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di Floriano Calvino, Sandro Nosengo, Giovanni Bassi, Vanni Ceola, Paolo Berti, Francesco Borasi, Rita Farinelli, Lorenza Cescatti, Sandro Gamberini, Sandro Canestrini

Un processo alla speculazione industriale

La strage di STAVA

negli interventi della parte civile alternativa
Edizione a cura del Collegio di difesa di parte civile alternativa
© Trento, 1989

Alla memoria di 269 vittime
della speculazione e dello
sfruttamento insensato del territorio
e alla memoria di Floriano Calvino
che - dalla parte delle vittime,
come sempre - si schierò,
con intelligenza e con amore.

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INDICE

Presentazione - pag. 5

Premessa - pag. 9

LA PERIZIA DI PARTE CIVILE, di Floriano Calvino 15

CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO, di Sandro Nosengo e Giovanni Bassi - 29

LE COLPE DEGLI IMPUTATI, di Vanni Ceola - 49

LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO, di Paolo Berti - 75

IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA, di Francesco Borasi - 89

I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE, di Rita Farinelli - 113

LE OMISSIONI DI CURRO' DOSSI E PERNA, di Lorenza Cescatti - 129

IL RUOLO DEL DISTRETTO MINERARIO, di Sandro Gamberini - 143

DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA, di Sandro Canestrini - 161

APPENDICE I

Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei ministri - 179

APPENDICE II

Dall'articolo: «I bacini di decantazione dei rifiuti degli impianti di trattamento dei minerali» del prof. Giovanni Rossi (Industria Mineraria, nn. 10 e 11, 1973) - 193

Vanni Ceola

LE COLPE DEGLI IMPUTATI

Il mio intervento è finalizzato a mettere in luce, in modo sintetico, una serie di profili di colpa che vanno addebitati agli imputati. Spetterà poi ai colleghi del collegio di parte civile di cui faccio parte, di approfondire particolari aspetti del mio discorso, analizzando gli specifici comportamenti colposi o le specifiche omissioni da riferirsi ai singoli imputati.

Prima di affrontare gli argomenti che mi sono prefissato di trattare, accennerò alla specificità del nostro collegio di parte civile e al danno patito da una delle parti che rappresento.

Il nostro gruppo di difensori si è costituito attraverso la spontanea offerta di avvocati italiani e stranieri che, ad una richiesta pervenuta da Tésero, ha dato disponibilità a tutelare le parti civili. Molti, per ragioni di lavoro o di salute, non hanno partecipato al dibattimento, ma hanno comunque dato un importante contributo alla preparazione del processo.
Ricordo per tutti lo svizzero Rudolf Schaller e Romeo Ferrucci. Ricordo anche la grande professionalità dei nostri periti, che fin dall'inizio ci sono stati di indispensabile supporto e spesso di stimolo.

Abbiamo mantenuto i contatti col gruppo delle nostre parti civili con frequenti riunioni ed assemblee. Vorrei ricordare la tragedia di una sola delle parti lese che rappresento. Maria Teresa Mich, alla quale il fango ha distrutto la famiglia. Ha perso la mamma, il papà, due fratelli, la cognata, la nipote, la zia. Ha perso la casa, tutti i beni.

Non so se si possa immaginare da un giorno all'altro di vivere ancora con un peso del genere sulle spalle. Si dice che la vita continua, che quel e è stato è stato, ma, per Maria Teresa Mich come per tanti altri, per troppi altri, il 19 luglio 1985 è stato un giorno che ha spento la luce sulla vita. Giorgina Delladio, nostra battagliera amica, ha detto, all'apertura di questo processo, che solo i morti possono perdonare, i sopravvissuti possono solo cercare di dimenticare.

La storia che viene narrata nelle carte del processo di Stava, potrebbe sembrare una storia incredibile, ma è invece una storia terribilmente vera di una serie senza fine di errori, di leggerezze, e una storia di straordinarie superficialità, e, purtroppo, una storia di ordinaria cinicità.

