello che sono purtroppo rimaste per diversi anni, delleregalìe clandestine.

Figura 15.
Carta provvisoria dei cantoni vincolati, nei quali l'applicazione dellenorme antisismiche dovrebbe essere obbligatoria.
La zona dei Pirenei dovrebbe essere riveduta prossimamente: infatti un'area diessa dovrà essere assegnata alla zona 2.
(Da J.P. Rothe).

A che si deve questo stato di cose, che si può definire scandaloso senza timore di abusare del termine?
Si deve essenzialmente all'ostruzionismo sistematicodi interessi diversi, particolari o generali, soprattutto sulla Costa Azzurra, poiché le zone in cui i sismi sono più probabili sono zone turistiche, quelle appunto in cui gli operatori di ogni specie sono più attivi, e le norme riguardano la Costa fra Cannes e Ventimiglia1.

1 In un'opera divulgativa sui terremoti intitolata 'Quando la terratrema', il vulcanologo Haroun Tazieff ha scritto, a proposito della mancata osservanza delle norme antisismiche nelle costruzioni: «Tutto ciò ènoto, e codificato. Il che non impedisce affatto agli avventurieri di tuttele nazionalità, a cui interessa esclusivamente il profitto, di continuare acostruire in barba alle regole; vengo dal constatarlo ancora a Messina esulla Costa Azzurra...»
Il linguaggio è duro, ma corrisponde purtroppo alla realtà dei fatti.
Un breve aneddoto permettera di rendere l'atmosfera. Dopo il terremoto di Agadir, la stampa intervistò un certo numero di persone in grado d'informare l'opinione pubblica sulle possibilità di sismi in Francia. Fu interpellato in particolare J. P. Rothe, nella sua qualitàdi segretario del Bureau international de Seismologie di Strasburgo; egli, con tutta naturalezza, come del resto feci io stesso nella medesima epoca nel corso di un'intervista richiestami da Radio Lorena, dichiarò che la regione francese più suscettibile di essere colpita da terremoti era la Provenza calcarea e soprattutto la Costa Azzurra, trasmettendo in pari tempo ai giornali la carta della sismicità della Francia, che era stata redatta già da diversi anni.

Questa semplice dichiarazione, che non aveva altro valore che quello di una constatazione fatta da un uomo di scienza, scatenò una vera e propria polemica e si videro agitarsi anche le autorità regionali. Fatto a malapena credibile, una delle più alte personalità nizzarde manifestò anzi l'intenzione di citare in tribunale l'interessato unitamente ad un settimanale che aveva pubblicato la carta della sismicità; e furono necessari vari interventi per mettere a tacere la cosa.

Un simile incidente apparterrebbe al numero delle cose ridicole, se non fosse tragico. Certo, non è il caso, di fronte ad un problema di questa natura, di spaventare gli abitanti, in particolare quelli delle case già costruite; sarebbe tanto inopportune in quanto la maggior parte delle costruzioni è stata eseguita in modo tradizionalmente corretto, mentre le case fatte di materiali vulnerabili in modo estremo, come quelle in muratura di argilla, sono rare o inesistenti. Nondimeno, in larga misura la situazione è paragonabile a quella degli agglomerati costruiti untempo nelle zone alluvionabili. Non si può parlare di demolire le case, ma almeno per l'avvenire si ha il dovere di mettere le future costruzioni al riparo da rischi che sono ben lungi dall'essere trascurabili ed in tal modo, in caso di nuovi terremoti, di risparmiare delle vite umane.

So bene che in questo campo non bisogna farsi troppe illusioni e le tristi discussioni svoltesi recentemente alla Assemblea nazionale a proposito dell'applicazione dell'alcooltest denotano fino a qual punto gli interessi particolari possano ancora pesare sulla bilancia anche se si tratti di un dramma così grave come quello dell'alcolismo in Francia e delle sue conseguenze sugli incidenti automobilistici.

Ciò non impedisce che, quando passo attraverso i paesaggi della Costa Azzurra, cosa che per ragioni familiari mi accade di frequente, non possa evitare una riflessione angosciosa allorché vedo, sui fianchi delle colline di quest'ammirevole regione, delle case costruite esattamente secondo lo schema della figura 16, cioè montate suveri e propri trampoli, calcolate al più appena per resistere ad una pressione verticale, case che sarebbero irrimediabilmente distrutte e precipitate nel vuoto alla minima scossa sismica, fosse anche dei primi gradi d'intensità della scala internazionale.
Figura 16.
Esempio di costruzione di un tipodisgraziatamente non raro sui fianchi delle colline della Costa Azzurra, concepita nel modo più favorevole alla distruzione in caso di terremoto: una semplice piastra dicalcestruzzo D, posata senz'altraprecauzione sui pilastri P, spessoancor più gracili di quelli in figura.

Scientificamente parlando, ritengo in conclusione diavere il diritto ed anche il dovere di scrivere semplicemente questo. In base a quanto si sa della sismicità nel sud della Francia, si pub affermare con una probabilitache rasenta la certezza - diciamo, per dare una cifra, dell'ordine del 95 per cento almeno - che entro un secolo vi sarà certamente, in qualche parte del Mezzogiorno diFrancia, un terremoto distruttore. E con un'approssimazione senz'altro minore ma certamente grande si può affermare che un sisma vi si verificherà già nei prossimi decenni. Forse i pubblici poteri dovrebbero riflettere sulfatto che, se si calcola la media degli intervalli fra un terremoto e l'altro a partire dall'inizio del XVIII secolo, tale scarto medio risulta dell'ordine di trent'anni.
Insomma, non è successo nulla di grave in Provenza dal 1909, cioè daoltre sessant'anni; ma il 20 giugno 1970 una scossa di intensità 3 nella scala internazionale, fortunatamente senza conseguenze, è stata avvertita su tutto il litorale, da Cannes alla frontiera italo-francese...
È tutto quello che un uomo di scienza può dire.

LE ERUZIONI VULCANICHE

1 Lo studio dei vulcani e delle loro eruzioni è l'oggetto di una disciplina di considerevole importanza, la vulcanologia, dato che le eruzioni sono le manifestazioni più tangibili dei fenomeni termici che siproducono nell'interno della crosta terrestre.

2 Da Sapper.

Al pari dei terremoti, le eruzioni vulcaniche sono fenomeni violenti che in ogni tempo hanno impressionato gli uomini e causato la perdita di numerose vite umane. Per dare un ordine di grandezza si ammette che il numero delle vittime nel periodo compreso fra il 1500 ed il 1914 sia stato di circa 190.000 2.
Fra i sinistri più importanti si possono citare l'eruzione del Tambora in Indonesia, che nel 1815 fece 12.000 vittime, quella dellamontagna Mount Pelée alla Martinica, che nel 1902 annientò lacittà di Saint-Pierre ed i suoi 29.000 abitanti, quella delLaki in Islanda, le cui ceneri fecero 10.000 vittime nel 1783, e quella dell'Unzendake in Giappone, che nel 1792costo la vita di 10.450 abitanti, sepolti sotto colate difango.

Ma considerandoli dal punto di vista dei rischi che fanno correre agli uomini, questi fenomeni presentano una differenza fondamentale rispetto ai terremoti; mentrequesti ultimi possono verificarsi in zone molto vaste, senza che sia possibile prevedere in partenza la loro esatta localizzazione, le manifestazioni vulcaniche sono strettamente collegate all'ubicazione di vulcani in attività permanente oppure di vulcani la cui ultima eruzione si sia verificata in data recente. Senza dubbio si danno casi divulcani che si sono « svegliati» dopo un lungo periodo diquiete; uno degli esempi più classici è quello del Vesuvio, pacifico nell'Antichità come lo sono i vulcani d'Alvernia, il quale nell'anno 79 della nostra era distrusse Ercolano e Pompei. Analogamente, si sa della nascita di nuovivulcani, nascita che del resto si produce solo in regioni già note per la loro attività vulcanica, come nel caso celebre del Paricutin, «nato» il 20 febbraio 1943 in mezzo ad un campo di granoturco nel Messico centrale.
Sul piano pratico, si tratta di casi del tutto eccezionali, che non infirmano in nulla l'affermazione precedente.

In altri termini, la previsione presenta qui un aspetto particolare: si traduce in ciò che viene chiamato sorveglianza dei vulcani attivi. Infatti, le eruzioni vulcaniche sono precedute da un certo numero di fenomeni premonitori, caratteristici sismi causati dal movimento della lava in profondità, aumento della temperatura del terreno, aumento di erogazione dalle «fumarole», sviluppo di gas, eccetera, i quali sono perfettamente riconoscibili e permettono di dare l'allarme alle popolazioni vicine. Inoltre, anche nel corso delle eruzioni, l'esperienza ha dimostrato che si è potuti giungere a deviare le correnti di lava oppure farprendere agli abitanti particolari precauzioni, come lo sgombero dai tetti delle coltri di cenere affinché le travature non cedano sotto il peso.

1 Nome dato a questa forma particolarmente pericolosa di gettitodi vapori e ceneri dal vulcanologo e mineralogista francese A. Lacroix,che venne inviato alla Martinica dopo la catastrofe.
In conclusione, nonostante l'aspetto spaventevole pergli uomini dei fenomeni vulcanici, si può affermare colvulcanologo A. Rittmann che «solo le grandi eruzioni esplosive di vulcani a magma fortemente viscoso presentano un reale pericolo». Tale fu purtroppo il caso dell'eruzione della montagna Pelée alla Martinica nel 1902; lacittà di Saint-Pierre fu infatti distrutta in pochi minutidalla venuta di getti orizzontali di vapori e ceneri (valanghe piroclastiche), emessi dal fianco del vulcano e di un tipo che veniva osservatoper la prima volta, in condizioni realmente imprevedibili.
Naturalmente, nei giorni che precedettero la catastrofe il vulcano aveva dato segni di attività, che oggi costituirebbero validi motivi di allarme ma che, a quell'epoca, non potevano in alcun modo far prevedere le terribili nubi ardenti1 alle quali nulla avrebbe resistito.

Stabiliti i princìpi generali, come si presenta la situazione in Francia ed in primo luogo nel territorio metropolitano? Sotto questo aspetto non esistono problemi; esistono sì, in particolare nel Massiccio Centrale, dei vulcani antichi - benché geologicamente recenti - come quelli della catena dei Puys, del massiccio del Mont-Dore o del Cantal, le cui forme sono perfettamente conservate; teoricamente, essi potrebbero risvegliarsi come fece il Vesuvio (o più esattamente il Monte Somma, nome dell'antico vulcano). Tuttavia, a parte il fatto che non disponiamo di informazioni circa le manifestazioni che precedettero l'esplosione dell'anno 79, i metodi di studio degli apparati vulcanici oggi noti permettono di affermare che i vulcani d'Alvernia sono spenti, anzi ben spenti; della loro passata attività rimangono soltanto le emissioni di gas carbonico della Grotta del Cane a Royat e le sorgenti termominerali di Vichy. In altri termini, nei limiti dell'esagono francese, il rischio vulcanico è praticamente nullo e gli abitanti di Clermont-Ferrand possono vivere in tutta tranquillità.

Rimane naturalmente il caso dei vulcani dei dipartimenti d'Oltremare, cioè la montagna Pelée alla Martinica e il picco della Fournaise alla Reunion, la cui ultima eruzione risale appena al 1939 e fu fortunatamente lontana da ogni centro abitato. A causa della sua ubicazione prossima alla città di Saint-Pierre, ricostruita, il primo è oggetto di una sorveglianza molto attenta grazie ad un osservatorio installato sul vulcano, il cui funzionamento - si può sperare - permetterà di evitare il ritorno di una catastrofe paragonabile a quella del 1902.

Lasciamo concludere ad A. Rittmann: «Anche queste (cioè le grandi esplosioni a magma fortemente viscoso cui s'è già accennato) appaiono insignificanti a paragone dei terremoti, dei maremoti e degli uragani».

I MAREMOTI.

Vengono dette maremoti le brusche modificazioni del livello del mare, che si propagano sotto forma di un'onda, che può raggiungere altezze uguali o superiori ai 20 m, laquale toccando terra fa arretrare il limite della battigia ben lontano dalla costa. Tali fenomeni, provocati sia da eruzioni vulcaniche sottomarine, sia da sismi che talorasi producono a considerevole distanza dai continenti, hanno dato luogo a memorabili catastrofi.

Così, a seguito dell'eruzione del Krakatoa nel 1883, lo sprofondamento dell'isola alla fine dell'eruzione originò un maremoto di 20 m d'altezza che sommerse 36.500 persone sulle coste vicine di Giava e Sumatra. In Giappone, il 15 giugno 1896, per effetto di un terremoto a Sanriku 27.000 persone perirono nelle medesime condizioni e 10.000 case vennero distrutte. Analogamente, sulle coste del Cile il grande sisma del 22 maggio 1960 diede vita ad un maremoto che sommerse i porti di parecchie città costiere ed attraversò il Pacifico; alle isole Haway, malgrado l'allarme dato, fece 61 morti.

L'uso tende oggi a riservare il termine di maremoto alle ondate provocate da eruzioni sottomarine, per riservare quello di tsunami, termine di origine giapponese, a quelle causate da scosse sismiche. Tali maremoti o tsunami sono noti specialmente nell'oceano Pacifico, dove sono ormai oggetto di una stretta sorveglianza, sì da permettere che venga dato tempestivamente l'allarme.

Malgrado la gravità di questi sinistri, non pare che cisi debba inutilmente angustiare sulle coste della Francia,dove sono praticamente sconosciuti. Nondimeno essi possono - indubbiamente in forma ridotta - essere associati a sismi che si producano eventualmente al largo delle coste mediterranee. Così il 20 giugno 1970 un'«onda di fondo» ha coperto la spiaggia di Cannes ed è stata interpretata come risultato di una scossa sismica verificatasi al largo di quella località.

I terremoti in Italia.

Nella carta della sismicità dell'Italia (fig. 17), redatta su basistatistiche plurisecolari dal Baratta e pubblicata nel 1936, sonodelimitate le aree soggette a terremoto, contraddistinte da sei diversi tipi di sismicità, da leggerissima a catastrofica.

Sempre su basi statistiche - certo non sufficientemente retrospettive - sembra sia stata operata la distinzione delle «zone sismiche», suddivise in due categorie d'intensità, cui si applicano leparticolari disposizioni di legge «antisismiche» sulle costruzioniedilizie, le ultime delle quali risalgono al 1962.

Nonostante l'evidenza storica, le zone dichiarate ufficialmentesismiche appartengono appena a 652 comuni, quasi tutti minuscoli, distribuiti in 34 province (Ancona, Arezzo, Ascoli Piceno, Avellino, Belluno, Benevento, Campobasso, Caserta, Catania, Chieti, Firenze, Foggia, Forlì, Frosinone, Grosseto, La Spezia, L'Aquila,Lucca, Macerata, Massa Carrara, Messina, Napoli, Perugia, Pesaro, Pescara, Potenza, Ravenna, Rieti, Siena, Teramo, Terni, Treviso, Udine e Viterbo), oltre all'intera Calabria. Si tratta quindi di un migliaio di comuni, numero troppo limitato per assicurareun'efficace protezione antisismica alla popolazione, su scala nazionale.

Prova ne è che dei teatri degli ultimi catastrofici terremoti, Gibellina e la valle del Belice in provincia di Trapani, Tuscania in provincia di Viterbo; Pozzuoli presso Napoli caratterizzata da scosse e bradisismi, e Ancona, solo quest'ultima località è considerata nell'elenco delle zone sismiche ed è stata di conseguenza la meno danneggiata.
Zone a sismicità intensa od intensissima, secondo la classificazione del Baratta, sono totalmente ignorate dalle vigenti norme antisismiche, le quali ovviamente impongono non indifferenti aggravi nei costi di costruzione e non pochi divieti. Citerò la Riviera ligure di Ponente, il Bresciano, il Ferrarese, la Riviera romagnola,il Livornese, il Gargano, Maratea e Lagonegro, il Golfo di Napoli,il Siracusano (con zone a sismicità anche catastrofica), la Concad'Oro di Palermo, che subirono ripetuti terremoti negli ultimi due secoli.

Figura 17.
Carta della sismicità
in Italia.
(Da Baratta in Desio).

Non a caso sono quasi tutte regioni ad altissimo incremento edilizio, a scopo in gran parte turistico, od industriale, ad indirizzo prevalentemente chimico. Evidentemente, come s'è verificato sulla Costa Azzurra, ancora priva di protezione antisismica, certiinteressi sono così forti da imporsi anche... sui terremoti.

Il vulcanismo in Italia.

Paese geologicamente giovanissimo e tuttora in evoluzione,l'Italia è costellata di apparati vulcanici relativamente recenti, inmassima parte inattivi almeno da diecine o centinaia di migliaiad'anni. Gode però dell'inquietante privilegio di possedere aree dotatedi vulcanismo attivo e fra queste annovera l'unico vulcano in attività dell'Europa continentale: il Vesuvio, «spento» solo dal 1944ma caratterizzato purtroppo da eruzioni periodiche, come quellache nel 1631 fece 4.000 vittime e fu seguita da altre impressionantimanifestazioni nel 1737, 1760, 1767, 1779, 1794, 1855, 1872 e1906.

L'Etna, a quel che se ne sa, ebbe 24 eruzioni prima del 1500,34 dal 1500 al 1800, compresa quella che nel 1669 investì Catania,19 nel XIX secolo e una dozzina nel presente, l'ultima delle qualinel 1971. Lo Stromboli è in continua attività, a differenza di Vulcano, inoperoso dal 1890.

Ogni tanto, questione di pochi secoli, nasce nel Meridione unnuovo vulcano e poi fortunatamente si spegne nel giro di pochimesi: il Monte Arso nell'isola d'Ischia nel 1301, il Monte Nuovopresso Pozzuoli nel 1538, l'Isola Ferdinandea al largo di Sciaccanel 1831, presto scomparsa.

Gli Osservatori vulcanologici installati sui principali vulcanisi sforzano di prevedere gli umori del focolaio magmatico. A dire ilvero, nell'ultimo secolo non si sono mai avute catastrofi improvvise. Le lave dell'Etna continuano sì, inesorabilmente, a seppellire paesi, come Mascali nel 1928 o Fornazzo nel 1971, ma danno tempo agli abitanti di mettersi in salvo. Tra Etna e Vesuvio, non meno di 3 milioni di italiani vivono a ridosso di un vulcano attivo. Chiunque può capire che la loro sicurezza non è assoluta.

I maremoti in Italia.

Degli oltre 3.700 km di coste dell'Italia continentale, sono definiti dal Baratta «coste a maremoto» circa 500 km, situati nelleprovince di Imperia, Savona, Livorno, Napoli, Cosenza, ReggioCalabria, Catanzaro, Foggia, Ancona, Pesaro e Venezia. Ad essivanno aggiunti, sempre secondo il Baratta, circa 200 km di costein Sicilia (Palermitano, Messinese e tutta la costa ionica). I maremoti rilevanti in Italia sono molto meno frequenti deiterremoti di intensità catastrofica. L'ultimo maremoto distruttivofu quello concomitante col terremoto di Messina e Reggio del1908, durante il quale si solleVarno onde di marea dell'altezza di15 metri, contribuendo allo spaventoso bilancio di 80.000 vittime.

Data la frequenza relativamente scarsa del fenomeno, non èprescritta alcuna precauzione difensiva dalle leggi e dai regolamenti in materia di opere marittime, vie di comunicazione litoranee o insediamenti costieri.

CAPITOLO III - LE FRANE

La catastrofe del sanatorio del Roc-des-Fiz in Savoia,avvenuta il 16 aprile 1970, che costò la vita di 71 persone fra le quali più di 50 bambini, ha attirato con forza l'attenzione dei Francesi su un fenomeno purtuttavia bennoto da tempo immemorabile nelle regioni di montagna,quello delle frane. Succeduto di due soli mesi al drammadi Val d'Isere ove una valanga fece 39 morti e diecine diferiti, questo disastro scosse l'opinione pubblica in modoparticolare perché in ambo i casi andarono distrutti deglistabilimenti di un tipo che dovrà moltiplicarsi nelle vallate delle Alpi e dei Pirenei nel corso dei prossimi anni,secondo i programmi già stabiliti di sviluppo turistico edalberghiero.

La questione della «prevedibilita», o non, è perciò stata riportata immediatamente all'ordine del giorno, mentre la stampa diffondeva dichiarazioni di varie personalità e fra esse alcune a mio parere spiacevoli, in quanto visibilmente tendenziose e rivolte a distogliere l'attenzione da uno studio sistematico dei «fenomeni naturali tuttora possibili, che troppo spesso si tende a trascurare», comescrissi in un articolo su « Le Monde » il 21 aprile.

* L'indice bibliografico di questo libro riporta l'elenco della principale documentazione consultata; a titolo di semplice indicazione, si notiche la bibliografia del libro dell'autore americano C. F. STEWART SHARPE intitolato 'Landslides and related phenomena' contiene 275 riferimenti e quella del libro degli autori cecoslovacchi Q. ZÀRUBA e V. MENCL intitolato 'Landslides and their control' ne reca 256.
Tenendo conto delle ripetizioni, si può dunque dire che le frane sono state oggetto di almeno350-400 pubblicazioni, fra le quali parecchi libri importanti.
Senza cadere in facili sentimentalismi, mi sforzerò diesporre il più obbiettivamente possibile i caratteri fondamentali dei fenomeni noti alla scienza e descritti in numerosi libri o articoli di rivista*. Vi è del resto un fatto che va immediatamente sottolineato: lo studio delle frane- note al pubblico soprattutto in occasione degli incidentiche si verificano in montagna e mietono purtroppo dellevittime - presenta su un piano generate una grandissimaimportanza economica, condizionando in particolare lastabilità delle vie di comunicazione d'ogni genere, tantoin zone di pianura o collinari, quanto in zone dal rilievoaccidentato. Ricerche in tal senso sono state fatte neiprincipali paesi del mondo ed in particolare negli StatiUniti, dove nel 1958 è stato pubblicato sotto la direzionedi E. B. Eckel e col titolo di 'Landslides and engineeringpractice' (Frane e ingegnerizzazione) un volume di 232pagine che raccoglie i risultati di considerevoli lavori eseguiti per iniziativa dello «Highways Research Board».

Per cominciare, prima di presentare le caratteristichedei fenomeni franosi, escluderei dall'argomento trattatoi diversi movimenti del suolo provocati da terremoti, iquali sono imprevedibili come i terremoti stessi. Occorretuttavia notare che i sismi, quando non siano molto violenti, hanno come conseguenza una semplice accelerazione dei movimenti dovuti alle molteplici cause che enumereremo; donde la necessità, dopo una catastrofe, di verificare se la regione non sia stata colpita da una scossa tellurica.

Nozioni fondamentali.

Le frane si possono suddividere in quattro grandi categorie.

1. Gli scorrimenti o smottamenti di materiali scioitinon consolidati che si trovano « placcati» sui fianchi dellemontagne e si appoggiano su di un substrate più resistente di roccia, che il geologo suole designare col nome di «roccia in posto». Questa situazione è schematizzata nella figura 18; i materiali sciolti potranno essere per esempio dei detriti di falda più o meno commisti a terra oppure delle coltri argillo-sabbiose di scarsa consistenza, deilembi di depositi glaciali - relitti di antiche morene, formate da mescolanze eterogenee di frammenti lapidei didimensioni molto variabili, avvolti da argilla - oppureparti di conoidi di deiezione torrentizi.
In tutti i casi si tratta di materiali porosi, nei qualil'acqua penetra facilmente; talvolta anzi, quando l'acquaè sovrabbondante, si può assistere a vere e proprie colatedi fango che vanno a spandersi in fondovalle. Infine, quando la neve ricopre queste placche e si hala frana, il fenomeno ha aspetti tanto di valanga nevosapropriamente detta, quanto di smottamento di terreno; esso prende il nome di valanga di detriti.

Figura 18.
Smottamento di materiali sciolti non consolidati
, adagiati su di unsubstrate più resistente.
La frana è di regola favorita dall'acqua situata lungo la superficie N,
al contatto fra le due formazioni.

2. Gli scorrimenti, o più esattamente gli scoscendimenti di masse argillose unitarie, intrise d'acqua e tendenti a fluire verso il basso anche se la pendenza del terreno e debole (fig. 19). Questi fenomeni si osservano spesso lungo fianchi vallivi dal dolce rilievo, ove vi dimorino importanti livelli argillosi. Per esempio, sono frequenti sui versanti della Meurthe o della Mosella, caratterizzati da zone a sottosuolo argilloso di età classica. Nella parte superiore dell'area che slitta si osserva uno stacco vero eproprio e più in basso tutta una serie di crepacci trasversali, mentre nella parte inferiore la falda franosa si presenta come una lingua sovrapposta al substrato del medesimo materiale argilloso o ad un altro tipo di roccia se lo scorrimento ha avuto per risultato uno spostamento orizzontale di una certa ampiezza.
Senza raggiungere lo stadio di una traslazione importante, i movimenti franosi dell'argilla si possono tradurre semplicemente in ondulazioni del suolo; lo si avverte su certe strade, che si sono «assestate» in corrispondenza delle zone instabili (queste deformazioni della sedestradale non vanno confuse con quelle dovute all'azionedel gelo e del disgelo sui materiali della massicciata).

3. Gli scorrimenti o scivolamenti da pendii rocciosi stratificati - in masse talvolta cospicue - con pendenza ('immersione', per i geologi) rivolta verso valle. Queste frane sono generalmente favorite dalla presenza di strati argillosi, talora molto sottili, intercalati fra i banchi piu consistenti, spesso calcarei, tali da «lubrificare» lo scorrimento per il fatto che la plasticità dell'argilla aumenta in presenza d'acqua (fig. 20).

Figura 19.
Scoscendimento di una massa argillosa unitaria
.
La parte in movimento è rappresentata con diverso tratteggio.
Dopo essere scoscesa, essa ricoprirà la primitiva superficie del suolo.

4. I crolli di roccia sono fenomeni di tutt'altra natura, che si manifestano al piede di tutte le pareti rocciose e di tutte le masse strapiombanti, tanto in montagna, quantoin riva al mare (fig. 21. Le rocce, siano esse calcaree, arenarie o specie cristalline come il granito, sono sempre fessurate e le fessure possono avere dimensioni assai varie, da visibili ad occhio nudo - dette diaclà si - a percettibili unicamente con la lente o il microscopio, nel qual caso si chiamano microfessure. In tutti i casi esse sono vienaturali di passaggio per l'acqua; in inverno, la trasformazione dell'acqua in ghiaccio con aumento di volume esercita un'azione di cuneo, allontana i blocchi fra loro eli dissocia; ed a primavera, alla fusione del ghiaccio, si assiste alla caduta di masse più o meno importanti di blocchi, che si accumulano al piede delle pareti. Questi tipi di fenomeni possono naturalmente combinarsi fra loro e ciascuna frana possiede - se esaminata nei particolari - caratteri propri; tuttavia hanno in comune una caratteristica essenziale. Sono dovute ad un'azionecombinata della gravità e dell'acqua, nella quale quest'ultima svolge una funzione fondamentale e dev'essere considerata il fattore n. i da eliminare quando si voglia rallentare o arrestare un movimento franoso.

Figura 20.
Scivolamento lungo un pendio roccioso stratificato
.
La massa instabile M scivola sulla superficie N in virtù della presenza d'acqua e spesso di argilla; dopo il franamento si forma una massa di detriti D.
In taluni casi non si ha la disgregazione della roccia, che scivola unitariamente senza dissociarsi in frammenti (cfr. fig. 24).

L'acqua svolge del resto la sua azione nefasta in modi molto diversi. Una menzione speciale dev'essere riservata ad un caso particolare, cioè alla formazione di vastecavità sotto la superficie, nelle quali il liquido si accumula e che, aprendosi, liberano bruscamente enormi quantità d'acqua per originare torrenti di fango che furono lacausa di importanti catastrofi. Fu così che l'11 luglio 1892 la città di Saint-Gervais venne distrutta a seguito della rottura di una sacca d'acqua formatasi presso la fronte ed all'interno del ghiacciaio Téte-Rousse; analogamente, nel1926, il paese di Roquebilliere nelle Alpi Marittime fu spazzato via da una colata di fango provocata dalla rottura di una sacca sotterranea formatasi per dissoluzione dimasse di roccia gessosa attraversate dalle acque d'infiltrazione.

Vi è infine un'altra categoria di movimenti superficiali da segnalare, benché essa non presenti gli stessi pericoli dei precedenti, trattandosi di movimenti lentissimi; sonoi cosiddetti 'creep'. Il movimento è limitato alla parte superiore degli strati, i quali conservano la propria orientazione in profondità .

