19 DICEMBRE 1974

VAJONT: UNA COLOSSALE TRUFFA

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Il giovane sindaco di Erto Italo Filippin

PORDENONE. Rifare la storia del Vajont e soprattutto di quanto è accaduto dopo il disastro del 1963, anche se l'ottica vuole inquadrare soltanto la porzione della torta che interessa il pordenonese, è praticamente impossibile. Bisognerebbe aver tempo, tempo e ancora tempo. Vajont, o meglio la questione ad esso attinente, rischia di diventare come la guerra dei Trent'anni: senza fine.
Vajont è stato un guazzabuglio impressionante di provvedimenti, di leggi, di esodi, di ritorni, di truffe, di imbrogli: un cumulo di sporcizia dal quale è difficile uscirne con le idee chiare. A rimetterci è stata, come accade sempre, la popolazione. Una volta con la frana e con l'ondata del lago, che ha seminato la morte; un'altra volta con quanto è successo dopo, con gli avvoltoi che puntualmente sono calati a razzolare nel fango alla ricerca di ricavare benefici che a loro non spettavano per nulla. Dietro agli avvoltoi molte famiglie bene di Pordenone, quelle che in città sono venerate, e anche altri grossi operatori economici da fuori provincia. E tutto è avvenuto legalmente, perché la legge lo permetteva.

SINDACO

Per cercare di mettere un po' d'ordine in tutta la faccenda abbiamo voluto parlare con Italo Filippin, sindaco di Erto e Casso, dopo che la Regione aveva autorizzato la spartizione amministrativa fra questo comune e quello nuovo del Vajont (legge regionale numero 22 del 1971; un provvedimento eccezionale, approvato a tempo di record e composto da soli tre articoli).
Filippin, prima di questa legge era stato nominato Commissario straordinario a Erto che, in quel tempo, era diventata frazione di Vajont. Filippin è giovane; ha appena smesso gli stivali con i quali si è arrampicato su per la montagna con alcuni tecnici della forestale. Non fa fatica a parlare, anzi.

DOPO LA TRAGEDIA

«Abbiamo un po' tutti perso la testa. Non si sapeva più come orientarsi. A livello politico si è allora subito agito per evacuare tutta la vallata. C'è stato, da parte delle Destre e della DC, un tentativo concreto di spopolare completamente la vallata. Lo scopo era quello di poter riutilizzare a pieno il bacino senza correre più pericoli». L'idea di riutilizzare il bacino si era affacciata, stranamente, anche prima della tragedia, con la costruzione di gallerie di collegamento - o by-pass - che avrebbero dovuto permettere un'unione fra le due parti in cui la frana avrebbe diviso il lago. Lo smottamento quindi era ben previsto, soltanto che lo si pensava lento e graduale. Ma il Toc non ha ragionato con mente umana.

«L'evacuazione - prosegue il sindaco di Erto - la si iniziò così subito, con gravi danni all'economia agricola e zootecnica della valle, proponendo alla gente la scelta fra tre località: Vajont, in comune di Maniago, a Madonna di Vedoia, in comune di Ponte nelle Alpi e a 'Quota 830', sopra il vecchio abitato di Erto, l'attuale Stortàn. S'iniziò quindi tutta una serie di contrattazioni per mezzo i delle quali si cercò d'incanalare tutta la gente a Vajont, zona che soltanto il 35 per cento aveva scelto come località gradita per un trasferimento. Le provvidenze infatti andarono a Vajont, le facilitazioni pure.
A Madonna di Vedoia (8 case costruite in 5 anni) e a Stortan (che sta sorgendo adesso, dopo una dura battaglia della popolazione), non andava invece niente. Ecco come si è cercato di spopolare la valle, creando lo specchietto per le allodole a Vajont».

