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Strage annunciata nell'Italia del boom. Giorgio Bocca rievoca il disastro del Vajont nel Quarantesimo
LE DATE
• 1963
Un pezzo di montagna frana nel lago, alzando un'immensa onda che scavalca la diga del Vajont abbattendosi su 6 paesi a valle: 1917 le vittime (stimate).

• 1968
Inizia il processo. Condannati tre tecnici della exSade (al 9 Ottobre '63, ENEL!), ditta costruttrice e responsabile dell'impianto, ritenuti colpevoli di non aver lanciato l'allarme.

• 1970
In appello, e grazie a Giovanni Leone, capo del pool di avvocati dell'ENEL contro gli interessi delle popolazioni colpite, le condanne sono solo due: uno dei tecnici ENEL (Alberico Biadene) e il capo servizio dighe del Ministero Lavori pubblici, Sensidoni.

• 1971
La Cassazione conferma l'appello ma riduce le pene. Alla fine, l'unico a finire brevemente in carcere sarà Alberico Biadene dell'ENEL. Gli vennero inflitti 5 anni, di cui tre subito condonati. Dopo un anno usci' di galera per 'buona condotta'.

• 1982
La Corte d'appello di Firenze modifica la vecchia sentenza e condanna ENEL e Montedison a risarcire i danni a Stato e Comune di Longarone.

• 1986
La Cassazione respinge il ricorso della Montedison contro la sentenza pronunciata dalla Corte d'appello di Firenze.

• 1997
Altra condanna per la Montedison (per i danni a Longarone), e per l'Enel/SADE, che deve risarcire i beni patrimoniali dello Stato.

• 2000
Un decreto del Governo Amato fissa in 77 miliardi di lire* la somma del risarcimento che dovranno pagare Stato, Montedison ed Enel

*= A parere del sottoscritto, un decimo del dovuto. Pochi, maledetti e tardissimo.
Per uno strano scherzo della Storia, la somma del «risarcimento» - cadrà nelle casse di un'amministrazione di centrodestra. I "destinatari" formali (le "popolazioni", i superstiti, insomma) non vedranno un centesimo. E proprio di "centroDESTRA" era negli anni '50 e '60 ed oltre fino a Tangentopoli il sistema politico/mafioso democristiano che generò, nutrì e produsse questo massacro.
E che, dopo il disastro, depistò (disastro "naturale", "sciacalli"), coperse le vere responsabilità, sgonfiò (transazione ENEL/Leone) le parti civili e di conseguenza, tutto il processo.

Tiziano Dal Farra.

Inserimento originale: 8/10/2003


Strage annunciata nell'Italia del boom

di GIORGIO BOCCA

Vajont, la valle scomparsa.

 

0SONO arrivato a Longarone, nell'alta valle del Piave, a mezzogiorno del 10 ottobre 1963, l'indomani della grande sciagura avvenuta la sera prima alle dieci e trentanove. Dove c'era un paese di duemila abitanti erano rimaste una decina di case, il resto era un immenso pianoro bianco, come se il greto del fiume si fosse allargato all'intera valle. Bianco non si capiva di cosa, forse dei muri sbriciolati, forse delle rocce sminuzzate, raschiate dalla enorme colonna di acqua piombata sul paese dalla diga del Vajont: un rombo di tuono mai udito, dopo il bagliore dei cortocircuiti, cinquanta milioni di metri cubi di acqua scagliati contro il cielo dalla frana gigantesca del monte Toc, un'onda alta settecento metri che scavalca la diga e vien giù per la gola spingendo davanti a sè un freddo vento di morte e quel rumore da fine del mondo.

(segue dalla prima pagina)

Sul grande pianoro bianco come di una brina mattutina, bianco come certi paesaggi invernali dei pittori fiamminghi, si muovevano come formichine nere i sopravvissuti, gli amici e i parenti giunti dai villaggi vicini, i curiosi della morte altrui - e io fra essi - che arrivano sempre per sentirsi vivi nella strage.

La sera prima nessuno avvisa del pericolo gli abitanti di Longarone, e neppure quelli della frazione Spesse che sta proprio sotto la diga. Alle otto di sera si cena e sono tutti in casa, la televisione sta per trasmettere una partita di calcio. La massa di acqua si abbatte come un gigantesco colpo di maglio su Longarone, su Erto, su Casso e poi la valanga torbida, ribollente prosegue tagliando in due Castellavazzo, trascinando i morti per decine di chilometri.

Arrivo a Longarone il giorno dopo la sciagura, e la sola notizia certa che posso far avere al mio giornale è che i morti sono a occhio e croce quasi duemila, ma ci vorranno settimane per avere le cifre precise: 1.450 a Longarone, 158 a Erto e Casso, 109 a Castellavazzo. A Longarone, a quel che resta di Longarone, sono arrivati centinaia di giornalisti e sta per giungere una colonna di soccorso che i sindaci comunisti di Modena e di Reggio Emilia hanno organizzato prima di ogni soccorso dello Stato.