Figura 21.
Crolli di roccia
ai piedi diuna parete.
D - diaclasi nel cui internocircola l'acqua

ALCUNI ESEMPI CARATTERISTICI.

Smottamento di materiali sciolti non consolidati.

Nel marzo del 1931 la frana del Chatelard in Savoia haprovocato la distruzione di numerosi villaggi in conseguenza del dissesto di una considerevole massa di materiali morenici.

«Il meccanismo della frana è facile da comprendere - scrive Leon Moret - Già da un anno era stato osservatoche i torrentelli delle Granges e dei Michauds, che drenavano i pascoli a monte, erano scomparsi del tutto. Leloro perdite si erano quindi infiltrate nella massa dei depositi glaciali ed erano venute ad ingrossare la falda acquifera che esisteva normalmente alla base della massastessa: quest'ultima, divenuta plastica, s'è distaccata edha preso a scivolare sugli scisti del substrate, sollecitatadalla gravità, che l'attirava irresistibilmente verso la goladei Manauds. Crepacci si formarono sulla superficie deicampi in movimento, rapidamente allargandosi al momento del disgelo fino ad inghiottire le acque di ruscellamento rese particolarmente abbondanti dall'annata piovosa».
Così «un vasto territorio di più di quaranta ettari percirca sei milioni di metri cubi e venuto giù tutt'a un tratto » causando la distruzione di molte case e trasformandosi in un vero e proprio torrente di fango e pietre fino in fondovalle.

In parte si possono far rientrare in questa categoria leimportanti frane che si verificarono nella zona di Mentonela notte dal 24 al 25 aprile 1952 e fecero 11 morti, 35 feriti e circa 800 milioni di vecchi franchi di danni. A seguito di piogge estremamente violente «le terre coltivate intrise d'acqua, trasformate in masse di fango, scivolarono sul piano inclinato della roccia in posto, mentre i muretti di sostegno delle terrazze, minati e scalzati dalle acque, cedevano anch'essi» (Bosio).

* = Preciso meglio il mio pensiero; la parola «prevedibile» è usata qui nel senso di «prevedibile tenuto conto delle sole osservazioni fatte anteriormente al Roc-des-Fiz» e non in valore assoluto. Penso invece che questo sinistro appartenga ad una categoria di tenomeni prevedibili, nella misura in cui vengano compiuti gli studi preliminari di cui si parleràpiù avanti.

2 Secondo una comunicazione del ministro degli interni RaymondMarcellin, in data 21 ottobre 1970, la relazione di questa commissionenon è stata pubblicata, diversamente da com'è avvenuto per la catastrofedi Val d'Isere (p. 106). Parecchi genitori degli ospiti del sanatorio hannoinfatti intentato causa, il che impedisce la divulgazione dei documentinel corso dell'istruttoria giudiziaria.
È infine qui che si deve parlare della catastrofe del Roc-des-Fiz. Mi limiterò ad un semplice accenno, risultato di una breve visita fatta a titolo privato sul luogo. A quanto ho potuto comprendere, si è trattato di uno smottamento del tipo «valanga di detriti», che mostrava una mescolanza eterogenea di neve, blocchi di roccia, argilla, terra ed alberi spezzati, scivolato ad ovest di una parete sulla quale afflora un complesso di terreni di età secondaria (del Cretaceo) e ricoprente la medesima serie di terreni. Mi parve evidente che il fenomeno dovesse essere stato originato da importanti infiltrazioni d'acqua, dipendenti dalle particolari condizioni atmosferiche del momento. In questo caso specifico ignoro se il fenomeno fosse prevedibile*; lo dirà la Commissione d'inchiesta ed in particolare J. Debelmas, direttore del Laboratorio di geologia dell'Università di Grenoble.
Il solo rilievo che mi permetterò di fare riguarda l'ubicazione del padiglione ovest del sanatorio, che è stato spostato dalla valanga e si è ribaltato in modo tale che mi sono chiesto se le sue fondazioni avessero mai raggiunto la roccia salda, che si riscontra un po' dappertutto nella zona, sotto la coltre di detriti e materiali diversi, coperti dalla foresta.

Scoscendimenti di masse argillose.

Ho già accennato alle frane che ordinariamente si verificano sui versanti vallivi della Meurthe e della Mosella.Le Alpi, nella regione presso Gap chiamata delle «TerresNoires», sono state sede di analoghi ma ben più importanti fenomeni; in particolare si può citare il caso dellafrana del monte Saint-Guillaume presso Embrun.

In Italia questi movimenti sono frequenti in certune regioni dell'Appennino e «danno al paesaggio un'impronta del tutto pardcolare. Queste frane si possono verificare su di un versante ed allora è un'intera porzione del pendio a slittare, oppure invece possono venir canalizzate dal letto di un torrente per formare una "lava" fangosa, paragonabile alle colate vulcaniche, che avanzano in maniera analoga» (Leon Moret).

Scivolamenti su pendii rocciosi stratificati.

Citerò qui due esempi, uno classico, quello di Goldauin Svizzera che fece 457 morti il 2 settembre 1806 in seguito allo slittamento dell'enorme massa di conglomerati terziari stratificati che formava la parte superiore del «Rorsberg», l'altro più recente, che verrà descritto più avanti come tipo di frana sottoposta a controlli scientifici, lo scivolamento del monte Toc nella valle del Vajont in Italia.

Il fenomeno prodottosi a Goldau è interessante da un duplice punto di vista, poiché, secondo A. Heim ed in base alle relazioni che si poterono raccogliere, fu preceduto da numerosi segni premonitori. «Gli abitanti della zona erano da tempo coscienti del pericolo. Da trent'anni si diceva: "Un giorno o l'altro la montagna verrà giù". I segni si moltiplicarono nel 1799, nel 1804 e 1805, annate molto umide. Anche l'inizio del 1806 fu assai umido, così come il mese di agosto. I boscaioli della montagna osservavano dei crepacci che si aprivano e si riempivano d'acqua... Si vedevano abeti inclinarsi ed abbattersi... Tutto ciò andava aumentando nel corso dell'estate del 1806. Il primo di settembre pioveva a dirotto e la mattina del 2 si potevano rilevare nuovi strappi nel terreno... Verso le 4 apparve un crepaccio particolarmente inquietante ».
Alle 4 e 30 fu la catastrofe. L'autore termina con queste parole:«c'era tutto il tempo di fuggire. Pochissimi se ne andarono via in tempo; in maggior parte attesero che fosse troppo tardi. Tutti avrebbero potuto salvarsi! perché nonfu così? Nessuna frana cade d'improvviso, tutte si fanno annunciare da certi segni e qualche volta l'intensificazione dei segnali prepara l'avvicinarsi della catastrofe».

Crolli di roccia.

La Savoia fornisce ancora un celebre esempio di frana, quello del colle del Derochoir sopra Servoz, «che sparpagliò in tre riprese nella valle dell'Arve la parete di calcari urgoniani* della catena dei Fiz e diede a questa regione la sua fisionomia così curiosa» (L. Moret). De Saussure riproduce nei suoi Voyages dans les Alpes il racconto del fenomeno che ebbe luogo nel 1751, comegli fu fatto per lettera da Vitaliano Donati:

«Il grande roccione che è caduto quest'anno era rimasto privo di appoggio e fortemente aggettante... Sulla sommità della montagna si trovavano tre laghi, le cuiacque penetravano in continuazione nelle fessure deglistrati, separandoli e decomponendone i supporti. La neve, che quest'anno è caduta in Savoia in così grande abbondanza che a memoria d'uomo non se n'era mai vistatanta, fece aumentare lo sforzo e tutte queste acque riunite produssero la caduta di tre milioni di tese cubichedi roccia, volume che da solo basterebbe per formare unagrande montagna ».
Sempre alla stessa categoria appartiene il sinistro verificatosi in Svizzera, ai Diablerets, nel 17146 successivamente nel 1749; la frana fu di circa 50 milioni di metri cubi.

* = Piano geologico del sistema cretaceo dell'era secondaria, così chiamato dalla località di Orgon.

CAPITOLO TERZO

I SEGNI PREMONITORI.

Con l'esame di queste manifestazioni ci si avvicina alproblema capitale della previsione del pericolo. Quelloche si conosce a questo proposito deriva naturalmentedalle informazioni che si sono potute raccogliere sullasuccessione dei fatti, caso per caso e prima della frana.

Per le catastrofi antiche bisogna anzitutto riconoscere che la documentazione è di valore molto disuguale e che il più delle volte si dispone soltanto di una relazionesulla frana in sè, senza alcun particolare su quanto era successo in precedenza. Purtuttavia A. Heim, spintosi molto avanti nelle ricerche, ha dedicato un capitolo delsuo libro «ai segni premonitori avvertiti, ma trascurati».
Riferisce quindi su tali segni per una serie di catastrofi talvolta anche molto antiche.

- nel 1854: crollo di roccia a Corbeyrier e Yvorne.Scricchiolii nel terreno uditi per cinque giorni: 328morti.

- nel 1618: crollo a Plurs im Bergell. Da dieci annierano state constatate delle fessure. Alcuni cronistiriferiscono che erano stati intesi dei rumori inquietanti dieci ore prima della frana.

- nel 1714: ai Diablerets. Rumori sotterranei continui, diverse ore prima della caduta, che fece 18 morti.
Nella stessa zona, nel 1749, stessi segni, ma gliabitanti, resi più prudenti, abbandonarono il luogoprima.

L'autore si diffonde in seguito sul caso già citato diGoldau, poi sulla frana di Elm nel 1881, ugualmentepreceduta da segni non equivoci, ed infine affronta quella che chiamerò la fase delle misure precise, con i franamenti di Horgen del 1875 e di Zug nel 1887, i cui spostamenti furono misurati. Successivamente sono entratesempre più in uso le misure topografiche, cioè lo studiodella velocità di movimento di caposaldi sottoposti a controllo; esse permettono infatti di determinare la leggeche governa il movimento ed anche di prevedere quelloche deve succedere.
Il principio del metodo è molto semplice. Si infiggesulla massa sospetta di terra o di roccia una serie di picchetti, dei quali si determina periodicamente la posizione mediante procedimenti topografici classici; le misuredevono essere eseguite con grande precisione, dato cheagli inizi del movimento gli spostamenti - in valore edin direzione - che si possono registrare possono esseredell'ordine di grandezza di appena un millimetro al giorno, e anche inferiori.

A puro titolo di esempio, se gli spostamenti registratisuccessivamente ad intervalli uguali di tempo fossero,mettiamo, 5 mm, 4 mm, 3 mm, eccetera, cioè decrescenti, ilfenomeno non e preoccupante; vi è un assestamento etutto poi si ferma.
Se si misurano 5 mm, 6 mm, 7 mm, 8 mm, eccetera, cioè uno spostamento uguale per ogni unità di tempo prescelta, significa che il movimento avviene in modo continuo secondo la legge detta lineare; bisogna vigilare, ma non v'è rischio immediato (retta AB in fig. 22).

Figura 22.
Costruzione dei diagrammi di spostamento
dei caposaldi posti sulterreno in movimento.
In ascissa gli intervalli di tempo fra una misura e l'altra.
In ordinata le lunghezze degli spostamenti.

Se invece si misurano 5, 7, 10, 14, 19, 25 mm, eccetera,se cioè si ha aumento degli spostamenti, la curva AC chetali spostamenti esprime s'incurva verso l'alto perché ilmovimento accelera; quando essa si avvicinerà alla verticalità, la velocità sarà altissima e la caduta imminente, in un momento prossimo a t.

Esempi di movimenti franosi misurati.

Il primo franamento prescelto e quello del Kilchenstock presso Linthal (cantone di Glarona), descritto con precisione da A. Heim. Il massiccio scistoso di Linthalera conosciuto da tempo per numerose cadute di blocchi, quando nel 1926 apparvero varie fessure sul fianco della montagna; il sottoprefetto di Glarona decise d'incaricare un ingegnere del Servizio topografico federale di studiare gli spostamenti di venticinque punti, in ampiezza ed in direzione, mediante controlli semestrali.

* = Il lavoro di A. Heim parla di una frana imminente ma purtropponon ne fornisce la data. Ulteriori studi dimostrarono che si trattava perfortuna solo di uno scorrimento superficiale, che poté essere arrestatocon opere di sostegno (informazioni avute in corso di stampa, per la cortesia del professor J. P. Stucky di Losanna e del Service federal desroutes et des digues).
I risultati delle misure fatte su quattro di questi punti, dal 1928 al 1932, sono riprodotti nella figura 23 *.

Il secondo esempio per il quale si dispone di una documentazione ancor più completa e quello del movimento del monte Toc, conclusosi con la caduta in pochi minuti di 300 milioni di metri cubi di roccia nel serbatoiodel Vajont in Italia, il 9 ottobre 1963, facendo quasi 2.000 vittime.

La valle del torrente Vajont, situata ad un centinaio dichilometri a nord di Venezia, sbocca da est nella pianura alluvionale del fiume Piave per mezzo di una gola profonda più di 200 m; fu ben presto considerata una sedeeccezionale per realizzare un impianto idroelettrico, grazie ad una diga che chiudesse quella gola.

Già nel 1928 il professor Giorgio Dal Piaz, uno del maggiori geologi italiani dell'epoca, era stato incaricato di eseguire gli studi preliminari a tale realizzazione. A un certopunto ci si accorse che sul fianco sud della vallata, cioèsulla sinistra del Vajont, si dovevano temere delle franee le relazioni si accumularono; nondimeno la diga fu costruita e si diede inizio al riempimento del serbatoio.

Geologicamente, la situazione era la seguente: un substrato di calcare massiccio del Giurassico medio affiorava estesamente nella gola, sopportando un complesso calcareo e marnoso a strati più sottili, anche pieghettati, delGiurassico superiore e del Cretaceo. L'insieme era percorso da acque sotterranee, alle quali era venuta ad aggiungersi l'azione delle variazioni di livello del serbatoio,che bagnava il piede della massa franosa.

Figura 23.
Frana del Kilchenstock.

In alto a sinistra, carta con il limite dellazona in movimento, la posizione delle crepe
e l'ubicazione dei caposaldi i cui spostamenti sono rappresentati nel diagramma.
Inascissa gli anni e i mesi; in ordinata gli spostamenti in metri.
(DaA. Heim).

Quando l'acqua cominciò a salire nel lago, non si tardò a constatare un'accelerazione dello scorrimento delversante del monte Toc. Le osservazioni si intensificarono, vennero fatti dei sondaggi ed apparve ben presto chela massa in movimento riposava sul calcare massiccio tramite una superficie «a forma di sedile» (fig. 24); il movimento era incontestabilmente favorito dall'esistenza diletti argillosi.

Figura 24.
Ricostruzione spaziale dello scorrimento del monte Toc
nella valledel Vajont;
la superficie di scorrimento è raffigurata nella sezionesuperiore, mediante linea tratteggiata.
La massa franata praticamente non si è suddivisa in frammenti ed
è risalita di molto sulla sponda destra del Vajont.
(Da R. Selli - L. Trevisan).

Nel novembre del 1960 si verificò una prima frana di700.000 m3 ed ebbe per conseguenza la formazione diun'onda di 10 m d'altezza che s'infranse contro la diga.

A partire da quel momento le osservazioni raddoppiarono d'intensità, furono collocati altri caposaldi ed il loro spostamento accuratamente controllato. Le figure 25e 26 rendono conto della situazione e mostrano in particolare una considerevole accelerazione dei fenomeni nei mesi che precedettero la catastrofe. Alla fine le curve presero un andamento veramente esponenziale, prova evidente dell'incremento di velocità del moto di scivolamento. Per ragioni cui si fara cenno più avanti, non fu presa purtroppo alcuna misura di salvaguardia nei confronti della popolazione. Mi limiterò qui alla conclusione che si poteva normalmente trarre dallo studio molto minuzioso che era stato fatto: la data della catastrofe era veramente scritta nei diagrammi degli spostamenti, il che dimostra l'incontestabile validità di questo metodo d'indagine dal punto di vista della previsione delle frane.

Figura 26.
Frana del monte Toc
nella valle del Vajont.
Diagramma degli spostamenti orizzontali dei caposaldi ubicati come indicate nella figura 25;
in ascissa, i mesi e gli anni; in ordinata a sinistra, gli spostamenti in centimetri.
La curva a trattini rappresenta il livello diriempimento del serbatoio, la cui altitudine è indicata in metri inordinata a destra.
La catastrofe è avvenuta il 9 ottobre 1963, dunque nei momento incui le curve tendevano a farsi verticali, cioè ad indicare un valoreinfinito della velocità.

Si potrebbero qui citare diecine di altri esempi di studi metodici dei movimenti franosi, tanto in Europa, quanto in America o in altre parti del mondo; questa tecnica è ugualmente impiegata per controllare i cedimenti che si possono verificare nei lavori sotterranei. Si tratta dunque, ormai, di un procedimento di valore sperimentato, il quale conferma in pieno quanto A. Heim aveva scritto nei 1932, guidato più dal proprio intuito di geologo di campagna che dai risultati delle misure eseguite a quel tempo:
«Nessuna frana si produce da un minuto all'altro. Un simile comportamento è impossibile per una montagna. Tutte le frane devono invece aver origine in qualche parte a seguito di una rottura d'equilibrio. La forza di gravità mette in moto il fenomeno; la coesione e l'attrito interno frenano il movimento. Le separazioni, le pressioni, gli strappi devono aumentare, intensificarsi, estendersi. Più importante è la massa che vorrebbe distaccarsi, più lungo è il tempo necessario alla partenza. Per gliscorrimenti importanti, la preparazione non dura settimane, ma mesi, anni, diecine di anni e talvolta secoli». E più avanti: «Tutto si sviluppa con impercettibili transizioni»; e «l'accelerazione domina i fenomeni al momento della caduta».
La medesima opinione è espressa in termini altrettanto chiari da uno studioso autorevole qual'è Robert F. Legget, direttore del dipartimento delle ricerche sulle costruzioni al Consiglio nazionale delle ricerche di Ottawa:
«L'instabilità nelle frane di scorrimento non si manifesta mai improvvisamente (ad eccezione di quelle provocate dai terremoti); il movimento che viene osservatoè semplicemente l'indicazione che un punto critico è state superato. Quindi dovrebbe essere possibile prevederenumerose frane se si facessero delle indagini preliminari,il che significa che lo studio geologico locale dev'essereeseguito con particolare cura».

CONCLUSIONI PRATICHE SULLE FRANE DI SCORRIMENTO IN SENSO AMPIO; LA PREVISIONE.

- Gli scorrimenti, cioè i fenomeni appartenenti alle prime tre categorie prese in considerazione, sono fenomeni quasi sempre prevedibili, a condizione però che non ci si limiti ad un esame superficiale senza eseguire delle misure, esame che per la maggior parte del tempo trascorso non può condurre a nulla di indicativo.

- Le zone in cui essi sono in grado di prodursi possono essere individuate senza grande difficoltà da un buon geologo, che sia abituato alle osservazioni sul terreno e conosca bene i differenti tipi di morfologia dei rilievi montuosi.

- I fattori determinanti le frane di scorrimento sono la gravità e l'acqua. L'uomo non può certamente mandare la gravità in vacanza, come diceva spiritosamente un geologo inglese; può tuttavia far molto control'azione dell'acqua. In molti casi, grazie alla captazione delle venute d'acqua a monte di una zona in frana o al drenaggio a mezzo di gallerie o altri accorgimenti similari, si è riusciti a stabilizzare o a rallentare molti movimenti franosi. Tale fu il caso in particolare di non poche vie di comunicazione (ferrovie e strade), il cui tracciato non poteva evitare zone argillose in movimento - punti di passaggio obbligato - che si sono dovute stabilizzare con mezzi artificiali. A titolo di esempio, i complessi lavori eseguiti dagli inglesi per stabilizzare periodicamente la ferrovia che costeggia il mare ai piedi delle scogliere di Folkestone sono dei classici e descritti nella maggiorparte dei testi destinati alla formazione degli ingegneri. Q. Zaruba e V. Mencl citano analogamente nel loro libro lavori dello stesso genere realizzati nell'Europa centrale.
Si tratta infatti di interventi correnti, che si inseriscono meglio nel quadro di quelleche si possono definire le abituali servitu' impostedalla natura, piuttosto che nel quadro delle grandi catastrofi.

- Certi pendii si possono anche stabilizzare mediante piantagione di alberi e tutti conoscono l'importantissima funzione svolta dal rimboschimento nella lottacontro l'erosione. Ma sussiste a questo proposito una condizione, per quanto elementare, da rispettare nella stabilizzazione dei versanti mediante gli alberi.È illustrata nella figura 27 e talvolta viene misconosciuta. Gli alberi non fissano la massa suscettibile di franare se non nella misura in cui le loro radici attraversino la massa stessa e si aggrappino al substrato di terreno resistente; altrimenti, lo slittamento originato dalla circolazione idrica lungo il limite «terreno mobile - terreno stabile» porterà via anche gli alberi. Il solo ruolo che avranno svolto sarà stato di proteggere la superficie della zona instabile dall'erosione superficiale, ma non quello di renderla inamovibile.

- Quando questi mezzi si dimostrino inefficaci, conviene allora prendere le misure di salvaguardia necessarie, misure che possono arrivare fino allo sgomberodella popolazione, se la zona in pericolo è abitata. Atale proposito non sarà mai eccessivo insistere sulfatto che lo sgombero degli abitanti dev'essere fatto sufficientemente presto. L'accelerazione brutale del fenomeno nella sua fase finale è una delle sueprincipali caratteristiche. Tutto può concludersi inun lampo, in maniera fulminea. La storia delle franeè purtroppo ricca di esempi di popolazioni che hanno aspettato troppo o sono state prevenute troppo tardi, rimanendo vittime di un fenomeno che la voce pubblica chiama istantaneo perché tale è spesso l'apparenza, ma che si preparava già da settimane o anche da anni. Ritorneremo più avanti su questo aspetto umano delle cose (pp. 174 e sgg.).

Figura 27.
Efficacia degli alberi
nellastabilizzazione di terreni franosi;
l'albero A partecipaunicamente al consolidamento della massa instabile, il cuiscivolamento permane possibile lungo la superficie N.
Solo l'albero B, le cui radici sono ancorate al substrate stabile, partecipa alla fissazionedella coltre di terreno cheminaccia di franare

IL CASO DEI CROLLI DI ROCCIA.

La quarta categoria di fenomeni esaminata in questocapitolo, quella dei crolli di roccia, pone agli uomini unproblema assai diverso. Ho indicate brevemente qualesia la loro principale origine: costante presenza di fessurepiu o meno importanti, nelle quali l'acqua circola e separai blocchi, per effetto dell'azione del gelo accoppiata, naturalmente, a quella della gravita. Il fenomeno può inoltrevenire accelerato se l'erosione marina o torrentizia - come pure una causa artificiale quale può essere l'aperturadi una cava - genera uno scalzamento alla base, donde unpericoloso strapiombo che favorisce la caduta.

Ragionando in assoluto si può certo dire che le franedi crollo sono, come quelle di scivolamento, dei fenomeniprevedibili; un'osservazione minuziosa ed attenta di tutti i casi possibili, un metro per volta, un giorno dopo l'altro, permetterebbe senza dubbio di prevedere la cadutadi questa o quella massa rocciosa.

* = Queste idee sono già state affacciate da varie personalità al momento della catastrofe del Roc-des-Fiz.
È semplicemente spiacevole che sianostati confusi dei fenomeni completamente diversi ed assimilato una frana di scorrimento, che sarebbe stata prevedibile se molto tempo primafossero stati effettuati i necessari esami, ad un crollo di roccia al piededi una parete.
Tuttavia, sul piano pratico e per ragioni di buon senso,le cose non stanno così. Non si può infatti immaginareche si possano tenere sotto osservazione in permanenzatutte le pareti delle montagne o tutte le scogliere in rivaal mare*. In altri termini, dal punto di vista della vita ditutti i giorni, la caduta di blocchi o di pietre in alta montagna nonché i crolli importanti nella zona delle alte cime devono essere considerati fenomeni imprevedibili.Tutto quello che si può fare è di diffidare di certe zone; quanti hanno pratica di montagna lo sanno e conosconoperfettamente il rischio che corrono nell'attraversare certi canaloni.

Che fare invece nelle zone correntemente occupate dall'uomo?
Purtroppo non è possibile ricorrere ad un metodo efficace come per le frane di scorrimento. La cosa migliore mi sembra quella di fare ricorso all'osservazione attenta e ragionata di buoni geologi di montagna, che sapranno discernere in ogni caso particolare le zone veramente pericolose, dove non si deve costruire, ed anche le zone in cui non si sarebbe mai dovuto costruire. E qui si ritrova lo stesso problema già incontrato per le alluvioni ed i terremoti: si devono ripetere domani gli stessi errori di ieri?

CHE FARE IN AVVENIRE?

La domanda che ci poniamo - ed alla quale attendiamocon ansia una risposta - tocca evidentemente la questioneessenziale, poiché si tratta anzitutto di prevenire nuovecatastrofi.

La mia risposta sarà immediata e so che la mia opinione e largamente condivisa da tutti i miei colleghi geologi.
La prima cosa da realizzare è una carta di tutte le zone soggette a franare e a maggior ragione di quelle già pericolose per movimenti franosi in atto o per rischio dicrolli da pareti rocciose. Fare ciò è urgente e la priorità dev'essere data a tuttequelle zone di montagna in cui sono previsti nuovi impianti o nuovi insediamenti umani.Questo compito preminente può venire assolto anchesubito. Basta che il governo ne dia l'ordine ad un organismo specializzato che già esiste: il Service geologique national, recentemente riorganizzato, il quale ormai dipende dal Bureau de Recherches geologiques et minieres(BRGM). L'esecuzione delle carte sarà tanto più rapidaquanto maggiore il numero di rilevatori impiegati; ciòimplica quindi che il Servizio geologico riceva i mezzi finanziari necessari per svolgere questa nuova missione. Si può del resto far notare che la realizzazione di tali carte non è poi una novità; in altri paesi sono già state rilevate,per esempio in Cecoslovacchia già da diversi anni.

Ottenuta la documentazione cartografica, sarà allora facile preparare un piano d'urgenza per un esame più attento delle zone in cui sono già da adesso previsti degli insediamenti. Purtroppo forse alcune zone si dovranno eliminare immediatamente e ciò non dispiaccia agli autori dei progetti; in altri casi si dovrà procedere ad una sorveglianza minuziosa ed alla collocazione di caposaldi, per un tempo più o meno lungo, senza mai trascurare gli accorgimenti per ottenere il massimo di sicurezza. Si può stabilire come linea di principio che ormai tutti i nuovi programmi debbano essere subordinati a tale tipo di inchiesta scientifica, la quale sola permetterà di dire quello che si può fare. Certo, questo presuppone un innegabile cambiamento di mentalità, ma bisogna pure scegliere: o così, o nuove sciagure.

A coloro che obbietteranno che questi studi «costeranno cari» e ritarderanno i lavori, domanderò semplicemente di mettere a confronto il costo delle ricerche preliminari anteriori alle costruzioni e il costo delle catastrofi - vite umane a parte. Questo aspetto del problema verrà esaminato a proposito di sciagure vissute da chi scrive(p. 124); si sappia fin d'ora che non esiste alcuna dimensione comune fra il costo dei lavori preventivi e quello di una catastrofe.

Vi è da ultimo da considerare il problema degli edifici già costruiti in zone infide; penso immediatamente ai vari sanatori e alberghi dell'altopiano di Assy, ammirevolmente situati quanto ad esposizione al sole, ma posti purtroppo su un terreno già a prima vista mediocre. Questo fatto esigerà per forza che si studino minuziosamente i casi particolari e forse occorrerà abbandonare alcuni edifici già ultimati. Anche qui bisogna saper scegliere; e la decisione spetta agli uomini che detengono l'autorità.

Comunque una soluzione s'impone; allo stato attuale di sviluppo delle scienze geologiche, dopo i progressi realizzati da una ventina d'anni nel campo della meccanica delle terre e più di recente in quello della meccanica delle rocce, non si può più discutere quale metodo si debba impiegare. È semplicemente deplorevole che in Francia i pubblici poteri non ne abbiano avuto coscienza prima di adesso.

Questo non vuole naturalmente significare che nel mio paese non sia stato fatto nulla per prevenire o stabilizzare i movimenti franosi. Il Service des Eaux et Forêts, di cui è ben nota l'opera considerevole di rimboschimento e di lotta contro l'erosione, s'è più volte dedicato a questo problema e la sua azione in campo locale è risultata efficace. Lo stesso può dirsi per il Service des Ponts et Chaussées, il quale molto spesso ha eseguito con successo importanti interventi per la sistemazione di strade; e la SNCF per la protezione delle ferrovie, o l'EDF per quella degli impianti elettrici hanno avuto modo di conoscere i medesimi problemi. Ma tutto ciò e stato fatto senza sufficiente coordinamento; e siccome rimangono vasti spazi sui quali né le Eaux et Forêts, né i Ponts et Chausséeshanno autorità, in molte zone nessuno si preoccupa di quello che può succedere; il seguito si può ben immaginare.

