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centrale idroelettrica



Società Adriatica di Elettricità - 2 -

dalla fondazione al 1929


centrale idroelettrica

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IL GRUPPO
SOCIETA'ADRIATICA DI ELETTRICITA'
LA SUA ATTIVITA'TECNICA ED ECONOMICA DALLE ORIGINI AL 1929

ROMA
"UNIVERSALE" TIPOGRAFIA POLIGLOTTA
1929
NEL XXV° ANNO DI FONDAZIONE
DELLA
SOCIETA'ADRIATICA DI ELETTRICITA' VENEZIA


SADE 2


GLI IMPIANTI IDROELETTRICI



Dall'Adige all'Isonzo sono scaglionati i più importanti impianti idroelettrici, sussidiati dalle centrali minori a cui sono collegati.

È interessante notare come essi siano disposti geograficamente intorno al complesso degli impianti Piave - S. Croce, che si trova nel cuore della zona di produzione idroelettrica e che, per le vie meno impervie, è il più prossimo ai grandi centri urbani di consumo della pianura.

In corrispondenza, ed a riserva degli impianti idrici, fa visibilmente riscontro la grande centrale termica di Marghera (Venezia) e quelle minori di Monfalcone, Venezia-S. Giobbe, Bologna ed Argenta.

È pure da notarsi come i vari gruppi delle predette centrali, sia geograficamente che tecnicamente, gravitino verso i centri più popolosi ed importanti; così l'impianto del Oellina verso Udine, Trieste e Venezia; l'impianto del Cismon verso Bassano, Padova e Vicenza; l'impianto dell'Adige verso Verona e Mantova.

Tutti i complessi poi, insieme agli impianti di S. Croce ed attraverso i grandi elettrodotti a 135.000 V. ed a 50.000 V. si sussidiano a vicenda per alimentare la pianura del versante adriatico, completamente sprovvista d'energia di origine idraulica.

Dalla semplice osservazione della situazione geografica, è facile rilevare la ragione della scelta dei primi gruppi d'impianti, malgrado essi fossero alimentati da corsi d'acqua a carattere quasi torrentizio, e soggetti quindi a sensibilissime magre, richiedenti notevoli riserve termiche durante il periodo invernale.

Tali impianti erano quelli che meglio si prestavano ad una pronta ed economica utilizzazione in concorrenza ed in sostituzione parziale o totale dell'energia termica, prodotta allora a buon mercato, per essere i più prossimi ai centri di consumo della pianura; mentre, per lo stesso fatto del buon mercato del carbone, le riserve termiche risultavano le più adatte alla funzione di riserva stagionale.

Dal punto di vista della costanza del diagramma annuo di esercizio, ed astraendo da corsiderazioni economiche sul costo dell'impianto idraulico, le centrali sull'Adige si trovarono inizialmente nelle condizioni migliori, non solo per l'immediata vicinanza di Verona, quale centro urbano di utilizzazione, ma anche per la grande estensione del bacino imbrifero dell'Adige, che permetteva loro di risentire limitatamente le deficienze dovute alle magre invernali.

Invece gli altri corsi d'acqua ed in particolare1 per citare soltanto i maggiori, il Cellina ed il Cismon, a bacino imbrifero limitato, risentivano in maniera molto sensibile la diminuzione della portata invernale, e per essi anche la riserva termica doveva assumere proporzioni ed entità superiori.

D'altra parte, le centraline minori, che all'inizio avevano solo influenza locale, ed erano, in generale, utilizzate per stabilimenti industriali e per la piccola distribuzione nelle immediate vicinanze, furono successivamente allacciate alla rete generale dei grandi impianti, determinando con ciò maggiori esigenze rispetto alle riserve stagionali.

Di fronte, quindi, all'opportunità, ed anzi alla necessità, di creare una riserva stagionale idraulica a complemento ed in sostituzione delle riserve termiche, sorse il primo impianto di santa Croce che, entrato in funzione negli anni 1913-1914 nonostante la poca ampiezza del suo bacino imbrifero naturale, e per conseguenza malgrado che la quantità di energia utilizzabile fosse relativamente limitata rispetto all'alta potenza installata (36.000 HP), iniziava la sua funzione di regolatore, e di riserva degli esistenti impianti ad efflusso continuo; funzione a cui lo rendeva particolarmente adatto la sua posizione centrale rispetto agli altri centri sia di produzione che di distribuzione.

Il nuovo impianto poté dare un valido contributo nel risparmio del combustibile nei primi anni della guerra.

Tuttavia, le vicende economiche del dopoguerra, e sopratutto l'alto prezzo del combustibile ed il crescente fabbisogno di energia, richiesta da tutta la Regione ed assorbita in quantità sempre maggiore dalla via aperta dal gruppo con l'elettrodotto verso il sud di Padova, determinarono la costruzione del nuovo insieme di impianti alimentati dall'immissione del Piave nel lago di S. Croce.

Secondo il concetto dei nuovi lavori, l'immissione, pur mantenendo all'insierne degli impianti stessi il carattere di riserva e di integrazione di quelli ad efflusso continuo già esistenti, portava a sussidio della Regione il vastissimo bacino imbrifero del Piave, che permetteva di assicurare al complesso delle centrali una portata minima molto considerevole nelle massime magre.