Così vanno le sciagure nell'ltalia degli anni Sessanta, del miracolo economico: i morti giacciono sotto la coltre bianca, i vivi non riescono a capire che cosa è accaduto, perchè è accaduto. Fra noi cronisti ce n'è uno solo che sappia come sono andate le cose, si chiama Mario Passi, abita a Padova, è corrispondente dell'Unità; negli ultimi tre anni avrà scritto una cinquantina di articoli sulla diga del Vajont e sui rischi mortali che fa correre alla gente nella valle del Piave. Ma sono gli anni della guerra fredda, quello che pubblica l'Unità non conta. Sul Corriere della Sera il giorno dopo la strage è apparso un editoriale intitolato: «Fatalità» Lo ha firmato un noto scrittore di Belluno che non sa niente della diga e del Vajont. Ciò che ha scritto Mario Passi sulle responsabilità degli uomini e dell'azienda elettrica Sade verrà ricordato solo cinque anni dopo, al processo trasferito da Belluno a L'Aquila, il processo che dà ragione al Corriere: fatalità.

Se si rileggono le corrispondenze di Mario Passi, vien fuori la storia paradigmatica di una di quelle sciagure prevedibili, previste ma tenacemente perseguite, che fanno parte della normalità italiana. I responsabili ci sono, eccome, ma tutti in qualche modo si sentono giustificati da quella grande fatalità che chiamano sviluppo e che diventerà il miracolo.
C'è la Sade del conte Cini che deve pensare al rifornimento energetico di Marghera e del suo gigantesco petrolchimico, ci sono i professori dei politecnici di Padova, di Milano di Torino che costruiscono centrali in tutto l'arco alpino e sono andati in cattedra, e ci restano se vanno d'accordo con i potentati economici dell'elettricità. La Sade, la Edison, la Sip e gli altri giganti che sono i numi tutelari di una crescita tumultuosa ma eccitante.

Mi capitava di incontrarli qualche sera in casa di Guido Venosta, a Milano. C'era l'ingegner Valerio della Edison con la sua lunga faccia gotica, che con una telefonata faceva scattare sull'attenti la Borsa intera, c'erano i grandi feudatari elettrici veneziani, toscani, piemontesi che amabilmente si incontravano con quelli della Pirelli, della Fiat e del Gotha industriale conservatore.
Non c'erano i loro operai che spesso in corteo li impiccavano nei cartelloni e nei fantocci, ma tutti, ricchi e poveri, padroni e dipendenti erano come avvolti dall'euforia del progresso. Per capire il Vajont serve ricordare cosa era la corporazione elettrica degli ingegneri idraulici, dei costruttori di dighe e dei loro operai, una aristocrazia del lavoro che aveva alti salari e non si sporcava più le mani con il concime di campi, indossava le tute con su il nome dell'azienda. L'opinione pubblica era solidale con una industria che non inquinava, con una ricchezza che sembrava gratuita, I'acqua di monte che muoveva le turbine e che pareva inesauribile. In quel mondo dominava più dei padroni l'agguerrita, entusiasta, utopistica confraternita degli ingegneri idraulici, compagni di avventura dei geologi, come il progettista Carlo Semenza, direttore del servizio costruzioni della Sade. Lui alla diga gigantesca del Vajont ci pensa dal 1925, quando per la prima volta è salito a Erto e Casso e ha visto il torrente Vajont scorrere limpido nella valle e poi precipitarsi nella gola che scende al fiume Piave. Ed ha visto come in sogno sorgere davanti alla gola la diga ad arco più alta del mondo, la sua Tour Eiffel. E adesso, finita la guerra, in questa Italia che si muove, che cambia, che diventa ricca, torna di frequente al Vajont, ne è affascinato e cerca il geologo che possa appoggiare il suo folle progetto. Lo trova nel vecchio professor Dal Piaz che ha una bella barba bianca, la stima dei politecnici e anche il bisogno dei pensionati: «Le confesso - scrive a un amico - che il nuovo progetto del Vajont mi fa tremare le vene e i polsi: una diga alta 266 metri, un lago artificiale di 150 milioni di metri cubi. Ma non posso dire di no a Semenza, malgrado l'età avanzata mi trovo nella penosa necessità di integrare la assai magra pensione con proventi professionali».

Firmerà i successivi progetti sempre piu' audaci di Semenza, e garantirà al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici la loro fattibilità.