Al giorno d'oggi la sistemazione del territorio è divenuta - almeno in teoria - una realtà come lo è del resto quel vasto insieme di problemi chiamato ecologia o tutela dell'ambiente. Il momento e venuto, dunque - ora o mai più - di passare all'azione.

Le frane in Italia.

Con appena il 21% del territorio costituito da pianura, contro il 40% di collina e il 39% di montagna, con rilievi frequentemente argillosi, specie nella parte peninsulare ed in Sicilia, l'Italia detiene un triste primato europeo, quello della franosità.

Un'inchiesta condotta nel 1957 dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici aveva accertato l'esistenza di 1.987 frane in atto. Nel 1963 erano salite a 2.685. Nel 1970, dopo una nuova serie di rilevanti fenomeni idrometeorici, le frane in atto furono valutate non meno di 3.000, estese su una superficie di circa 150.000 ettari. È lo 0,5% dell'intera superficie nazionale, come valore medio, ma in Campania si raggiunge una punta del 2,4% e in Sicilia dell'1,3%. « Queste cifre - riporta la relazione della Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo - sono sicuramente e di molto inferiori alla realtà.
Si rendono ancora più impressionanti se si considera il generale aumento demografico, l'intensificazione dell'edilizia e degli insediamenti industriali, nonché lo sviluppo lineare delle vie di comunicazione che inevitabilmente attraversano anche i territori soggetti a frane ».

E la predetta commissione, constatato che la nuova inchiesta sulle frane da essa promossa aveva dato risultati inutilizzabili ai fini di un più precise censimento ed incomprensibili perché gli uffici periferici interpellati, del genio civile e del corpo forestale, hanno personale insufficiente e non specializzato nel settore geologico, vistosi per di più negare il finanziamento per studiare almeno 4 bacini-pilota (in Friuli, Romagna, Toscana e Campania), non poté fare altro che raccomandare un futuro potenziamento dei servizi geologici dello Stato.

Benché le Università sfornino ogni anno centinaia di laureati inscienze geologiche, destinati purtroppo quasi tutti al sottoproletariato intellettuale, malgrado gli sforzi, necessariamente scoordinati, per organizzare una difesa del suolo che vengono abbozzati dagli enti più svariati (Consiglio nazionale delle ricerche, alcune regioni, province, comuni, la Cassa per il Mezzogiorno e perfino alcune camere di commercio), lo Stato, invece, che pur dispone diun Servizio geologico alle dipendenze del Ministero dell'Industria,con appena 7 specialisti addetti all'intero settore della geologiaapplicata, ha pensato bene di ridurli a 5!

Così ci difendiamo da calamità che erodono una cospicua fetta del prodotto nazionale e si potrebbero invece sempre prevedere, prevenire o contrastare. Frattanto i fenomeni franosi in Italia si vanno intensificando con progressione spaventevole, grazie allo sviluppo (?) ed al progresso (?) delle attività umane.

CAPITOLO IV.

LE VALANGHE

Con lo studio delle valanghe si affronta un tipo di fenomeni del tutto diverse da quelli fin qui esaminati.

Nel caso delle alluvioni la preparazione del fenomeno dura un minimo di alcune ore e più spesso vari giorni; la fase parossistica può sembrare improvvisa, purtuttavia l'onda si sposta con velocità finita ed in certa misura si ha il tempo di «vederla arrivare».

I terremoti appartengono ad un regno a parte, quello delle profondità della crosta terrestre; la loro preparazione è certo lenta e dura degli anni, ma il risveglio è subitaneo, imprevedibile.

Le frane hanno all'apparenza molte somiglianze con le valanghe, ma l'evoluzione del fenomeno prima del distacco definitivo è in genere molto lenta, come abbiamo visto,e questo ha il benefico effetto di facilitare la previsione dell'evento.

Al contrario, per le valanghe tutto si svolge rapidamente, sia la preparazione, sia la caduta. Per questo motivo il loro studio costituisce un settore a parte e si integra perfettamente nel quadro di una scienza di recente sviluppo, e la cui importanza appare ogni giorno maggiore, la glaciologia.

Nozioni fondamentali.

Anzi tutto una definizione: una valanga è una massa di neve che si mette in movimento in modo repentino a seguito di una rottura d'equilibrio e che perviene rapidamente ad una velocità elevatissima per l'effetto combinato dellagravità e dello scarso attrito. Si distinguono due grandi categorie di valanghe: quelle di superficie, che interessano unicamente lo strato superiore della coltre nevosa, e quelle di fondo, le quali trascinano ogni cosa al loro passaggio e lasciano nudo il terreno.

Nel quadro così delineato si inseriscono varie categorie di valanghe che differiscono fra loro per la qualità della neve che si mette in movimento (G. Rebuffat):

- le valanghe di neve farinosa, velocissime ed accompagnate da un frastuono assordante, che si verificano d'inverno dopo una caduta di neve fresca;

- le valanghe di neve fresca umida, caratteristiche dei periodi in cui spira un vento caldo. Meno rapide delle precedenti, esse rotolano invece di volare vorticosamente;

- le valanghe di neve bagnata, frequenti specialmente di primavera e di preferenza come valanghe di fondo. È uno dei tipi meglio prevedibili, poiché seguono per di più sempre le medesime traiettorie. Possiedono velocità relativamente ridotta, ma una forza distruttiva considerevole;

- le valanghe di placche, dovute allo slittamento di masse nevose consolidate in superficie ma non aderenti al sottostante manto nevoso;

- le valanghe di cornice, frequenti soprattutto in inverno ed in primavera nei periodi in cui la neve non è consolidata;

- infine, per estensione del termine, le valanghe di seracchi, che corrispondono a tutt'altro fenomeno - la caduta di blocchi alla fronte di un ghiacciaio - e fisicamente più prossime ai crolli di roccia che alle valanghe propriamente dette.

LA PREVISIONE DELLE VALANGHE.

1 Il funzionamento dell'Istituto ed i risultati ottenuti sono stati oggetto di una Relazione generale presentata dal governo svizzero (Ispettorato federale delle foreste, caccia e pesca) nel corso delle giornate distudi organizzate congiuntamente dalla Direzione generale delle acque eforeste di Francia e dalla Direzione della divisione foreste della FAO dal28 giugno all'8 luglio 1952, lungo un itinerario esteso da Nizza ad Evian.

2 Dovuta alla collaborazione di R. Haefeli, H. Bader, O. Eckel, J.Thams ed E. Bucher.
Piu ancora che per gli altri fenomeni naturali, per levalanghe il problema n. 1 è quello della prevedibilità, anche a causa della rapidità dell'evento. Ma nulla è possibile prevedere se non si sa in quali condizioni vengano acooperare i fattori che le innescano; e siccome sembra siain Svizzera che gli studi sull'argomento sono più progrediti, mi è parso che una buona presentazione del tema potesse essere rappresentata da una breve rassegna dei lavori eseguiti dall'Istituto federale per lo studio della nevee delle valanghe, sorto al Weissfluhjoch nel 1943 (1).

La nascita di questo organismo si inserisce nel quadro degli importanti lavori eseguiti da moltissimo tempo dagli scienziati svizzeri e che condussero a quel tempo aliapubblicazione di una prima importantissima opera collettiva, intitolata Der Schnee und seine Metamorphose (2); la sua creazione fu naturalmente influenzata anche dallacrescente importanza degli sport invernali.

Il compito da assolvere era stato definito nel modo più preciso: «studiare le misure più efficaci e più economicbe per combattere le valanghe ».A tal fine vennero specificati i principali temi di ricerca, il cui elenco indica l'importanza dei fattori capaci di determinare e provocare il fenomeno.
Anzitutto i fattori della nascita e della formazione delle valanghe:

- clima della zona di formazione, cioè condizioni meteorologiche dominanti nella zona stessa, che nelle Alpi sta fra i 1.500 ed i 3.000 m d'altitudine;

- accumulo della neve nelle regioni di montagna ed in particolare sotto l'influenza combinata del rilievo e del vento;

- composizione del manto nevoso, fattore di capitale importanza poiché il tipo di valanga dipende dalla natura della neve accumulata e dalle trasformazioni da essa subite successivamente alla caduta, secondo quella che si chiama la metamorfosi della neve;

- caratteristiche meccaniche della neve, quali la densità (molto importante per le enormi differenze fra un tipo e l'altro di neve), la plasticità e l'elasticita, da cui dipendono gli attriti e quindi la velocità di caduta;

- l'«economia termica» del manto nevoso, cioè la suaconducibilità, che condiziona tanto gli scambi di calore con l'atmosfera, quanto l'influenza dell'irraggiamento solare sulla coltre di neve;

- comportamento dei manti nevosi inclinati, dal quale dipende per esempio la formazione delle valanghe in placche/lastroni.

Sono presi in esame ugualmente una serie di argomenti meno direttamente connessi alla nascita delle valanghe,seppure importanti, nonché, naturalmente, le misure diprevenzione. Essi sono:
- gli effetti meccanici delle valanghe, per esempio sotto forma di pressione continua su certe costruzioni antivalanga; la funzione degli alberi, le azioni erosivesul suolo e naturalmente anche tutti gli effetti dinamici (velocità, energia, aspetti aerodinamici, resistenza delle costruzioni agli urti, eccetera);

- lo studio documentario e statistico della formazione delle valanghe e la stima della loro pericolosita (rilevamento e trasposizione su carte, confronto fra i diversi tipi ed i relativi effetti);

- infine, i servizi di salvataggio (comportamento degli uomini in caso di pericolo di valanghe, ricerca di persone sepolte, organizzazione dei servizi di salvataggio).

Per svolgere il proprio compito, l'Istituto dispone dipotenti mezzi ed in primo luogo di laboratori attrezzatiper ogni tipo di ricerca sulla neve ed in particolare di laboratori frigoriferi in cui si effettuano lavori di cristallografia sul ghiaccio onde conoscere le condizioni di trasformazione della neve fresca in fiocchi in neve granularecompatta (la metamorfosi della neve).Dispone inoltre di 40 stazioni di osservazione situatefra 1200 e 1800 m d'altitudine, nelle quali si precede ognigiorno ad una serie di osservazioni sullo spessore dellaneve e sulla sua natura, sulle condizioni meteorologiche,eccetera.
I lavori eseguiti hanno condotto alla seguente importante conclusione: Una previsione delle valanghe precisanel tempo e nel luogo non è possibile. Occorrerebbe inparticolare la conoscenza esatta ed istantanea delle condizioni della neve su ciascun pendio nonché delle condizioni meteorologiche locali. Comunque l'Istituto è in grado di diffondere le informazioni sulla situazione generaledelle valanghe e sulla tendenza alla loro formazione, basate essenzialmente sulla composizione del manto nevoso(sotto forma di sezione completa) e sulle previsioni meteorologiche.

Sul piano pratico, questo si traduce nella regolare diramazione tutti i venerdì, da dicembre ad aprile, ed anche più di frequente, se necessario, di un bollettino dellevalanghe. Il bollettino distingue regione per regione «lecondizioni della neve e del tempo che hanno influenza sulla formazione di valanghe, nonché il genere, l'ampiezza ela localizzazione del pericolo momentaneo». Talora contiene anche raccomandazioni sulle indispensabili misure diprotezione.Riassumiamo brevemente in una frase questa presentazione dello sforzo considerevole realizzato dal governosvizzero, sforzo che può ben essere citato ad esempio.«Non esistono rimedi miracolosi e nessuno può prevedereesattamente quello che succederà; però, vi è modo didare l'allarme quando si verifichino le condizioni favorevoli per cui le valanghe divengono possibili, se non sicure».

In pratica, in tutti i paesi di montagna e specialmentein tutte le stazioni di sport invernali deve dunque esistere un responsabile del servizio valanghe, in grado di interpretare i bollettini ed abilitato a fornire le necessarieistruzioni; l'osservanza di tali istruzioni e tanto più imperativa in quanto, se la nascita delle valanghe presupponesi realizzino dapprima condizioni particolari d'innevamento, l'insorgere del fenomeno in se, cioè il fattore cherompe uno stato d'equilibrio altamente instabile, può spesso essere rappresentato - oltre che da cause naturalicome il vento - da un agente artificiale: il passaggio diuno sciatore, un rumore insolito, eccetera.

In altri termini, oltre al divieto assoluto di transito lungo gli alvei delle valanghe, nei giorni in cui sussiste il pericolo, e altrettanto importante, se non di più, proibirel'accesso alle zone superiori di distacco della neve.

LA DIFESA PASSIVA.

Consiste anzitutto, come s'è detto or ora, nell'interdizione al passaggio e soprattutto nella proibizione di sciare nelle zone pericolose quando le circostanze lo impongano.

Inoltre consiste nell'assoluto divieto di eseguire qualsiasi costruzione nelle zone pericolose. Qui torniamo adincontrare ancora una volta la questione delle licenze edilizie, accordate purtroppo abusivamente nel passato; perl'avvenire, esamineremo quello che si potrà fare nel capitolo riservato ai problemi amministrativi.

Fatto ciò, nei casi in cui impianti o costruzioni possanoessere realizzati in zone meno pericolose, dove tuttavia levalanghe siano nondimeno possibili, esistono degli accorgimenti che permettono di evitare distruzioni al passaggio della massa nevosa. Tali possono essere per esempiole gallerie in muratura a protezione di strade e ferrovie dimontagna (in Svizzera in particolare), le quali permetteranno alla valanga di scavalcare l'ostacolo; gli speroni in muratura - molto resistenti, perché la sollecitazione èenorme - che frazioneranno la valanga o la faranno deviare; del trampolini che indurranno la neve - come nelcaso delle gallerie - a passare al di sopra delle case.

LA PROTEZIONE ATTIVA.

Si possono considerare due metodi, consistenti o nelcercare di impedire la formazione delle valanghe, o nelprovocarne la caduta al momento voluto.

Impedire le valanghe significa soprattutto creare ostacoli che blocchino in partenza la neve e non le permettano di slittare. A questo proposito, la foresta svolge un'importante funzione, tutte le volte che sia possibile impiantarla. Si possono ugualmente costruire dei muri secondole linee di livello e ad altitudini differenti, in modo dacreare delle terrazze. Sono state anche adottate con successo delle rastrelliere, costituite da ritti incastrati nel suoloe da traverse intervallate di 20-40 cm; si possono analogamente imbrigliare gli strati di neve mediante intrecci difili di ferro fissati a pali. Questi diversi sistemi sono statiusati emcacemente in tutti i paesi di montagna, Svizzera,Austria, Francia, Italia, Paesi scandinavi, eccetera; la loro collocazione implica soprattutto una questione di mezzi finanziari.

La valanga artificiale deriva da una concezione ben differente. In Svizzera vi è stato fatto ricorso talora con successo, ma ha dato anche luogo a disinganni, allorché certevalanghe così provocate hanno causato gravi danni.
Quanto al modo di procedere, esso è semplice nei suoiprincìpi; si tratta di collocare dei petardi nella zona di trazione, cioè di partenza della valanga - non senza rischioper l'operatore - oppure di tirare colpi di cannone conpezzi di piccolo calibro; ma bisogna affidarsi a questo specialissimo impiego dell'artiglieria soltanto quando sianosoddisfatte certe condizioni ben precise.

CAPITOLO QUARTO

LA SITUAZIONE IN FRANCIA.

Sfiorerò appena le questioni che investono direttamente la catastrofe di Val d'Isere.
Su questo particolare problema dispongo infatti solo di informazioni indirette, conversazioni con varie personalità degne di fede, alle quali si aggiunge la lettura del testo integrale della Relazione redatta dalla Commissione interministeriale d'inchiesta nominata dopo la sciagura, che mi è stata cortesemente trasmessa dal presidente della Commissione stessa, il prefetto Jacques Saunier, ispettore generale dell'Amministrazione al ministero degli Interni.

Sul drammatico incidente in sè mi asterrò volontriamente da ogni commento personale e mi limiterò a constatare che sembra proprio che, in buona fede, le autorità responsabili del luogo - incontestabilmente vigilanti alla data del 10 febbraio 1970 - siano state prese di sorpresa dalla valanga scatenatasi sullo chalet nel quale i giovani sportivi troVarno la morte. Il rapporto ufficiale contiene però alcune frasi, scritte nella forma ponderata in uso in tal genere di documenti, che mi pare di dover citare in quanto vengono nettamente in appoggio alle considerazioni che verranno sviluppate più avanti, in merito ai problemi amministrativi sollevati dalla prevenzione dei rischi naturali.

pag. 22: Se dunque,, nella fattispecie è tenuto conto della procedura in vigore, nulla può essere rimproverato alla municipalità di Val d'Isere in merito all'organizzazione della previsione ed all'adozione di misure di sicurezza, bisogna nondimeno constatare che la documentazione e la normativa utilizzate in materia di valanghe peccano d'insufficienza e contraddittorietà.

pag. 29: Per ciò che concerne le condizioni in cui sarebbe stata recentemente effettuata la concessione di talune licenze edilizie, la Commissione, dato il breve termine concesso per il deposito della propria relazione sulla catastrofe del 10 febbraio 1970, non ha potuto approfondirle.
Essa ha nondimeno rilevato anomalie di procedura e difetti di formulazione precisa nelle riserve espresse su alcune licenze.

pag. 32: La Commissione insiste ancora una volta sulla necessità di rivedere in maniera coordinata e approfondita la carta delle valanghe, affinché venga uf&cialmente approvata e resa operante, senza possibilità di ricorso, nei riguardi dei terzi.

Inoltre, il 10 giugno 1970, giorno in cui la relazione fu consegnata al governo, la stampa diffuse ampiamente le seguenti conclusioni, che del resto riprendono alcuni deiconcetti succitati:
Ogni comune di montagna dovrà redigere e tenere aggiornata con la massima cura una carta delle valanghe. Sarebbe augurabile che questa carta delle valanghe acquisti un valore ufficiale sul piano dipartimentale, ricevendo il visto del ministro o del prefetto, in modo che questi possa opporsi in caso di bisogno e senza discussioni all'imprenditore ed ai proprietari tutti.
In pari tempo la Commissione segnala come altri mezzi d'azione:
- una regolamentazione delle licenze edilizie;
- la prevenzione mediante una migliore informazione del pubblico;
- l'organizzazione dei soccorsi;
ed infine un aumento dei mezzi a disposizione del «Centro di studi sulla neve»
di Grenoble, che dovrebbe poter disporre in ciascun comune od in ciascun massiccio montagnoso di una stazione trasmittente con tutto il personale e l'attrezzatura necessari per permettere una migliore valutazione dei rischi.
In linea di principio, tutto è perfetto.

* Il 21 ottobre 1970 Raymond Marcellin, ministro degli interni, hadichiarato che le carte saranno redatte sotto la responsabilità del ministero dell'agricoltura e che l'Istituto geografico nazionale è stato incaricato di eseguire un primo inventario mediante l'impiego delle fotografie aeree.

Questa decisione risponde quindi in larga parte alla domandaposta, ma non infirma la necessità di un controllo permanente ulterioredelle carte in collegamento col Centro di studi da istituire.

Purtroppo, forte di una certa esperienza riguardo al passaggio all'esecuzione dei voti espressi da una Commissione, porrò le seguenti domande pratiche:

1. Chi realizzerà effettivamente le previste carte delle valanghe? Infatti dire: «Tutti i comuni dovranno redigere e tenere aggiornata con la massima cura una cartadelle valanghe » è un pio desiderio, praticamente irrealizzabile. Sarebbe invece auspicabile che al più presto possibile i prefetti dei dipartimenti interessati dessero ordini di esecuzione precisi, prendessero accordi con i sindaciper la scelta e la nomina degli specialisti qualificati e - mi si perdoni il particolare bassamente utilitario - prevedessero i crediti necessari all'operazione*.
Chi, d'altra parte, controllera la validità di queste carte?
Naturalmente, non voglio mettere in dubbio l'onestàmedia dei sindaci, ma è proprio impossibile che in certicasi la segnalazione delle valanghe nelle carte anzidettesia, diciamo, «approssimativa», non fosse altro che invista di una particolare licenza edilizia...?
Allora non sarebbe opportuno che l'organo centrale distudio previsto a Grenoble avesse un compito di supervisione su questi rilievi?

2. La seconda domanda concerne il funzionamentodel «Centro di studi sulla neve» di Grenoble, del qualeoccorre incontestabilmente aumentare i mezzi se si vuole che la sua efficienza sia all'altezza delle esigenze. Nonsi può che applaudire ad una tale intenzione, ma forseconverrebbe dapprincipio esaminare quello che esiste giàe come si possa migliorarlo, senza creare duplicati inutiliquanto costosi; infatti, se la Svizzera ha fatto uno sforzoparticolare, del resto ben comprensibile, la Francia non èrimasta inattiva, malgrado che il suo sforzo sia stato certamente troppo limitato.
Esiste anzitutto un servizio organizzato congiuntamente dalle Eaux et Forêts, la Météorologie Nationale el'EDF, che centralizza a Saint-Martin-d'Hères (Savoia) leinformazioni che giungono da una diecina di stazioni, ovevengono compiute osservazioni analoghe a quelle che sifanno nelle stazioni svizzere, informazioni che vengonopoi diffuse dai servizi di protezione civile come pure dalla radio. Si è molto discusso sulla stampa circa il funzionamento di questo servizio ma questo ha poca importanza; quale che sia stata la sua efficacia, una simile organizzazione per l'insieme delle Alpi francesi è insufficiente. Per di più, sembra che i Pirenei siano stati dimenticati.

Contemporaneamente esiste a Grenoble, sotto la direzione di Louis Lliboutry, professore alla facoltà di scienze, un Laboratorio di glaciologia dipendente dal Centrenationale de la Recherche scientifique, più orientate versoproblemi di ricerca fondamentale che verso applicazioniutilitarie.Una tale concezione delle cose - indubbiamente consona al costume amministrativo del mio paese - mi pare erronea e per di più non può che condurre ad un cattivo usodel denaro pubblico. A parte il fatto che non esistono varie categorie di neve (quella del ministero dell'Educazione nazionale, quella del ministero dell'Agricoltura, o quelle di altri organismi), sarebbe veramente sconfortante riaprire il capitolo assurdo dei setti divisori fra scienza pura e scienza applicata - cioè in questo caso, siamo franchi, dei compartimenti stagni fra ministeri gelosi delle loro prerogative.
Una soluzione mi pare dunque che s'imponga: riunirei diversi laboratori o organismi esistenti in un insiemeunico coordinato, dotato di mezzi potenti, indispensabilidata l'ampiezza del compito da assolvere. Così la Franciasarà dotata di un vero Centro nazionale di studi e ricerche sui problemi della neve, paragonabile a quello del Weissfluhjoch, ma meglio ubicato perché vicino ad una grande università e nel quale si uniranno in perfetta armonia gli sforzi di tutti.

Detto questo, poiché ormai delle buone volontà operano affinché la Francia esca, come ci auguriamo, dai vecchi schemi in materia di valanghe, non possiamo che rallegrarci del cambiamento di atmosfera; e speriamo chel'intendenza gli tenga dietro.

(Ma questa, direbbe Kipling, e un'altra storia...)

CAPITOLO QUARTO

Le catastrofi glaciali.

Anche in Italia e soprattutto nella cerchia alpina le valangherappresentano una considerevole minaccia. Ogni anno non sonosolo sciatori ed alpinisti a venire travoiti, ma anche automobilisti, segno che neppure certe strade sono sicure.

Per dare un'idea dello stato delle conoscenze sulle valanghe, ora che la montagna è spopolata ed è venuto a scarseggiare il prezioso contributo d'esperienza locale dei montanari, basterà ricordare che di recente sono stati vittime di valanghe anche repartimilitari in esercitazione. Non si è ancora pervenuti a raccogliere statistiche e rilievi cartografici accettabili, redatti con criteri uniformi, se non su scala locale. Di conseguenza, l'organizzazione della difesa dalle valanghe non può essere che frazionata e priva di coordinamento.

Un altro terribile flagello delle regioni d'alta montagna è collegato alla presenza dei ghiacciai. Lo studio approfondito del comportamento dei singoli ghiacciai - quale viene condotto da laboratori specializzati come quello di Grenoble - il sistematico controllo dei loro apparati e dell'ambiente circostante potrebbero evitare disastri che talora hanno un raggio di ripercussione di mold chilometri in direzione degli abitati di fondovalle.
L'Italia è ancora scossa dalla tragedia di Mattmark in Svizzera e dalle sue esecrabili conseguenze giudiziarie: i parenti delle vittime condannati al pagamento delle spese processuali! A Mattmark, non distante dal Monte Rosa e da Macugnaga, il 30 agosto 1965 due milioni di metri cubi di vivo ghiaccio, staccatisi dalla fronte del ghiacciaio Allalin, seppellirono i dormitori di un cantiere, situati in posizione incredibilmente esposta e già da tempo minacciati da precedenti distacchi di ghiaccio. In quel disastro morirono 88 lavoratori, quasi tutti italiani.

Si seppe poi che s'erano formate, alla base del ghiacciaio, delle sacche d'acqua in pressione, in corrispondenza delle quali non solo l'attrito del ghiaccio sulla roccia s'era annullato, ma v'era stato un incremento della spinta verso valle.
La possibilità di formazione di tali cuscini d'acqua al di sotto dei ghiacciai era stata indicata fin dal 1958 dal professor Lliboutry di Grenoble. Il loro effetto è di aumentare la velocità di scorrimento del ghiacciaio, in genere impercettibile; come la velocità aumenta, aumenta anche l'estensione dei cuscini d'acqua. È dunque un fenomeno che si autoalimenta e porta al distacco di porzioni del ghiacciaio o a sue avanzate improvvise, già osservate in Alaska, Islanda, nelle Ande cilene, in Asia centrale.

Gli accumuli d'acqua possono anche far saltare il tappo di ghiaccio, come nel caso della catastrofe di Saint-Gervais in Alta Savoia del 1892, già ricordato qui dal professor Roubault (p. 79), dove bastarono 200.000 m3 d'acqua per trascinare a valle 500.000 m3 di detriti e mietere 144 vittime; o raccogliersi a pelo libero per sbarramento temporaneo di una valle affluente ad opera di un ghiacciaio in espansione, per poi sfondare lo sbarramento, come accadde nel 1595 al ghiacciaio di Gietroz, per cui s'ebbero 160 morti in Val de Bagnes (canton Vallese), e si ripeté annualmente, fra il 1594 ed il 1606, al Rutor in Val d'Aosta, con qualche replica successiva; o ristagnare e crescere fra la fronte glaciale ed un arco morenico, destinato a presto smottare, come in Perù, dove le città di Huaraz nel 1941 e di Chavin de Huantar nel 1945 vennero distrutte in questo modo; o infine sollevarsi in ondate gigantesche da laghi periglaciali per effetto di crolli di ghiaccio sullo specchiod'acqua, come, sempre in Perù, successe con il lago Jancarurish e 2 milioni di m3 d'acqua scorsero furiosamente a valle insieme a 3 milioni di m3 di detriti, seppellendo 500 persone a Los Cedros; in tale occasione, la pila in calcestruzzo armato di un ponte, pesante 2.000 tonnellaie, fu trascinata dalla torbida per ben 20 km.

Ma la più spaventosa catastrofe glaciale è anche la più recente: il 31 maggio 1970 la città peruviana di Yungay ed i suoi 20.000 abitanti furono spazzati via da una immane velocissima ondata di fango, di oltre 40 milioni di metri cubi.

La dinamica del sinistro fu complessa e vi cooperarono svariati agenti fra quelli considerati in questo libro come suscitatori di catastrofi naturali. Anzitutto - riferisce il professor Lliboutry, che studiò il fenomeno per incarico dell'Unesco - dalla parete sommitale dello Huascaran, verso 6.500 m di quota, si staccarono, per effetto di una scossa sismica, 7 milioni di m3 di roccia e 1 milione di m3 di ghiaccio. La frana cadde sul ghiacciaio sottostante e vi scorse sopra per 3 km, portando via con sè 4 o 5 milioni di m3 di coltre nevosa. Poi infilò la valle dell'Encayoc, asportando via via una trentina di milioni di m3 di materiali terrosi, che col loro calore fusero il ghiaccio e la neve polverizzati cui si andavano mescolando. Infine si abbatté, muovendosi ormai allo stato liquido, sulla valle del Rio Shacsha, per risalire di un centinaio di metri un suo versante ed investire Yungay. Tutto si svolse in 2 o 3 minuti, fra 5.700 e 2.550 m di quota, su un tragitto di 14 km, alla velocità dell'ordine di 400 km all'ora!
Nel 1962 - ed ecco cadere l'imprevedibilità della catastrofe - la città s'era salvata da un'analoga fiumana di fango ed era stato cancellato solo il paese di Ranrahirca, in fondovalle, ma la velocità della massa fluida non aveva oltrepassato i 90 km/ora.