Di conseguenza, il complesso degli impianti della Società Idroelettrica Veneta rovesciando, per così dire, il concetto informatore dell'impianto iniziale, diventava la base fondamentale della produzione di energia, invece di limitarsi alla essenziale funzione di riserva.



IMPIANTI DEL PIAVE - S. CROCE


Prima di procedere alla descrizione di questi impianti giova dare uno sguardo generale alla topografia e all'idrografia della zona.

Il fiume Piave scende dalle Alpi mantenendo da principio una direzione generale Da nord a sud; ma, alquanto prima del suo sbocco in pianura, e cioè presso Ponte nelle Alpi, muta tale direzione volgendo verso sud-ovest per descrivere un ampio giro attorno alle Prealpi Bellunesi.

Ne consegue che uno sfruttamento del fiume lungo il suo corso naturale sarebbe risultato poco conveniente.

Senonché la colossale spaccatura di Fadalto e della Valle del Meschio sede nell'epoca glaciale di uno dei rami del grande ghiacciaio del Piave, offre la via più naturale e tecnicamente più vantaggiosa per utilizzare industrialmente fino alla pianura le acque del fiume.

Tale via è inoltre contrassegnata da una successione di laghetti e di conche naturali facilmente riducibili a serbatoi atti a conferire, come si vedr in appresso, ottime condizioni di esercizio.

Lo sfruttamento di tale favorevole situazione idro-topografica ebbe, per quanto parziale ed incompleta, attuazione poco prima della guerra colla costruzione di un impianto idroelettrico che, derivando le acque dal lago di S. Croce, nella misura media di mc. 3 al 1" (contributo del bacino imbrifero proprio del lago) le utilizzava, nelle due centrali di Fadalto e di Nove con un salto complessivo di circa m. 200, e le restituiva nel fiume Meschio.

Dette centrali e le loro opere di presa, derivazione, ecc. esistono e funzionano tuttora di fianco e per così dire in parallelo con quelle ben più potenti e grandiose relative ai nuovi impianti.

Ritenendo superflua, una particolareggiata descrizione ci limiteremo a ricordare che nelle vecchie centrali di Fadalto e Nove sono ora installati rispettivamente N. 3 e N. 2 gruppi turbina alternatore cisscuno della potenza di circa 4.000 HP.



Notize IDROGRAFICHE

- Il bacino imbrifero del Piave presso Soverzene cioè all'incile della derivazione, misura kmq. 1690.

Dagli studi idrografici è risultato che il contributo medio per kmq. di bacino ammonta a litri 30 al secondo e quindi il modulo del Piave a Soverzene a mc. 51.

Il bacino proprio del lago di S. Croce è di circa 150 Kmq. parte dei quali, per fenomeni carsici (altipiano del Cansiglio) manda probabilmente le proprie acque ad altri bacini.

Il contributo medio del bacino del lago si può ritenere di circa mc. 3,5 al 1" e prudenzialmente di mc. 3.

Il regime dei deflussi del Piave a Soverzene è assai variabile rispetto alla suddetta portata media annuale di mc. 51.

Per quanto si riferisce alle magre, va ricordato che quelle più accentuate si hanno nell'inverno, con durata da 70 a 100 giorni sotto la portata media.

Le magre estive sono meno accentuate ed hanno una durata da 20 a 60 giorni.

La portata ordinaria di magra, negli anni normali, a Ponte nelle Alpi, è di mc. 24.

Tenuto conto di tutti gli elementi in causa, e cioè della necessità di non lasciare senz'acqua il tratto di fiume da Ponte nelle Alpi alla confluenza del Cordevole, di provvedere ai bisogni della fluitazione e di dare alle utenze inferiori un margine largo e di assoluta sicurezza, la derivazione dal Piave a Soverzene viene effettuata in modo da lasciare defluire nel fiume una portata minima di mc. 12 continui.

Il limite inferiore della derivazione resta così determinato quello superiore è stato fissato dalla pratica possibilità di ampliamento del lago di S. Croce per renderlo atto a funzionare da integratore stagionale.

Come si vedr più avanti, con tale ampliamento il lago ha raggiunto la capacità utile di 120 milioni di mc. (fra le quote 360 e 386) con la quale risulta possibile assicurare negli anni normali la regolazione di una portata media di mc. 33 al 1".

Poiché la Società ha già disponibili 3 mc. del bacino imbrifero proprio del lago, la derivazione media che può utilmente farsi a Soverzene è di 30 mc. al 1", per ottenere la quale, dato il diagramma annuale dei deflussi è necessario un canale derivatore capace della portata massima di mc. 80 al 1".



OPERE DI PRESA DAL PIAVE


Poco a valle del paese di Soverzene l'alveo del Piave, la cui larghezza supera il chilometro, è stato sbarrato con opere, parte insommergibili e parte sommergibili, che si sviluppano trasversalmente al fiume da una sponda all'altra.

Procedendo dalla sponda destra verso la sinistra, in corrispondenza della quale sorgono le opere di presa, abbiamo dapprima un argine insommergibile della lunghezza di m. 670, a sezione trapezia, con una larghezza in sommità di m. 4.

L'argine è costituito da materiale ricavato dal terrazzo alluvionale sulla destra del fiume, ed è rivestito in pietrame nel tratto in prossimità della sua testata verso la traversa stramazzante: estremità che è foggiata a martello di protezione che si protende a monte nell'alveo per m. 60.