La Sade anni Cinquanta ha il pieno controllo delle risorse idriche, è la padrona delle acque che scendono dalle montagne del Veneto e del Friuli, i suoi sbarramenti a Boite, Piave Maè, Val Gallina, fanno convergere le acque sulla potentissima centrale di Sovèrzene. La centrale del Vajont completerebbe il cerchio energetico. La diga è un grande rischio, ma il potere della Sade è come una droga che vince tutte le resistenze. A Roma, il governo amico deciderà di finanziare l'impresa con un contributo gratuito del 45 per cento.
Eppure gli avvisi della grande sciagura non mancano.
Nell'autunno del'58 il professor Dal Piaz ha visitato le sponde del bacino e ha visto delle rocce fessurate e corrose. Una commissione di esperti fra cui il giovane figlio di Semenza, geologo, accerta che sul monte Toc sta muovendosi una frana antica, in lento ma inarrestabile spostamento verso il basso. Il 4 novembre del '60 l'annuncio del disastro prende la forma visibile di una frana di ottocentomila metri cubi che scivola nel bacino dividendolo in due. Ma l'ingegnere Semenza e la Sade non possono rinunciare alla loro grande opera.

Dopo il disastro, la Sade farà uscire dalla prigione domiciliare i suoi tecnici in attesa del processo e l'Enel, dopo la nazionalizzazione, adotterà la stessa difesa: fatalità. Presa dall'euforia miracolistica, la pubblica opinione ha già dimenticato la strage e segue distrattamente il processo. I morti sono morti, Longarone è stato ricostruito a spese dello Stato, e altri giganti dell'industria, altre grandi opere a rischio, altre sovvenzioni a fondo perduto assicurano la normalità italiana.

 

0

MARCO PAOLINI:
VajontrockslideVajont1963

Clicca sull'immagine per vedere (via YouTube)
la notte del 9 ottobre in rendering 2D
VAJONT. Non è il crollo di una diga.
Dighe ne cascano tante, sulla Terra.
Vajont è il crollo di una montagna, e una montagna è infinitamente più grande di una diga. È immensa.
Duecentosessanta milioni di metri cubi. Una massa biblica. Ecco, il Vajont è un evento biblico in epoca storica. Eppure c'è chi continua a cadere nell'errore, a confondere la diga con la montagna. Un brutto segno. Il segno che si rimuove ancora la verità.

occhi PaoliniVajont è apocalisse.
Di solito le apocalissi si ricordano per millenni. A noi no, sono bastati quarant'anni per dimenticare. E la dimenticanza è una frana più grande del Toc.
C'è una seconda storia del Vajont, quella che va dal '63 a oggi, e tutta da scrivere.

Una storia di rimozioni.
- L'assimilazione dell'evento a catastrofi naturali come alluvioni e terremoti.
- Il mondo accademico che continua a parlarne, senza trarre una lezione morale.*
- Il mancato riconoscimento dell'olocausto nello sterminio di un piccolo, sconosciuto popolo di montagna.

(*= L'articolo 2003 di Paolo Paronuzzi che segnalo qui sotto, è dunque un segnale confortante, N. d. Scr.)



Altre risorse documentali sulla strage di mafia del VAJONT (09 - X - 1963).
Canali VIDEO:

A) www.youtube.com/vajont2003 e B) www.youtube.com/vajont1963, e questo stesso sito.


Canali LIBRI: 1) questo sito, e - 2) www.anobii.com/vajont2003/books, con MIE recensioni

FaceBook, 1 (fotoFB 'Vajont2003'): https://www.facebook.com/media/albums/?id=1478315756

FaceBook, 2 (videoFB 'Vajont2003'): https://www.facebook.com/video/?id=1478315756

 

"Strage annunciata nell'Italia del boom" - tratto da: "La Repubblica" del 08/10/2003,
e' un articolo di GIORGIO BOCCA.
Morto il 25 dicembre 2011 senza essersi emendato dal suo INFORTUNIO GIORNALISTICO, e reiterato nel suo ultimo libro, "La NEVE e il FUOCO".

Altre pagine sul quarantennale di QUESTA STRAGE di MAFIA:

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Un tempo, leggevi queste cose e ti trovavi su www.vajont.org.
Poi sbucarono - e vennero avanti - i delinquenti, naturalmente quelli istituzionali ....


Ai navigatori. Queste sono tutte pagine "work-in-progress" (modificabili nel tempo) e puo' essere che qualche link a volte non risulti efficiente, soprattutto quelli obsoleti che puntano (puntavano) a dei siti web esterni. Scusate, e eventualmente segnalatemelo indicandomi nella mail la pagina > riga > link fallace.

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Ritagli di giornali, motivazioni e libere opinioni, ricerche storiche, testi e impaginazione di Tiziano Dal Farra - Belluno
(se non diversamente specificato o indicato nel corpo della pagina)

« VOMITO, ERGO SUM »

Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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