CAPITOLO V.

LA ROTTURA DI GRANDI DIGHE

Tra le grandi opere che l'uomo puo costruire, le dighesono certamente quelle la cui rottura è il tipo di incidente artificiale le cui conseguenze possono essere di granlunga altrettanto gravi delle catastrofi naturali.

È dunque a questo particolare problema che il presente capitolo è dedicato, essendo già inteso in partenza che la filosofia che se ne ricava - in particolare per quanto riguarda la fondamentale importanza degli studi geologici è valida per tutte le altre grandi realizzazioni che pongono l'uomo alle prese con i fenomeni naturali (gallerie, ponti, argini, eccetera). Per convincersi delle proporzioni di queste sciagure basta pensare a quello che rappresentano le dighe: edifici di altezza oggi spesso superiore ai 100 m, che trattengono a monte, sotto forma di un lago lungo talora diecinedi chilometri, una massa d'acqua che può raggiungere i 100 milioni di metri cubi ed anche molti di più.
La semplice evocazione dei nomi di alcune grandi opere che si sono rotte in passato, e del numero corrispondente delle vittime, centra immediatamente il problema:

- rottura della diga a gravità di Puentes in Spagna,presso la città di Lorca, il 30 aprile 1802: 680 vittime;

- rottura della diga in terra di Johnstown in Pennsylvania il 31 maggio 1889: più di 4.000 vittime, la maggiore sciagura che si conosca;

- catastrofe di Bouzey in Francia il 27 aprile 1895: rottura di una diga a gravità, 86 morti;

- rottura della diga di Austin, negli Stati Uniti, diga a gravità in calcestruzzo, l'11 settembre 1911: più di 100 morti;

- catastrofe del Gleno in Italia il 01 dicembre 1923; rottura di una diga a volte multiple che fece 600 vittime;

- diga a gravità di Saint-Francis in California, il 12marzo 1928; opera in calcestruzzo destinata all'alimentazione idrica di Los Angeles: più di 500 morti;

- diga di Vega de Tera presso Ribadélago (Spagna) nel1959: circa 400 vittime;

- l'ultimo grande incidente accadde in Francia; fu la catastrofe di Malpasset per cui, il 2 dicembre 1959, andò distrutta una parte della città di Fréjus e perirono 421 persone.

E poiché la conclusione delle istanze giudiziarie che sisono succedute dopo quest'ultimo dramma, ampiamentediffuse dalla stampa, è stata che non era emersa «alcunainfrazione alle regole dell'arte né alcun vizio nella concezione dell'opera e nel modo in cui i lavori vennero eseguiti», l'opinione pubblica ha il diritto di chiedersi se questa conclusione ha ben espresso la realtà delle cose ese, indipendentemente da ogni considerazione sulla fragilità delle decisioni di giustizia, la catastrofe di Malpasset debba essere considerata la conseguenza di fatti scientificamente ed effettivamente imprevedibili. Se così fosse, ci si potrebbe allora chiedere se per caso altre opere non rischino di cedere un giorno o l'altro sotto la pressione dell'acqua, cosa che non mancherebbe di provocare un panico perfettamente giustificato in regioni intere.
Basterebbe immaginare che la rottura della diga di Bort-les-Orgues causerebbe non solo la distruzione della città e di molte altre situate più a valle lungo il corso della Dordogna, ma provocherebbe inoltre un'enorme onda i cui effetti si farebbero sentire fino a Bordeaux.

Senza spingermi oltre, rassicurerò immediatamente gli abitanti di Bort-les-Orgues.
Il dramma di Malpasset, di cui mi sforzerò di presentare obbiettivamente le cause,non è stato altro, fortunatamente per le altre opere consimili, che la dolorosa conseguenza di errori umani.

CAPITOLO QUINTO

IL DRAMMA DI MALPASSET

Caratteristiche dell'opera.

La diga di Malpasset era costruita sul Reyran, affluente dell'Argens, a circa 9 km a monte di Fréjus; era del tipo a volta sottile. Questo tipo, di grande eleganza di concezione e di una solidità sperimentata, fu scelto a causa della relativa modicità del costo di costruzione in rapporto ad altri tipi di opere.

La forma della diga era d'altra parte perfettamente adatta al profilo estremamente appuntito della valle del Reyran nel punto in cui l'opera era stata impostata. Sullasponda destra essa era fortemente appoggiata alla roccia in una rientranza del rilievo; sulla sinistra, invece, l'assenza di un contrasto capace di servirle da appoggio aveva imposto la costruzione di una spalla artificiale in calcestruzzo armato, di peso giudicato sufficiente.

Le dimensioni erano le seguenti: altezza 60 m, sviluppo al coronamento 223 m, spessore della volta variabile da m 6,80 alla base della parte centrale a m 1,50 alla sommità. Recava uno scarico di fondo alla base, organo di sicurezza destinato a non essere impiegato nel corso del normale esercizio. L'acqua accumulata sarebbe servita essenzialmente al rifornimento idrico della zona costiera, come pure all'irrigazione delle colture. La capacità totale del serbatoio era di circa 50 milioni di metri cubi, dei quali 25 utili alla normale erogazione, cioè prelevabili al di sopra del livello dell'opera di presa, situata pressappoco a mezza altezza, ad una quota determinata in funzione della pendenza da dare alla condotta di distribuzione.

Circostanze della rottura.

* = I fatti e le osservazioni esposti nelle pagine che seguono risultanodai lavori successivi realizzati dalla Commissione peritale designata dalgiudice istruttore di Draguignan, poi dalla Commissione dei consulentitecnici di parte nominata su richiesta della difesa, dopo incriminazione di un ingegnere.
Ponendosi da un punto di vista strettamente scientificoe tecnico si rileva che le due commissioni sono pervenute a conclusioniche differiscono solo per un limitato numero di punti. Le loro opinionisono state convergenti per quanto riguardava le misure che si sarebberodovute prendere; vennero tuttavia a divergere quanto alla definizionedelle regole dell'arte al momento in cui vennero eseguiti i lavori.
Questo aspetto del problema verrà esaminato nell'ultimo capitolo, allorché sarà trattata la questione generale della determinazione delle responsabilità delle sciagure.
** = I turisti che transitàno sull'autostrada dell'Esterel-Costa Azzururra possono ancora oggi osservarne parecchi nella valle del Reyran, sulla destra venendo dal casello di Fréjus, di fronte al ponte e immediatamente a valle di esso.
Nelle settimane precedenti caddero in continuazione piogge torrenziali sulla regione del Var; alla stazione meteorologica di Fréjus-Saint-Raphael vennero registrati 490 mm d'acqua in due settimane, dal 19 novembre al 2 dicembre, di cui 128 mm nelle ultime 24 ore.

Verso la metà di novembre, quando il livello dell'acqua nel serbatoio si trovava a circa 7 m dal livello di massimo invaso, apparvero degli stillicìdi sulla sponda destra. Si accentuarono rapidamente al punto di divenire delle vere sorgenti a mano a mano che il livello si alzava per avvicinarsi rapidamente alla sommità dello sbarramento. Era il primo riempimento, la fase più critica nella vita di una diga.
La situazione diventava inquietante e, a seguito di una riunione che si tenne sul posto il 2 dicembre alle ore 18 ed alla quale parteciparono i rappresentanti deiservizi del Génie rural e dei Fonts et Chaussées, fu dato l'ordine di aprire lo scarico di fondo.
Verso le 21 e 10, dopo che il livello si era abbassato di qualche centimetro, il guardiano stava rientrando a casa, situata circa 1.500 metri a valle della diga, quando intese unaserie di schianti, e porte e finestre si spalancarono sotto un violento soffio, apparve una gran luce e mancò l'elettricità. La diga si era rotta in un istante.
Gli apparecchi registratori dell'EDF hanno fissato la cronologia del dramma: ore 21.13 per la rottura della linea che alimentava il trasformatore situato presso la diga e 21.34 per l'interruzione della linea che attraversava l'ingresso di Fréjus. L'enorme ondata che andava a seminare la morte lungo la valle aveva impiegato 21 minuti per andare da Malpasset a Fréjus.

L'osservazione dei fatti* (Figg. 28, 29, 30).

Dopo la catastrofe, venne constatato:
1. Che la metà di sinistra della diga era completamente scomparsa; restava soltanto una parte della spalla artificiale. Gli enormi blocchi staccatisi erano stati trascinati a valle a considerevole distanza**;

2. Che la parte destra aveva resistito, ma lungo ciò che rimaneva del manufatto ed al piede di esso era comparsa una fessura beante, che dimostrava come il muraglione stesso si fosse staccato dalla roccia;

3. Che al posto della parte scomparsa della diga verso la sinistra orografica, apparivano due piani di frattura formanti fra loro un angolo diedro, che testimoniavano così l'esistenza di due disturbi geologici al di sopra dei quali l'opera era stata costruita e che non erano stati osservati al momento della costruzione;

4. Che la spalla sinistra, unico vestigio di questa parte dello sbarramento, si era spostata all'incirca di 2 m verso valle.

Degli studi approfonditi sulle rocce, fatti ulteriormente in laboratorio, mostrarono, tanto all'esame ottico al microscopio polarizzatore, quanto per analisi chimica e mediante sperimentazione delle proprietà meccaniche, che queste rocce (gneiss e granuliti) erano di mediocrissima qualità, fessurate e capaci d'impregnarsi d'acqua, malgrado l'apparenza esteriore talora soddisfacente. Le misure topografiche effettuate rivelarono inoltre che la diga aveva ruotato intorno ad un asse situate all'estremità della sponda destra.

Il probabile meccanismo della catastrofe.

L'apparizione di sorgenti nella roccia della sponda destra ed a valle della diga nei giorni e nelle ore che precedettero il crollo, associata ai successivi studi sulle proprietà delle rocce, ha condotto alla certezza che l'opera aveva subito l'effetto pericolosissimo di sottopressioni***, il cui risultato fu di farla slittare verso valle di una quantità senza dubbio minima ma sicura, forse solo di qualche centimetro dapprima, come dimostrerebbe il distacco osservato a monte.
*** = Si designano col nome di sottopressioni delle spinte orientate dal basso all'alto sotto le fondazioni delle dighe, le quali sono il risultato di circolazioni d'acqua parassite nelle rocce della zona d'imposta. Questo fenomeno è molto pericoloso poiché comporta come conseguenza un vero scollamento della diga, che tende ad essere sollevata dalla sua sede ed irrimediabilmente compromessa nella stabilità.
Ora, un tale fenomeno indusse inevitabilmente una modifica nella ripartizione delle spinte ai diversi livelli dello sbarramento ed in particolare un considerevole incremento delle stesse sull'arco superiore, spinte trasmesse alla roccia attraverso le due spalle. Purtroppo la spalla artificiale di sinistra, calcolata per un carico normale, non poté resistere ad un eccesso di pressione e, arretrando, provocò sotto la parte di sinistra dello sbarramento l'apertura di fessure beanti per effetto della presenza di faglie fino ad allora sconosciute.
A partire da questo stadio, i milioni di metri cubi d'acqua trattenuti a monte andarono a riversarsi in queste fratture per sollevare letteralmente la diga e trascinarla via.

Le cause principali del dramma.

(figure 28, 29, 30)

Anzitutto furono rapidamente messi da parte tutti i sospetti sullo sbarramento, tanto dal punto di vista della sua progettazione, quanto da quello delle circostanze della costruzione; i periti unanimi sottolinearono le sue qualità eccezionali ed anche la sua eleganza; del pari furono eliminate l'ipotesi di un terremoto come quella delle vibrazioni dovute allo sparo di mine nel corso della costruzione, allora in atto, dell'autostrada Esterel - Costa Azzurra che passa ad alcune centinaia di metri ad est della diga.

Nessun dubbio poteva sussistere. La catastrofe era indiscutibilmente la conseguenza della cattiva qualità della roccia. Uno studio geologico preliminare del luogo erastato naturalmente fatto ed anche fatto bene. Ma da quel momento in poi la costruzione dello sbarramento si svolse purtroppo all'insegna dell'economia e soprattutto esordì con un'economia che riuscì fatale: i lavori di ricerca sulla consistenza delle rocce mediante sondaggi e cunicoli non furono mai eseguiti. A questa carenza si aggiunse il fatto che in corso d'opera tutto si risolse in direttive verbali date in base alla semplice vista delle rocce, senza studio sistematico della loro qualità ed in assenza praticamente totale di assistenza geologica.
L'importanza, benché capitale, della qualità delle imposte era stata disconosciuta.

1 JEAN BERNAIX, Etude geotechnique de la roche de Malpasset, Dunod, Parigi 1967, 209 pp.
2 Alla data della catastrofe di Malpasset varie centinaia di dighe adoppia curvatura erano state realizzate nel mondo; non vi erano mai stati incidenti.
Uno studio eseguito più tardi1 ha tentato di dimostrare che la causa della sciagura era stata l'esistenza di sottopressioni di un tipo fino ad allora sconosciuto, sotto le fondazioni di una diga a doppia curvatura2.
Incontestabilmente queste sottopressioni hanno avuto la loro influenza, e non vi è chi ne dubiti. Ma, a parte il fatto che il fenomeno delle sottopressioni ed il loro pericolo erano noti da tempo, esiste una regola imperativa la quale esige che le dighe a volta sottile vengano costruite solo su roccia di qualità eccezionalmente buona. Tale non era purtroppo il caso della roccia di Malpasset, dove senza dubbio la stretta valliva era tale da richiedere un minimo di calcestruzzo ma era anche conformata in modo che le condizioni di appoggio in sinistra non fornivano naturali garanzie; quindi le sottopressioni che furono la causa iniziale della rottura - ben lungi dal rappresentare unfenomeno nuovo che sarebbe sfuggito agli ingegneri - non sono state altro che la logica conseguenza delle condizioni in cui l'opera era stata costruita3.
3 L'azione combinata della faglia (che non era stata individuata per mancanza di ricerche anteriori) e delle sottopressioni è stata spiegata daMARCEL MARY in un'opera di carattere generale su "Le dighe", pubblicatadiversi anni dopo la catastrofe.

Stabilità indiscutibilmente l'assenza di sufficienti studi geologici, non si può dire che la catastrofe fosse prevedibile in senso stretto ad un dato momento, benché il primo invaso rappresenti sempre per una diga una prova cruciale; come risulta dall'inchiesta, essa era inevitabile a scadenza più o meno breve e fu purtroppo così che andarono le cose.

Cause addizionali.

Dopo aver accennato alle cause principali, non vorrei chiudere questo capitolo senza notare che le sciagure di tale entità in genere si verificano quando interviene tutta una serie di fattori negativi i cui effetti si sommano.
Ora, a Malpasset, la sorte si era veramente accanita contro questa disgraziata opera. Anzitutto, si era voluto creare un serbatoio su di un torrente che non possiede acquaper la maggior parte dell'anno. Non vi fu bisogno quindi, come si fa di solito, di deviarne il corso durante i lavori,Operazione che usualmente si realizza aprendo provvisonamente una galleria per farvi defluire l'acqua a fianco dell'alveo. Tale galleria avrebbe intercettato una dellegrandi faglie che ebbero un ruolo determinante nella rottura, come hanno dimostrato gli studi eseguiti nel corso dell'inchiesta. Il particolare regime del Reyran ebbe dunque come risultato di eliminare il segnale d'allarme rappresentato certamente dalle osservazioni rese possibili nella galleria.

1 L'invaso venne inoltre ritardato da una causa accidentale: il regolamento del contenzioso riguardante l'esproprio di una miniera di fluorite esistente nella zona che doveva essere allagata. In definitiva, e circostanza del tutto anomala, il riempimento ebbe inizio nell'ottobre 1954 e terminò soltanto nel dicembre 1959, tanto che la diga fu "collaudata" e l'impresa costruttrice pagata prima ancora che fosse completato il primo invaso.
Per di più, lo stesso regime asciutto ritardò considerevolmente il riempimento del serbatoio1, il che rese impossibili le prove tradizionali ed anzi praticamente obbligatorie, consistenti in invasi parziali a livelli crescenti, seguiti da altrettanti svasi accompagnati da sistematiche misure delle deformazioni; un'unica misura fu fatta nell'estate precedente ed indicò uno spostamento di 15 mm, dalquale non fu tratta alcuna conclusione. Ed il riempimento fu proseguito, senza dubbio perché l'autorità responsabile non ritenne possibile perdere un'acqua così preziosa, che per di più si poteva utilizzare, in regime normale, soltanto ai livelli più alti.

Infine, sul piano amministrativo, agì una causa d'ordine completamente diverso, della quale non si può minimizzare l'importanza. Infatti, all'epoca in cui fu costruita la diga, solo le opere destinate alla produzione di forza motrice erano sottoposte al controllo di una commissione speciale composta di ingegneri qualificati; lealtre, fra le quali quella di Malpasset destinata al rifornimento idrico, erano soggette solamente al controllo dell'ordinario Servizio dipartimentale dei Ponts et Chaussées. In pratica, da parte di quest'ultimo, per riguardo alla personalità del progettista André Coyne, ex ingegnere-capo dei Ponts et Chaussées di rinomanza mondiale, scelto dal servizio del Génie rural, né in fase di progettazione, né in quella di esecuzione la diga fu oggettodi un vero controllo e nemmeno di una discussione alla quale abbiano partecipato ingegneri di pari competenza.

In seguito questa situazione si è modificata e, dopo trattative fra i ministeri interessati, avviate in conseguenza della catastrofe, con decreto interministeriale del 13giugno 1966 fu istituito il Comitato tecnico permanente per le dighe con l'autorità necessaria per studiare e criticare i progetti e controllare l'esecuzione di tutte le opere di sbarramento aventi più di 20 m di altezza, qualunque sia il ministero da cui esse dipendono (infrastrutture, agricoltura, industria).

Che cosa si sarebbe dovuto fare?

Per cominciare, non costruire una diga senza disporredei mezzi finanziari sufficienti per eseguirla nel migliormodo possibile, facendo cioè passare sempre in prioritàassoluta le condizioni di sicurezza. Una diga, come delresto un ponte o una galleria, non si fanno «in economia», si fanno bene o non si fanno affatto. Il servizio del "Génie rural" del dipartimento del Var aveva l'intenzione lodevolissima di risolvere il basilare problema dell'approvvigionamento idrico della fascia costiera ma non disponeva dei mezzi finanziari sufficienti. È qui sicuramente l'origine del dramma.

Nei fatti questo s'è tradotto anzitutto in una variante al progetto originario; l'opera doveva essere costruita più a monte, in una sezione valliva in cui l'incastro nelle due sponde sarebbe stato assicurato correttamente.Per diminuirne il volume, e quindi il costo, la si spostò verso valle in un punto in cui l'appoggio sulla sponda sinistra dovette essere creato artificialmente, con una soluzione pericolosa. In seguito, la scarsità dei finanziamenti indusse ad economie ancora più gravi, come s'è visto, cioè alla mancata esecuzione di sufficienti lavori d'indagine geologica; questo è scritto a tutte lettere in un documento che ha dell'incredibile, allegato agli atti del processo; dopo aver riconosciuto che quei lavori non erano stati eseguiti, esso conclude con una frase che non richiedecommenti: «La decisione di avviare ugualmente i lavoriha tutte le possibilità di essere stata giudiziosa ed economica».
Non è tragico pensare che il risparmiare 30 o 40 milioni di vecchi franchi sia poi costato parecchi miliardi e 421 morti?!?!

Rimane da considerare il ruolo che si sarebbe dovuto riservare agli studi geologici. Segnaliamo di passaggio che il costo di quello che fu fatto rispondeva esattamente agli intenti parsimoniosi dell'amministrazione. Per l'insieme del lavoro svolto e delle relazioni redatte, il geologo consulente ricevette - spese di trasferta comprese - una somma inferiore a 100.000 franchi leggeri; in un bilancio che in totale aveva raggiunto quasi il miliardo, bisogna convenire che non è costato caro! Lasciamo andare questo dettaglio ridicolo, se non fosse tragico, ed esaminiamo le cose a fondo.

La funzione del geologo.

La questione più importante che sorge riguardo a tutte le opere collegate al suolo ed al sottosuolo e quella dei rapporti fra gli ingegneri costruttori ed i geologi e più esattamente del credito che i primi accordano ai secondi. Perché, se ormai è ufficialmente riconosciuto da tutti chenessuna grande opera d'ingegneria, e soprattutto nessuna diga, può essere costruita senza la conoscenza approfondita delle caratteristiche del substrato, questo concetto di base è stato realmente compreso solo in epocarecente e nonostante le reiterate prese di posizione deimigliori specialisti. Fin dal 1933 il grande geologo svizzero Maurice Lugeon, autore della magistrale opera Dighe e geologia - una Bibbia della materia - scriveva: « Abbiamo visto, nel capitolo sull'importanza degli studi geologici, che la maggior parte delle dighe crollate è mancata per difetto delle fondazioni, posate su materiali non incompressibili, non impermeabili, non insolubili. Ma sembra che oggi, con l'esperienza acquisita, questi errori geologici debbano per sempre scomparire».

La situazione dei rapporti tra ingegneri e geologi riguarda essenzialmente la differente formazione degli uni e degli altri, nonché il differente orientamento del loropensiero. Occorre anzitutto che si stabilisca un vero e proprio dialogo, cioè che costruttori e geologi si comprendano; donde, per i geologi, la necessità di aver ricevuto, se non una formazione da ingegneri, almeno una mentalità da ingegneri. Nel corso della mia carriera ho avuto la fortuna di conoscere e di seguire sui cantieri due maestri che rispondevano esattamente a questa definizione e che furono due grandi precursori, Maurice Lugeon e Leon Bertrand, il mio «principale»; essi eranoinfatti, senza possederne il titolo, due grandi ingegneri. Una volta che sia realizzata questa prima condizione, le due figure si possono definire nel modo seguente:

- l'ingegnere progettista, di formazione essenzialmente matematica, determina mediante il calcolo le caratteristiche delle opere che realizza; e - salvo beninteso errori di metodo o numerici da parte sua - presenta dei dati che non si discutono, che hanno di persè una certa forza di assoluto;

- l'ingegnere geologo, invece, si trova nella stessa precisa situazione del medico moderno. Indubbiamentedispone in partenza di un certo numero di dati chescaturiscono tanto dalle sue osservazioni sul posto,in galleria o attraverso sondaggi, quanto dalle misure prese o dalle analisi fatte eseguire in laboratorio; ma fatto ciò, di fronte alla Natura, infinitamente complessa, emette una diagnosi che ha tanto maggior valore quanto più vasta è la sua esperienza, come fa un medico che ha visto molti malati in vita sua.

Ora, talvolta purtroppo le sue deduzioni si oppongono a quelle del suo collega costruttore. Laddove questi vuole realizzare un'opera «economica», ma che «si presenti bene» e soddisfi tutti quanti, il geologo può rispondere:«Mi dispiace, è impossibile», oppure: «D'accordo, ma a condizione che prendiate questa o quella precauzione in più rispetto a quello che avete previsto, dunque che spendiate di più».

Allora comincia la discussione e la storia delle dighe è piena di discussioni, che per fortuna non si concludono tutte con decisioni che comportino delle catastrofi conperdita di vite umane come fu il caso tanto pittoresco quanto celebre della diga di Montejaque in Andalusia, prevista in zona carsica, paragonabile al Carso italiano cioè, ricca di inghiottitoi e di fiumi sotterranei. Il primo progetto redatto nel 1918 fu nettamente respinto dal consulente geologo, lo svizzero Fleury, allora professore a Lisbona.
Dopo manovre ed intrighi diversi si finì per trovare un geologo più «compiacente»; realizzata l'opera, delle cavità si aprirono sul fondo del bacino e questo prese a svuotarsi...
Così, malgrado ciò, il lettore non si meraviglierà secerti rinomati progettisti, avendo o credendo di avereesperienza, forti dell'autorità conquistata, hanno mostrato talvolta la tendenza a risolvere i propri problemi siaconsultando appena il geologo, unicamente perché cosìvuole la moda e per esibirne la firma, sia più semplicemente facendone a meno. Il seguito si sa.

Fatta questa indispensabile digressione, torniamo aMalpasset: dopo che venne accertata, mediante lo studio regionale che fu fatto e che trovò tutti d'accordo, latenuta dell'invaso, cioè del lago artificiale che si sarebbecreato a monte dello sbarramento, si sarebbe dovuto cominciare un esame approfondito della sezione valliva d'imposta; questo esame era tanto più necessario in quanto le rocce presenti erano note come fortemente alterabili. Ciò presupponeva quindi una fitta serie di sondaggi geognostici e di cunicoli esplorativi a differenti quote, unitamente ad uno studio approfondito delle caratteristiche delle rocce. Dopo un simile programma completo di indagini, due possibilità si aprivano:

- una conclusione dubitativa, se non negativa, che avrebbe indotto a riconsiderare il progetto, fatto questo che senza il minimo dubbio avrebbe molto contrariato i promotori;

- una conclusione positiva, seguita dalla effettiva costruzione, cosa che implicava la presenza stabile di un geologo sul cantiere durante tutto lo svolgimento dei lavori, al fine di osservarne ogni fase e di poter eventualmente imporre al committente le misure disicurezza complementari che venissero riconosciute necessarie.

Terminata la costruzione, veniva il momento della prova definitiva, quella del primo invaso. E nemmeno in questo caso, purtroppo, nulla andò come sarebbe dovuto.

EPILOGO.

Terminerò qui il racconto dei fatti riguardanti questadolorosa pagina della storia delle costruzioni umane. Maal di là dei fatti - ed in diretta conseguenza di essi - delleconclusioni s'impongono.

Il rischio che le costruzioni di tale mole possono farcorrere agli uomini deriva da due cause: errori nella concezione e nella stessa edificazione dell'opera; errori nellostudio del terreno sul quale essa deve appoggiarsi.
La prima causa oggi si può praticamente eliminare. Ladiga di Malpasset in quanto tale era stata calcolata e costruita in modo perfetto; realizzata su di un substrato roccioso adeguato, non si sarebbe mai mossa. E si può affermare che questo vale per qualsiasi altra grande operad'ingegneria, stabile di venti piani o viadotto, o grandeedificio industriale, se vengono rispettate le regole di costruzione attualmente note e codificate.

La seconda causa è di natura incontestabilmente diversa; ed è stato di proposito che ho attirato l'attenzionesu quelle che chiamerò le diverse filosofie dell'ingegnerecostruttore e dell'ingegnere geologo, i quali devono purbene capirsi e strettamente collaborare. Detto questo, va notato che i progressi realizzati nel campo della geologiaapplicata all'ingegneria civile, ivi comprese le disciplinedi recente sviluppo chiamate geotecnica, meccanica delleterre e meccanica delle rocce, sono tali che i rischi derivanti dal suolo e dalle rocce sono altrettanto minimi, acondizione tuttavia che anche qui vengano rigorosamenterispettate alcune regole. Regole meno facili da cogliere,per i non iniziati, di quelle costruttive di cui si afferraagevolmente il significato - basta guardare un cantiere dicostruzioni - pur non essendo specialisti; per questa ragione mi sono sforzato di indicare la natura dei lavori daeseguire basandomi su di un esempio reale, purtroppo negativo.

Dopo ogni sciagura quello che importa veramente non è tanto giudicare gli uomini, anche se ciò è previsto dallalegge; e soprattutto e prima di tutto dire la verità, al finedi ricavare una lezione dagli errori commessi e, una voltadi più, spostare più indietro i limiti dell'imprevedibile.

1 = Malgrado ciò, e per tener conto in particolare dei rischi connessiallo stato di guerra, alcuni paesi fra cui la Svizzera hanno previsto disposizioni permanenti di allarme e di protezione delle popolazioni valligiane residenti a valle delle dighe.
(Informazione cortesemente comunicatami dal professor J. P. Stucky di Losanna).

Quanto all'avvenire delle grandi dighe non ho alcunapreoccupazione al riguardo; il paese in cui attualmentesembra si sia maggiormente esigenti in fatto di costruzioni di dighe - per via dei terremoti - è il Giappone, il quale è al tempo stesso - cosa che potrebbe sembrare paradossale - quello in cui si sono avuti meno incidenti. El'esperienza della guerra, durante la quale le esigenze militari hanno imposto la distruzione di alcuni sbarramenti,ha dimostrato, in particolare nell'Urss a Dnieprostoj ein Germania nella Ruhr, quanto sia stato difficile demolirli quando furono ben fatti1.