In diretto prolungamento di detto argine segue uno sbarramento sommergihile in calcestruzzo con rivestimento in pietra da taglio, lungo m. 270 e conformato secondo il consueto profilo delle traverse stramazzanti.

La sua altezza massima di ritenuta sul fondo medio originario del fiume è di m. 4.
Il taglione a valle della traversa è costituito, da una serie di cassoni in calcestruzzo armato, affondati ad aria compressa fino a m. 7 sotto l'alveo.

Procedendo sempre verso la sponda sinistra, abbiamo uno scivolone per il passaggio delle zattere e tre grandi bocche di scarico di m. 12 x 4 ciascuna, munite di paratoie a settore automanovrabili, destinate al primo e più efficace sghiaiamento davanti all'incile della derivazione.

Seguono le opere di presa propriamente dette, le quali, come si è già accennato, si sviluppano lungo la sponda sinistra.

L'acqua, trattenuta dallo sbarramento, entra, sormontando un'ampia soglia di presa, in un bacino di sghiaiamento, provvisto di due ampie luci di scarico e di una piccola paratoia che assicura automaticamente al Piave, a valle della presa, il minimo di portata fissata nella concessione.

In fregio alla sponda snistra del bacino si aprono 12 luci a battente, larghe ciascuna m. 5 e protette da griglia, attraverso le quali l'acqua si immette nella camera di presa cui segue un vasto bacino di calma per la decantazione delle sabbie.

Tanto la camera di presa, quanto il bacino di decantazione sono muniti di scarico di fondo che ne permette la vuotatura periodica.

Il lato destro del bacino di decantazione, verso fiume, è sistemato a sfioratore di superficie della lunghezza di m. 90, destinato ad impedire che la derivazione si effettui con portate superiori alla capacità delle successive opere di convogliamento.

Abbiamo quindi a disposizione quattro sistemi successivi di organi di sghiaiamento, in modo da ottenere la massima possibile chiarificazione dell'acqua.

Alla fine del bacino di decantazione si trovano, muniti di paratoie di regolazione, gli imbocchi delle due gallerie, attraverso lo sperone di 8. Augusta, che costituiscono il primo tratto del canale di derivazione.



CANALE DI DERIVAZIONE DAL PIAVE AL LAGO DI S. CROCE.

- Ha una lunghezza complessiva d circa nove chilometri dallo inizio (presa d Soverzene) al sifone sotto la strada Secca-Alpago, dopo di che il canale stesso entra nel perimetro del lago di S. Croce lungo il quale si sviluppa per altri m. 1600 circa.

Come si è già detto, il canale è costruito per una portata massima di mc. 80 al 1" con altezza d'acqua di m. 4,50. Dal punto di vista costruttivo, si può dividere in diversi tronchi, nei quali, a seconda dei terreni attraversati, cambiano, col tipo di struttura, la sezione e la pendenza.

Il primo è costituito dalle due gallerie di Soverzene, attraverso lo sperone di Santa Augusta (sostituite, per esigenze di esercizio, all'unica galleria dapprima progettata).

Le gallerie sboccano nel canale aperto, costruito per un tronco di circa 1200 m. a mezza costa in muratura su terreno roccioso, col muro verso valle in calcestruzzo a speroni e voltine.

Segue un altro tronco lungo oltre metri 2000 in trincea con rivestimento murario ed infine un ultimo scavato in terra, senza rivestimento, col quale si raggiunge, il sifone (a tre canne in muratura) che attraversa la strada dell'Alpago e l'argine di contenimento del Lago di S. Croce.

Lungo il percorso del canale si è provveduto agli attraversarnenti stradali con ponti di vario tipo in cemento armato, mentre per lo scarico delle acque e dei materiali di trasporto dei numerosi torrentelli trasversali sono stati costruiti appositi manufatti.

Al di là dell'argine, il canale entra, come si è detto, nel perimetro del lago di S. Croce, e precisamente nella zona paludosa della Secca, che viene ad essere sommersa con l'alzamento del lago sopra il suo livello naturale.

Ciò malgrado è stato necessario prolungare il canale di derivazione anche in detta zona onde evitare che, a lago basso, le acque ne raggiungano il più ristretto specchio liquido, scorrendo sopra un terreno di assai scarsa consistenza e provocando qundi mevitabilmeute delle corrosioni disastrose per le opere a monte ed in particolare per l'argine.

Si è quindi provveduto, mediante un altro tronco di canale della lunghezza complessiva di m. 1.600, il quale (costruito dapprima in terra, nelle paludi parallelamente all'argine di contenimento, fino a raggiungere la sponda rocciosa sotto la strada nazionale d'Alemagna, indi, parallelamente a questa, costruito in muratura su roccia) convoglia le acque in un punto distante oltre m. 600 dal piede dell'argine, dove, sempre su terreno roccioso è costituito il manufatto di scarico.

Questo canale si svolge tutto a quote di parecchi metri inferiori a quella di massimo invaso del lago e quindi è destinato ad essere sommerso dalle acque alte.

Nel canale, a mezzo di due successivi manufatti si variano le caratteristiche idrauliche in armonia colla natura della costruzione.



LAGO-SERBATOIO DI S. CROCE.


Esso costituisce il centro vitale dell'impianto, servendo, come è stato esposto nelle notizie idrografiche, ad immagazzinare e regolarizzare le acque derivate dal Piave in misura assai variabile a seconda dei deflussi naturali.

