Dal quotidiano "La REPUBBLICA" di domenica 12 Agosto 2007

Ogni anno sono 100mila. Una passerella per il tour completo. Lo scrittore Corona: non è curiosità morbosa

Con i turisti della memoria a passeggio sulla diga del Vajont

- Giovani guide e un nuovo percorso sui luoghi della tragedia del '63 -

0DAL NOSTRO INVIATO
FABRIZIO RAVELLI

MUTATIS MUTANDIS...

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Ma questo, è per caso lo stesso Corona che appena qualche mese fa si stracciava le vesti criticando aspramente (dixit) "Lasciateci piangere i morti a gratis", riguardo all'idea di guidare le comitive in diga per pochi euro a testa??? (vedi e clicca sotto)

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Quello che criticò Paolini e poi Martinelli (che gli diede anche da lavorare, e pubblicità) e quindi bollandoli (proprio lui) come dei mercenari??
Proprio quello là nella foto??

L'aggiunta del «Per fortuna» sembra effettivamente l'opposto di quello che pensava (e soprattutto DICEVA) di loro fino allo scorso autunno... che gli succede, al "Fenomeno"?

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Che beve meno.

Nella serata in questione, sono intervenuto spiegando attraverso gli altoparlanti che ci sono dei Vajont in corso (vedi + sotto).
Pensate che Corona o uno, uno solo dei presenti abbia «afferrato» le tragedie che questo comporta?? Magari venendo a cercarmi a fine show per spiegazioni??
Da anni ero convinto che la gente che parte in vacanza lasci il cervello nel comodino. Il 9 agosto, a Lignano, ne ho avuto triste conferma.
Dall'Artista, invece, non mi aspettavo nulla, e così è stato. Unica soddisfazione, il suo annuncio in diretta che "non si occuperà più né lo nominerà mai più) di "Vajont". Cominciando quindi (finalmente) a uscire dal tunnel del finto superstite.

Due giorni dopo, rieccolo qua.

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ERTO (PORDENONE) - «Benvenuti, sono Andrea, un informatore della memoria».
Il ragazzo in maglietta blu ha una bella faccia pulita. Il plotone di turisti ascolta in silenzio. Sono una trentina, ci sono anche due bambini nel passeggino. Luca, che ha 8 anni e viene da Castellanza (Varese) con mamma, papà e fratellino, è in prima fila. Attentissimo. «E' per lui che siamo qui - dice il padre - Ha insistito tanto, ha letto dei libri e adesso voleva vedere». E' uno strano turismo, questo che affolla la diga del Vajont. Ci vengono in più di 100 mila, ogni anno. Oggi, per la prima volta, si apre il percorso intero, la passerella metallica che corre sopra la diga: a sinistra la massa immane della frana, a destra lo strapiombo e laggiù, in fondo, Longarone.

Mauro Corona, lo scrittore e scultore ertano, se ne sta in mezzo ai turisti con la solita aria da lupo di montagna, il fazzoletto legato in testa. Lui, che è un bastian contrario nato, un solitario polemico, un anticonfomista, guarda le facce di questi cittadini in gita con occhi rispettosi. «Io dico che la loro curiosita è sana, non è morbosa, e ci lascia di stucco. Ormai sono un fiume, e la cosa ci ha preso tutti alla sprovvista. Adesso ci si comincia ad organizzare, perché questa curiosità deve essere soddisfatta, ha bisogno di spiegazioni e di risposte. Per fortuna ci sono stati il teatro di Marco Paolini e il film di Renzo Martinelli, a raccontare la storia del Vajont». E adesso ci sono gli «informatori della memoria», come Andrea e gli altri ragazzi. E dura solo un attimo il sospetto che dietro quella qualifica si nasconda una retorica, una burocrazia del dolore. Un attimo solo. Poi si ascolta Andrea, e la sua è una ricostruzione perfetta. Asciutta, precisa, senza omissioni né sbavature. Già, come si racconta una catastrofe a un gruppo di persone in braghe corte? Come si elencano i soprusi dell'industria elettrica sulla gente della montagna, le bugie interessate degli scienziati, gli allarmi non ascoltati, e alla fine il disastro, i duemila morti, il calvario dei sopravvissuti?