Capitolo VI.

Problemi amministrativi

1 = La legislazione italiana tiene conto dell'imprevisto per cause naturali nel regolare le norme sui contratti d'appalto. L'art. 1664 I° cpv.del Codice Civile recita infatti: «Se nel corso dell'opera si manifestanodifficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili,non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso».
È una disposizione cui si fa spesso e volentieri appello in caso diopere pubbliche o finanziate con denaro pubblico. Essa purtroppo spinge non di rado l'appaltatore e la stessa stazione appaltante a trascurareaggiornate ed accurate ricerche geologiche, idrogeologiche e simili, lequali potrebbero invece evitare non solo maggiori oneri di spesa, ma anche un esercizio più sicuro ed economico delle opere, una volta portatein qualche modo a termine.
Tanto - si pensa - il prezzo di appalto saràa buon diritto riveduto e resteremo amici come prima.

2 = Allorché mi sono messo a scrivere questo libro ho voluto, per sgravio di coscienza, risalire alle fonti; e siccome il metodo scientifico miha reso attento alla bibliografia, sono andato alla sede del «JournalOfficiel» [più o meno la nostra "Gazzetta Ufficiale", nota di Tiziano Dal Farra] per acquistare i fascicoli in cui immaginavo fossero concentratii testi essenziali concernenti i problemi che stavo per affrontare.
Confesso senza vergognarmene che quel giorno corsi il rischio di crollare; solo i volumi intitolati "Sistemazione del territorio", "Licenza edilizia"e "Raccolta di norme urbanistiche" rappresentano tre tomi dello spessorecomplessivo di 9,5 cm e coprono 2.116 pagine...

I vari fenomeni di cui abbiamo esaminato i principaliaspetti possiedono - ad eccezione della rottura delle dighe - un denominatore comune. Stabilità ormai la necessità di redigere al più presto delle carte delle zone pericolose o che perlomeno non possano venire occupate dagliuomini se non a determinate condizioni, la domanda chene scaturisce immediatamente - ed alla quale s'è già piùvolte accennato - è la seguente: dato che da un certo numero di anni la costruzione di case o immobili di qualsiasigenere è subordinata in Francia al rilascio di una licenzaedilizia, in quali condizioni viene tenuto conto per taleconcessione dell'esistenza di rischi naturali? È questo unproblema di capitale importanza1.

Contemporaneamente, da un po' di tempo, si parlamolto e non a torto di difesa dell'ambiente e di inquinamento. Il presente capitolo sarà dedicato all'esame di entrambe queste questioni. Certo, la seconda è a prima vista di natura meno strettamente amministrativa della prima. Mi è sembrato tuttavia utile esaminaria brevemente nelmomento in cui stanno per essere istituite le strutture che condizioneranno il successo di un'iniziativa della massima importanza.

LA LICENZA EDILIZIA.

Una prima constatazione va fatta e nessuno vorrà contestarla: l'edificazione dei locali d'abitazione, industrialie commerciali è ormai regolata in Francia da una massadi norme di un'ampiezza stupefacente, la cui applicazione - quando sia possibile, dato che non sempre lo è - hagià dato luogo a proteste tanto numerose, quanto giustificate2. Nel nostro caso, ritengo che le cose essenziali da estrarre da questa vera e propria foresta riguardino i seguentipunti:

1. Sono previsti nelle norme di base i rischi naturali?

2. In caso affermativo, sono state stabilite delle regole di costruzione preventive nei riguardi di tali rischi?

3. Chi dispone dell'autorità per rilasciare le licenze edilizie?

Le norme di base.

Si tratta di due decreti di applicazione degli articoli 91 e 92 del Codice urbanistico:
a) Articoli 2 e 3 del decreto 61-1298 del 30-11-1961:

    Art. 2 - La licenza edilizia può venire rifiutata o essereconcessa con riserva di osservare speciali prescrizioni se lecostruzioni, per ubicazione o dimensioni, sono di naturatale da recare pregiudizio alla sanita o alla sicurezza pubblica.

    Art. 3 - La costruzione su terreni esposti ad un rischionaturale quale: inondazione, erosione, sprofondamento,frana, valanga, può, se autorizzata, essere subordinata aspeciali condizioni. Tali terreni sono delimitati per ordinanza prefettiziadopo consultazione dei servizi interessati, istruttoria nelleforme previste dal decreto 59-701 del 6 giugno 1959 relative alla procedura istruttoria preliminare di pubblicautilità e parere del Consiglio comunale e della Commissione urbanistica dipartimentale.

b) Articolo 2 del decreto 55-1394 del 22-10-1955:

1 Questo capoverso riguarda le costruzioni temporanee.

Art. 2 - Le costruzioni che non siano comprese fra quelle indicate nel secondo capoverso dell'articolo 25 del presente decreto1 devono essere progettate e realizzate perun periodo di almeno cinquant'anni in normali condizionidi manutenzione. Le strutture previste ed i materiali utilizzati devono resistere con un adeguato margine di sicurezza agli sforzi edagli attacchi che normalmente possono subire e presentareun sufficiente grado di resistenza al fuoco.

....................................................

2 Docente aggregato nelle facoltà di diritto, e professore al Conservatoire desArts et Metiers.

Queste norme richiedono immediatamente una primaosservazione; sono di una tale prudenza che, secondol'espressione usata da Georges Liet-Veaux2 in uno studiopubblicato nel febbraio del 1970 dal titolo Polizia amministrativa e catastrofi nazionali, ci si può chiedere sesiano «imperative o permissive». Infatti, sui terreni esposti ad un rischio naturale la costruzione può essere subordinata a condizioni speciali; inoltre, si deve costruire solidamente con un margine di sicurezza adeguato.
È difficile essere più vaghi; questo testo non ha mancato di sollevare contestazioni.

Infatti, una sentenza del Consiglio di Stato ha stabilito che l'amministrazione «ha la possibilità, ma non l'obbligo, di rifiutare la costruzione degli edifici pericolosi» qualora, in conformità a decisioni di diritto amministrativo che fanno giurisprudenza, l'amministrazione stessa «ritenga opportune dare ai costruttori, così come a tuttigli amministrati, il massimo di informazioni sui rischi naturali».
Invero, incoraggiamenti del genere non impegnano pernulla la responsabilità dello Stato «nel caso in cui le misure di sicurezza vengano violate ». E l'autore conclude che «la giurisprudenza fa crudelmente difetto in quanto concerne le licenze edilizie in zone insicure».
Esistono norme precise che riguardino un rischio particolare?
Oggi come oggi esistono norme precise solo per unnumero limitatissimo di rischi.

A parte il caso del tutto particolare rappresentato dalle norme per regolamentare la costruzione su antiche cave, emanate dal dipartimento della Senna a seguito di unincidente accaduto a Clamart il 1° giugno 1962, il solorischio naturale che sia attualmente considerato in applicazione dell'articolo 3 del decreto del 6 giugno 1959 èrappresentato dalle alluvioni.

1 V. Bauzil, Ingegnere generale dell'Ente Ponts et Chaussées.
Sul piano legislativo, la difesa dalle alluvioni ha trattenuto l'attenzione dei pubblici poteri fin dall'inizio delXIX secolo. Purtroppo, lo Stato non è intervenuto in questo campo all'origine se non in modo molto indiretto, inuna forma i cui effetti si fanno sentire ancor oggi. La situazione è stata chiaramente esposta da V. Bauzil1 neiseguenti termini nel corso delle Giornate dell'idraulicanel luglio 1968:In Francia lo Stato lascia ai rivieraschi, persone fisicheo giuridiche, l'iniziativa e l'incarico dei lavori di difesa contro le alluvioni (legge 16 settembre 1807); la sua azionetutoria si manifesta eventualmente con la concessione disovvenzioni.
1 Il corsivo è dell'autore.
Questo atteggiamento defilato dello Stato può in molti casi avere gravi conseguenze1.

Abbandonati a se stessi, gli interessati non possono faraltro che costituire consorzi di competenza territoriale nonmolto estesa e con mezzi finanziari strettamente limitati.Si deve essere in grado di fornire informazioni esatte edegne di fede alle collettività locali, se si vuole che possano assumere le loro responsabilità nella soluzione dei problemi di difesa dalle alluvioni che li riguardano.Sarebbe utile che, senza aspettare d'esservi sollecitato, lo Stato si mettesse in grado di poter sempre assicurare, ai consorzi rivieraschi ed alle collettività locali che ne facciano domanda, dati di studio altrettanto completi (e intendo: completi come quelli forniti negli Stati Uniti dalla Tennessee Valley Authority a 150 collettività locali).

Occorre d'altra parte rilevare che, approvando in Consiglio di Stato le disposizioni tecniche da applicare alle zonedichiarate sommergibili in ogni vallata ed imponendo la denuncia di tutti i progetti di costruzione in queste zone (denuncia che del resto si confonde con la domanda di licenzaedilizia, quando si tratti di costruzioni o recinzioni subordinate alla concessione di detta licenza), l'amministrazioneassume una certa responsabilità verso i richiedenti deiquali accoglie favorevolmente la domanda. perché tali decisioni siano ben fondate e liberate da ogni arbitrarieta,converrebbe, come contropartita, che lo studio idrologicodel corso d'acqua interessato e dei mezzi adatti a facilitareIl deflusso delle sue piene, o a proteggere i suoi rivieraschidagli effetti dannosi di queste, accompagnasse la classificazione di zona sommergibile di certe parti della vallata. LoStato dovrebbe, con il concorso delle collettività locali,prendere l'iniziativa o assicurare almeno parzialmente laspesa di questi studi che, per essere efficaci, devono necessariamente vertere sull'intero corso d'acqua'.

La conclusione è semplice: esiste incontestabilmenteuna carenza di autorità dello Stato e fino ad oggi la delimitazione delle zone sommergibili, di importanza fondamentale, viene lasciata all'iniziativa delle amministrazioni locali o regionali.Naturalmente la legge del 16 dicembre 1964 che haistituito le agenzie finanziarie di bacino ha previsto nelsuo articolo 16 che questi istituti abbiano fra l'altro perobiettivo «la difesa dalle inondazioni», finalità confermata dall'articolo 3 del decreto del 14 settembre 1966.Ma non si tratta che di un'espressione vuota di significato, la quale subordina l'attività ai mezzi finanziari di cuiciascuna agenzia verrà a disporre.
Nonostante questa situazione, sul piano pratico ed invirtu dell'antico adagio: «Aiutati, che il ciel t'aiuta», invarie regioni sono stati realizzati importanti lavori. Cosiil Piano di sistemazione e di organizzazione generale della regione parigina ha delimitate le zone sommergibili,subordinando di conseguenza le autorizzazioni alla costruzione al parere dei servizi incaricati della difesa dalle alluvioni.

Anche per la regione dell'Est ed in parte grazie all'indagine alla quale s'era proceduto dopo le inondazioni deldicembre 1947, si sono potute rilevare le carte delle areesommergibili nelle valli della Meurthe e della Mosella neidipartimenti Meurthe-et-Moselle, Mosella e Vosgi; talicarte sono state approvate con decreti del 14 settembre1956 e del 29 maggio 1961. I decreti dividono il lettomaggiore di questi fiumi in due zone, una detta di grandeportata, dove le costruzioni sono vietate (zona rossa), el'altra detta complementare (zona verde), dove le costruzioni sono soggette a severe prescrizioni.
Quanto realizzato nell'Est è stato fatto ugualmente inaltre regioni in occasione della redazione dei piani di sistemazione.

Nello stesso ordine d'idee, il prefetto del dipartimento dell'Isere, anteriormente alla catastrofe di Val d'Iseree in occasione della redazione del Piano urbanistico diGrenoble e dintorni, aveva preso l'iniziativa di creare unaCommissione per i rischi naturali, comprendente, oltre ai membri delle diverse amministrazioni, una rappresentanza di tecnici (Fonts et Chaussées, Eaux et Forêts, Protezione civile e Geologia).

Ma in definitiva tutto ciò corrisponde soltanto a realizzazioni parziali. così, anche nel caso delle alluvioni, il rischio naturale che si può dire sia il meglio conosciuto eda maggior tempo, manca indubbiamente a livello delloStato la definizione di una politica coerente; manca inparticolare, e in primo luogo, l'organizzazione di un servizio dotato di mezzi sufficienti ed incaricato della cartografia sistematica delle zone sommergibili delle varie categorie.Certo, non tutto resta ancora da fare e già agli inizi tale servizio disporrà di una documentazione importante.
Quello che ci vorrà sarà il coordinamento dei rilievi giaeffettuati e l'esecuzione di quelli mancanti, il tutto in vista della redazione di una completa documentazione nazionale sulla totalità delle zone sommergibili del territorio.

Evidentemente l'esposizione precedente riguarda soltanto la delimitazione delle zone in cui le costruzioni devono essere vietate o regolamentate.

Per quanto si riferisce al modo stesso di costruzione,cioè all'applicazione dei due articoli 2 dei decreti di basegia citati, la situazione non è più soddisfacente. Senzadubbio esiste un considerevole numero di norme attinenti a cose che si possono definire, in una certa misura, dettagli costruttivi. Ma riguardo ai rischi naturali non c'èpraticamente nulla; a suo tempo abbiamo già menzionato il caso dei terremoti e sottolineato la considerevole importanza che si dovrebbe attribuire all'obbligo imperativo delle norme antisismiche di costruzione nelle zonegià delimitate.

Su di un piano più generale, G. Liet-Veaux ricorda cheesiste pure «una regolamentazione della protezione civile riferentesi per lo più alla difesa passiva e che costituisce al presente una vera normativa di polizia nel campodelle costruzioni civili». Ma aggiunge: Nessuno ignora tuttavia che si tratta di principi praticamente sprovvisti di sanzione; i regolamenti-tipo prescrittidal ministro non hanno mai veduto la luce; i permessi dicostruzione o di sfruttamento a titolo individuale non tengono praticamente in alcun conto tali regole.

Alla luce delle prime decisioni citate in precedenza, si èindotti a credere che si tratti di una carenza grave. Ma appare chiaro che questa colpa non troverà sanzione che nel caso in cui sopravvenga una catastrofe. In pieno accordo col pensiero del collega giurista, mi si consentirà quindi di pensare che il sisma d'intensità 3, fortunatamente senza vittime, avvertito da Antibes a Mentone il 20 giugno 1970 dovrebbe forse destare le autorità governative senza aspettare che un vero e proprio dramma venga a gettare nel lutto il nostro paese.

Quali autorità rilasciano la licenza edilizia?

Non v'è il minimo dubbio che qui si affronta il fondodel problema, anche per la formulazione dell'articolo 3del decreto del 30 novembre 1961; infatti, anche se nonè stata presa alcuna misura particolare per un determinate rischio, questo decreto conferisce all'autorità prefettizia il potere di delimitare i terreni pericolosi, sentito il parere del Consiglio municipale interessato e della Commissione urbanistica dipartimentale.

* = Questo decreto, che semplifica alcune disposizioni anteriori, nonha cambiato praticamente niente in ciò che concerne la definizione delleautorità competenti a deliberare.
D'altra parte, un recente decreto (del 28 maggio 1970,in vigore dal 01 settembre 1970) ha confermato i poteridelle autorità competenti a deliberare la concessione delle licenze edilizie*. Tali autorità sono le seguenti:

- il sindaco per i casi correnti, eccettuati cioè i casi dicompetenza del prefetto e del ministro. Il sindaco,inoltre, non può prendere decisioni se non sentito ilparere del direttore dipartimentale delle infrastrutture;

- il prefetto per le costruzioni eseguite per conto dello Stato o del dipartimento, per le costruzioni ad usoindustriale o commerciale di oltre 1.000 m2 di superficie coperta, gli stabili di grande altezza ed un certonumero di casi speciali, fra cui i progetti che hannodato luogo a parere contrario del sindaco e del direttore dipartimentale delle infrastrutture.

- il ministro delle infrastrutture, infine, per le costruzioni di oltre 2.000 m2 di superficie coperta che abbiano dato luogo a parere sfavorevole del ministro incaricato della sistemazione del territorio e per gli affarigiudicati «delicati e difficili», di cui ha il diritto diavocare liberamente a sè i progetti, per i quali la decisione gli è riservata.

In definitiva, le autorità così designate hanno perfettamente il diritto di rifiutare le licenze edilizie che nontengano conto dei rischi naturali.Ma, constatato ciò, come vanno le cose all'atto pratico,quasi sempre, nella situazione attuale, in assenza di documenti o carte che delimitino le zone pericolose?

A livello del sindaco, generalmente uomo votato al bene pubblico e supposto sensibile il meno possibile allepressioni del proprio corpo elettorale - punto delicato! - la questione non mi sembra molto grave. In genere, sipossono presentare due casi, a seconda che si tratti di uncomune di pianura o di montagna.

Nel primo caso, il rischio principale è quello delle alluvioni. Se ci si trova in un dipartimento per il quale le zone inondabili siano già state delimitate ed il loro rispetto codificato da norme - per esempio è il caso dei dipartimenti dell'Est della Francia di cui s'è parlato - il problema è semplice: non v'è che da applicare le norme; inoltre, se non fosse il sindaco ad applicarle, gli verrebberoimposte dalla Commissione urbanistica dipartimentale.
Se non esistono norme, la situazione è allora più confusae la decisione resta subordinata ad un apprezzamento delrischio, che purtroppo non è sempre esente da critiche; ma comunque gli errori possibili non mi sembrano suscettibili di conseguenze pregiudizievoli, tanto più che in questo, come nel precedente caso, la Commissione succitataesercita il proprio diritto di controllo.

* [Travaux Publics de l'Etat], ministero dei Lavori Pubblici.
Nel secondo caso, quello di un comune di montagna, irischi principali sono di duplice natura, valanghe e frane,senza per questo dover dimenticare le alluvioni. Gli alveidelle valanghe il sindaco li conosce e conosce, certo menobene, le zone in pericolo di frana. In quest'ultimo caso,si rivolgerà per esempio all'ingegnere dei lavori pubblicidi Stato, il «TPE»* del proprio comune e, tutto sommato, si può pensare che al più spesso il parere dato sarà sensibilmente corretto, tanto più che il parere del sindacoconcerne unicamente le abitazioni individuali o i piccoliimmobili; comunque, la sua decisione è accompagnata daquella del direttore dipartimentale delle infrastrutture.

Le cose evidentemente si complicano se egli rifiuta lalicenza, perché a partire da questo momento può vigerela procedura d'arbitrato nelle mani del prefetto. E infattia questo stadio, si tratti dell'esercizio dell'anzidetta procedura Q dei casi in cui normalmente si esercita l'autoritàprefettizia, che intervengono con la maggiore efficacia lepressioni esterne, interessi di promotori o influenze politiche, separati o congiunti; e l'esperienza ha dimostratoche a questo punto si entra pari pari nel regno della confusione. E da questo stadio, insensibilmente, a mano amano che i progetti acquistano dimensione, si arriva rapidamente agli affari «delicati e difficili», cioè alla sferadecisionale e riservata del Ministro delle Infrastrutture.

Ed è qui, lo dico senza esitazioni, che risiede la mia inquietudine. Evidentemente, infatti, sarà a questo livello cheverranno prese le decisioni concernenti tutti i grandi progetti di attrezzature montane; penso in particolare al«Piano Neve» esposto da Marcel Anthonioz, segretariodi Stato al turismo, all'Hotel Matignon il 18 febbraio1970, progetto che comporta la cifra impressionante di360.000 posti-letto da costruirsi entro il 1980!

Cosa succederà se l'ubicazione scelta, io direi «sognata» dai promotori, fosse contestabile dal punto di vistadella sicurezza ma, per ragioni diverse da quelle geologiche o climatologiche che si possono ritenere anche valide - quelle economiche per esempio - fosse ambita da potenti gruppi finanziari, come le grandi banche che s'interessano ormai sempre di più al turismo?

Sicuramente uno studio scientifico e tecnico sarà benstato fatto - impensabile il contrario - ma occorrera trarne delle conclusioni. Ora è qui che si rischia la catastrofe.Se i glaciologi o i geologi sono di «cattivo carattere», edio me lo auguro, diranno di no, col pericolo di vedere preferiti dei colleghi più «accomodanti» e «gentili»; nonc'è nulla di più pernicioso degli uomini gentili che desiderano fare piaceri a tutti. So per esperienza personalequale forza di volontà sia talvolta necessaria di fronte alle seduzioni o le pressioni che gli uomini di finanza o di industria sanno esercitare su di uno specialista, del quale desideranoessenzialmente la firma, salvo naturalmente addossarglitutta la responsabilità se per combinazione, un giorno, lecose andassero male.

1 = Nell'estate del 1970, mentre era in corso la stampa del presente libro, venni consultato a proposito di una frana provocata da lavori stradali, la quale minacciava il gasdotto alimentante una grande citta. Avendo avanzato serie riserve sul tracciato scelto per costruire la strada inquestione, mi fu data da un ingegnere una risposta che si commenta dasola: «Che vuole, il Consiglio generale del dipartimento ci teneva tantoe aveva già votato lo stanziamento...»

Qui sta il pericolo, il grande pericolo dal quale bisognapremunirsi; sennò l'attrezzatura delle nostre Alpi o deinostri Pirenei rischia fortemente di aggiungersi un giorno aliaserie degli aneddoti, o delle tragedie, che si raccontanonelle scuole ai futuri ingegneri, storie nuove del tipo diquella della diga di Montejaque in Andalusia, già menzionata (pag. 125), progetto respinto per vari anni ed infinerealizzato grazie alla relazione di un geologo «comprensivo», permettendo così la creazione di un serbatoio idraulico che aveva tutti i requisiti... di un enorme colabrodo.
In questo preciso caso non si ebbero dei morti - in particolare nessun annegato, ma per forza di cose - ed il danno fusolo finanziario; ma purtroppo non accade sempre così1.

E allora?

Allora, non vedo veramente che una sola soluzione.
Imperativamente, bisogna che in ogni regione (o dipartimento) esista un organismo le cui decisioni possano essere opposte ad ogni intervento esterno e che, punto essenziale, abbia l'autorità di rifiutare in maniera categorica la licenza edilizia a qualsiasi edificio la cui ubicazioneo le cui caratteristiche non presentino tutte le necessariegaranzie.
Vi sarebbe del resto un modo elegante di regolare laquestione: una volta redatte le carte degli alvei delle valanghe o delle zone potenzialmente franose e completatele carte delle zone sommergibili, carte la cui preparazionepresenta carattere di estrema urgenza, emanare i decretiche vietino ogni costruzione in queste zone, esattamentecome è stato fatto per le zone rosse dei letti maggiori dicerti corsi d'acqua. È in questo senso, d'altra parte, cheha rassegnato le proprie conclusioni la Commissione d'inchiesta designata a seguito della catastrofe di Val d'Isere.

Alcuni lettori non mancheranno di pensare che simileprocedura ha un aspetto nettamente «tecnocratico». Puòdarsi, ma al pari di tutti coloro che hanno trascorso lapropria vita a scrutare la natura, conosco l'entità della posta in gioco. E la natura non perdona gli errori.

LA DIFESA DELL'AMBIENTE.

Nel primo semestre del 1970, la stampa ha fatto ecoall'interesse ormai rivolto dai pubblici poteri ad un problema dai molteplici aspetti che da vari anni preoccupagravemente la popolazione così come gli scienziati, problema indicato con una parola di valore molto generale: l'ambiente e la sua difesa.
Di che si tratta? È l'insieme di tutti i fattori che condizionano la vita dell'uomo e gli permettono un'esistenzanormale, in un'epoca in cui i progressi della tecnica, sfruttati senza limitazioni di sorta, rendono progressivamenteinabitabile il nostro pianeta; contemporaneamente si designano col nome, anch'esso di valore globale, di inquinamenti i risultati degli eccessi sconsiderati dell'uomomoderno.

Per esprimere le cose in modo concreto, si comprendono nell'ambiente tutti gli elementi che condizionano una urbanistica logica, che riservi agli abitanti una vita piùnaturale possibile, in particolare nei grandi agglomerati, e realizzi inoltre le migliori condizioni per le attrezzature turistiche in montagna o al mare. Quanto agli inquinamenti, vi si possono inglobare tanto la contaminazione delle acque - uno dei maggiori problemi del presente - e dell'aria, quanto i rumori o tutte le alterazioni spiacevoli recate all'originario ambiente naturale da un'industrializzazione rimasta troppo a lungoanarchica, come pure dall'invasione momentanea o permanente di certe regioni per sconsiderato sovrappopolamento - al punto da distruggere completamente l'equilibrio naturale anteriore. Le valli d'alta montagna nel periodo degli sport invernali o certe spiagge del Mediterraneo in piena estate sono certo dei luoghi privilegiati in cuigrandi e piccoli vanno a cercare sole e salute, ma sono anche dei luoghi, purtroppo, in cui le alterazioni originate dalla presenza di tali folle si manifestano con evidenza*.
* I terribili incendi di boschi che hanno devastato i massicci deiMaures e dell'Esterel nell'estate del 1970 e che sono indubbiamente «operadell'uomo», hanno fornito un argomento in più ai difensori dell'ambiente naturale.

Per far fronte ad un problema la cui importanza non sfugge ormai a nessuno, il 12 maggio 1970 il governo ha preso atto di una relazione redatta sotto la presidenza diLouis Armand, la quale rappresenta una sintesi dell'azione che può essere intrapresa per sistemare lo spazio umano.

Questa espressione basta da sè medesima per mostrarei legami che intercorrono tra i problemi che abbiamo studiato fin qui ed i fattori così diversi che intervengono nelcondizionamento dell'ambiente. È evidente infatti chelo studio dell'inquinamento dei fiumi va fatto in funzionedella loro portata e delle variazioni di questa; si stabiliscedunque immediatamente una relazione con i fattori che determinano le inondazioni. Nello stesso ordine di idee,l'habitat nelle pianure alluvionali, luoghi privilegiati dove da secoli gli uomini tendono a concentrarsi, non puòessere considerato in modo indipendente dallo studio delle zone soggette ad inondazione.

Analogamente, la delimitazione delle zone adatte aliaedificazione nelle valli di alta e media montagna dev'essere uno dei primi fattori da prendere in considerazioneper qualsiasi nuovo progetto di installazione turistica oaltro, sia nelle Alpi, sia nei Pirenei.

Insomma, lo studio dell'ambiente, che implica ricerchedi nuovo tipo che impegnano la fisica, la chimica e la biologia, sollecita inoltre indagini nei campi della geografiafisica e della geologia, e tutto conduce in definitiva a quella scienza che studia lo spazio adatto alla vita, che vienechiamata ormai da tutti ecologia. Noterò per inciso che èabbastanza singolare il fatto che i biologi si siano dedicatialle condizioni di vita degli animali ben prima che l'uomosi preoccupasse dello studio del suo proprio ambiente!

1 Professore nella facoltà di diritto e di scienze economiche di Parigi, autore di un articolo sulla difesa dell'ambiente intitolato Le trompe-l'oeil («Le Monde», 17 giugno 1970).
2 Il decreto del 18 luglio 1969 ha modificato le disposizioni dell'ordinanza dell'ottobre 1945 che aveva creato il Commissariato per l'EnergiaAtomica e deciso che d'ora in avanti questo organismo sarà posto sotto l'autorità del ministro per lo sviluppo industriale e scientifico. Restail fatto che il notevole sviluppo del settore nucleare in Francia è dovutoin larghissima parte al fatto che il CEA sia stato per oltre vent'anni unorgano interministeriale.

Sembra inoltre che vi sia una certa esitazione a livello di governocirca il miglior modo di considerare i problemi dell'ambiente; infatti,la creazione, successivamente alla dichiarazione di J. Duhamel, di unalto Comitato composto dai rappresentanti di nove ministeri («Le Monde», 20 agosto 1970) pare attenuare le gravi inquietudini che tale dichiarazione aveva suscitato (nota inserita in corso di stampa).

Non mi propongo di inoltrarmi più avanti nella trattazione della difesa dell'ambiente, che sarà uno dei grandi compiti da assolvere negli anni a venire. Tuttavia, dopo aver esposto come non si possa evitare di abbinarlo allo studio dei grandi fenomeni naturali ai quali questo libro è dedicato, vorrei semplicemente mettere l'accento su un aspetto metodologico che ritengo essenziale, poiché condiziona l'avvenire stesso delle ricerche auspicate.Infatti, di recente, dopo che venne lanciata l'idea di istituire un Ministero dell'Ambiente, la notizia ha ricevuto una smentita formale; e Jacques Duhamel ha annunciato ufficialmente che la difesa dell'ambiente diverrà dicompetenza del Ministero dell'Agricoltura, dove sarà creata una speciale direzione. Affermo che si tratta di un gravissimo errore.