Quella del crollo dei bacini di Prestavel è anche la storia dei danni che vengono arrecati da un sistema economico che mira solo alla massimizzazione dei profitti, allo sfruttamento del territorio, che pone in sottordine l'interesse, la salute, la sicurezza, persino la vita dei cittadini.

E' anche la storia di un'amministrazione pubblica interessata solo a perpetuare il proprio potere, che non amministra, che non controlla, sempre in prima fila a ricevere onori, sempre latitante quando si devono assumere responsabilità. Un esempio 'commendevole', si fa per dire, lo abbiamo udito nel corso dell'istruttoria dibattimentale. E quel giorno, più che mai, abbiamo avvertito il senso dell'inadeguatezza delle leggi. (1)

In più occasioni, parlando del processo, discutendone, abbiamo sentito il bisogno di confrontarci su una premessa, che è una realtà ineliminabile e base per tutte le considerazioni tecniche, giuridiche, di merito: è il fatto che noi non siamo davanti ad un caso di pericolo imminente, né che studiamo le modalità per attribuire ai responsabili gli oneri dei provvedimenti di sicurezza.

Stiamo discutendo di una catastrofe già avvenuta, di una frana, di un'inondazione, di 269 vittime, alcune delle quali neppure ritrovate.

L'interrogatorio dell'assessore provinciale Gianni Bazzanella (foto).

Questo deve essere tenuto ben presente in ogni passo di questa vicenda, e in ogni virgola scritta, in ogni parola detta, in ogni pensiero non ancora espresso. Le ragioni di questa tragedia sono fondamentalmente due, strettamente correlate fra loro:

- l'assenza di rispetto per il territorio;

- la subordinazione ad ogni altro valore alla logica del profitto.

Da una parte vi è lo sfruttamento del territorio e delle sue risorse. Si scava la fluorite nella roccia e si sistemano gli scarti nel posto più vicino, più comodo possibile; poco importa se così si inquina un torrente di montagna, si deturpa una valletta, si pongono le premesse per la distruzione di un'intera valle e dei suoi abitanti.
Dall'altra si fanno delle scelte ispirate solo alla logica del profitto:
- servirebbero gli specialisti, ma se ci si può arrangiare in casa e risparmiare, se né fa a meno;

- servirebbero ancora gli specialisti, ma un loro intervento avrebbe costretto i gestori a modifiche per migliorare la sicurezza dei bacini; e si sa, le modifiche costano;

- una minore inclinazione degli argini avrebbe ridotto la capienza;

- un sistema costruttivo più sicuro, come quello a valle, sarebbe costato certo molto di più. E così via ...

Non per nulla il sesto capitolo del saggio del prof. Rossi è intitolato "Considerazioni economiche".

E Rossi osserva come i costi per il bacino di Meggen in Germania siano stati nell'ordine di 450 lire al mc di invaso, mentre quelli per Fenice Capanne di un decimo, 47 lire al mc e quelli per Prestavel, ancora inferiori, di 45 lire per mc, considerando 180 metri di conduttura, un nucleo filtrante di 10.500 mc, il pettine, i cicloni, le altre apparecchiature e l'acquisto dell'area.

E per il secondo bacino si pensa a risparmiare, eliminando il pettine, eliminando il nucleo filtrante, riducendo di un terzo l'arginello. La logica del profitto cozza con l'esigenza di sicurezza.

Non è concepibile oggi, come non lo poteva essere 20 anni fa, che chi poneva in essere e gestiva un'opera come quella crollata non né conoscesse alla perfezione le tecniche costruttive, i metodi di gestione, i parametri e i dispositivi di sicurezza.

Questo vale soprattutto per la Montedison e la Fluormine, società che da tempo operavano nel campo minerario. Ma vale altresì per 'Prealpi'. Chi si impegna in un'attività dev'essere in grado di gestirla. E non è attenuante il balletto della vendita "chiavi in mano" della miniera di Prestavel, con tanto di dirigenti esperti come "optionals", avvenuta sotto gli auspici del Distretto Minerario. Anzi, ciò suona come aggravante.