Per dare al lago la capacità utile di 120 milioni di mc., necessaria allo scopo, occorre, oltre allo svaso di 20 metri sotto il livello normale (m. 380), elevarne la quota di massimo invaso fino a m. 386, aumentandone la superficie fino a 8 chilometri quadrati e sommergendo gran parte delle paludi situate al margine settentrionale del lago e comprese tra il lago stesso e la strada dell'Alpago.

A sud di questa si è costruito un argine di contenimento, che si svolge con una lunghezza di circa due chilometri dalla sponda occidentale del lago fin quasi al torrente Tesa.

La massima altezza dell'argine, in prossimità dell'alveo del Rai, che prima della costruzione degli impianti era l'emissario naturale del lago, è di m. 9; la sua sommità è a quota 388 con un franco quindi di m. 2 sopra il livello massimo del lago.

L'argine è costituito con materiale argilloso-sabbioso, tratto dalla zona stessa delle paludi destinate alla sommersione; la larghezza in sommità è di m. 4 e le scarpate, interrotte da banchine, hanno inclinazioni di 1 su 3 verso l'acqua e di 1 su 2 verso l'esterno.

La scarpata verso l'acqua è rivestita di pietrisco.
La sezione dell'argine risulta amplissima, tanto che alla base la larghezza raggiunge i m. 75.
Dove l'argine attraversa il Rai, si è costruito uno sfioratore circolare a pozzo del diametro di m. 16, tale da permettere il facile smaltimento della portata massima di piena del bacino imbrifero proprio del lago, nel saso in cui questo si trovi al suo massimo livello.

L'acqua sfiorante sotto-passa, mediante apposito manufatto, l'argine di contenimento e per l'alveo del Rai viene convogliata al Piave.

L'ampliamento del lago ha reso pure necessario lo spostamento ed il sopraelevamento di due tronchi della strada nazionale di Alemagna (complessivamente metri 2500 circa) soggiacenti all'aumentato livello del lago.

Questo spostamento, per necessità di mantenere ininterrotto il transito nella sede preesistente, ha richiesto costruzione di imponenti opere murarie.


centrale idroelettrica






turbina pelton Hydroart

IMPIANTO DI FADALTO

- La presa dell'acqua del lago di S. Croce avviene mediante una bocca d'introduzione, il cui centro si trova ad oltre 3 metri sotto il pelo minimo (quota 360) del lago stesso, munita di griglia a sacco e di paratoia piana a tenuta ermetica, installata in un primo pozzo verticale.

Poco più a valle, alla estremità di un secondo pozzo, inclinato del 40%, è montata un paratoia di regolazione, a settore circolare.

La paratoia a settore è destinata al servizio normale di esercizio, nonché a permettere l'equilibrio delle pressioni sulle due faccie della paratoia piana, la quale altrimenti non si potrebbe manovrare sotto un colonna d'acqua di circa 35 metri.

La paratoia piana serve per mettere all'asciutto la galleria per eventuali riparazioni.

Paratoia e griglia sono manovrate a mezzo di argani azionati elettricamente.

Segue la galleria forzata, sotto il valico di Fadalto, per la portata massima di mc. 120 lunga m. 2.500, della sezione netta di mq. 28 rivestita in calcestruzzo di cemento ed intonacata.

Poco prima del suo sbocco, la galleria biforca in due rami, ciascuno dei quali munito di pozzo piezometrico con vasca superiore di espansione, scavati in roccia rivestiti di calcestruzzo.

In ciascuno dei due rami, a breve distanza dalla base del pozzo, sono innestate, con opportuno raccordo, tre tubazioni metalliche forzate.

Ciascuna delle due terne di tubazione sbocca all'aperto uscendo da una grande camera a volta ricavata nella parete rocciosa e chiusa verso l'esterno da un grande porta in calcestruzzo.

Nelle due camere sono disposti gli organi di chiusura e di regolazione delle tubazioni.

Queste, in numero di cinque (poiché d'una eventuale sesta si è soltanto predisposto l'innesto nella roccia) col diametro di m. 2,60 scendono ad alimentare, ciascuna indipendentemente dalle altre, i cinque gruppi turbina alternatore, installati nella centrale di Fadalto.

La centrale è costituita da due corpi di fabbrica e cioè dalla sala macchine, con annesso quadro di distribuzione, e dall'edificio trasformatori ed interruttori, disposto parallelamente e posteriormente alla sala macchine e separato da essa dalle tubazioni forzate.

La centrale utilizza una portata media di mc. 33 al 1" sotto un salto medio di m. 106 essendo però destinata al servizio di punta, è attrezzata per una potenza più che tripla di quella corrispondente alla media, poiché i cinque gruppi in essa installati possono sviluppare una potenza fino a 26.000 cavalli ciascuno.

Le macchine hanno le seguenti caratteristiche principali.

Le turbine (Costruzioni Meccaniche Riva) sono del tipo Francis ad asse orizzontale a doppia camera spirale, per caduta variabile da 86 a 112 mt. con portata media di 20 mc.-sec. e massima di 24 mc.-sec.

La potenza sviluppata varia in relazione da 18.000 a 26.000 HP. a 420 giri.

La turbina è munita di regolatore autonomo con dispositivo di sicurezza per velocità massima, di scarico sincrono e comando a distanza.