«Li abbiamo istruiti noi, questi ragazzi. Noi che c'eravamo». L'architetto Renato Migotti è il presidente dell'associazione superstiti del Vajont e vicepresidente della Fondazione. Anche lui si mette in fila coi turisti, lungo la passerella. L'onda alta 150 metri, quella sera del 9 ottobre 1963 alle ore 22,39, passò sopra la diga, qui dove siamo. Ne strappò solo una fetta, si vedono ancora i tondini divelti del cemento armato. In un minuto e mezzo scese lungo la valle stretta, preceduta da una tremendo spostamento d'aria, e spazzò via Longarone. «Io avevo 16 anni - racconta Migotti - Ero in casa, ero appena andato a letto. Sono volato via con tutta la casa, a 200 metri di distanza. Ho perso i genitori e mio fratello piu piccolo. Ricordo quando mi hanno recuperato, a monte del paese, dei soccorritori locali. Il corpo di mia mamma non l'hanno mai più trovato». Lui e altri sopravvissuti hanno "allevato" questi giovani "informatori della memoria". «Vogliamo che siano in grado non solo di dare informazioni, ma di trasmettere una sensibilità». Non è un lavoro facile.
«Già, il problema è anche comunicare delle emozioni - dice Corona - Fare che la gente provi a immaginare quei momenti. E' difficile: la natura ha ricucito le ferite, sopra la frane sono ricresciuti gli alberi. Era un paesaggio lunare, ora sembra sereno. Ma questo è un cimitero, qui si ascolta il soffio della morte».

Molta gente arriva qui e fa domande assurde. Dov'è il lago? Dov'è la frana? Il lago non c'e più. La frana è qua sotto i piedi, ci stiamo camminando, ha riempito tutto. A monte, della diga ne emergono 60 metri, ed erano 200. E poi, per arrivare fin qui sopra la diga e cercare di rivivere quei momenti di 44 anni fa, bisogna che la gente superi il parcheggio, i due furgoni che vendono bibite e panini. Qualcuno dovrà dire a Simone, un ertano rosso di pelo e irascibile, che forse non dovrebbe sparare a pieno volume dal suo furgone canzonacce goliardiche («... e ho la coleziòn de giornaleti porno, mi vado a casa e me lo meno tutto il giorno»).

C'e anche il pulmino di Bepi Zanfron, 75 anni, fotoreporter. Vende il suo libro di fotografie. Biancoenero, bellissime e strazianti, scattate con la sua Rollei. Era il corrispondente del Corriere della Sera, la sera del 9 ottobre '63, si mise in macchina e corse a vedere. Poi la lascio', la macchina, e proseguì a piedi. Poi lasciò anche la Rollei e passò la notte a scavare con gli altri. Vende il suo libro, ma soprattutto vuole qualcuno che lo stia a sentire. E c'è il banchetto di Rico Mazzucco, anche lui ha perso la famiglia, anche lui ha scritto un libro. I turisti, intanto, comprano il biglietto («Sono 5 euro, ma servono solo a coprire una parte delle spese», spiega Graziano Danielin, direttore del Parco delle Dolomiti), e in gruppi di 30 si avventurano sulla passerella. Si cammina su di una griglia di metallo, che lascia vedere lo strapiombo. E' ben protetta, ma c'è chi deve farsi forza.

Mauro Corona, alpinista e spaccone, dice «Io andrei anche fuori dalla balaustra, ma sarebbe un esibizionismo».
Flavio Oltolini, un omone in maglietta rossa, soffre di vertigini e cammina senza guardare, aggrappato ai corrimano. Viene con la moglie da Cogliate, provincia di Milano, e fa il falegname. «Siamo qui da una settimana, e abbiamo visto tutti i posti del disastro. Ho letto tutti i libri. E c'è sempre una rabbia che ti rimane dentro perché non l'hanno fermato prima, il disastro. E anche un senso di vergogna, perché nessuno ha pagato. Meno uno, che si è suicidato». Qualcuno, alla fine della visita, farà il percorso guidato attraverso i telefonini, ci si connette e si hanno spiegazioni. La diga, la frana, il paese di Casso, il bellissimo museo di Erto.
«Questo è un museo diffuso - dice Migotti [amico e servitore sciocco di mafiosi, n.d. Tiziano] - Ogni luogo, ogni sasso, ogni persona ne fa parte».