Vi sono una serie di fatti negativi, che peseranno sul processo.

L'autoassoluzione dei politici e la latitanza dello Stato.

L'assoluzione che si sono attribuita i politici; i quali hanno tramutato dei proscioglimenti giuridici in proscioglimenti politici.

Ad essi ha risposto - in occasione del primo anniversario della tragedia - Giorgina Delladio, una parte lesa che a Stava ha perduto tutto:

«269 persone, un anno fa sono morte. Perché qualcuno ha costruito e poi ha gestito due bacini nel posto meno adatto, in modo scorretto, ma anche perché qualcuno glieli ha lasciati costruire così, glieli ha lasciati gestire così. Noi oggi piangiamo 269 nostri cari uccisi. E fra noi che piangiamo ci sono oggi altre persone, incaricate di amministrarci, che non avrebbero dovuto lasciar edificare quei bacini, che avrebbero dovuto controllarli. Ed oggi sono qui fra noi come se nulla fosse accaduto, a ripeterci promesse sentite tante altre volte, a dimostrare che a loro in realtà interessa solo la poltrona. La buona educazione, nonostante tutto, ci impedisce di usare parole più pesanti. Vi chiediamo solo, nonostante la vostra insensibilità, di lasciarci piangere in pace i nostri morti, di non insistere nello strumentalizzare il nostro dolore, di non cercare di violentare la nostra dignità».
Tranne rarissime eccezioni, nessuno di loro ha sentito il dovere (almeno morale), ma si sa, la morale è cosa di altro mondo, di seguire il processo.
La latitanza dello Stato ed in particolare la sua mancata costituzione di parte civile nel processo, che appare come fatto di inaudita gravità se si pensa che di fronte a questa spaventosa strage, il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, dichiarò: «Sarà fatta giustizia, una giustizia non irata, ma serena e severa».

Aprendo i lavori della seduta della Camera dei deputati dedicata a interpellanze e interrogazioni sulla catastrofe di Stava, il Presidente della Camera, onorevole Nilde lotti, chiese che venissero individuate le responsabilità e puniti i colpevoli «con rigore maggiore che per il passato»; il 22 luglio 1985 il ministro per il coordinamento della protezione civile, onorevole Giuseppe Zamberletti, dichiarò a nome del Governo: «Si tratta di una sciagura non collegata a fatti naturali, ma evidentemente dovuta ad azioni od omissioni dell'uomo»; il Governo istituì tempestivamente una propria commissione amministrativa d'indagine che concluse i propri lavori nel luglio 1986 affermando: «L'impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza, che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l'esistenza di intere comunità umane. L'argine superiore era mal fondato, mal drenato, staticamente al limite. Non poteva che crollare alla minima modifica delle sue precarie condizioni di equilibrio»; il 24 settembre 1985 il Governo emanò un decreto-legge, col quale stanziò un contributo speciale di 30 miliardi «per far fronte alle necessità di ripristino al Comune di Tésero», nel quale si precisava, all'articolo 6, che «i contributi e le previdenze previsti dai precedenti articoli sono concessi a titolo di anticipazione sul risarcimento dei danni patrimoniali spettanti ai danneggiati in seguito all'accertamento di eventuali responsabilità».

Ronald Dvorkin ha scritto che «Se lo Stato non prende i diritti sul serio, non potrà stabilire il rispetto delle leggi».

Il Comune di Tésero

Il ruolo del Comune di Tésero, il quale non chiedendo il ristoro del danno ambientale non ha permesso alle associazioni ambientaliste, portatrici di interessi collettivi, di intervenire in questo processo. E se non vi è stato danno ambientale conseguente al crollo dei bacini, non so proprio quando lo si potrebbe rinvenire. Si pensi solo ai morti, alle attività economiche distrutte, ai 50.000 mc di territorio spazzati via dal fango. Una valle di montagna trasformata in un ambiente lunare.