Il consigliere regionale Ermanno Rigutto, DC, sindaco anche di Maniago, fu uno fra i più attivi propagandisti della «soluzione Vajont», tanto che riuscì a far arrivare, poco lontano, il Nip(1) (Nucleo industriale provinciale), che conta già un certo numero di fabbriche, ma che è in territorio di Maniago e non in quello di Vajont, come logica e giustizia avrebbero richiesto.

GLI AVVOLTOI

Ma il fenomeno forse più sconcertante è stato quello relativo all'enorme speculazione che la legge sul Vajont ha permesso di compiere. Se non vi fosse la legge, ciò che è stato fatto potrebbe essere rubricato come falso, e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato. Ma invece la legge c'è e allora anche la magistratura, qualora anche lo volesse, non può agire. Il meccanismo (della vogliamo chiamarla truffa?) è semplicissimo.
L'articolo 12 della legge parla della «ristrutturazione delle aziende artigianali». Un artigiano, poniamo di Erto, alluvionato e sinistrato aveva diritto a chiedere contributi allo Stato per ampliare o ristrutturare la propria azienda danneggiata. Il 20 per cento di tale contributo era a totale carico dello Stato; il rimanente 80% veniva concesso, obbligatoriamente, a titolo nominativo, in maniera che le agevolazioni e i benefici andassero soltanto a favore degli effettivi danneggiati, ma potevano andare a ditte di Udine, di Pordenone, di Lignano, di Trento ecc., ditte, ovviamente, mai alluvionate.
Lo stesso articolo 12 infatti permetteva la cessione dei diritti. Come dire che se un piccolo artigiano vendeva la sua licenza a un prestanome, costui diventava di fatto «il danneggiato», e, mentre l'artigiano avrebbe forse chiesto uno "sproposito" di indennizzo, poniamo 50 milioni, i prestanome chiedevano anche 6 miliardi (com'è accaduto). Se l'artigiano fabbricava mestoli di legno, il prestanome fabbrica... un cementificio kolossal, e il tutto con denaro pubblico. Anche in questo modo sono stati realizzati i cementifici di Travesio e di Fanna.

PER L'ENEL UN CAPOFAMIGLIA VALEVA UN MILIONE

L'ENEL, nel guazzabuglio del Vajont, si è trovata contro circa 2.090 persone che si sono dichiarate parte civile. Il sistema migliore per togliersele dai piedi ovviamente, era quello di tacitarle a suon di quattrini. L'ente ha così potuto disporre di 10 miliardi(2) con i quali prima di tutto ha rimborsato pinguamente alcune aziende di Longarone e di Castellavazzo, mentre per la gente ha riservato le briciole. Un capofamiglia, morto nel disastro, era valutato 1 milione o poco più; un fratello o un figlio (in questo secondo caso il prezzo variava, a seconda dell'età del defunto) erano valutati 800 mila lire; la moglie - o una donna in genere - 500 mila lire.

A tutt'oggi non si sa chi abbia messo a disposizione dell'ENEL questa cifra; chi ne abbia autorizzato la dilapidazione; né esistono dei rendiconto che spieghino, nero su bianco, se la cifra è stata spesa tutta, oppure se c'è rimasto qualcosa. Insomma, niente che assomigli a una semplice operazione di contabilità.

E l'ENEL, ovviamente, utilizzava denaro pubblico; denaro cioè di tutti noi. Ma c'è di più: i 3 miliardi e 603 milioni raccolti dalla solidarietà nazionale e internazionale sono stati distribuiti a sinistrati ma anche a vedove, orfani, e enti di beneficenza. Magari saranno finiti anche in tasca alla Pagliuca(3), il che è tutto dire!
Di tutto questo danaro non c'è più traccia contabile.

 

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Italo Filippin in una foto recente. Aderisce alla raccolta firme, come Marco Paolini e svariate migliaia di cittadini italiani e del mondo. Clicca la foto per saperne di piu' sull'iniziativa.