Alternatore (Tecnomasio Brown-Boveri Direttamente accoppiato alla turbina può sviluppare 22.000 KVA alla frequenza 42, giri 420, tensione normale ai morsetti 6600 V. trifase.

L'alternatore connesso a stella è provvisto di sei morsetti, tre per l'uscita delle fasi e tre per connettere il centro della stella fuori della macchina.

L'alternatore è munito di eccitatrice coassiale, ed è del tipo chiuso autoventilante.

Trasformatori (Tecomasio Ital. Brown Boveri).

Sono del tipo in olio con circolazione di questo fuori del trasformatore per il refrigeramento.

La potenza è di 22.000 KVA Il rapporto di trasformazione a pieno carico e cosfì 0,7 è 6600-62.700 V. per tre trasformatori, mentre per gli altri due è 6.600-135.000 V.

I trasformatori sono connessi stella-stella, con la possibilità di mettere a terra il centro della stella secondaria.

L'apparecchiatura alta tensione è in parte del tipo per 65.000 Volt ed in parte per 135.000 Volt di esercizio.

Lo schema, della massima semplicità, è informato al concetto del funzionamento indipendente di un gruppo alternatore-trasformatore-linea, dagli altri.

Gli alternatoni sono connessi direttamente ai trasformatori.

Esiste però un sistema di sbarre a 6.600 Volt sulle quali gli alternatori e i trasformatori possono essere inseriti con giuochi di coltelli separatori.

I trasformatori alla loro volta si collegano a due sistemi di sbarre sezionabili, a 60.000 Volt e rispettivamente a 135.000 Volt, a mezzo di interruttore in olio, che funziona da interruttore di gruppo.

Da questo doppio sistema di sbarre si dipartono tutte le linee.

Tutte le manovre ed i comandi sono riportati nella sala dei pulpiti, ivi sono portate anche le varie segnalazioni, come la misura della temperatura dei trasformatori, la circolazione dell'acqua di raffreddamento, ecc.

Costruttivamente, la sala degli alternatori è completamente separata dal fabbricato dei trasformatori.

La connessione elettrica tra i due edifici è fatta da cavi armati trifasi a 6.600 Volt.

L'acqua scaricata dalle turbine della centrale di Fadalto, viene convogliata nel Lago Morto per mezzo di un breve canale a sezione trapezia scavato in terra.





IMPIANTO DI NOVE.

- Quest'impianto utilizza, derivandole dal Lago Morto, le acque di scarico del precedente salto di Fadalto.

Il lago Morto, con una oscillazione di mt. 4, tra le quote 272 e 276, ha una capacità utile di invaso di tre milioni di mc, e consente quindi una notevole elasticità ed indipendenza di funzionamento alle due centrali fra le quali è interposto.

La presa dal lago Morto è costituita nel primo tratto (mt. 90) da una larga galleria a pelo libero, atta a convogliare, a livello minimo del lago, la portata di mc. 80 al 1", che corrisponde alla massima utilizzabile dall'impianto.

Si trovano quindi le griglie e la paratoia di regolazione dei tipo a settore, a valle delle quali si inizia la galleria forzata di derivazione, lunga circa mt. 3400.

La sezione è dei tipo di quella di Fadalto, ma alquanto più ristretta (mq. 20) il rivestimento in calcestruzzo è di spessore variabile a seconda della roccia, la quale, essendo dappertutto assai frantumata, rese, unitamente alle forti filtrazioni d'acqua, assai difficile il lavoro di perforazione.

La galleria forzata mette capo al bacino di carico, che funziona anche da pozzo piezometrico.

Esso è costituito da un primo tratto verticale a sezione circolare ricavato nella roccia, il quale sbocca in una grande vasca quadrangolare a mezza costa, della superficie di circa mq. 1.000, racchiusa a monte da un muro di sostegno del terreno ed a valle da un muro di ritenuta a speroni e voltine, dell'altezza di circa mt. 10.

Lungo due lati della vasca, è ricavato lo sfioratore che funziona da troppo pieno in caso di colpo d'ariete; la vasca è pure munita di scarico di fondo con paratoia, destinato a dare continuità di passaggio all'acqua, anche nel caso che la centrale di Nove si dovesse fermare.

Dalla base del pozzo piezometrico partono due brevi tronchi di galleria, in ognuno dei quali sono murate due tubazioni: ogni coppia esce all'aperto attraverso una camera contenente gli opportuni apparecchi di regolazione e di sicurezza e scende quasi verticalmente verso la sottostante centrale.

Tre delle tubazioni hanno il diametro di m. 2,60 ed alimentano ciascuna un gruppo da 24.000 HP. mentre la quarta ha il diametro di mt. 2,40 e serve due gruppi da 9.000 HP.

La centrale è analoga a quella di Fadaito:
il fabbricato trasformatori, è però situato nel davanti e di fianco alla Sala macchine.

Anche questa centrale, come quella di Fadalto è destinata al servizio di punta e quindi, pur utilizzato una portata media di mc. 33 al 1" sotto un salto medio di mt. 99 è attrezzata, come si è visto, con il macchinario di potenza quasi tripla (H P. 90 .000).