Una lettrice, Loredana Trevisani, invia immediatamente una lettera a Repubblica (che non le risponderà), e al sottoscritto in copia per conoscenza (ed eccola qua):
Leggo sulla Repubblica del 12 Agosto la notizia rimbalzata dai TG regionali della apertura del coronamento della diga del Vajont alle visite guidate "della Memoria". Quella passeggiata nella più mostruosa e dolorosa ferita della civiltà italiana (se non altro quella che ha brutalmente assassinato d'un colpo il numero più consistente di persone) io l'ho vissuta la sera del 31 Maggio ultimo scorso, e accompagnata da un insigne superstite insieme al gruppo di atleti che ha poi percorso in staffetta le strade d'Italia da Erto - dove si trova tuttora la diga - a Roma al Quirinale per portare le decine di migliaia di firme raccolte da alcuni sopravvissuti e da cittadini sensibili per onorare la memoria del Vajont, ma soprattutto quella dell'immane sacrificio e della sofferenza che le vittime sopportano tuttora.
E' giusto ricordare, é giusto permettere alle persone che attonite prima ed atterrite poi visitano la diga, si rendano conto della mostruosità dell'opera e del male che ha significato fino a capire quanto tutto ciò sia stata responsabilità e colpa diretta di uomini con nomi e cognomi e che da allora un sistema di connivenze, interessi, omertà, consensi e .... mafia abbia prima sterminato 1917 vite ed il futuro loro e dei sopravvissuti, e poi imposto l'impunità ai colpevoli, il silenzio, l'oblio e il sospetto a chi é rimasto e a chi ancora oggi vuole ostinatamente ricordare e far ricordare, come se l'unica vera colpa fosse essere rimasti a testimoniare.

Abbiamo chiesto al Presidente Napolitano attraverso un incontro livido con un imbarazzato e sospettoso funzionario - il dottor Ruffo - le scuse per il male compiuto, quelle scuse che nessuno ha mai offerto loro in 44 anni, abbiamo chiesto che la storia del Vajont entri di diritto nei libri di scuola, che vengano ricordati i morti ed onorati i vivi il 9 Ottobre e che alle vittime venga conferita una tardiva quanto dovuta medaglia d'oro in loro rispettosa commemorazione.
Al di là della memoria turistica segnalata a tutta pagina dal vostro giornale, esiste anche una memoria comune e singolare non inclusa per sua natura nel "politically correct" perché eccessivamente reale e sincera, perché senza compromessi ed omissioni. Quella memoria e quella verità trovano voce, sostegno e documenti anche inediti nel lavoro, frutto dell'impegno volontario di un privato, che da anni é pubblicato on line all'indirizzo www.vajont.org.

Dove apprendo fra l'altro che il Vajont non é servito a nulla: perché esattamente nello stesso modo, con gli stessi personaggi e la medesima trama si sta ri-compiendo in Spagna, ad Itoiz ed a Yesa nei Pirenei .....
Siamo disposti a tollerare un ennesimo eccidio e passarlo sotto silenzio un'altra volta? Per poi aspettare 44 anni che qualcuno ci permetta di rivisitare gli scheletri residui del disastro!


MIO COMMENTO

Ritengo che ancora una volta il "giornalismo" abbia perso un'occasione per informare CORRETTAMENTE. Non si spiega ancora, ai miei occhi, come si possano ancora scrivere cazzate stratosferiche e oltraggianti sulla più grande STRAGE di MAFIA del mondo. Atomiche a parte, s'intende.
Non riesco a spiegarmi se l'estensore dell'articolo "balneare" (nel senso di "agostano") o chi per esso ha confezionato l'impaginazione (le note) sia un 'ignorante semplice' oppure un 'cretino graduato'.
Nell'ordine, partendo da sx:

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- 1963, 9 ottobre, 22.45: la diga « ESPLODE »??????? Beh, finora non avevo ancora letto questa "definizione".... E pensare che ci sono in giro tanti giovani (meritevoli) che saprebbero magari fare questo lavoro meglio di costui... informandosi, almeno. Ma non certo attraverso certe fonti, o siti pagati con soldi pubblici dall'ente Parco del sig. Danelin...