Facciamo un po' di nomi di questi procacciatori d'affari ai quali pare andasse, ad affare concluso, il 10 per cento del prestito concesso: Werter Villalta, Santin Defragè, Giorgio Pardini; ma non sono i soli, altri appartengono alla DC e al MSI. Costoro si presentavano naturalmente agli artigiani locali con regolari procure notarili.

"Ma ce ne sono molti altri. - ci dice il sindaco Filippin - Io ho conservato le delibere che ho trovato. Ma prima, quante altre sono state concesse? E per quali importi? ".
Le delibere che Filippin ha conservato, ma che non sono le più eclatanti, testimoniano che sono stati concessi soltanto nella provincia di Pordenone e in quelle di Udine 18 miliardi 650 milioni 953 mila e 775 lire. Il vero boom infatti si è verificato fra il 1968 e il 1971, ma di quelle delibere, almeno nel comune di Erto, non vi è più traccia.
I procacciatori d'affari poi non è che pagassero molto le licenze (i diritti) che acquistavano dagli artigiani o dagli ambulanti di Erto: le quotazioni andavano da meno di 100 mila lire fino a un massimo di 500 mila. Facciamo un po' di conti. E' come dire che, con 60 mila lire si poteva ricavare un utile netto di 5 miliardi, 999 milioni 940 mila lire, chiedendo allo Stato un contributo tondo di 6 miliardi. Al procacciatore andavano come premio 600 milioni. Sarebbe interessante vedere oggi quanto pagano di tasse questi commercialisti e trafficoni che hanno agito specialmente per conto terzi sulle disgrazie altrui.
Chi coordinava il traffico (a Erto lo sanno anche i gatti) era il geometra Arturo Zambon, dirigente dell'ufficio tecnico del comune di Erto e poi trasferitosi al comune di Vajont. Quando oggi ci si chiede perché lo Stato stia andando a fondo in un mare di debiti(4), il disastro del Vajont, e soprattutto ciò che ne seguì, può offrire una risposta.

SI RICOSTRUISCE

Comincia intanto l'opera di ricostruzione. Alla fine del 1970 il villaggio di Vajont è praticamente quasi terminato. A Madonna di Vedoia (comune di Ponte nelle Alpi, Belluno) non c'è quasi nulla e a Stortan non sta sorgendo proprio niente. Il tentativo di spopolare la vallata è ancora in atto. Erto frattanto è dichiarato inabitabile e sulle strade ci sono le forze dell'ordine a fare i blocchi stradali per impedire il passaggio a quanti vogliono ritornare. Ma gli ertani i blocchi li eludono per i boschi e a poco a poco cominciano a ritornare nelle vecchie abitazioni. Davanti al dato di fatto, si cominciò a concedere l'abitabilità, ma soltanto per le ore di luce. Di notte dovevano tutti andarsene. Più tardi, siccome la gente non si lasciava intimorire, si concesse la piena abitabilità, ma lasciando "i sovversivi" - per vie burocratiche - privi di tutto.
"Mancava la luce. - dice Filippin - Le scuole, il prete, il medico, l'ufficio postale. Insomma, mancava tutto. E malgrado le proteste, non si otteneva nulla. Si è dovuto ricorrere sistematicamente alla violenza per avere qualcosa". Per l'allacciamento all'ENEL, malgrado che un telegramma dell'allora ministro dei lavori pubblici Mancini imponesse l'immediato ripristino della fornitura, nessuno si riteneva competente. Il tentativo di spopolare continuava. Bisognava stanare gli ertani creando attorno a loro il vuoto assoluto.