D'altro canto il ruolo imbarazzato del Comune di Tésero nel processo ha le sue ragioni.

Non vi è dubbio che gli ampliamenti autorizzati nel 1976 e nel 1984 abbisognassero di concessione edilizia.

La licenza edilizia non era invece necessaria né nel 1961, né nel 1969, quando vennero iniziati il primo e il secondo bacino.

Il Comune si limitò ad autorizzare l'occupazione del suolo comunale, dando prescrizioni del tutto generiche, omettendo di richiedere la stesura di un progetto, senza richiedere copia degli elaborati progettuali dei bacini così come risultavano odificati e senza riservarsi l'opportuna sorveglianza sull'esecuzione ed ultimazione dei lavori. Comunque, anche per l'assoluta inopportunità e pericolosità della localizzazione, le generiche prescrizioni date dal Comune nel 1976 e nel 1984 non eliminavano l'obbligo di riscontrare gli elementi progettuali dei bacini.

Non vi e dubbio, e ciò viene messo chiaramente in luce dalla commissione Quartulli, che le norme del piano di fabbricazione del Comune di Tésero esigevano che il rilevato di contenimento degli sterili di Prestavel dovesse essere autorizzato con un apposito provvodimento.

La commissione Quartulli rinviene ancora due profili più specifici di colpa in capo all'amministrazione comunale:

- il primo, in relazione ai poteri generali di vigilanza sulle costruzioni nell'ambito dell'intero territorio comunale (controllo urbanistico);

- il secondo in esito alla nota del 1° agosto 1974 nella quale si sollevavano dubbi circa la staticità dei bacini e sulle possibili conseguenze in ordine all'incolumità pubblica.

Di qui il ruolo defilato del Comuno di Tésero in questo processo. Da una parte una comunità straziata, dall'altra degli amministratori, che la rappresentano anche qui, in questo processo, certamente non esenti da colpe.

La Procura della Repubblica di Trento.

Non mi interessa qui rivangare antipatiche polemiche nate all'inizio dell'istruttoria. Rimango convinto che avevamo, allora, perfettamente ragione.

Un fatto solo dell'istruttoria, vale la pena ricordare, un fatto che pesa sul processo, ed è il ritardo col quale sono stati disposti i sequestri in Provincia.
Solo il lunedì successivo alla tragedia si iniziò ad eseguirli; e dopo che, il 20 luglio, il Procuratore della Repubblica aveva inviato al Presidente della Giunta Provinciale una cortese, ma inusuale missiva: «Prego esibire e consegnare al latore della presente nota, tutta la documentazione interessante la miniera "Prestavel", esistente presso gli Uffici di codesta Amministrazione».

E' stata da altri rilevata l'unilateralità delle prese di posizione del P.M. in questo procedimento: contro le costituzioni di parte civile delle associazioni ambientaliste; attenzione ristretta agli imputati Prealpi...; difesa di Bazzanella (al di là del difensore del responsabile civile Regione).

L'impressione è certo comune, ma può anche essere errata. Ascolteremo con attenzione la requisitoria, anche se dubitiamo molto, purtroppo, di poter essere smentiti dai fatti.

Certamente peserà sul processo la mancata contestazione agli imputati di alcune aggravanti. E sicuramente le argomentazioni svolte il 15 aprile dal P.M. non possono essere condivise.

Non si può affermare che non si contestano delle aggravanti perché esse verrebbero poi vanificate dalla concessione delle attenuanti generiche. I perché sono intuitivi:

- vi è un discorso di prevalenza o di equivalenza delle aggravanti;

- vi è una conseguenza ai fini della prescrizione;

- vi è, ancora, un principio di obbligatorietà dell'azione penale.

Tutti questi elementi avranno un peso sul processo, anche se gli elementi di responsabilità in atti sono tali e tanti da non offrire scappatoie ai responsabili di questa tragedia.