Un problema nuovo e di così grande mole, che richiede la competenza di ingegneri e di ricercatori dalle più diverse qualifiche, che lavorino con spirito nuovo, non deve assolutamente restare affidato ad un particolare ministero, poco importa sia quello dell'Agricoltura o un altro. Per ricerche che necessiteranno della collaborazione suun piede di eguaglianza ed in un clima di fiducia di uomini di tutte le origini, specialisti di tutte le discipline scientifiche interessate, si vedrebbe in tale malaugurata circostanza ripetersi ciò che purtroppo è già avvenuto in passato: questi quadri a finire sotto la tutela del corpo dominante di quel dato ministero - vera casta regnante; ed i nuovi venuti avere essenzialmente il diritto di lavorare agli ordini dei «semidei della pubblica funzione » - come li ha chiamati recentemente Jean Rouvier1 - anche se tali semidei dispongono di una competenza limitata.

Gli inconvenienti gravissimi di una tale situazione sulpiano scientifico e tecnico sono evidenti; quanto alla situazione materiale delle nuove reclute, sarebbe quella chegià si osserva in parecchi settori, cioè l'immissione in quadri marginali che li situerebbe in posizione subordinata,impedendo loro l'accesso alle funzioni superiori. Insomma, sarebbe a pronta scadenza la morte certa della difesa dell'ambiente.

Auspico perciò intensamente che la saggezza abbia ilsopravvento e che per un problema nuovo si predispongauna struttura nuova. Una tale operazione fu realizzata asuo tempo per lo sviluppo dell'energia nucleare in Francia, con la creazione del Commissariato per l'energia atomica, per molto tempo annesso alla presidenza del Consiglio. Perché non si dà vita ad un 'Commissariato perl'ambiente' che dipenda anch'esso direttamente dall'Hotel Matignon?2.


CAPITOLO VII.

PROBLEMI GIURIDICI 1

1. Nella prefazione ho fatto un breve cenno ai problemi giuridici chesolleva la ricerca di responsabilità dopo le catastrofi provocate da fenomeni naturali o dalla combinazione di cause naturali e artificiali.può sembrare sorprendente che un geologo si immischi in un campo chenon è il suo e nel quale è a priori incompetente.

Se ho creduto di poter assumere tuttavia un tale atteggiamento, èstato in seguito a conversazioni con alcuni giuristi, appartenenti e nonalla magistratura, che mi sono parsi interessati alle idee che andavo loroesponendo.

Domando perciò ai lettori di voler vedere nelle pagine che seguononient'altro che un racconto diretto e, credano, molto sincero delle reazioni che ho provato come perito d'ufficio nel corso di drammatici processi. Questo racconto solleverà - ne sono certo - osservazioni ed anchecritiche da parte di personalità qualificate. Mi scuso in anticipo conesse.

Nei primi capitoli di questo libro ho voluto esaminarecaso per caso quanto appaia auspicabile fare per prevenire le sciagure e soprattutto per attenuare le conseguenzedei grandi fenomeni naturali.

Ma quando si verifica un incidente, soprattutto se esso assume le dimensioni di una catastrofe, l'opinione pubblica commossa, e sorretta dalla stampa, si rivolge immediatamente alla ricerca di eventuali responsabili. Quasi istantaneamente viene aperta un'inchiesta e se vi sono state delle vittime l'apparato giudiziario si metteautomaticamente in moto.
Il primo atto è generalmente la nomina di commissioni, siano commissioni d'inchiesta amministrativa, i cui membri vengono designati dal prefetto o dal ministro competente, siano commissioni di periti scelti dal giudice istruttore onde sapere se vi sia luogo ad imputazioni o se il fatto debba essere archiviato con un'ordinanza di nonluogo a procedere.

Naturalmente, le commissioni rassegnano le loro conclusioni. Nel caso di inchiesta amministrativa, le conclusioni vengono di regola rese pubbliche, la stampa se neimpadronisce e le pubblica in prima pagina con la stessa cura riservata alle informazioni sulla sciagura stessa. Poi queste conclusioni subiscono la stessa sorte delle notiziesulla sciagura. Nel giro di qualche giorno, se non il giorno dopo, nessuno più ne parla. Nella migliore delle ipotesi, dopo qualche mese o parecchi anni, si apprende chefinalmente e stata presa una decisione; talvolta è il silenzio e l'affare viene dimenticato.

Ho accennato in precedenza alla Commissione di questo tipo che io stesso ho presieduto a Nancy dopo le alluvioni della Meurthe e della Mosella del dicembre 1947.
Mentirei se dicessi che le conclusioni che partecipai a redigere non ebbero seguito; a dire il vero, è stato in occasione della stesura di questo libro che, curioso di sapere cosa fosse successo di positivo dopo il lavoro svolto, dato che non ne avevo più sentito parlare, sono venuto a conoscenza delle misure adottate in questi ultimi anni, cioè dopo oltre quindici anni di silenzio. Coll'amministrazione bisogna saper essere pazienti.

Le inchieste amministrative non incolpano di solito nessuno e, sotto l'influenza dell'autorità che ha nominato i membri della relativa Commissione - il ministro la cui amministrazione sia stata coinvolta - hanno tendenza del tutto naturale a dire che nessun errore è stato commesso. Scrivendo queste righe penso all'inchiesta in corso sul dramma di Roc-des-Fiz, a proposito del quale Robert Boulin, ministro della sanità, ha solennemente affermato - il giorno delle esequie alle vittime - che la valanga di neve, di massi e di fango che distrusse il sanatorio era imprevedibile, senza attendere naturalmente i risultati dell'inchiesta.
Tale dichiarazione era forse giustificata dal punto di vista politico per attenuare il dolore degli sventurati parenti; dal punto di vista scientifico e tecnico mi si permetterà di far notare all'autorità governativa che essa ha singolarmente messo «il carro avanti ai buoi»1.
1 Nello stesso ordine di idee, il ministro Leo Hamon ha detto pubblicamente il 13 febbraio 1970: «Quello che bisogna far entrare nell'animo di tutti è che la prevedibilità di un fenomeno naturale in undato istante, per le grandi sciagure naturali e nella stragrande maggioranza dei casi, non ha alcun senso». Senza insistere troppo, penso cheaffermazioni di tale natura, la cui portata è rafforzata dall'autorità dichi le pronuncia siano veramente molto spiacevoli e non possano fare ameno di contribuire a sviare l'opinione pubblica dalla verità.

La procedura è differente per le commissioni peritali designate dal giudice istruttore. Il segreto istruttorio impone il silenzio ai periti e la giustizia segue il proprio corso con o senza nomina di una Commissione di periti di parte, su richiesta degli avvocati difensori, nel caso in cui vi sia incriminazione di qualcuno. Poi un bel giorno, talora vari anni dopo, se l'affare è grave e se la ricerca dellaverità ha richiesto lunghi studi, si fa il processo.
Il dibattimento si svolge in genere fra l'indifferenza quasi totale,davanti ad un pubblico sparuto, qualche giornalista e, inpiccolo numero, povera gente appartenente alle famigliedelle vittime che essi piangono ancora. Da molto tempoi morti sono sepolti e sulle prime pagine si parla d'altro.
La parola è ai periti e soprattutto agli avvocati, che fannosfoggio d'eloquenza. Nella maggior parte dei casi tutto siconclude con un'assoluzione.

L'uomo della strada queste cose certo non le capisce. Capisce ancora meno perché al processo di solito sonoemerse delle colpe di incontestabile evidenza e si domanda a buon diritto grazie a quale misteriosa operazione nessuno sia stato in definitiva dichiarato colpevole. Naturalmente non si aspetta una condanna infamante poiché ilbuon senso popolare sa distinguere tra i veri delitti di diritto comune e gli errori d'ordine professionale. Ma daquesto ad un colpo di spugna totale c'è un certo margine.Capisce altrettanto meno perché conosce la severità dellagiustizia in altre circostanze, per esempio verso i mediciche commettono un errore2.
2 A titolo di semplice informazione, ricorderò un fatto scandalosoche ha fatto parlare di sè i giornali negli ultimi anni a Nancy. Un medico viene disturbato una sera per andare a curare un ferito, vittima diuna rissa in un bar, che giaceva a terra. Dopo essersi informato, il medico dichiara che non può farci niente e che occorre trasportare il feritoall'ospedale. L'indomani il medico veniva arrestato e condotto ammanettato in prigione.
In breve, questa situazione richiama, e nel modo più logico che vi sia al mondo, un'idea di suspicione.

Le pagine che seguono hanno dunque come obbiettivo essenziale di esporre le ragioni di questa situazione che è - si può anticiparlo - la conseguenza di disposizioni amministrative e di una legislazione inadatte ai problemi in causa. Cercherò di dire perché, nello stato attuale delle norme in vigore, non può essere diversamente e lo farò raccontando i processi che ho personalmente vissuto. Ma prima è necessario ch'io presenti qualche osservazione che collochi il problema nel suo vero quadro.

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI.

1. La ricerca delle responsabilità è materia da Codicepenale se vi sono vittime e l'azione davanti al Tribunalepenale non è beninteso incompatibile con quella pressoil Tribunale civile, in vista del risarcimento dei danni.Ora, il Tribunale penale può giudicare soltanto persone fisiche che abbiano commesso infrazioni previste dalCodice penale; non può invece pronunciarsi su errori ocolpe collettive imputabili al cattivo funzionamento diservizi o organismi.

Il lavoro dei periti d'ufficio deve dunque condurre, sedel caso, alla designazione di persone contro le quali possa essere elevata un'imputazione.Fatto ciò, le colpe eventualmente commesse sono passibili delle pene previste dall'articolo 319 del Codice penale francese, il quale tratta degli omicidi correntemente detti «colposi» ed è così concepito:
1 [Il Codice Penale italiano contiene una definizione abbastanza simile del reato colposo, ma è molto più severo nello stabilire le pene:
Art. 43, 3° cpv. Il delitto «è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza dileggi, regolamenti, ordini o discipline».
Art. 61, 3° cpv. Aggrava il reato «l'avere, nei delitti colposi, agitononostante la previsione dell'evento» (aumento della pena fino a unterzo).
Art. 589. «Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona èpunito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da uno a cinque anni.Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici».

Altri articoli irrogano pene da uno a cinque anni a chi per colpa cagiona inondazione, frana o valanga, crollo di costruzioni; fino a due anni di reclusione a chiunque, con la propria azione od omissione colposa, fa sorgere o persistere il pericolo di un'inondazione].


2 = Fanno eccezione gli ingegneri minerari, le cui responsabilità sono contemplate dal Codice minerario, che sotto certi aspetti si avvicina al Codice marittimo quando definisce le responsabilità dei comandantidi navi.

"Chiunque per imperizia, imprudenza, disattenzione, negligenza o inosservanza dei regolamenti commetta involontariamente un omicidio o ne sia la causa involontaria ècondannato alla reclusione da tre mesi a due anni e adun'ammenda da 1.000 a 20.000 franchi"1.

È sufficiente leggere questo testo per capire immediatamente quali ambiguità contenga e quali difficoltà d'interpretazione possa sollevare. Quando esista un regolamento - è il caso degli incidenti stradali, regolati dal proprio Codice - le cose, almeno in teoria, sono relativamente semplici.

Invece, nei casi che ci interessano, tutte le possibilitàrestano aperte. In pratica, i tribunali fanno riferimento aquel che si dice il rispetto delle «regole dell'arte», il chenon semplifica molto le cose; infatti, se nel caso di professioni che siano controllate da un ordine professionale,come avviene per i medici, tali regole sono relativamenteben definite ed almeno codificate dall'uso, viceversa pergli ingegneri non è previsto nulla di speciale2 e, caso percaso, il tribunale si rimette ai periti per l'apprezzamentodi tali regole.

Qui risiede una nuova fonte di ambiguità, perché i pareri sono discordi e salvo un errore flagrante - malgrado tutto abbastanza raro - tali pareri sono soggettivi e dipendono, checché se ne dica e nonostante i giuramenti di rito,dalla maggiore o minore simpatia (e anche questo è umano) dei periti verso gli imputati. In particolare, non è un segreto per nessuno il fatto che un perito che sia stato membro di un importante organo dello Stato abbia unatendenza tutta naturale a minimizzare le colpe commesseda un ingegnere che appartenga o abbia appartenuto aquel medesimo organo; e così per gli ex allievi di unagrande scuola o per i colleghi di una medesima professioneche siano uno perito, e l'altro imputato.

2 Supponendo fuori questione l'integrità dei periti,una delle maggiori difficoltà che questi incontrano quando arriva il momento di stilare le proprie conclusioni sta nel porsi interiormente la domanda: «Al posto del signor X... cosa avrei fatto? Sono ben certo che non avrei commesso lo stesso errore?» Il perito, come del resto anche il giudice istruttore, sitrova infatti davanti al risultato di fenomeni che sono già accaduti; egli sa dunque, almeno approssimativamente, come sono andate le cose. Insomma, giudica a posteriori.
E siccome d'altra parte sa che dalle sue conclusionipossono derivare decisioni giudiziarie che comportino perl'imputato gravi pene, si trova normalmente davanti adun vero e proprio caso di coscienza che, talvolta, lo induce ad una certa clemenza, tanto più comprensibile inquanto la colpa commessa è il più delle volte un errore diapprezzamento o di giudizio in un momento critico della vita.
Posso dire a questo punto, e per esperienza personale, che la redazione delle conclusioni di una relazione di consulenza tecnica giudiziaria, dopo una catastrofe, è un'operazione delicata, talora dolorosa, ed esige cheogni parola sia accuratamente pesata.

3. In linea di principio, la perizia giudiziaria ha perscopo dare al giudice istruttore gli elementi d'informazione che gli permetteranno di decidere se vi sia luogo aprocedere, contro una o più persone da designare. Nelcaso degli incidenti stradali - un caso semplice che prenderemo come esempio - la cosa non presenta particolarecomplessità, dato che il numero dei «protagonisti» è limitato. Ma non è questo il caso delle grandi catastrofi, lacui origine primaria va talvolta ricercata parecchi anniaddietro, e dopo consultazione di fascicoli enormi; in altri termini, fra tutte le persone che hanno avuto partenella successione degli avvenimenti, i periti ed il giudiceistruttore devono fare una scelta, su basi che a volte mancano di chiarezza, tanto sono complessi i fattori in causa.

L'esperienza ha mostrato che due sono le soluzionipossibili: o limitare le imputazioni alle sole persone chesembrino effettivamente aver avuto una parte preminente - soluzione adottata più di frequente - o procedere aquella che si può chiamare un'imputazione «alla rinfusa», di un maggior numero di persone, anche se si presume in anticipo che alcune fra esse non siano certamentecolpevoli.

La prima soluzione è certo la più conforme agli usidella giustizia; ma se si guarda ai problemi particolariche suscitano le istruttorie di questo genere, c'è chi pensa - ed io con loro - che la seconda soluzione sia senzadubbio preferibile. Non si deve infatti perdere di vista ilfatto che l'interesse di questi processi va ben oltre il giudizio da pronunciare sugli individui, ma risiede nel fatto che venga svolto un pubblico dibattito destinato a farconoscere la verità.

In questo spirito, il secondo metodo - che senz'altrosoffre l'inconveniente di allungare i processi - pare permettere un confronto molto migliore fra gli uomini e leparti da essi sostenute ed ha inoltre il merito di evitareche giungano a deporre, nelle vesti di testimoni a sgravio degli imputati, delle persone responsabili di azioniche sfiorano il limite dell'imputazione, le quali avrebbero benissimo potuto essere messe nella necessità di giustificarsi. Come mi diceva un collega perito durante unprocesso, «è il sistema migliore, così - secondo una celebre espressione - il Buon Dio sceglie i suoi». Questo sistema di incriminazione globale era stato adottato inFrancia dopo la catastrofe di Bouzey nel 1895 (cfr. pag.112), in un procedimento che terminò con l'assoluzione ditutti gli ingegneri accusati; fu ugualmente impiegato dallagiustizia italiana per il processo del Vajont, che dopo dibattimenti durati parecchi mesi, s'è concluso con l'assolutoria per alcuni e la condanna per altri alla reclusione.

1 Secondo un'osservazione fattami cortesemente da R. Degouy durante la stampa del presente libro, nella pratica l'apprezzamento delleresponsabilità viene fatto in modo più rigoroso in sede civile che insede penale, quando i casi vengano trattati soltanto nella prima; si trattaallora unicamente della riparazione materiale dei danni subiti.
Per contro, si comprende l'esitazione dei giudici penali davanti a condanne cheincrinano l'onore e la reputazione di tecnici, dal momento che gli eventuali reati non possono venire paragonati al furto od alla truffa; purtroppo, la sentenza pronunciata da questi tribunali rischia, se assolutoria, di comportare il rigetto delle richieste delle parti civili, com'è accaduto ad esempio dopo la catastrofe di Malpasset.

2 Professore nella facoltà di diritto e scienze economiche di Parigi.

3 Terremoto di Arette, nei Pirenei.

4 Consigliere di Cassazione.

5 Cfr. pag. 166.

6 Articolo del Codice Civile francese che così recita; «Qualsiasi azione dell'uomo che causi ad altri un danno, obbliga colui per colpa del quale è accaduto, a risarcirlo».
[Il Codice Civile italiano così recita (art. 2043): «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga coluiche ha commesso il fatto a risarcire il danno»].

4. Vi è infine un aspetto di questi processi che - perquanto sia in teoria indipendente dalla ricerca delle responsabilità - ha egualmente una parte non indifferente sullo sfondo dell'azione giudiziaria: l'indennizzo per le vittime ed i danni causati, poiché la designazione degli individui o meglio delle collettività che devono pagare i risarcimenti avviene, troppo spesso, sulla base delle decisioni pronunciate in sede penale1.

A questo proposito la situazione è abbastanza confusa, malgrado che il preambolo della Costituzione del 1946 proclami «l'eguaglianza e la solidarietà di tutti i Francesi davanti agli oneri derivanti dalle calamità nazionali». Ma come afterma Marcel Waline2 nel suo Compendio di diritto amministrativo, l'«applicazione (di questo preambolo) presuppone dei testi legislativi, che precisino anzitutto che cosa bisogna intendere per calamità nazionale...»

La nozione di «calamità nazionale» è molto vaga: quanti ettari allagati, quante case distrutte occorrono, per esempio, perché un'alluvione diventi una «calamità nazionale»?
Sta di fatto che dal 1946 al 1964 si sono succedute, perlo più a seguito di piene fluviali, di nubifragi di eccezionale violenza, di grandinate, della rottura della diga di Malpasset, di sprofondamenti del suolo (e, più tardi, nel 1967,dopo un terremoto)3, svariate leggi di circostanza che accordavano ai sinistrati degli sgravi fiscali, facilitazioni creditizie ed indennità, senza tuttavia riconoscere loro il diritto all'indennizzo integrale.
La triste conclusione su questo punto di diritto è stata tratta da un altro giurista, Rene Degouy4, il quale inchiusa di un rimarchevole articolo sui terremoti artificiali5, dopo aver ugualmente evocato la catastrofe di Malpasset per la quale - oltre dieci anni dopo - non tutti i ricorsi alla giustizia sono stati evasi, scrive:
«Certo questa situazione... è anche quella di tutti i ricorrenti che invocano l'articolo 1382(6) in circostanze di grandecomplessità, sollevando controversie scientifiche e cozzando contro la dispersione delle responsabilità fra numerosiimprenditori e varie amministrazioni dello Stato. Le vittime rischiano, al termine di una lunga procedura, d'essere vittime per la seconda volta, vedendosi condannare al pagamento delle spese di un processo perduto!»
QUALCHE ESEMPIO ISTRUTTIVO.

La rottura della diga di Malpasset.

La catastrofe di Malpasset ha sollevato profonda emozione in Europa e nel mondo, non soltanto per l'elevato numero delle vittime, ma anche a ragione del problema tecnico che tragicamente si poneva; le dighe ad arcoa doppia curvatura erano infatti considerate fino ad allora il tipo di sbarramento più sicuro e l'incidente fu appreso con stupore da tutti i costruttori. E la loro meraviglia fu altrettanto maggiore in quanto esso era operadi André Coyne, unanimemente considerato uno dei migliori specialisti del ramo; il crollo sopraggiungeva al termine di una lunga carriera che non aveva conosciuto ilminimo insuccesso, dopo realizzati molti sbarramenti, talora di grandissima importanza, rispetto ai quali la diga di Malpasset poteva essere considerata un'opera di media, se non addirittura di piccola mole.

In Francia, il disastro fu risentito con un'inquietudinetutta particolare da due grandi corpi di ingegneri stataliche si sentivano direttamente coinvolti, il servizio delGénie rural, che era stato il promotore dell'iniziativa, neaveva sorvegliato l'esecuzione per conto del dipartimento del Var e ne andava legittimamente fiero, e il servizio dei Ponts et Chaussées, nella persona del progettista,ex ingegnere-capo di questo servizio, considerato a giusto titolo uno dei suoi rappresentanti più eminenti.

Nei giorni successivi alla catastrofe, il giudice istruttore di Draguignan nominò una Commissione di periti,della quale facevo parte anch'io; la Commissione, dopotutti i confronti e gli studi necessari, sul posto come invari laboratori, depositò la propria perizia il 10 febbraio1961. A seguito delle conclusioni dei periti, due persone vennero rinviate a giudizio, l'ingegnere del Génie rural dal quale dipendeva la diga ed il progettista. Per quest'ultimo l'azione giudiziaria era estinta a priori perché, già gravemente ammalato al momento della sciagura, eramorto nei primi mesi dell'istruttoria, alla quale di conseguenza non intervenne.

A domanda degli avvocati difensori, fu designata unaCommissione di periti di parte, la quale, dopo nuovi studi comprendenti, come per la prima Commissione, prove di laboratorio e ricerche sul posto, rassegnò le proprieconclusioni il 27 luglio 1963.Sul piano scientifico e tecnico il problema era purtroppo molto semplice e si riassumeva secondo me in pocheparole: insufficienza di studi geologici, tanto in fase diprogettazione che nel corso dei lavori, e condizioni anormali di primo invaso del serbatoio.

Sulla cattiva qualità della roccia, che costituiva il fatto essenziale, il parere delle due Commissioni era concorde, ma esse interpretavano l'evento in modo differente, in particolare per quanto concerneva l'origine dellesottopressioni, la cui esistenza era stata stabilita. La seconda Commissione attribuiva un'importanza massimaall'effetto di tali sottopressioni, che avrebbero superatoin intensità quanto si poteva prevedere, ed avanzava dubbi sul fatto che «dei lavori più estesi di esplorazione delterreno» avrebbero permesso di adottare accorgimentiper evitare il fenomeno. La prima Commissione, invece,insisteva sull'insufficienza, per essa evidente, dello studio delle rocce e delle ricerche preliminari in profonditàa mezzo di cunicoli e sondaggi, attribuendo le sottopressioni avutesi a tale insufficienza d'indagini.

D'altro canto, i pareri furono discordi sulla definizione di «regole dell'arte» al momento della costruzionedella diga, cioè dall'aprile 1952 all'aprile 1954. Fu quiche le cose si complicarono nella maniera più inattesa.

La prima Commissione forniva infatti, in appoggio alproprio punto di vista, una serie di citazioni estratte daopere classiche, fra le quali quella di Maurice Lugeon,pubblicata nel 1933, cui già s'è fatto cenno; questo libro altro non è che una lunga arringa di 138 pagine infavore dei cunicoli esplorativi, dei sondaggi, degli studisulle rocce, eccetera, e termina con una frase che ho già citato, che acquista una tragica risonanza: «Mi sembra cheoggi, con l'esperienza acquisita, questi errori geologicidebbano per sempre scomparire».

La seconda Commissione, invece, espresse le proprieopinioni nei seguenti termini, senza riferimenti a documenti anteriori: «Da qualche anno si osserva una nettaevoluzione nell'estensione dei lavori esplorativi eseguitiin fase di progetto di massima e delle ricerche geognostiche complementari effettuate durante tutta la durata della costruzione.

Alle regole dell'arte dell'epoca, che comportavano unostudio molto completo della diga e dei dispositivi di smaltimento delle piene, così come lo studio geologico accurate del sito e la conoscenza della resistenza della roccia,oggi si aggiungono, fra l'altro, le seguenti precisazioni...» (Il corsivo è dell'autore)

Ora, parecchie delle nuove precisazioni elencate corrispondevano a regole che venivano correntemente applicate quando la diga fu costruita, come si ricava dai documenti bibliografici forniti dalla prima Commissione;argomento di accusa, il rispetto delle regole dell'arte eraquindi esplicitamente messo in questione, indipendentemente dalle rispettive opinioni delle due Commissioni sulmeccanismo della catastrofe.

1 Durante le udienze di questo processo furono dette, e purtroppoda persone competenti, cose che - nonostante siano passati quasi diecianni - io persisto a qualificare stupefacenti, dal punto di vista strettamentescientifico e tecnico.
Per questa ragione, come faccio osservare a proposito del processo del Vajont (pag. 166), mi sembra essenziale che unarelazione peritale contenga, oltre all'opinione personale degli autori,riferimenti a fatti o dati anteriori, controllabili e non soggetti a discussione.

2 Parallelamente alla costituzione delle due Commissioni di periti,designate dal giudice istruttore, il ministero dell'agricoltura, dal qualela diga dipendeva, aveva nominato una Commissione amministrativad'inchiesta. Fatto abbastanza sorprendente, dato che rappresentavanol'autorità da cui l'imputato dipendeva, i membri di questa Commissionefurono convocati allo stesso titolo dei periti giudiziari. Solo fra essi,l'ingegnere generate delle miniere Goguel, unico geologo, del resto noininato a cose fatte, prese una posizione di netta indipendenza affermando «che era difficile parlare di imprevedibilità poiché tutto quello chedoveva essere fatto non lo era stato».

3 È stato tenendo conto di questa conferma da parte dell'autoritàgiudiziaria, dell'esistenza non contestata di opinioni contrarie, che l'autore ha ritenuto di poter esporre la propria personale opinione sulle cause della sciagura (pag. 119 e sgg.); inoltre, partecipando ad un dibattito che sul piano puramente scientifico non si può considerate chiuso, ha tenuto conto delle ricerche e pubblicazioni apparse dopo la decisione dellamagistratura, ed in particolare della memoria di J. Bernaix.

4 Dopo la catastrofe, uno straordinario slancio di solidarieta che hasuperato i confini nazionali ha permesso di raccogliere in favore deisuperstiti un somma enorme; tuttavia, non fu possibile regolare un certo numero di questioni delicate dal punto di vista del diritto civile,donde la persistenza di azioni giudiziarie intentate in opposizione aliaripartizione fatta dei fondi della sottoscrizione.

5 Qualche tempo dopo, dietro richiesta delle parti civili, fu promossaun'azione contro il geometra che aveva eseguito le misure di spostamento della diga, delle quali non fu tenuto conto (cfr. pag. 122), e contro J. Bellier, collaboratore immediato di A. Coyne. Questo nuovo processo terminò come il primo e non recò niente di nuovo ai problemi di fondo della catastrofe.

Il processo si tenne a Draguignan. Si assistette inevitabilmente a quella che si è soliti chiamare una battagliafra periti, la quale al termine di discussioni tempestose1si concluse con una decisione inaspettata del presidentedel Tribunale: fece mettere alla propria destra i peritiche affermavano la realtà delle colpe e gli altri alla sinistra, poi contò il numero di quelli che erano pro e di quelli che erano contro; due periti del primo collegio ruppero la solidarietà coi colleghi e la maggioranza dei presenti si mise a sinistra2.
Finalmente, dopo una lunga sfilata di testimoni e learringhe d'uso, l'imputato fu assolto in virtù di una sentenza resa il 25 novembre 1964 che verteva essenzialmente sulla natura delle sue funzioni e sottolineava inoltre «le conclusioni contraddittorie3 dei periti nominati circa l'esistenza da una parte, all'epoca considerata, diprecise infrazioni alle regole dell'arte nella progettazione ed esecuzione dell'opera e, dall'altra, circa il caratteredi prevedibilità delle cause della catastrofe;...»Il processo fu poi portato davanti alla Corte d'Appello di Aix-en-Provence, che emise sentenza il 26 aprile1966 e confermò il primo giudizio, respingendo così lerichieste delle parti civili, vittime per la seconda volta,secondo l'espressione del consigliere Degouy4.