<IMG src="cederna/anonimaDC.jpg" alt="" class="lib_foto" align="left">Ma questi ultimi non si perdono d'animo. Abusivamente, una notte, con grande pericolo della vita stessa di quanti parteciparono all'azione, due ganci vennero attaccati al fili dell'alta tensione ripristinando cosi l'alimentazione elettrica in paese. Anche in quell'occasione si dovette accettare il fatto compiuto. Erto intanto era diventato una frazione di Vajont e non viceversa, come sarebbe stato più ovvio. Ma ancora a Stortan i lavori di ricostruzione non iniziavano. I 711 abitanti che avevano deciso di non trasferirsi erano completamente trascurati.
Nell'aprile del '71 ricorrono allora di nuovo alla violenza e occupano in 600 il municipio di Cimolais dove trovano posto anche gli ex uffici comunali di Erto. "In pratica - ci dice ancora il sindaco - noi chiedevamo l'inizio dei lavori a Stortan, che le nostre istanze venissero accolte come si faceva per quelle di Vajont; che ci dicessero che cosa intendevano fare del bacino e, infine, che s'informasse della situazione l'opinione pubblica".
La Regione risponde all'occupazione con un colpo di mano arbitrario, senza chiedere il parere ad alcuno e stacca la comunità di Erto da quella di Vajont e la riporta al rango di comune.

INCOMPETENZA DEGLI UFFICI STATALI PERIFERICI

"Da allora abbiamo cominciato ad agire da soli - ci dice Filippin - anche se ci dispiace che la comunità ertana sia stata smembrata in maniera completa. Realizzare, però, è stato da allora sempre più difficile. Ci siamo trovati davanti a un muro di gomma. Gli stessi politici locali non sono per nulla disposti a portare avanti le nostre richieste, ad aiutarci. Si stizziscono quando ci vedono. E così, mentre la legge prevede che gli edifici pubblici da realizzare a Stortan debbano essere posti in atto a totale carico dello Stato, gli uffici periferici del Ministero dei lavori pubblici, il Genio civile, per esempio, si sono dichiarati incompetenti tanto che il comune ha dovuto pagare architetti e progettisti sui cui elaborati i tecnici del Genio civile apponevano la loro firma a titolo di benestare. C'è qui tutta la corrispondenza relativa, e non c'è pericolo di smentite".
Si arriva così all'assurdo. Un progetto che riguarda modifiche alla viabilità per permettere un ampliamento di Stortan, recepito e approvato dal genio civile locale, viene poi bocciato dall'organo superiore: il Provveditorato ai lavori pubblici. Lo stesso vale per il progetto dell' acquedotto dove si è annullato un appalto già fatto per via di cavilli burocratici. Intanto i prezzi salgono e i finanziamenti non bastano più, la gente è stanca dopo due anni di battaglie. Così c'è chi non ha ancora niente; chi è rimasto con la vecchia casa, chi invece è proprietario di due o tre case nuove e anche di qualche baracca. Il tutto finisce subaffittato agli americani, che pagano e non fanno troppe storie.
"Per Stortan - ci dice ancora il sindaco - se arrivano i finanziamenti, fra tre anni è completato. Occorre però che gli organi dello Stato facciano il loro dovere". Al dramma dei morti e delle rovine si è risposto con la speculazione e la truffa legalizzata. Un... Vajont di malcostume all'italiana con la complicità del potere politico.

MILIARDI A PIENE MANI

ERTO: STORIA

I paesi di Erto e Casso, posti nella valle del Vajont, rappresentano i Comuni più occidentali del Friuli, di cui Erto costituisce il capoluogo mentre il comune comprende le frazioni di Casso e di San Martino. Nel marzo del 1970, secondo i dati del comune, gli abitanti erano complessivamente 1835; oggi - quattro anni piu' tardi - ne conta 711.
L'insediamento umano, ad Erto, risale all'epoca tardo-imperiale ed è di origine antica. Erto è ricordata nella donazione dell'VIII secolo all'abbazia benedettina di Sesto al Reghena. Casso è invece un centro più recente, sorto probabilmente da un insediamento di pastori e carbonai provenienti dalla valle del Piave. Lo sviluppo demografico durante il Medioevo è testimoniato dalle numerose liti che sorsero tra i due paesi per il godimento dei beni comunali e che si risolsero, in seguito, con la loro divisione.