Le tre turbine da 24 000 HP sono identiche a quella di Fadalto e sono rigidamente accoppiate con tre alternatori da 22.000 KVA di costruzione Ansaldo con caratteristiche eguali ai corrispondenti di Fadalto; le due da 9.000 HP sono pure della Ditta Riva, del tipo ad asse orizzontale a 420 giri ai 1'e sono rigidamente accoppiate con due alternatori di costruzione Brown-Boveri da 7.200 KVA cadauno, alla tensione normale di 6.000 Volt a 42 periodi.

I tre gruppi da 24.000 HP sono collegati a tre trasformatori da 22.000 KYA di eguali caratteristiche di quelli di Fadalto, mentre i due da 9.000 HP sono collegati a due trasformatori da 7.200 KV.

Analoga a quella di Fadalto è pure l'apparecchiatura elettrica.



IMPIANTO DI S. FLORIANO.

- Le acque di scarico della sopradescritta centrale di Nove, si riversano direttamente nel laghetto artificiale del Restello, il quale, colla sua capacità utile di mc. 800.000, fra le quote 174,50 e 180, costituisce un serbatoio giornaliero destinato a regolarizzare in modo quasi uniforme (come è richiesto dalla sottostante centrale di S. Floriano) gli scarichi assai variabili della centrale di Nove.

Esso è ottenuto mediante sbarramento della gola rocciosa del fiume Meschio in corrispondenza della chiesa di S. Floriano, cioè circa mezzo chilometro a valle della centrale di Nove.

Lo sbarramento è costituito da una traversa rettilinea a gravità in muratura di pietrame con malta di cemento, munita di paratoia di scarico e di una batteria di sifoni Gregotti, tali da scaricare una quarantina di mc. al 1".

Nello sbarramento stesso è aperta pure la presa dell'impianto di S. Floriano, munita di griglia e di paratoia di regolazione a rulli, tipo Stoney, della luce di mq. 5,204.

Segue il canale derivatore, lungo complessivamente ml. 240, tutto sotto pressione, costituito, in un primo tratto da un tubo di cemento armato del diametro di ml. 4,20 e successivamente da un tratto di galleria in roccia dello stesso diametro, con rivestimento in calcestruzzo di cemento.

La galleria sbocca nel bacino di carico, con funzioni anche di pozzo piezometrico, consistente in una grande vasca rettangolare in cemento armato, svasata verso l'alto ed appoggiantesi alla, montagna.

Dalla base del bacino, in corrispondenza della sua parete a valle, partono tre tubi in cemento armato, due del diametro interno di ml. 2,25 ed uno di ml. 3,80; essi sottopassano la strada nazionale e subito dopo finiscono nella centrale di S. Floriano, che sorge appunto in fregio ed a valle della strada stessa.

L'edificio della centrale è costituito da due corpi di fabbrica adiacenti e comprendenti la sala macchine ed i locali per i trasformatori e l'apparecchiatura elettrica.

Nella sala macchine sono installati tre gruppi Riva-Tecnomasio, di cui due gruppi ciascuno di HP. 1.500 a 252 giri al 1'ed un gruppo da HP. 3.000 a 252 giri al i'.

Le turbine sono del tipo ad asse orizzontale a camera forzata in cemento armato.

L'energia prodotta da detti gruppi viene in parte convogliata a Nove a 6.000 Volt per la trasformazione a 60.000 Volt ed in parte trasformata da 6.000 a 10.000 Volt per l'alimentazione della zona di distribuzione di Vittorio Veneto e di Valdobbiadene e circondano.

Come si è accennato, la Centralina di San Floriano è destinata, nel funzionamento generale degli impianti, a lavorare con carico pressochécostante in modo da scaricare una portata quasi continua, come è richiesto delle successive opere di canalizzazione, dimensionate per una portata poco superiore alla media.

D'altra parte il laghetto di Negrisiola, nel quale avviene lo scarico della Centrale, ha una capacità d'invaso, e quindi di regolazione, pressochénulla.

In armonia, con tali caratteristiche, il macchinario installato (HP. 6.000) ha una potenza di poco superiore a quella corrispondente alla portata media di mc. 33 sotto il salto medio di mt. 13,75.

Così, mentre alle grandi centrali di Fadalto e di Nove rimane piena e completa elasticità di esercizio, il vincolo della uniformità di funzionamento è limitato soltanto alla piccola centrale di S. Floriano.

CANALE ADDUTTORE AGLI IMPIANTI DI CASTELLETTO E DI CANEVA.

- Poco a valle del laghetto di Negrisiola, espansione del fiume Meschio, sorgono, attraverso il fiume stesso, le opere di presa per il successivo tronco di canale alimentatore degli impianti di Castelletto e di Caneva.

La presa è costituita da uno sbarramento con soglia a stramazzo rigurgitato per l'entrata dell'acqua nel canale: lateralmente è disposta una diga mobile con paratoia automatica che, mantenendo a monte della presa un livello costante, garantisce l'immissione della quantità richiesta dal canale, lasciando defluire nel Meschio le acque sovrabbondanti, mentre una bocca tarata, adiacente alla diga, assicura al Meschio la sua competenza (mc. 3).

La regolazione della portata avviene mediante paratoia del tipo a rulli collocata sul canale derivatore a circa 200 metri dalla presa e precisamente all'imbocco della galleria di S. Augusta:
questo primo tronco di canale ha quindi le sponde rialzate in modo da impedire la tracimazione dell'acqua a paratoia chiusa.