Da tutto ciò si conclude:

- da una parte stava la contestazione di una serie difatti gravi riguardanti le condizioni in cui la diga erastata costruita, fatti considerati non a torto da variperiti - fra cui chi scrive - degli errori; gli argomentipiu sottili sviluppati per spiegare la funzione e l'importanza delle sottopressioni (o pressioni interstiziali) sotto le fondazioni di una diga a volta non potevano certo cancellare l'assenza, che nessuno ebbe mododi negare, di indagini a mezzo di cunicoli e sondaggiprima della costruzione dell'opera;

- dall'altra parte, da solo davanti ai giudici, stava un funzionario dai compiti non ben definiti, il quale pergiunta non era più in servizio a Draguignan al momento della catastrofe del dicembre 1959.

Dal punto di vista giuridico, e riguardo ai motivi chehanno condotto all'imputazione, si tratta ormai di «cosa giudicata» con decisione definitiva non contestabile5.Nondimeno è permesso meravigliarsi del fatto che, per applicare l'articolo 319 del Codice penale in un senso chegiustificasse l'assoluzione, il Tribunale abbia stilato unasentenza che associa ad argomenti di diritto sulla naturae le funzioni dell'imputato, considerazioni di caratterescientifico e tecnico, senza dubbio tratte dall'escussionecomparata dei periti, ma in evidente contraddizione confatti e documenti consegnati agli atti, in particolare nelle relazioni redatte dai periti medesimi.

Quanto alla conclusione definitiva di questa questionepul piano tecnico, fu data in maniera discreta ma senzaappello col decreto interministeriale del 13 giugno 1966,al quale ho già accennato, che crea il Comitato tecnicoj|iermanente per le dighe; ormai e stata tolta a tutti gli"organismi o servizi, qualunque sia il ministero cui si ricollegano, la facolta di costruire sbarramenti di altezzasuperiore ai 20 m, senza sottomettere i progetti al controllo di un competente organo specializzato.

IL CROLLO DI CHAMPAGNOLE.

Benché questo disastro si collochi alquanto ai marginidelle grandi catastrofi naturali, credo tuttavia interessante darne un breve resoconto perché, pur non sollevandoquestioni così gravi come il caso precedente, esso fornisce un nuovo esempio di inadeguatezza delle norme adun determinato problema.

A suo tempo l'incidente fece gran rumore ed ebbe anch'esso diritto alla prima pagina dei giornali. Il 27 luglio1964, a Champagnole nel Giura, un crollo improvviso siprodusse in una cava sotterranea che alimentava di calcare argilloso una cementeria. Quattro operai che lavoravano al fronte di estrazione furono seppelliti e verosimilmente uccisi sul colpo. Un camionista, che si trovavalungo il percorso fra l'uscita dalla cava ed il cantiere, rimase ugualmente ucciso. I cinque non vennero più ritrovati. Contemporaneamente altri nove uomini che lavoravano in una zona che si addentrava nel massiccio e restarono rinchiusi in uno spazio senza uscita; tutta la Franciaseguì ansiosamente, ora per ora, le fasi del loro straordinario salvataggio, svoltosi grazie alla perforazione a velocità record di un pozzo di circa 60 cm di diametro chepermise di riportarli fuori.

La coltivazione della cava di Champagnole, andataavanti senza incidenti dagli inizi del secolo, era condottacol metodo detto a pilastri abbandonati. Tale metodo, ritenuto molto sicuro per lungo tempo, consiste nell'estrarre solo una parte del banco utile e nell'abbandonare, sotto forma di pilastri che evitano il crollo del tetto, unafrazione importante del materiale; i pilastri rappresentano dunque l'elemento di sicurezza della coltivazione.È evidente che in queste condizioni non bisogna abbattere una proporzione troppo aha di roccia, col pericolo di ridurre i pilastri di sicurezza ad una dimensione troppo piccola, il che comporterebbe il crollo di tuttoquanto.

Che cosa è accaduto?
Ad un certo momento, indubbiamente a seguito dicoltivazione al limite della sicurezza, i pilastri di un settore della cava hanno cominciato a dare segni d'irrequietezza, dovuti ad uno sforzo di compressione troppo elevato, tenuto conto della loro sezione. Molto accuratamente vennero fatte delle misure per accertare se si manifestassero cedimenti; vi era effettivamente un cedimentoleggero, solo di qualche millimetro, ma era quanto bastava perché occorresse prendere misure di salvaguardia. Ildirettore della cava decise dunque di abbandonare questo settore e di vietare il transito in una zona di circa unettaro e mezzo; in pari tempo decise di continuare lacoltivazione ad una distanza abbastanza grande dal settore abbandonato, al fine di garantire la sicurezza del cantiere.

Purtroppo, qualche mese dopo, il 27 luglio, si verificòun crollo subitaneo della cava, letteralmente esplosivo,interessando non soltanto la zona evacuata, ma un'areadi ben 16 ettari, fenomeno accompagnato dal riempimento istantaneo di un vuoto di 630.000 m3. Il crollo si ripercosse in superficie mediante fratture e affondamenti,paragonabili a quelli che si producono per effetto di unsisma naturale.

Venne immediatamente aperta un'inchiesta e la giustizia fu investita della questione.
Molteplici osservazioni furono eseguite sul posto, insieme allo studio minuzioso delle condizioni in cui l'incidente s'era prodotto ed alle necessarie analisi. Dopo ildeposito della perizia, alla cui redazione ho partecipatoanch'io, vennero elevate imputazioni contro il direttoredella cava e l'ingegnere del Servizio minerario incaricatodel controllo. Entrambi furono assolti.
L'aspetto giuridico della questione era il seguente:

1. Il direttore della cava aveva preso le misure necessarie per assicurare la normale sicurezza del propriopersonale nel quadro di una coltivazione ordinaria?

2. L'ingegnere del Servizio minerario aveva, nelle sueispezioni, fornito le prescrizioni necessarie, dato che,in virtu dell'articolo 77 del Codice minerario e degli articoli 14 e 21 del regolamento-tipo sulla coltivazione delle cave in sotterraneo, «gli ingegneri delle miniere» devono consigliare chi coltiva ed in particolare sorvegliare lo stato dei pilastri che assicurano la stabilità?

3. L'incidente accaduto era prevedibile?

Anche qui la discussione verteva sulla definizione delle regole dell'arte, ma in condizioni meno vaghe che nelcaso precedente, visto che esisteva un codice particolare.

* = La sicurezza sembrava così ben assicurata che qualche giorno dopola data della sciagura avrebbe dovuto svolgersi una visita ufficiale al cantiere da parte delle autorità locali!
Al primo quesito fu risposto di sì; si era al limite, manon si poteva rimproverare nulla al direttore. Al secondo fu egualmente risposto di sì: l'ingegnere imputato,del grado che una volta si chiamava "controllore minerario", un uomo d'età (in pensione al momento del processo), non aveva notato nulla di anormale in una cava considerata fino ad allora «senza storia»*.

Restava il terzo quesito. In teoria, l'incidente era prevedibile, o più esattamente era da temere. Parecchi incidenti recenti dello stesso tipo o paragonabili si erano verificati, uno in una miniera di carbone del Transvaal, un altro nei giacimenti di fosfati di Gafsa, altri infine nelleminiere di ferro dell'Est della Francia, ed avevano ispirato un'importante pubblicazione nella «Revue de l'Industrie Minerale» in data antecedente di due anni all'incidente; questa pubblicazione metteva in guardia i cavatori e consigliava loro di modificare il loro metodo dicoltivazione.

1 Desidero sottolineare di passaggio un fatto che mi ha colpito piùvolte in occasione di perizie. Negli ambienti della ricerca scientifica,le lacune che si constatano nell'informazione bibliografica di un ricercatore sono considerate degli errori gravi.
Purtroppo non pare sia la stessacosa per molti ingegneri, i quali troppo visibilmente non si curano ditenersi al corrente e aggiornarsi, una volta usciti dalla scuola, tanto che le lacune dital fatta sono a malapena considerate delle mancanze; è veramente moltospiacevole.
Ma all'atto pratico chi doveva tirare il segnale d'allarme? La maggioranza dei periti ritenne che non si potesse rimproverare al direttore la mancata conoscenza diquella rivista1. Ci si rivolse allora verso l'ingegnere delServizio minerario; ma si poteva rimproverare a quest'uomo anziano, di competenza limitata ad atti di routine, la medesima lacuna? In realtà sarebbe dovuto toccare all'ingegnere-capo di incorrere almeno moralmentein una contestazione di questo tipo, ma dal punto di vista del giudice egli non era «imputabile», dato che maiera intervenuto direttamente nelle faccende della cava diChampagnole.
Ma anche se questi fosse stato incolpatodella disgrazia, il problema non si sarebbe affatto risolto,dato che esistono norme particolari a tutela degli atticommessi dai pubblici funzionari nell'esercizio delle loromansioni.

In breve ancora una volta, grazie ai termini vaghi dell'articolo 319 del Codice penale, l'affare non approdò anulla e non poteva essere altrimenti... per quanto, per gliiniziati, l'incidente fosse di un tipo conosciuto, e dunque possibile. Ma per i tribunali, chi sono gli "iniziati"?...

La frana del Vajont.

Gli aspetti tecnici di questo terribile scivolamento diuna montagna sono stati illustrati nelle pagine precedenti. Non mi dilungherò sulle sequenze giudiziarie di questa catastrofe, dato che misero in gioco una giurisprudenza differente da quella francese.
Nondimeno l'affare merita d'essere raccontato.

Va subito detto che non si possono fare paragoni conla sciagura di Malpasset. A Malpasset, oltre ai problemitecnici, i periti ebbero a conoscere una documentazioneenorme, ricca di fatterelli che mettevano soprattutto inluce il particolare funzionamento dell'Amministrazionedel dipartimento del Var; non fosse stato per i 421 morti, un Marcel Pagnol vi avrebbe trovato materia per unsaporito romanzo provenzale. Ma, in fondo, non si fecealtro che constatare una sicura carenza di coordinazionee tutta una serie di atti irresponsabili ed anonimi, tradizionali in questo genere di uffici; nulla è cambiato daltempo degli employes della Restaurazione cari a Balzac,a parte il fatto che il loro numero s'è singolarmente accresciuto. Per giunta, il movente iniziale s'ispirava ad undesiderio dei più lodevoli e perfettamente disinteressato: dare acqua ad una regione che ne era priva; disgrazia volle che l'affare venisse condotto dall'A alla Z in maniera così curiosa.

1 [Sebbene non pochi indizi avessero chiaramente preannunciato lareale portata dell'evento ed alcuni consulenti, inascoltati, avessero pertempo manifestato le proprie perplessità, anche la Commissione parlamentare d'inchiesta volle affermare che le cause del disastro si presentavano oscure, che la scienza e la tecnica non sembravano aver dato indicazioni illuminanti sulla prospettiva di una catastrofe e che, comunque,tutte le valutazioni anteriori ad essa avevano escluso ogni pericolo per lapubblica incolumità.

A queste conclusioni, unitamente alla negazione che vi fossero responsabilità della Pubblica Amministrazione e degli enti concessionari, pervenne il 15 luglio 1965 la relazione di maggioranza della Commissioneparlamentare (presidente Rubinacci; senatori Ajroldi, Crollalanza, DeLuca, De Unterrichter, Genco, Lo Giudice, Vecellio, Veronesi e Zannier; deputati Baroni, Bressani, Catella, Covelli, Curti, Degan, Dell'Andro,Poderaro, Fortini, Mosca e Zucalli)].

2 Un'operazione del genere è senza dubbio di natura eccezionale.
Penso tuttavia che in determinati casi molto gravi sia perfettamente giustificata, beninteso a condizione che le personalità chiamate vengano scelte col massimo scrupolo. Nel mondo della ricerca scientifica noi consideriamo molto le opinioni dei colleghi stranieri, i quali, senza essere più insensibili di noi alle contingenze umane, godono per lo meno delvantaggio di essere al di fuori di certe spiacevoli realtà nazionali. Inproposito, ho spesso rimpianto il fatto che nessuno straniero sia statoconsultato per Malpasset, dato che ciò avrebbe certo modificato di moltol'aspetto del processo; ma è poco probabile che il governo franceseavrebbe acconsentito. Per il Vajont il problema era diverso; gli animi si erano scaldati a tal punto che un rifiuto del governo avrebbe senz'altro scatenato gravi disordini.

3 Questi due colleghi sono oggi scomparsi. Solo verso la fine dellasua vita conobbi Alfred Stucky, progettista di fama mondiale, e la suaelevata coscienza mi fece grande impressione.
Voglio anche rendere qui omaggio alla dirittura morale ed al coraggio di Henry Gridel, il quale senza il minimo dubbio compromise la fine della propria carriera non rassegnandosi al silenzio nell'affare di Malpasset.

4 Vi fu persino, in Alaska nel 1958, cioè cinque anni prima dellacatastrofe del Vajont, una frana che provocò in un fiordo un'onda di510 m d'altezza.

5 Il 3 ottobre 1970 la Corte d'Appello dell'Aquila pronunciò la sentenza di secondo grado. Pur riducendo la misura delle pene, essa confermò la natura dei reati, riconoscendo in particolare la prevedibilitàdell'evento. È stata mantenuta la condanna alla reclusione del principale imputato, mentre analoga condanna è stata inflitta ad un imputatorimasto prosciolto in primo grado.
[Il 25 marzo 1971 il processo del Vajont concludeva il suo lungo e travagliato iter giudiziario, due settimane prima che scattasse la prescrizionedei reati. Con sentenza definitiva la Corte di Cassazione condannava a 5anni di carcere l'ingegner Alberico Biadene ed a 3 anni e 8 mesi l'ingegner Francesco Sensidoni, rispettivamente direttore responsabile dell'impianto e capo del Servizio dighe del Ministero dei Lavori pubblici all'epoca della catastrofe. Tre anni di condono furono applicati ad entrambi.

A conferma della sentenza della Corte d'Appello, la Suprema Cortecosì si esprimeva: «L'esercizio lecito di attività pericolosa è da ritenereconsentito, da un lato nella misura in cui risponde ad obbiettive esigenze di interesse collettivo o pubblico, di ordine primario; dall'altro, neilimiti in cui sia possibile predisporre le misure necessarie affinché taleattività non finisca col risolversi in danno, anziché in beneficio per la società. Nel caso in esame i giudici di merito non hanno fatto altro che applicare gli anzidetti principi allorché, con motivato, incensurabile apprezzamento di fatto, hanno concluso per la prevedibilità del precipitare delversante settentrionale del monte Toc e della sua estrema velocità di caduta, e, quindi, per la colpa degli imputati».

Al Vajont, invece, si entrava pari pari in tutt'altro mondo, quello dei grandi interessi finanziari. La diga del Vajont, vero capolavoro dell'ingegner Carlo Semenza, alta 265 m, sì da essere per un certo tempo la più alta diga del mondo del tipo a volta e doppia curvatura, era stata realizzata per conto della Società adriatica di elettricità (SADE); a monte di essa si stendeva per parecchi chilometri un capace serbatoio, in grado di alimentare un'importante produzione d'energia elettrica.

L'impianto era stato realizzato in un sito dalla topografia eccezionale, ma purtroppo in una zona in cui lefrane non erano sconosciute. Sulla sponda sinistra, il lago artificiale era dominate dalla massa del monte Toc, la cui instabilità venne presto riconosciuta; già abbiamo descritto i movimenti del suo versante.
Ora, nel corso degli anni e dei mesi che precedetterola catastrofe, si discuteva in Italia la nazionalizzazionedelle società produttrici di elettricità, i cui impianti, edin particolare quello del Vajont del valore di parecchi miliardi di lire, dovevano essere riscattati dallo Stato, rappresentato da un ente nazionale, l'ENEL, dallo statuto paragonabile a quello dell'EDF francese. Vi era perciò daparte della SADE un interesse evidente a valorizzare l'impianto del Vajont.

Indubbiamente, tutti gli studi scientifici possibili perdeterminare i caratteri della frana vennero in apparenzaeseguiti ed io stesso ne ho tratto profitto, poiché questafrana era in realtà una delle meglio studiate al mondo. Ciònon toglie però che lo studio del materiale agli atti abbiafatto risultare un insieme di fatti piuttosto sconcertanti.Citerò in particolare: un esperimento di frana su modello da laboratorio, dal quale vennero tratte conclusioni«rassicuranti», ma che non aveva molto significato; ilprecedente di una frana caduta in una valle vicina - inun serbatoio idroelettrico anch'esso della SADE - i cui effetti dimostravano con bella evidenza che, allorché si sarebbe prodotta la frana del Vajont, incontestabilmente prevista, le conseguenze sarebbero risultate molto più gravi di quanto non sostenessero certi esperti, eccetera.

In definitiva, nel presupposto che l'onda da temersi, quando la frana cadesse nel lago, sarebbe stata alta al massimo 20-25 m, il livello del serbatoio veniva mantenuto «per sicurezza» ad una quota corrispondente sotto il ciglio dello sbarramento; ma purtroppo, quando il 9 ottobre 1963 i quasi 300 milioni di metri cubi di rocciavennero giù in pochi minuti, un'onda prodigiosa alta 200 metri lambì le prime case del paese di Casso soprastante la diga ed alcune diecine di milioni di metri cubi d'acqua, scavalcando quest'ultima che resistette ammirevolmente, si gettarono nella gola da essa sbarrata e, come un gigantesco maglio, andarono a schiantare la città diLongarone situata allo sbocco del torrente, nella sottostante valle del Piave.

Un tale dramma, con le sue circa duemila vittime - non se ne seppe mai il numero esatto - fu considerato in Italia, manco a dirlo, una catastrofe nazionale.Fu immediatamente avviato il rituale di prammatica,con nomina di varie commissioni amministrative o giudiziarie le quali, a seguito di studi all'apparenza moltodocumentati, conclusero per l'imprevedibilità del fenomeno, affermando anzi che una frana di tale mole era praticamente sconosciuta nel mondo1.

Frattanto le passioni s'erano accese con tutto il vigorech'è possibile al di là delle Alpi. Fu allora che il giudiceistruttore di Belluno, dal quale dipendeva il procedimento penale, convinto della parzialità delle relazioni «tecniche», chiese al ministro della giustizia di Roma l'autorizzazione a far riesaminare il caso da periti stranieri2; quindi, ottenutala non senza molta pena, prese il bastone del pellegrino e andò in cerca degli specialisti in grado di accettare una missione sì delicata.

Devo confessare che quando la proposta mi fu presentata per la prima volta dal magistrato nel corso di un lungo colloquio al consolato d'Italia a Nancy, luogo extra-territoriale, in presenza del cancelliere del suo tribunale,la mia prima reazione fu di esitazione. In quale impiccioandavo mai a cacciarmi? Tanto più esitavo in quanto conoscevo personalmente parecchi degli esperti italiani cheerano miei colleghi. Finalmente, dopo settimane di riflessione, accettai egualmente, così come fecero in condizioni analoghe e con lo stesso animo il grande progettista di Losanna Alfred Stucky - il Coyne svizzero - e Henry Gridel, professore alla Scuola centrale di Parigi ed exdirettore del Laboratorio nazionale d'Idraulica di Chatou, che era stato al mio fianco al tribunale di Draguignan3; con noi era un giovane professore italiano dell'Università di Genova, Floriano Calvino.

Le nostre conclusioni furono categoriche, molto dipiù, anzi, di quanto potessimo presumere in partenza.Alfred Stucky, in un capitolo di rara levatura d'animo,non esitò a scrivere che non si sarebbe mai dovuto farsalire il livello dell'acqua nel serbatoio in modo così sconsiderato com'era stato fatto - operazione che avrebbe diminuito grandemente il valore economico dell'impianto.Henry Gridel esaminò criticamente la validità dell'esperienza «rassicurante» com'era stata interpretata, nonchévarie affermazioni concernenti i fenomeni idraulici. Perparte mia, dopo un'impegnativa ricerca bibliografica, mostrai che la frana del Vajont era effettivamente una dellemaggiori conosciute, ma aveva predecessori di proporzioni analoghe, se non altri quello celeberrimo di Goldauin Svizzera; inoltre, studi anteriori realizzati tanto negliStati Uniti, quanto in Norvegia sulle frane entro i fiordifacevano rientrare l'onda di 200 m del Vajont in quellache si può chiamare la norma in eventi del genere4. E l'accordo fu unanime nel dichiarare la catastrofe perfettamente, e persino stranamente, prevedibile.

La perizia rimise a galla l'affare, che cominciava visibilmente a fare acqua. Ed il processo, di cui ho già anticipato la sentenza (delle assoluzioni e delle condanne alla reclusione), si tenne a L'Aquila degli Abruzzi nel 1969e durò parecchi mesi; il governo italiano, temendo disordini a Belluno, aveva infatti sottratto il processo al suo giudice naturale e preferito che leudienze si svolgessero nella calma di una città lontana,del resto assai pittoresca e sconosciuta persino a moltiitaliani5.

Venendo alla situazione francese, la sola conclusione,ma importante, che trarrò qui, dopo un'esperienza umana eccezionale, riguarda la funzione del periti e conferma quanto già avevo dedotto dallo svolgimento del processo conseguente alla catastrofe di Malpasset. Ogni affermazione, scritta e soprattutto verbale - specie nel calore dell'udienza - dev'essere considerata a priori soggettiva, quindi suscettibile di dubbio se non suffragata oda fatti materiali controllabili, o da informazioni scritte - parimenti controllabili - ed in particolare da documenti bibliografici, troppo spesso trascurati. Per i mieicolleghi e per me, la nostra forza durante il processo risiedette semplicemente in questo atteggiamento; le nostre argomentazioni non potevano essere contestate e,diversamente da quanto accadde a Draguignan, i magistrati non poterono fare a meno di tenerne il dovutoconto.

I terremoti artificiali.

Lo studio di questi particolarissimi terremoti apre ilproblema della determinazione delle responsabilità, chesi presenta dotato di rara complessità.Sul piano scientifico, sono stati oggetto di vari studied in particolare in Francia da parte di J. P. Rothe; sulpiano giuridico, si deve al consigliere di Cassazione René Degouy una trattazione molto documentata, dallaquale estrarrò l'essenziale.

Di che si tratta, dunque? Semplicemente di sismi provocati dall'accumulo, a monte di grandi dighe, di considerevoli quantità d'acqua che sovraccaricano il terreno,compromettendone la stabilità.
Anzitutto, sul piano scientifico il fatto non è più contestato da alcuno. Dapprincipio ha destato sorpresa, maormai il numero degli esempi noti e studiati è tale chequesta realtà viene accettata da tutti.

Citiamo qualche esempio:- Alla Boulder Dam sul Colorado, l'invaso di 35 miliardi di metri cubi d'acqua, costituenti il lago Meadsorretto dalla diga alta 156 m, ha provocato un sovraccarico tale da modificare «il rigetto di faglie rimaste inattive nel Pleistocene », il tutto accompagnato da numerosi sismi.

- Il più grande lago artificiale del mondo (175 miliardi di metri cubi), creato con la diga di Kariba sulloZambesi, ha dato origine dal 23 al 25 settembre 1963ad una serie di terremoti di magnitudo che arrivavaal sei.

- Presso la diga di Kayna in India, sull'altopiano del Deccan, il cui serbatoio raggiunge i 2 miliardi di metri cubi, si è avuto il 10 dicembre 1967 un sisma dimagnitudo 6,4 con 200 vittime e la distruzione dell'80 per cento delle case della città di Koynanagar.

- In Francia, infine, la diga di Monteynard sul Drac(alta 135 m, serbatoio di 275 milioni di metri cubi)ha provocato dieci giorni dopo la fine del primo riempimento, il 15 aprile 1963, un terremoto di magnitudo 5, che causò notevoli danni nei paesi vicini, evari altri sismi in seguito.

A questo elenco si potrebbero aggiungere molti altricasi; si tratta dunque di un fatto ormai stabilito, che sembra caratterizzare specialmente i serbatoi artificiali di profondità superiore ai 100 m.

Abbiamo già considerato in queste pagine, e separatamente, i problemi sollevati dai terremoti e dalle dighe; qui ci si trova davanti ad un problema giuridico nuovo che, fino ad oggi, non sembra abbia ricevuto una soddisfacente soluzione.

Anzitutto - contrariamente a quello che accade per ilCodice minerario che tratta da molto tempo dei danni insuperficie conseguenti ai lavori sotterranei - niente è previsto nelle leggi che presiedono all'energia idraulica. Icostruttori di dighe - già alle prese con i delicati problemi di cui s'è lungamente parlato - non potevano immaginare che la realizzazione tanto attesa delle grandi digheavrebbe avuto tali conseguenze.

A priori, nello stato attuale della legislazione le vittime non possono ricorrere che all'applicazione dell'articolo 1382 del Codice civile per tentare di ottenere la riparazione del danno subito; ma questo presuppone chel'attore, in conformità dei termini di questo articolo, porti la prova che il danno è «azione dell'uomo» e non d'unevento naturale. In pratica la situazione è inestricabile egli esempi dei processi narrati nelle pagine precedenti dimostrano, se ve ne fosse bisogno, in quali difficoltà rischiano di urtare le povere vittime nel caso debbano anzitutto portare la prova - attraverso dei periti - che talisismi sono cagionati dal riempimento del vicino serbatoio e non sono terremoti naturali. Rischiano forte, secondo la stessa espressione del consigliere Degouy già citata, ma che rammentiamo di proposito, d'essere «vittimeuna seconda volta» perché condannate alle spese al termine di un processo perduto.

Così, pagina su pagina le prove si accumulano di quanto le norme attuali siano inadatte alle contingenze dellavita moderna. Prima ch'io esponga alcune idee o piuttosto suggerimenti personali sui nuovi orientamenti chemi parrebbe auspicabile si adottassero, il lettore non riterrà certo inopportuno che citi la parte più importantedelle conclusioni cui è pervenuto il sunnominato eminente giurista. Vi vedrà se non altro la dimostrazione delfatto che colui che ha il compito di applicare la legge ecolui che ha quello di osservare la natura si trovano d'accordo nel pensare che qualcosa vada cambiato.

Una tale situazione deve lasciarci indifferenti? Non penso. Per conto mio, respingo la disumanità di coloro che dicono e scrivono che si tratta di «mali inevitabili», il prezzo del «progresso tecnico», quasi fosse un sacrificio al dioMoloch. Il vero progresso così com'è concepito dalle nostre società moderne deve sempre più tendere a risarcireognuno del pregiudizio subito a causa e ragione dei lavoridi pubblica utilità . Si arriva al punto di prevedere certe riparazioni in caso di calamità naturale, per esempio di inondazione. Esiste una legislazione per i danni di guerra; delle disposizioni speciali per le calamità agricole. Apparechiaro che dovrebbe essere lo stesso per i disagi derivantidallo sviluppo industriale e scientifico, il cui elenco noncessa di allungarsi e che comprende, non v'è dubbio, i terremoti artificiali.

CHE FARE DUNQUE ?

Le norme sono insufficienti o inadatte; questo oggi èuna certezza. E siccome, malgrado tutto ciò che gli uomini possano fare, vi saranno ancora purtroppo nuovidrammi per cause naturali o cause che potremmo definire intermedie - derivanti cioè da un'associazione più omeno complessa di «azioni umane» e cause naturali Ńsempre si porrà il problema della ricerca delle responsabilità attraverso i tribunali.

Tanto più che, disponendo l'uomo di mezzi tecnicisempre più potenti, i disastri conseguenti alla distruzione delle sue opere, o semplicemente dovuti alla loro presenza, avranno ripercussioni sempre più gravi; non si può immaginare che in simile situazione si consolidi l'idea diuna irresponsabilità a priori di coloro che presiederannoalia realizzazione delle future iniziative.

Personalmente ritengo acquisito un fatto; non mi pare più possibile determinare tali responsabilità applicando direttamente l'articolo 319 del Codice penale o l'articolo 1382 di quello civile nel caso degli incidenti che sono l'oggetto di questo libro, senza che nuove normegiungano a completare quelle e, in particolare, a megliodefinire i compiti che incombono agli uomini in causa.L'articolo 319, nella sua singolare formulazione, è unanorma talmente vaga - certo volutamente, per copriretutti i casi immaginabili - che allo stato attuale delle cose le sentenze conseguenti a sciagure che interessano l'intera nazione sono soggette alle più sorprendenti fluttuazioni e dipendono soprattutto dalla personalità del presidente del Tribunale, per quanto grande possa essernel'imparzialità. Bisogna del resto riconoscere che per dipiu le divergenze di opinione fra i periti - e direi ancheil loro comportamento umano - non gli facilitano affattola decisione. In questo spirito, ritengo che si debba ugualmente riprendere in esame la funzione dei periti, ondesia meglio stabilità la differenza che dovrebbe normalmente sussistere tra la dimostrazione reale, scientifica,delle loro affermazioni e quanto invece non è altro cheimpressione soggettiva, suscettibile delle più contraddittorie differenziazioni.