Nel 1866 si giunse alla riunificazione dei due comuni, pur continuando le varie dispute, in quanto Casso mirava ad unirsi a Longarone, cui era legata da tempo ecclesiasticamente.
La valle del Vajont ha subito un notevole cambiamento in seguito alla frana del monte Toc, avvenuta il 9 ottobre 1963. L'immensa ondata d'acqua provocata dall'urto della frana nel lago del Vajont causò la morte di oltre 2000 persone; di cui ancora oggi è in via di soluzione definitiva la sistemazione degli abitanti superstiti. Ora i pochi abitanti di Erto costituiti principalmente da vecchi, guardano con occhi smarriti e increduli le massicce e superflue costruzioni che si stanno creando a Stortan, sopra il loro paese; le quali rappresentano nientemeno che bizzarre figure architettoniche sviluppate e create da mani progettiste. Ricadono questi occhi, però, poco dopo sulle loro semplici e rudimentali abitazioni o case di pietra, dove il pensiero di ciò che è accaduto è rimasto ancora presente e vivo.

 

Bilancio delle ditte che hanno ceduto i diritti di ricostruzione e aziende che hanno ottenuto il decreto di finanziamento. (Secondo quanto è conservato nel comune di Erto e Casso).
Nell'elenco delle ditte che seguono si intende sempre che lo Stato concede il 20% del totale che riportiamo.
(Fra parentesi i casi anomali).

  • Ditta Dal Cin, San Fior di Conegliano (TV), per realizzare grandi magazzini di abbigliamento; acquista la licenza di Maria Pia Filippin, artigiana magliaia, e ottiene un finanziamento dallo Stato (20% a fondo perduto) e da istituti di credito per il rimanente 80% di lire 231 milioni 181 mila e 525 complessivi.

  • Ditta Antonio Cesare Marchi Spa, di Pordenone, vendita all'ingrosso di tessuti e confezioni, acquista la licenza dagli eredi di Felice Filippin, artigiano del legno, e ottiene un finanziamento di L. 357.250.000.
  • Ditta Epam, di Pietro Petris, Edoardo e C. con sede in Udine, piazza Duomo 6, per riattivazione supermercato di alimentari, acquista la licenza da Maria Corona in Carrara, commerciante, e ottiene un finanziamento di Lire 444.822.450 (15% a carico dello Stato).
  • Ditta Aldo Boz, di Pordenone, per commercio all'ingrosso di macchinari acquista da Pietro Corona, autonoleggi, e ottiene L. 84.455.500.
  • Ditta imprese Lignano Sil-S.p.a., con sede in Pordenone, acquista la licenza da Giacoma Filippin, fu Antonio, artigiana magliaia, e ottiene L. 1.762.987.973 (15% a carico dello Stato).
  • Ditta Santanna, con sede in San Quirino, per realizzare un centro di vendita e produzione liquori, acquista la licenza da Luigia Della Putta, vedova Filippin, ambulante al minuto di chincaglierie e mercerie, e ottiene L. 87 milioni 464 mila 970.
  • Ditta Dino Mio, di Portogruaro, per attività commerciali e vendita mobili e casalinghi, acquista la licenza da Corona Pietro, ambulante di mercerie, e ottiene L. 193.972.774.
  • Ditta A. Basevi e figlio di Marina e Renata Basevi e C., con sede in Pordenone, per commercio all'ingrosso e al minuto di abbigliamento, acquista la licenza di Giuliano Corona, falegname, e ottiene L. 233.433.130.
  • Ditta Snc. di Dino Rosso e figlio, con sede a Campoformido, vendita legno, compensati e panforti, acquista la licenza di Clemente Filippin, falegname, e ottiene L. 284.835.166.
  • Ditta Ara di Celso Tulisso e C., di Campoformido, assistenza e riparazione automezzi, acquista la licenza di Bianca Filippin, erede di Anastasio Filippin, ambulante di mercerie, e ottiene L. 193.193.880.
  • Ditta Mobili Bergamin S.a.s., con sede in Pordenone, attività commerciale mobili e macchine utensili, acquista la licenza di Maria Sebastiana Corona, sarta e magliaia, e ottiene L. 199.900.000.
  • Ditta Caselli e F. con sede in Udine, attività commercio macchine lavorazione del legno, acquista la licenza di Felice Carrara, artigiano muratore, e ottiene L. 416.630.245.
  • La Cementi S.p.a., con sede in Fanna, per sfruttamento di cave di marna e di calcare acquista la licenza di Giacomo Corona, artigiano e ottiene L. 6 miliardi 474.227.018.
  • La Arredamenti Morena S.p.a. con sede in Gemona, commercio e ingrosso mobili e elettrodomestici, acquista la licenza di Giacomo Corona, (detto Longo) tornitore, e ottiene L. 502.820.000.
  • Ditta Alberto Nigris, con sede in Udine, per attività commerciale, bar tavola calda, ristorante e giochi, acquista la licenza di Angelica Sartor, ambulante al minuto di chincaglierie e mercerie, e ottiene L. 182.700.000.
  • Ditta G. Fantuzzi di Franco e Fernando Fantuzzi, con sede in Pordenone, attività di tintoria e lavanderia, acquista la licenza di Sebastiano Filippin, fabbro, e ottiene L. 200.390.000.
  • La "Cementi Valcellina" S.p.a. con sede in Pordenone, per vendita cemento e affini, acquista la licenza di Giovanni Filippin, locandiere, e ottiene L. 2 miliardi 624.482.944.
  • Snc. Elettro-mobili arredi di Gino De Luisa e C. con sede in Remanzacco, commercio radio, televisioni e mobili per arredamento, acquista la licenza di Rachele Filippin, sarta, e ottiene L. 166.306.200.
  • Gruppo ceramiche La Presidente Spa, di Maniago, attività industriale e commerciale in ceramiche e affini, acquista la licenza di Donato Martinelli, commerciante, e ottiene L. 4 miliardi.
* * *