- la valle « non poteva sostenere il peso della diga »???????
Mi spiace fare il pignolo, ma ancora si dimostra di non sapere di cosa si scrive (come successo per almeno 12 libri perfino al presunto scrittore/filosofo Corona). Il problema NON era tanto il peso dell'acqua in se', e meno ancora del "peso della diga" (ennesima cazzata).
Il problema era:
      a) che né vuota, né PIENA quella diga avrebbe dovuto "nascere" e stare dove sta, e
      b) che la composizione geologica del sito NON AVREBBE permesso di farci un bacino. Peggio ancora, di quelle dimensioni (e quote). Il guaio MAGGIORE, e siamo alla
      c) fu che lo scoprirono solo troppo tardi e malamente, quando diga e lago erano in funzione e in fase di collaudo!!.
Da questo momento in poi (relazione Semenza-Giudici, giugno del 1960), al Vajont, a Venezia e ahinoi a ROMA prevalse, mise radici ed esplose SOLO il "fattore MAFIA" (cosa che accade TUTTORA: ad esempio tramite il sindaco di Longarone e la sua cricca, e protettori), ma fino ad allora - NEL VAJONT - la presenza e l'attività mafiose erano solo presumibili dal comportamento quotidiano della dirigenza e delle maestranze (tutte!) della DELINQUENTE SADE!!!
- «ricostruzione in tempi record »? tua sorella. Quello semmai si potè dire per il "terremoto del Friuli" del 1976.
Solo grazie alla tenacia di chi non cedette al ricatto (del Comune di Longarone/DC e dell'ENEL) aderendo alla «transazione» il processo riuscì a proseguire. E sempre grazie alla tenacia, eccetera, «venne ricostruita Longarone dov'era prima», in quanto i poteri in gioco avrebbero voluto "spostarlo" (e con esso, la memoria, come infatti tentato, e fatto per gli Ertani).

Ma questi FATTI nulla c'entrano colla lettera e lo spirito dell'articolista. Per mia e VOSTRA fortuna ho invece un filmato che mostra Longarone nell'inverno del '66, e c'è solo una scuola "bunker" di fronte al municipio, l'attuale ponte Campelli per Codissago ed Erto, e alcune infrastrutture secondarie. Del paese, nuovo, non c'è ANCORA traccia.
Della ex chiesa, resta(va)no i tre gradini, e le due campane (poi recuperate) posate lì a terra. E la chiesetta di Pirago (S. Tomaso) non è MAI PIU' stata ricostruita. In compenso, in luoghi ove manco ce n'erano, ne furono costruite TRE. Chiediamoci (e chiedetevi) il perché.

Domanda n. 1, al giornalista: secondo TE, dove - e COME, e grazie a CHI - vissero per ALMENO tre anni i sopravvissuti, ed i loro familiari tornati dall'estero??
Domanda n. 2, a me medesimo: dove le ha prese, 'ste informazioni, il presunto giornalista?? E soprattutto, lo pagano anche, per ottenerne "servizi" (a mio parere IDIOTI e approssimativi, e fondamentalmente INUTILI) come questo??

A margine, non posso fare a meno di notare che il servizio dà voce e spazio solo a due (2) egregi IMPOSTORI recidivi, che poco o nulla hanno da comunicarci sull'argomento "Vajont", per pensieri, parole e soprattutto OPERE. Maggiori dettagli in questa pagina. Ma va così, dal 9 ottobre 1963. La fine della storia di questa diga maledetta, conclusasi nell'arco di sei anni, ha fatto nascere dal giorno successivo uno scandaloso e infame BUSINESS plurimiliardario che dura fino ai nostri giorni e delle cui VERGOGNE non si vede ancora la FINE.
E per soprammercato (un Mercato sul "mercato"!), dal 1957 a oggi, qui attorno non si dà voce che agli impostori, ai mafiosi e ai criminali. "Naturalmente" coll'avallo della "stampa" e degli organi della (presunta) "informazione".


2 VAJONT IN CORSO D'OPERA, OGGI:

Clicca sull'immagine e leggerai la mia traduzione dell'area "Vajont" nel sito spagnolo www.itoizstop.org

itoiz?=vajont

Per approfondire (in italiano) leggi questo.
Se invece conosci lo spagnolo (ma le immagini ti parlano da sole, e così pure i filmati a fondo pagina) puoi anche leggere il sito www.yesano.com, alla correzione della cui parte "Vajont" ho contribuito personalmente. QUESTI, sono i VERI "VAJONT" contemporanei, cui assistere in "diretta". Ne sapevi già qualcosa (da cialtroni, organi di stampa, o qualche TG???). Ma certo che NO.
Buon sonno.


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