Insomma, non sarebbe forse opportune, come già suggerito nel caso degli inquinamenti e della difesa dell'ambiente, prevedere una legislazione speciale per tutto quanto riguarda i problemi trattati in queste pagine? Questogravissimo problema non si pone del resto unicamente in Francia - ho avuto in proposito colloqui con colleghi o magistrati stranieri - e mi chiedo se un organismo internazionale come l'Unesco non debba aprire un ampiodibattito, nel quale uomini d'esperienza, giuristi, ingegneri progettisti e specialisti dei «fatti della natura» - geologi, geofisici ed ecologi in particolare - confrontassero ipropri punti di vista e fors'anche tentassero di stabilirealcuni principi generali, dai quali le legislazioni dei diversi paesi potessero trarre profitto.

Detto questo, per evidenti ragioni non mi impegnerooltre in un tema nel quale ho piena coscienza di averesoltanto una visione parziale delle cose. Altri prima dime hanno già affrontato questi problemi ed io non ho altra ambizione che recare - in tutta sincerità - qualcheelemento in più ad un tema di discussione la cui complessità non mi sfugge affatto.

Tuttavia, lasciando da parte i ricorsi in giustizia presentati a posteriori, penso vi sia un altro mezzo di affrontare i gravissimi problemi della previsione e delle responsabilità, riconsiderando il modo in cui i pubblici poteri,e non i magistrati, dovrebbero guardare alle due questioni. Il ricorso ai giudici è, in un certo senso, un mezzo dicura; non è forse meglio occuparsi anzitutto dei mezzidi prevenzione'? Questa prevenzione ha di per se stessadue aspetti, che volentieri chiamerò prevenzione materiale e prevenzione morale.

La prevenzione materiale è già stata esaminata, in duedifferenti direzioni: quella dei provvedimenti, diciamo,tecnici come argini, dispositivi d'allarme, metodi costruttivi, eccetera e quella delle misure di carattere amministrativo, in primo luogo il problema sempre pendente del rilascio delle licenze di costruzione.

Quanto all'altro aspetto, si tratta per vero della prevenzione negli animi, cioè del modo di concepire la nozione di previsione e soprattutto della maniera per tuttigli uomini di mettersi in tutta coscienza davanti alle proprie responsabilità. A costo di sembrare troppo ottimista, e a questo aspetto dell'atteggiamento che occorrerebbe assumere da parte degli individui che desideroadesso rivolgere la mia attenzione.

La nozione di rischio.

Anzitutto mi sembra sia fondamentale un punto: come considerare la nozione di rischio davanti ai pericolinaturali.

Per le alluvioni, il problema è semplice. Si tratta, oserei dire, di calamità familiari all'uomo. Tutti gli anni, illivello del fiume vicino sale ed i prati si ricoprono d'acqua; certo, esistono le piene dette secolari, ma qua e làdei segni incisi sui muri tengono desto il ricordo, anchenei piccoli paesi, di quell'anno memorabile che il vegliardo rievoca, rammentandosi che da bambino l'avevanomandato a scuola in barca. Non insisterò su questo punto. Tale rischio è generalmente compreso; anche se certiimprudenti s'ostinano a voler scavare una cantina col rischio di vederla presto trasformarsi in piscina o a costruire una casa che ogni inverno si troverà nel bel mezzo diun lago.

Invece, per gli altri fenomeni, il problema è differente.Per i sismi ci si trova praticamente di fronte al nulla,chiunque sia l'interlocutore cui ci si rivolge. Se si dice alprimo che passa «quello ch'è capitato trent'anni fa puòripetersi oggi», nove volte su dieci la risposta sarà un sorrisetto o un'alzata di spalle; e se l'interpellato è un costruttore, allora è meglio stare alla larga... Il fatto è certo ed è ben grave: gli uomini non ci credono; a tutti igradi della gerarchia la reazione è la stessa. E peraltronelle regioni del Sud della Francia, di cui ho precisato ilimiti, il rischio è dimostrato. Nessuno può dire in qualegiorno, né in quale anno vi sarà un terremoto in qualchepunto delle zone segnalate del Mezzogiorno, ma a scadenza più o meno remota, ci sarà. È questa una verità dellaquale occorre assolutamente che i pubblici poteri si convincano, anche se i provvedimenti da prendere, cioè l'obbligo di costruire applicando le regole antisismiche, contrarieranno - questo è certo - interessi svariati.

Ma, a parte la difesa di quegli interessi, si obbietteraper esempio che rimarrebbe segnata la sorte delle casevecchie, che non si possono evidentemente ricostruire; ilche e perfettamente vero. però risponderei: tutti sannoche lungo i fiumi ci sono delle vecchie case esposte alleinondazioni e sommerse a più riprese, ma si ammette oggi senza difficoltà che un motivo del genere non può impedire di vietare che nuove costruzioni si facciano nellezone inondabili. Per i sismi, come per tutti gli altri rischi,deve succedere la stessa cosa.
Per le frane di qualsiasi genere la situazione la definirei di tipo intermedio.

Una volta realizzata con urgenza la carta della franosità, appariranno delle zone la cui classificazione potrà - in certo qual modo - essere presentata in una forma paragonabile a quella delle zone già definite a proposito delle alluvioni, cioè in tre categorie: zone stabili senza pericolo,zone con pericolo di frana, da sorvegliare ma utilizzabili,e zone pericolose, dalle quali ogni costruzione dev'essereproscritta. Il rischio per la prima e la seconda categoriaè definito di per se stesso; nullo in un caso, considerevole nell'altro.

Nondimeno è da temersi che per le zone suscettibili difranamento, da sorvegliare ma classificate solo come «pericolose eventuali» senza presentare indizi visibili di movimento, certi scettici contestino il rischio e nonostantetutto si ostinino a volerle utilizzare. In tal caso - fatte ledebite proporzioni - il rischio diviene un po' paragonabile a quello del terremoto, con la differenza che la sorveglianza è facile ed il rischio limitato, poiché dai risultatidella sorveglianza si può dedurre la probabilità dell'incidente. In questo campo vi è dunque da curare l'educazione del pubblico, facendogli comprendere che nessunesperto, per quanto competente egli sia, può prevedereun pericolo senza osservazioni minuziose e senza la misura dello spostamento di punti di riferimento; più esattamente, se delle fessure visibili ad occhio nudo si aprono davanti all'osservatore, significa che si è allo stadio delsi salvi chi può. Nella primavera del 1970, in occasionedella sciagura del Roc-des-Fiz, troppo spesso s'è letto nei giornali il resoconto di visite di sedicenti «esperti» chedichiaravano gravemente, senza aver potuto vedere nulla, che ogni pericolo era escluso, mentre la montagna, inesorabile, continuava a spostarsi.

Quanto precede non significa che tutte le costruzioninella zona 2 debbano essere sistematicamente eliminate,dato che in mold casi adeguati lavori potranno consentire una sistemazione definitiva; bisognera semplicemente avere la coscienza di un certo rischio.

Per le valanghe, infine, il problema si presenta in termini piuttosto differenti dai casi precedenti. La preparazione della valanga e rapida ed il suo scatenarsi quasiistantaneo. Il rischio e grande, evidente, immediate; e iltipo di fenomeno naturale per eccellenza di fronte al quale l'obbedienza alla consegna assume il valore d'un imperative assoluto.

Bisogna del resto sottolineare con forza che, se la nozione di rischio di incidenti caratteristici soprattutto delle regioni montuose presenta oggi un volto nuovo, lo sideve ai considerevoli mutamenti prodottisi negli annirecenti nell'occupazione di tali regioni da parte dell'uomo. Ho troppo spesso sperimentato nella mia giovinezza, durante le mie campagne geologiche, la saggezza deipaesani delle alte vallate per far loro il torto di crederech'essi ignorino i rischi delle valanghe od anche delle frane. Quei rischi, d'istinto, li conoscono perfettamente ed estato solo in condizioni eccezionali che i loro villaggi o leloro case ne sono stati colpiti. In ciò hanno agito in sensofavorevole due fattori: la scelta - sorretta dall'esperienza secolare trasmessa da una generazione all'altra - dibuoni siti per costruire, di preferenza su poggi debitamente reperiti al di fuori del tragitto delle valanghe e dellefrane, ed anche il fatto che d'inverno le alte vallate eranopraticamente deserte.

Spesso, soltanto al sopravvenire della bella stagione,risalendo agli alpeggi con il bestiame, avveniva che constatassero gli effetti delle valanghe mossesi «senza testimoni» nel corso dei mesi precedenti. Ma adesso, tutt'a un tratto, sia per lo sviluppo parallelo degli sport invernali e del turismo, sia per la febbre dispeculare, costruire o che so io che s'abbatte su quelle regioni - febbre che d'altronde è solo la conseguenza diretta del primo fenomeno - le alte valli vengono invase, nelmomento più pericoloso dell'anno, da una moltitudineuscita in maggioranza dalle grandi città, in genere pocoeducata se non purtroppo refrattaria assai spesso ad ognigenere d'educazione. L'atteggiamento di sufficienza deicittadini che «sanno tutto» e sorridono con condiscendenza alla prudenza degli uomini del posto non è un fatto nuovo; disgraziatamente, adesso, non solo gli ultimivenuti appartengono spesso e volentieri alla categoria dicoloro che non vogliono ascoltare niente, ma il loro genere di attività - sport invernali in particolare - comportatutti gli elementi necessari per scatenare delle valanghe.

E lo stesso può dirsi dei costruttori; forti dell'impiegodi «nuove tecniche», hanno la tendenza a trascurare leprecauzioni di prudenza che peraltro la natura impone.Scrivendo queste righe, penso agli enormi hotel o sanatori del Plateau d'Assy, ove all'eccezionale posizione soleggiata fa riscontro, ed altrettanto eccezionale, la mediocritàdel terreno sul quale sono costruiti.

È in questo quadro che va collocato oggi il grande problema delle regioni di montagna, dominate in primo luogo da una particolare concezione della nozione di rischioche non si può eludere e deve anzi essere presente nell'animo di tutti quanti.

La personalizzazione delle responsabilità.

Un fatto mi ha sempre colpito quando dovetti chinarmi sugli atti di un'istruttoria giudiziaria: la diluizionedelle responsabilità. Allorché si cerca di ricostruire la successione delle decisioni, buone o cattive, svoltesi a partire dal giorno in cui il progetto viene abbozzato fino algiorno del compimento dell'opera, non si può fare a meno di constatare la serie impressionante di persone implicate; sicché quando, dopo un incidente, si cerca di sapere chi ne sia il responsabile, ci si accorge con stupore che il responsabile s'identifica in «parecchi», quando non si trattidi «molti». E poiché, beninteso, ciascuno è intervenutosoltanto per una frazione dell'operazione, non appenasembra si voglia attribuire a questo ciascuno una certaparte di responsabilità, la risposta è immediata: «Non sono stato io, è stato lui»; chi, non si sa.

Adesso, quella che fu per me una convinzione per lungo tempo è divenuta certezza; per uscire dal vicolo ciecoin cui la Francia s'è cacciata tanto per debolezza degli uomini - bisogna dirlo - quanto a seguito di una sbalorditiva proliferazione di norme che altro non sono che un vero e proprio «monumento alla gloria dell'irresponsabilità», occorre mettere termine nettamente a tale pericoloso stato di fatto.

All'atto pratico, il problema, il più delicato di tutti, vascisso in due parti. Vi sono anzitutto le decisioni da prendere con calma, e in assenza di qualsiasi immediato pericolo; per tali decisioni, s'impone la consultazione a mentefresca di un organismo competente. Ed è a questo chepenso quando chiedo con insistenza la creazione di comitati o commissioni responsabili, abilitate ad autorizzare o vietare le costruzioni nelle zone pericolose.
Ma in parallelo esistono le decisioni da prendere neimomenti che chiamerei «caldi», cioè quando una sciagura sia possibile o imminente.

In tale eventualità, se non si vuole che domani si ripetano nuovi drammi, occorre con tutta urgenza personalizzare le responsabilità. Non dovrà più esserci il Servizio X a dover prendere la decisione dopo aver consultatola Commissione Y, la quale designi una Sottocommissione Z, che sentirà il capufficio d'un altro ministero per sapere se l'articolo N della legge del 10 febbraio dell'anno tale,modificata da quella del 13 gennaio anno talaltro, sia onon sia applicabile, eccetera. Dovrà esserci solo il "signor A" adecidere, e presto; toccherà a lui, se lo riterrà necessarioe ne avrà il tempo, prendere tutte le informazioni preliminari, sempre impegnandosi in prima persona; e beninteso il "signor A" dovrà essere designato in anticipo.

1 Non parlo di proposito delle alluvioni, per le quali funzionanogià dei servizi d'allarme rispondenti in modo corretto a questo tipo dirischio; il problema più importante che esiste in questo campo mi paresia la generalizzazione di sistemi già sperimentati, i quali in molti casifunzionano già in maniera efficace.

2 Il confine fra le due province passa infatti attraverso la zona interessata; è purtroppo una contingenza che la natura non aveva previsto...

Voglio precisare e formulo dunque con fermezza le seguenti linee1: per le frane di qualsiasi natura bisogna chein ciascun grande settore geografico, per esempio ciascuna valle, sia designato un responsabile con l'autorità necessaria per prendere immediatamente, e senza obbligodi riferire all'autorità superiore, tutte le misure impostedalle circostanze.
Solo questo permettera di evitare quel ch'è successo alRoc-des-Fiz dove, mentre gli alberi si coricavano e la catastrofe avanzava a grandi passi, mentre nessuno si sentiva abilitato a prendere una decisione, una drammaticaincoscienza spingeva le vittime alla morte.

Il fatto, del resto, non è particolare della Francia; alVajont, mentre le fessure s'aprivano sulle strade, mentre si sarebbe dovuto gridare «si salvi chi può» e suonarele campane a martello, le autorità prefettizie di Udine e di Belluno siconcertavano gravemente tra loro per sapere se fosse il caso di allarmare la popolazione, e chi fosse abilitato a farlo2.

Per le valanghe, in ogni paese o stazione di sport invernali dovrà esservi un responsabile della sicurezza, con tutti i poteri per dare ordini ad effetto immediato.

Per i terremoti, anche qui il caso è diverso; è al governo, ed a lui solo, che incombe la responsabilità d'imporrele norme di costruzione antisismiche nelle zone già inventariate.

Infine, per tutti i grandi lavori d'ingegneria e soprattutto per le dighe occorre che dal giorno della decisione di costruire al giorno del compimento definitivo - il primo invaso per le dighe - vi sia un solo responsabile con poteri paragonabili a quelli del comandante d'una nave, presso il quale sta un secondo che automaticamente assume il comando se il primo scompare; poiché in mare una nave non può fare a meno di un comandante e la costruzione d'una diga dura vari anni, durante i quali il direttore può morire. Ma in ogni momento, uno solo deve comandare ed essere responsabile1.

1 Un tale sistema e già in vigore in Svizzera; il controllo dei progetti e la sorveglianza della costruzione delle dighe sono affidati a titolo individuale a personalità competenti che vengono chiamate «Espertifederali». I poteri di questi esperti sono considerevoli ed il loro mandato ha termine dopo il primo invaso e il primo svaso del serbatoio.(Informazione cortesemente comunicatami dal professor J. P. Stuckydi Losanna).

2 Sottopongo a questo proposito un'idea ai giuristi, che mi pare dovrebbe essere studiata.
"In che misura tali esitazioni potrebbero venir considerate come un rifiuto d'assistenza a persone in pericolo?"

Conosco in anticipo certe obiezioni che non si mancherà di avanzare a queste mie idee: per esempio, l'evacuazione di un paese o anche di un cantone in previsionedi un pericolo che poi non si concreti. Ciò sarebbe meno grave che dei morti; si sono dimenticati gli allarmi aerei in tempo di guerra? Vi sarà piuttosto la necessità di sostenere questo responsabile di fronte alle contestazioni sullasua decisione; questo è importante, perché in passato iltimore di sanzioni è stato effettivamente causa per certuni di esitazioni fatali2.
In breve, l'introduzione di untale sistema implica una trasformazione profonda delleabitudini delle nostre amministrazioni e ben altri uomini che non siano gli architetti o i costruttori.

In seguito ad un articolo che pubblicai un giorno suquesto tema nel quotidiano «Le Monde» dopo il crollodello stabile di boulevard Lefèvre a Parigi, un architetto mi rispose gravemente che la mia idea era utopica. Certo, è molto più comodo, come ho scritto prima, avere sempre sottomano un regolamento che permetta di dire: «Non sono stato io, è stato lui».

E tuttavia si trovano dei comandanti di nave o di«Boeing» che sanno perfettamente che in caso di naufragio o d'incidente, se sopravvivono, saranno imputatia priori e toccherà a loro di giustificare la propria condotta. Analogamente, nelle miniere vi sono ingegneri responsabili di un complesso estrattivo i quali sanno bene chein caso d'incidente sarà subito a loro che verrà chiesto didare conto, senza necessità di aprire tutta un'istruttoria.
Se disposizioni del genere sono ammissibili è per unaragione molto semplice: quando una decisione immediata dev'essere presa nella tempesta, nel corso d'un uragano, per evitare uno scoppio di grisù o il crollo d'una galleria, non è il momento di consultare una commissione odi chiedere istruzioni al prefetto. Occorre agire all'istante, e fare il proprio mestiere con coscienza, il proprio mestiere di uomini, secondo un'espressione cara a RaoulDautry, piena di senso profondo.

Davanti ai rischi naturali i cui effetti si succedono a cadenza accelerata, si realizzano condizioni paragonabili a quelle che conoscono i marinai, gli aviatori, i minatori. Per averle troppo misconosciute si sono accumulati troppi lutti. Ho l'intima convinzione che non sia troppo tardi per agire. Ci sono ancora degli innocenti che non vorrebbero morire.

La frana di via Digione a Genova.

Se è vero che con il processo del Vajont e il puntiglio con ilquale insisté ad interessarsi della frana di Agrigento la magistratura italiana riesce, in materia di catastrofi naturali colpose, a tenere abbastanza bene le distanze dai giudici francesi e svizzeri chetrattarono i disastri di Malpasset e di Mattmark, nondimeno lasciano perplessi certe altre recenti decisioni. Una di queste riguarda il preoccupante esito delle indagini giudiziarie sulla sciagura di via Digione a Genova, tanto prevedibile era l'evento ed immanente lo stato di pericolo in cui le vittime da gran tempo versavano.

Alle ore 18 del 21 marzo 1968, dopo una giornata molto piovosa, dalla parete rocciosa alta 50 m. dell'antica cava abbandonatasulla "Collina degli Angeli", non lontano dalla Stazione Principe, sistaccava un primo masso di alcune diecine di tonnellate e cadevaai piedi della parete. Alle 18.40, lo seguiva una ben maggiore faldalastriforme, del volume di circa 16.000 metri cubi, che piombandosul sottostante piazzale investiva i piani inferiori di una delle casesorgenti sul piazzale stesso: il n. 8 di via Digione, di otto piani. Un'intera ala sprofondò sul posto travolgendo 34 appartamenti efra gli inquilini si ebbero 19 morti e numerosi feriti.

Le condizioni geologiche della parete franata erano quelle classiche dette «a franapoggio», cioè con strati rocciosi, in questo caso calcari marnosi alternati a più sottili letti di argilloscisto, moltoinclinati verso l'esterno e privi di appoggio al piede (fig. 31). 0Nessuna meraviglia, quindi, che fin dal 1909, anno in cui il Distrettominerario fece sospendere i lavori di cava per pericolo di frane,gli scorrimenti, i crolli e le fessure nella roccia si fossero moltiplicati. Ciò non impedì di costruire il casamento nel 1932, in dispregio al regolamento edilizio comunale, che vietava l'edificazione«al piede degli appicchi». Ogni tanto cadevano sassi, massi, lastroni, un po' nei cortili, un po' su poggioli e finestre (1944, 1953,1963) o venivano lesionati i muri. Le perizie si ammonticchiavano: c'è pericolo, non c'è pericolo. La gente stava in ansia, ma anche a quella si fa l'abitudine; non si vuole mai credere di essere abbandonati a se stessi.

I consulenti tecnici nominati d'ufficio dalla Procura della Repubblica nel procedimento aperto contro ignoti, pur commettendol'errore di negare che l'edificio si potesse considerare costruito suterreno «sede di frane in atto o potenziali» (art. 4 della legge edilizia), come se la sede delle frane fosse solo la zona di distacco enon anche quella di possibile caduta, conclusero che, visti anchei precedenti, il verificarsi di una nuova frana, di entità imprecisabile, appariva prevedibile, in quanto la situazione momentaneamente stabilizzatasi dopo ciascuna frana parziale tendeva ad uncollasso per l'alterazione in atto negli strati rocciosi affiorati durante l'evento precedente. Che esisteva peraltro una particolarepredisposizione a franare degli strati rocciosi, non contenuti alpiede e in condizioni di equilibrio limite.
Chiamati a chiarimento, rilasciarono una singolare dichiarazione di sgravio, valida anche per tutti i colleghi ingegneri che si trovassero in analoghe situazioni:

«Una diagnosi dalla quale emergesse la situazione instabile della parete rocciosa non richiedeva cognizioni tecniche di altissimo grado ma pur sempre di caratterespecializzato, non rientranti nel patrimonio nozionistico di qualsiasi ingegnere».
Al pubblico ministero la cosa piacque al punto che se ne giovòper rafforzare il proprio convincimento - in disaccordo coi periti - che la frana fosse imprevedibile. Chi teme di commettere un disastro colposo ora è avvertito: si guardi dagli specialisti come consiglieri! Rischia di essere messo giustamente in guardia e allora l'evento ch'egli teme diventerebbe di colpo prevedibile! L'azione penale non fu pertanto proseguita, perché il fatto noncostituisce reato, avendo il giudice istruttore accolto la richiestadel pubblico ministero. Nella motivazione si legge:
«Pur non deltutto esclusa da una prevedibilità, per così dire, astratta, una simile frana non poteva che confinarsi nel ristretto margine di un'eventualità anormale o atipica, del tutto incerta e improbabile, come un evento eccezionale, concretamente imprevedibile e quasiimpensabile (!); e tale deve considerarsi veramente, poiché, a prescindere dalle vittime, risulta trattarsi di un evento rarissimo chenon ha quasi esempi, almeno in tempi non remoti, nel Genovesano... Trattasi pertanto di una calamità annoverabile tra quelle chenon possono essere evitate con la normale condotta doverosa, peri difetti della quale è prevista la colpa punibile».
Siamo d'accordo che non sarebbe stato facile scoprire preciseresponsabilità e chiari nessi eziologici nei comportamenti dellaschiera di persone in qualche modo e in tempi diversi implicatenella catastrofe: periti e consulenti, amministratori pubblici e privati, funzionari e proprietari. Ma non si doveva per questo scaricare tutta la colpa sulla Collina degli Angeli, che evidentemente aveva avuto fin troppa pazienza, molta più pazienza del Monte Toc al Vajont.
Se la sentenza istruttoria di via Digione facesse proseliti, dovremmo tutti riconoscere che la nostra personale sicurezza dallecatastrofi naturali, già non troppo buona ma perfettibile comequesto libro insegna, si avvia ad un sicuro peggioramento.

Conclusioni

Allorché decisi di scrivere questo libro, pensavo anzitutto ai problemi scientifici e tecnici posti dalla previsione dei grandi fenomeni naturali, dei quali mi sono tantevolte occupato nel corso della mia vita di geologo.

Senza dubbio, presentivo l'importanza dei problemiamministrativi o giuridici loro connessi quando - uscendo dal quadro strettamente scientifico - si esaminino leconseguenze delle grandi catastrofi e soprattutto gli accorgimenti da adottare, se non per impedirne il ripetersi, almeno per smorzarne gli effetti. Giunto al terminedel mio lavoro, confesso che non avevo un'esatta coscienza della natura delicata di questi problemi a causa delle norme vigenti, le quali sono talvolta di un'abbondanza ed'una complessità a malapena immaginabili e talaltra, pur»troppo - ed in particolare su questioni cruciali - nettamente insufficienti.

Scientificamente, la risposta alle domande di base chem'ero posto è semplice, tanto più semplice in quanto ingegneri e uomini di scienza, presi individualmente, hanno realizzato da noi, così come nelle nazioni alla testa del progresso, un'opera di grande qualità; ciò vale tanto pergli ingegneri dei Ponts et Chaussées e del Génie rural cheper i forestali o i geologi, anche se, soprattutto per questi ultimi, le discipline loro care non hanno sempre avuto l'auspicabile udienza da parte dei governi.

Per le alluvioni si può dire che tutto - o quasi - ciò cheera possibile fare in materia di previsione è stato fatto.Il resto è questione di mezzi e siccome il nostro paese hala fortuna di non possedere né il Gange, né il Danubio, né il Mississippi, questi mostri fluviali dalle pianure immense, di norma la Francia dovrebbe, in pochi anni, mettersi al riparo da inondazioni veramente catastrofiche

Per i terremoti, il problema è tutt'altra cosa. Nello stato attuale delle conoscenze, la previsione dev'essere considerata impossibile. Tuttavia, le regioni in cui il rischioè reale sono perfettamente note e sono stati, d'altra parte, messi a punto dei metodi di costruzione, detti antisismici, che riducono in modo considerevole le conseguenze distruttrici dei sismi e sono adottati anche altrove con successo.

Per le frane e le valanghe, la prima cosa da fare, ed èurgente, è una cartografia di tutte le zone in cui i pericoli risultino possibili, seguita da una delimitazione dei territori in cui verrà proibito di costruire o anche, per levalanghe, di transitàre. Le frane sono prevedibili nella maggior parte dei casi. I crolli di roccia pongono purtroppo problemi più difficili, si da esigere sempre unagrande vigilanza, in particolare da parte di coloro che percorrono gli itinerari delle alte cime. Quanto alle valanghe, esse richiedono anzitutto l'organizzazione d'un sistema di sorveglianza e l'obbligo di obbedienza immediataalle ingiunzioni d'un servizio di sicurezza.

Il rischio d'attività vulcanica non esiste in Francia.Certo, come s'è detto, il risveglio dei vulcani d'Alvernianon sarebbe una cosa teoricamente inconcepibile. Sul piano pratico, immaginarlo possibile nello stato attuale delle cose appartiene a mio parere al campo della fantascienza.

Viceversa, tale rischio sussiste in certi dipartimentid'Oltremare, in zone fortunatamente limitate; a condizione di non abitare proprio sul vulcano, i segni premonitori consentono una valida previsione.

Infine, i maremoti e gli tsunami sono fenomeni rarissimi, prevedibili in certa misura, e noti soprattutto nell'oceano Pacifico.

Ho parlato anche della costruzione delle dighe e lemie conclusioni valgono pure per le altre grandi opered'ingegneria. L'arte dell'ingegnere ha fatto oggi progressi tali che i rischi dovuti alla costruzione in sé sono praticamente scomparsi se le normali regole sono rispettate.I soli rischi esistenti sono d'ordine geologico, ma anchequesti, con le formali riserve che ho indicato, penso sipossano ormai considerare infimi.

Così abbozzato il quadro delle conclusioni, che si devefare? Ho indicato quali misure mi pare auspicabile sidebbano prendere e quali servizi migliorare, oppure creare «ex novo».

Questo riguarda soprattutto i sismi, per i quali si attende un decreto che imponga le costruzioni antisismichein zone che già sono state delimitate, e le frane unitamente alle valanghe, riguardo alle quali - siamo franchi si deve lamentare un ritardo considerevole per l'insiemedella Francia, soprattutto nelle regioni di montagna e nonostante qualche iniziativa locale.

Il resto mi sfugge perché non sono né giurista, né detentore d'una particella di potere; ho detto semplicemente, ma nettamente, cosa penso della situazione, si trattidell'assenza di decisione troppo spesso constatata da parte di coloro che hanno l'autorità, o della curiosa storia delle licenze edilizie o delle lacune d'una legislazione troppovisibilmente inadatta alle conseguenze delle realizzazionisempre più impressionanti dell'uomo moderno.

Mi auguro sinceramente, terminando, che questo librosusciti discussioni e persino controversie; se discussioni econtroversie potranno contribuire all'elaborazione di nuove disposizioni, delle quali si possa dire un giorno che hanno salvato delle vite umane, lo scopo che mi ero prefissato sarà stato largamente raggiunto.



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- Predeterminazione della « piena massima » e della « pienaprogettuale».

- Previsione delle piene.

- Raffronto tecnico ed economico. Campo d'azione e limited'impiego dei diversi tipi di protezione.

- Protezione a mezzo di serbatoi (speciali o promiscui).

- Protezione per correzione d'alveo (rettifiche di sponda, arginature longitudinali, drizzagni).

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