Vediamo ora quanto hanno ottenuto gli Ertani e altri dei paesi limitrofi come contributi. (Secondo la lista che il sindaco Filippin è riuscito a conservare).

  • Ditta Davide Pezzin, per la ricostituzione dell'azienda e scorte ottiene Lire 14.190.627 (50% a carico dello Stato);
  • Aurelio Coden, impianti idroelettrici, Claut, ottiene L. 45.710.292 (20% a carico dello Stato) nell'ampliamento dell'impresa mentre ottiene altri 55 milioni 289.708 (50% a carico dello Stato) per ripristino attività.
  • Ditta Osvaldo De Damiani, per la riattivazione di un esercizio pubblico con taverna ottiene L. 19.372.000 (20% a carico dello Stato).
  • Ditta Caterina Della Putta in Carrara, per ripristino dell'attività ambulante ottiene L. 7.065.700, variamente distribuiti e conteggiati.
  • Osvaldo Candussi di Claut, ambulante di ferramenta e articoli in legno, ottiene un contributo statale del 100% di L. 1.118.805.
Come si vede gli ertani sono quelli che hanno ottenuto in definitiva di meno.
L'elenco è comunque incompleto. Molte altre ditte hanno ottenuto finanziamenti con formule e agevolazioni particolari e hanno ricostruito altrove, a Gorizia, a Lignano, a Venezia eccetera. La legge, infatti, permetteva di estendere i benefici della stessa anche alle province vicine a quelle in cui si era verificata la tragedia. Citiamo solo un esempio che ci pare una «perla». Dalla delibera risulta:
«Protocollo n. 51101/2070 - Oggetto: Ditta «Società imprese Lignano » Sil-Spa, con sede in Pordenone, concessionaria dei diritti spettanti a Giacomo Filippin, fu Antonio «Théola» da Erto e Casso.
Cessione provvidenze di cui alla legge n. 1-5-1964, numero 357 e ripristino azienda. ...
Il notaio Diomede Fortuna, di Azzano Decimo, chiede alla Commissione provinciale di Udine l'autorizzazione a cedere i propri diritti alla ditta Società imprese Lignano Sil-Spa con sede in Pordenone, piazza XX Settembre, condominio centrale. Vista la domanda, in data 25 maggio 1971 la ditta Società imprese Lignano chiede un programma di investimento di L. 2.682.380.205 per la realizzazione in Lignano di un complesso commerciale comprensivo di: negozi, uffici, cinema, palazzo; attrezzature sportive eccetera ».
In questo caso la Società Imprese Lignano S.p.a. ottenne Lire 1.629.879 nel 73 che ovviamente non fu impiegato a vantaggio delle popolazioni sinistrate. Non ci risulta infatti che parte della comunità ertana si sia trasferita a Lignano.