Il canale, a partire dalla presa fino al pozzo piezometrico della Centrale di Caneva, misura una lunghezza di oltre 14 Km. e può essere diviso in due tronchi.

Il primo tronco di metri 6380 (al quale limiteremo per ora la descrizione) va dalla presa all'attraversamento del torrente Carron in corrispondenza del quale si stacca la derivazione, in tubo, per l'impianto di Castelletto.

Questo primo tronco, costruito tutto in muratura o calcestruzzo, è per oltre due terzi in galleria a pelo libero e il restante all'aperto, in gran parte a mezza costa:
esso è capace di convogliare una portata di mc. 45 al secondo alquanto superiore a quella media degli impianti, per consentire una maggiore elasticità di funzionamento alle centrali servite.

Dopo la suaccennata galleria di S. Augusta, lunga mt. 1.800, si susseguono, alternandosi, tratti all'aperto e altri tratti in galleria di minore lunghezza:
lungo il canale vi sono poi numerosi manufatti, alcuni di notevole importanza, per gli attraversarnenti stradali e dei torrentelli intersecati.



IMPIANTO DI CASTELLETTO.

- Questo impianto, che in media utilizza circa un quinto della intera portata proveniente dagli impianti superiori (mentre gli altri quattro quinti procedono verso la centrale di Caneva), è stato originato dalla necessità di scaricare ad una determinata quota (superiore di circa 50 metri a quella dello scarico di Caneva) le acque destinate all'irrigazione'della zona alta sulla sinistra del Piave.

Immediatamente prima di attraversare, in sifone, il torrente Carron, sorgono, sulla sponda destra del canale derivatore, le opere di presa per l'impianto di Castelletto.

Esse sono costituite da due luci a battente di mq. 2 x 2,40 munite di paratoie manovrabili a mano ed elettricamente dalla centrale.

Davanti alle paratoie è disposta la griglia.

Lateralmente alla presa vi sono due sifoni Gregotti, i quali, nel caso che il successivo tronco di canale derivatore fosse chiuso mediante la paratoia installata immediatamente prima di attraversare il torrente Carron, hanno lo scopo di scaricare nel torrente stesso l'acqua che il canale convogliasse in eccesso, rispetto a quella richiamata dalle turbine di Castelletto.

Di fianco ai Gregotti vi è pure uno scarico di fondo, munito di paratoia manovrata a mano, per l'asciutta del canale.

A valle della presa ha inizio il canale derivatore costituito da un tubo in cemento armato, della lunghezza di mt. 1540, del diametro interno di mt. 2,42; esso posa su una sede in calcestruzzo di calce idraulica ed è tutto ricoperto di terra con altezza minima di mt 0,70.

Il tubo termina nel 'pozzo piezometrico costruito completamente in cemento armato e costituito da una parte inferiore del diametro di ml. 5, che superiormente si allarga in una vasca del diametro di ml. 15, sostenuta verso il perimetro da una corona di pilastri pure in cemento armato.

Alla base del pozzo è innestata verso valle la tubazione forzata metallica del diametro di ml. 2,10, lunga ml. 156.

Il fabbricato della Centrale è costituito da due corpi riuniti; uno in un piano per la sala macchine ed uno in due piani per i trasformatori e le varie apparecchiature elettriche.

La Centrale di Castelletto è destinata ad utilizzare, sotto il salto medio di ml. 62,50, portate variabili a seconda dei bisogni dell'irrigazione, con una media annua di mc. 6 ed un massimo estivo di mc. 10.

In relazione a ciò, è dimensionato il macchinario consistente in due gruppi turbina-alternatore, ciascuno da 4.000 HP.

Le due turbine (Riva) ad asse orizzontale, per caduta utile netta di 60 metri, sviluppanti ciascuna, con una portata di 6.250 litri sec., 4.000 HP. a 504 giri.

Queste turbine sono munite di regolatore autonomo e scarico sincrono.

Due alternatori trifasi (Siemens) per accoppiamento diretto alle turbine, sviluppanti ciascuno, a 504 giri a cosfì 0,7 periodi 42, 5000 KVA alla tensione normale di 12.500 volta.

Le due macchine sono del tipo chiuso autoventilanti, con aria filtrata, con eccitatrice coassiale, avvolgimento a stella con quarto morsetto di centro, e sono collegate ad un unico trasformatore trifase in olio con raffreddamento a circolazione d'acqua interna, della potenza di 10.000 KVA, con rapporto di trasformazione triangolo-stella 12.000 a 65.500 volta.

L'apparecchiatura elettrica è analoga a quella delle Centrali di Fadalto e Nove.

Il canale di scarico è, per un primo tratto, di ml. 260, in galleria scavata in terreno completamente sciolto, cui segue un tratto in trincea in terra con rivestimento in calcestruzzo di calce idraulica: l'ultima parte infine è in terra, senza rivestimento.

In totale, il canale di scarico è lungo m. 1180, e termina nel fiume Meschio, in località Borgo Pianche (quota 90 circa) dove le acque sono lasciate, come si è detto, a disposizione della irrigazione della zona alta in sinistra del Piave.



IMPIANTO DI CANEVA.

- Attraversato in sifone (preceduto da una paratoia di interclusione) l'alveo del torrente Carron, il canale continua per altri 7750 metri quasi costantemente in galleria, e permette di convogliare una portata massima di mc. 45 al 1", alquanto superiore alla media utilizzabile dall'impianto di Caneva.