Inchiesta a cura di
Pier Luigi Valle e Lorenzo Cardin



fonte: SPECIALE NORDEST - settimanale delle Venezie - ANNO I° - N°7 - 19 DICEMBRE 1974


Note (di Dal Farra Tiziano):

(1) = N.I.P. (Nucleo di Industrializzazione Pordenonese). Questo è l'Ente pubblico, creato allo scopo, che gestisce e gestiva le domande di finanziamento della legge Vajont. Il suo corrispettivo dal versante veneto è il loschissimo "CONIB" (Consorzio Industrializzazione Bellunese) di Longarone. Questi sono stati gli Enti erogatori di fondi pubblici creati dalla "legge Vajont". Il NIP di Maniago funziona tuttora, mentre il CONIB di Belluno (oggi trasferito a Longarone e di cui è divenuto recentemente "presidente" il giovane sindaco stupratore di Sopravvissuti e di Sacrari), è in disarmo da alcuni anni, ma resta teatro di speculazioni tuttora.
"E' LONGARONE, BELLEZZA. E tu non puoi farci NIENTE"
Difatti, il suo Presidente Pierluigi De Cesero si trova a custodire gli atti, fatti e misfatti, e gli importi dei finanziamenti - se non li ha fatti sparire - del munifico ex-suocero (e bancarottiere del Vajont) Moritsch Ferruccio oggi scomparso (e interrato in 48 ore dalla sincope, quasi un record) che gli diede la formale direzione di due aziende. Nonché di tutti gli altri beneficiati lato Veneto ed oltre. In soldoni, nella Longarone dal Comune mafioso - dal dicembre 1964 a oggi - questo connubio costituisce contemporaneamente una formidabile opera di RIMOZIONE, e un enorme potere di potenziale ricatto.

I fatti parlano. Nel 2003 De Cesero - come PresDelConib, o come sindaco - negò l'accesso agli archivi CONIB - teoricamente pubblici - allo studioso veneziano Maurizio Reberschak, che annotò l'episodio nell'edizione 2004 del suo"Il Grande Vajont"; nel 2009, però - e passato nel frattempo "a libro paga" del Comune/Fondazione Vajont longaronese - potrà accedervi. E annotando questa volta, lui "archivista" un certo qual "disordine" nell'archiviazione progressiva dei fascicoli. Ma va??

(2) = L'idea fu dell'allora ex presidente del Consiglio Giovanni Leone, quello che venne a Longarone distrutta, promettendo - tra altre bazzecole - «Giustizia». Grazie a questa, e ad altre intuizioni di quello che diventerà il presidente della Repubblica piu' scalcagnato ed impresentabile della Storia repubblicana(5), l'ENEL, teoricamente parte lesa ma di fatto corresponsabile della strage del Vajont a livello politico e fattuale, otterrà diversi benefìci processuali (Biadene è un impiegato dell'ENEL, al momento della frana; l'ENEL stessa azzererà colla "transazione" il 90% delle parti civili e il 90% delle responsabilità giuridiche) e finanziarie (l'ENEL eviterà di pagare risarcimenti a centinaia di soggetti e eviterà a tuttoggi, di dare conto dei soldi versati, se e quando mai furono versati, della "transazione".).

(3) = l'articolista fa riferimento allo scandalo di quegli anni dell'Istituto Santa Rita di «suor Colomba», al secolo Maria Diletta Pagliuca. Leggere questo capitolo dell'interessantissimo libro "L'Anonima DC. Trent'anni (al 1976, nota mia) di scandali da Fiumicino al Quirinale", di Orazio Barrese e Massimo Caprara. La copertina è raffigurata nella pagina. Cercate questo libro in biblioteca; se non fosse reperibile, richiedetemene una copia.
Molti orfani e sfollati del Vajont "naturalmente" vennero "presi in carico" da vari istituti religiosi. Altri "dati in affido" a "benefattori" rivelatisi dei delinquenti che puntavano ai "risarcimenti" loro "assegnati" dalla transazione ENEL.

(4) = Ci si riferisce al debito pubblico del Paese, eterna palla al piede e handicap nazionale, un preciso frutto annunciato della gestione di "delinquescenza" operata dal dopoguerra ad oggi dalla DC, e dopo Tangentopoli dai suoi "cloni" e varianti odierne, quelle che si richiamano amabilmente ad "un Grande Centro". Un passaggio del libro di Barrese e Caprara, nel capitolo «I baroni ladri», così recita:

«Proprio dalle mani di costoro (dei Girotti, patetica caricatura di Mattei; Petrilli, Bernabei, Piga, Einaudi, Ventriglia, Di Cagno, Crociani), sorta originale di intermediari-relais, legati alla conservazione della gerarchia aziendale e retributiva, posseduti dal feticismo del danaro che dà potere, nei quali la DC aveva riversato le speranze di stabilizzazione e di rilancio della propria egemonia se non della interna "pulizia", vengono le maggiori incertezze, la più evidente "delinquescenza". Inoltre, i ritmi internazionali premono, non danno spazio né respiro.
Il passaggio accidentato e distorto dalla fase agricola a quella industriale getta l'Italia, l'anello più debole, nella grande catena della competizione selvaggia per l'approvvigionamento delle materie energetiche e per l'accesso alle nuove tecnologie e, contemporaneamente, ribadisce la dipendenza del paese dalle forze più aggressive dell'imperialismo. Se, nel decennio precedente, la corruzione significa finanziamento improvvisato a persone, gruppi, correnti, enti e partiti con scadenze ripetute ma saltuarie, con un pizzico di fantasia furfantesca, a questo punto essa diviene operazione a livello collettivo, programmatico, prettamente indicizzata al profitto.»
Per quanto attiene al "Vajont", il "delinquescente" Vito Di Cagno - all'epoca sindaco di Bari - venne eletto (dalla 'sua' corrente DC ex fascista, nota mia) come primo presidente della neonata ENEL.

(5) = Vedi un altro illuminante, interessantissimo libro: "Giovanni Leone. La carriera di un presidente", Camilla Cederna, 1976, Feltrinelli.


(Libere opinioni, ricerche e testi di: Tiziano Dal Farra, se non diversamente specificato e indicato nel testo)

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AGGIORNAMENTO, 2013 ...
L'ultimo OLTRAGGIO, spacciato 'naturalmente' per 'OMAGGIO' ...

(Clicca l'immagine)
RCSok50VAJ

Un tempo, leggevi queste cose e ti trovavi su www.vajont.org.
Poi sbucarono - e vennero avanti - i delinquenti, naturalmente quelli istituzionali ....

  


Ai navigatori. Queste sono tutte pagine "work-in-progress" (modificabili nel tempo) e puo' essere che qualche link a volte non risulti efficiente, soprattutto quelli obsoleti che puntano (puntavano) a dei siti web esterni. Scusate, e eventualmente segnalatemelo indicandomi nella mail la pagina > riga > link fallace.

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« VOMITO, ERGO SUM »

Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili perenni come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o la legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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