Verso la metà del percorso, per varcare la bassura del torrente Friga, è stato costruito un sifone in cemento armato lungo circa 400 ml. e del diametro interno di ml. 3,80 sostenuto con pilastri in cemento armato.

Nell'ultimo tratto di circa ml. 436, il canale, finora sempre a pelo libero, passa in galleria forzata terminando al pozzo piezometrico della centrale di Caneva.

Questo, scavato in roccia con sezione circolare del diametro di m. 8 nella parte bassa, si allarga in alto a m. 16; il bordo superiore è conformato a sfioratore atto a smaltire l'acqua eventualmente in eccesso rispetto a quella richiamata dalle turbine.

Dal pozzo piezometrico partono le tubazioni metalliche, composte di due tubi del diametro di m. 2,80 e della lunghezza di m. 700, che scendono con dolce pendenza fino alla centrale, in corrispondenza della quale si riuniscono ad anello.

Da questo si staccano i tubi di alimentazione delle singole turbine.

Attraverso il salto di Caneva (m. 105) viene utilizzata una portata media annua di mc. 25,5.

Nel quadro generale degli impianti Piave-S.Croce la centrale di Caneva è destinata, in linea di massima, a dare la base del diagramma di produzione; ciò non toglie che anche essa possa funzionare con una certa elasticità per quanto lo permette il canale di carico che, pur essendo quasi tutto a pelo libero, è capace di una portata alquanto superiore alla media e può d'altra parte essere regolato mediante la paratoia posta al suo inizio.

La centrale è costituita da due fabbricati (sala macchine ed edificio trasformatori ed interruttori).

Nella sala macchine sono installati N. 3 gruppi turbina-alternatore ciascuno dei quali può sviluppare la potenza massima di HP. 18.500.

Le macchine hanno le seguenti caratteristiche principali: Turbine (Riva) tipo Francis ad asse orizzontale a doppia camera a spirale, con portata massima di 17 mc/sec.

Gli alternatori della Compagnia Generale di Elettricità sono direttamente accoppiati alla turbina e possono sviluppare ciascuno 16.500 KVA alla tensione di 6.000 volt - 42 periodi - 420 giri.

I trasformatori del Tecnomasio Italiano Brown-Boveri sono pure in numero di tre, ciascuno della potenza di 16.500 KVA e sono dello stesso tipo di quelli di Fadalto.

Analoga è pure l'apparecchiatura elettrica a 60.000 e 135.000 Volt.

L'acqua di scarico delle turbine viene raccolta in un'ampia vasca dalla quale si inizia il canale di scarico.

Dopo un primo tronco in galleria, lungo cento metri, il canale procede tutto all'aperto, in terra, raggiungendo, dopo un percorso di circa ml. 2.800, il fiume Meschio, presso Fratta.

Quivi le acque di scarico sono lasciate a disposizione della irrigazione, ma una parte di esse, specialmente d'inverno, sarà esuberante ai bisogni irrigui; perciò si è decisa e già iniziata la costruzione di un ultimo impianto con un salto di oltre 20 metri, in fregio al fiume Livenza.

RIASSUNTO E CONSIDERAZIONI GENERALI.

- Nel seguente specchio sono riassunti i dati relativi alle varie Centrali:

FADALTO mc cont. 33 mc max 120 salto m. 106 - HP nom. 46.640 HP eff. 130.000 mil KWh 218

NOVE mc cont. 33 mc max 80 salto m. 99 - HP nom. 43.560 HP eff. 90.000 mil KWh 204

S.FLORIANO mc cont. 33 mc max 48 salto m. 13,75 - HP nom. 6.050 HP eff. 6.000 mil KWh 19

CASTELLETTO mc cont. 6 mc max 10 salto m. 62,50 - HP nom. 5.000 HP eff. .000 mil KWh 15

CANEVA mc cont. 25,5 mc max 45 salto m. 105 - HP nom. 35.700 HP eff. 55.500 mil KWh 135

TOTALE . . .HP nom. 136.950 HP eff. 289.500 mil KWh 591

Tutta l'energia prodotta dalle centrali sopradeseritte viene trasportata ai diversi centri della rete di distribuzione del Gruppo Società Adriatica di Elettricità a mezzo di sette linee a 60.000 Volt e di quattro linee a 135.000 Volt, della complessiva capacità di trasporto di 200.000 KW.

Per ottenere un buono sfruttamento delle centrali a deflusso non regolato, un fattore di carico più conveniente agli effetti del macchinario installato, un andamento regolare della tensione sia agli effetti delle interruzioni dovute alla ripercussione ed estensione dei guasti locali, la rete primaria del Gruppo è stata divisa normalmente (ma si può fare anche un unico parallelo) in servizi separati, in modo da alimentare separatamente zone di limitata superficie e con baricentri di distribuzione elettricamente equidistanti dalle centrali di produzione; e tale alimentazione viene fatta da centrali a deflusso non regolato e integrata dall'impianto di S. Croce, le cui caratteristiche attuali di funzionamento sono appunto di integrazione degli impianti a deflusso non regolato.

In avvenire e quando l'impianto di S. Croce funzionerà da integratore di s stesso alla integrazione degli impianti a deflusso non regolato provvederà la nuova Centrale Termoelettrica di Venezia-Marghera.







Last updated 19.2.2005




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