Un accenno va fatto alla suggestione inserita nel processo, con un'abile campagna di stampa, dalla Montedison, circa una sua disponibilità a risarcire i danni.
Questa disponibilità in realtà non c'è mai stata espressa e - da parte nostra - non vi era autorizzazione dei clienti - nel caso ci fosse stata - a prenderla in considerazione.

Noi crediamo che la morte e la salute non possano essere monetizzate.
Certo, chiederemo anche il risarcimento del danno, ma tale risarcimento non potrà che avere un ruolo marginale ed estraneo al desiderio di giustizia che anima la nostra parte civile. Vi sono esigenze di giustizia, esigenze di prevenzione, di non ripetitività, che vanno ben al di là della monetizzazione del danno.

E dobbiamo, con rammarico, constatare che l'atteggiamento processuale della Montedison è apparso ben lontano da accettare un riesame critico di tutta la vicenda. Certe affermazioni ... azzardate? ... dell'ing. Tomiolo ne sono la illuminante testimonianza.

Il desiderio di rinvio, dunque, di sfilacciare il processo, nelle offerte di risarcimento pubblicamente avanzate dalla Montedison.

Si è parlato di difficoltà di accordo con gli altri responsabili civili, in particolare con l'Eni. Possibile che una società che guadagna o perde, ogni giorno, centinaia di miliardi, non sia in grado di anticipare una somma inferiore per conto degli altri responsabili civili?

E questa difficoltà di comunicazione con l'Eni, come si concilia con il protocollo d'intesa 24 maggio 1988 per la creazione del polo chimico nazionale Enimont? Una società che diventerà la settima impresa chimica mondiale, con un fatturato di 14mila miliardi e oltre 50mila addetti?

Floriano Calvino

Mi sia concesso ricordare qui una persona che il nostro collegio di parte civile ha perso e con noi l'intero processo.

Ho conosciuto Floriano Calvino a casa di Sandro Canestrini. Da tre giorni gli era morto il fratello Italo, ma lui non aveva voluto mancare all'appuntamento per la visita dei bacini di Prestavel. Era l'agosto 1985. Venne con Sandro Nosengo e Giovanni Bassi. Si discusse della tragedia, della storia dei bacini, di fatti analoghi già accaduti all'estero. Parlava poco, ma dimostrava di essere il più informato di tutti.

Quasi chiedendo scusa, alle 22,30, propose di sospendere la discussione: la TV trasmetteva un ricordo di Italo Calvino. Lui sorrideva ascoltando le argute battute del fratello.

Al mattino guardò a lungo i bacini. Poi si avventurò sui limi. Lentamente.
Ogni tanto si fermava, si chinava, raccoglieva della sabbia, che faceva scivolare fra le dita, con un gesto che sembrava avesse appreso da qualche stregone, in Africa, dove spesso si recava per lavoro.

Solo Sandro Nosengo scambiava qualche breve parola con lui. Dopo due ore si fermò, indicò i punti dove fare alcuni prelievi. Poi ci confidò le sue impressioni: lapidarie, precise. Sono state tutte confermate dalle perizie.
Venne altre volte ad osservare i bacini, a confermarsi nelle sue opinioni, a dare suggerimenti, con la modestia che solo i grandi uomini hanno. Ci ha lasciato la sua perizia: chiara, concisa, sintetica, ma estremamente precisa.

Vorrei, nella mia difesa che farà spesso riferimento alla perizia di Floriano Calvino, partire proprio dalla sua prima pagina:

«I colpevoli del disastro.
La colpa della catastrofica alluvione di melma che il 19 luglio 1985 irruppe nella val di Stava, devastandola e uccidendo 269 persone, va ascritta principalmente alle dirigenze centrali, amministrative e tecniche, del settore minerario della Società Montecatini - poi Montedison - e della Società Fluormine: per aver promosso senza adeguato supporto tecnico-scientifico - dando così prova di negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle buone regole - la costruzione nel 1961 del primo e nel 1969 del secondo bacino di decantazione sterili della miniera di Prestavel e la loro sopraelevazione ad altezze rispettivamente di circa 25 e di circa 33 metri, altezza quest'ultima stabilita nel 1975 in base a calcoli errati, ma non raggiunta a causa dell'improvviso rilascio di gran parte del sedimento non consolidato.
L'imputazione va estesa alle competenti autorità minerarie: per non aver assolto al compito istituzionale di assicurare che il deposito del materiale sterile fosse realizzato nel rispetto della sicurezza dei lavoratori e dei terzi»
.
Ecco, in venti righe, riassunto il succo del processo, delle responsabilità.
E alla fine della perizia le conclusioni, poco più estese, altrettanto precise e chiare:
«Da quanto esposto si traggono precise conclusioni di ordine giudiziario.
Nel 1961 la Montecatini stabilì incancellabili premesse alla catastrofe della val di Stava, iniziando la costruzione del primo bacino di decantazione sterili in un luogo inadatto e rischioso e proseguendola con modalità pericolose, fissate empiricamente e successivamente replicate nella costruzione da parte della Montedison e della Fluormine del secondo bacino, sovrapposto al primo. Nel 1975 la Fluormine, pur avendo avuto occasione e motivo di sottoporre finalmente ad un serio controllo la stabilità dell'intero impianto di decantazione - grazie all'unico doveroso intervento compiuto in 24 anni dall'autorità mineraria, perché attivata dal Comune di Tésero - ha continuato peraltro ad eludere le regole dell'arte, frattanto consolidatesi nella letteratura tecnico-scientifica e nella pratica degli specialisti, ed a perseguire un indirizzo progettuale errato, che non poteva concludersi altrimenti, se non con la rottura dei bacini e la fuoruscita di un'enorme massa melmosa, il cui consolidamento nel corso del tempo era stato impedito da erronee modalità gestionali, in assenza degli indispensabili dispositivi di controllo e nell'indifferenza degli organi pubblici.
Dalla Società Prealpi Mineraria, subentrata nel 1982 nella conduzione dei bacini dopo tre anni di sosta, non ci si poteva attendere altro che un comportamento imitativo di quello tenuto dalle maggiori società che l'avevano preceduta, considerati anche il limitato livello professionale della sua dirigenza e l'assenza di stimoli da parte degli organi di controllo pubblico a migliorare, con l'interessamento di consulenti esterni, le condizioni di sicurezza dei bacini. Il concorso della Prealpi Mineraria nella colpa della catastrofe di Stava appare pertanto più sfumato dal punto di vista tecnico-scientifico, ancorché la società abbia detenuto la responsabilità dei bacini negli ultimi quattro anni di esercizio, decisivi ma predeterminati».

Le manchevolezze tecniche

Nell'analisi delle manchevolezze tecniche dei bacini, procederò per 'flash', senza alcuna pretesa di esaustività.

Quello che cercherò di mettere in luce pone alcuni elementi relativi alla mancata progettazione, alla cattiva costruzione, all'errata gestione dei bacini e all'assenza dei controlli dei funzionari provinciali.

Abbiamo udito più volte ragionare in termini di conoscenze tecniche all'epoca della costruzione del secondo bacino, per cercare di dimostrare l'assenza di conoscenze geotecniche all'epoca della progettazione del bacino superiore e poi della relazione Ghirardini (1969-1975). Persino Morgestern e d'Appollonia (3) sostengono che i principi geotecnici si andarono progressivamente applicando alla progettazione e alla costruzione dei sistemi di utilizzazione degli sterili nell'industria mineraria dalla metà degli anni '70, e che pertanto le valutazioni geotecniche erano conformi alla pratica industriale per strutture simili all'epoca. L'affermazione si è rilevata falsa, ed è servita solo a dimostrare quale sia in realtà il grado di "indipendenza" della perizia dei due studiosi americani. Le disponibilità di conoscenze geotecniche dal 1961 in avanti si basavano su un'abbondante letteratura, che avrebbe dovuto essere nota a tutti coloro che opera vano in campi che coinvolgevano dette conoscenze:

- la prima edizione del Cestelli Guidi "Geotecnica e tecnica delle fondazioni", Ed. Hoepli, è del 1943 e tratta dettagliatamente della teoria e della pratica geotecnica;

- le opere del Terzaghi, uno dei luminari mondiali in materia, iniziano ad apparire già nel 1922;

- le opere di Skempton, nel 1942;

- il Colombo, perito d'ufficio in questo processo, pubblicava per Zanichelli nel 1974 un testo di "Elementi di Geotecnica" in cui sono esposti chiaramente, fra l'altro, i metodi di verifica della resistenza al taglio in condizioni non drenate. Tali metodi erano peraltro noti da decenni: negli anni '30 il Terzaghi introdusse, nella settecentesca, ma tuttora valida formula di Coulomb di resistenza al taglio delle terre, la correzione dovuta alle pressioni interstiziali in condizioni di assenza di drenaggio. Questo solo per indicare alcuni degli autori più noti e delle opere più diffuse.

Lo stesso Rossi, nella sua "memoria difensiva" pubblicata nel 1973 dalla rivista "L'industria mineraria", né parla esplicitamente. Si legga la vasta letteratura citata dal Rossi. Molta si riferisce agli anni '60, molta agli anni '50.

Si recupera Maria Cara. Morirà pochi giorni dopo all'ospedale di Trento (foto pag. 59)

Anche nel 1970 qualunque manufatto costituito da materiali sciolti andava realizzato secondo i canoni della geotecnica, oltre che del buon senso.

La destinazione del rilevato a discarica non esimeva da una progettazione accurata e completa, che tenesse conto anche delle interazioni fra manufatto e terreno d'appoggio e da un'esecuzione che garantisse la migliore sicurezza in rapporto ad ogni evenienza o utilizzazione. Le "buone regole" esistevano da tempo.

Il rilevato doveva essere progettato, costruito, accresciuto e mantenuto secondo le regole di un'arte già esistente e sperimentata all'epoca. Il che non è stato.
Ecco, giudici, le cose che si dovevano fare e non si sono fatte.

La scelta del sito

Scrive Calvino: nel suo articolo del 1973 il prof. Rossi ammonisce che per la scelta dell'ubicazione del bacino di decantazione «non sarà mai sufficientemente auspicata la collaborazione tra l'ingegnere minerario, l'ingegnere geotecnico ed il geologo. Peccato che, essendogli mancata a Prestavel tale collaborazione abbia scelto la località Pozzole, dal sottosuolo ghiaioso, permeabile, con falda freatica saltuariamente affiorante in polle sorgive, cioè tutto il contrario di come lui se l'era immaginata!» Rossi aggiunge: «L'ingegnere geotecnico provvederà ad accertare le condizioni di stabilità delle sponde e delle fondazioni del bacino».
E ancora: «Per eseguire i calcoli di stabilità occorre conoscere la posizione della falda freatica all'interno dell'argine».

Peccato ancora che nessuno abbia eseguito le necessarie prove. Rossi ricorda che le prove eseguite di resistenza sui terreni consistettero in prove di carico 'in situ' e né dimostrarono la scarsa resistenza, per cui vennero adoperati particolari accorgimenti per realizzare la conduttura di sfioro.
Occorre ricordare che nel 1985 la conduttura si ruppe irrimediabilmente, anche se era stato stoccato solo il 3/4 del materiale previsto nel 1961. E ciò dipese anche dalle pressioni differenziate alle quali era sottoposta, per la natura del terreno di base, la condotta di scarico.

La Commissione Quartulli afferma: «Ubicazione meno adatta per i bacini non poteva essere trovata". Se questa era la conformazione morfologica del terreno, non diversamente si deve argomentare circa la localizzazione topografica.

I bacini vengono costruiti a 800 metri da Stava, ad una quota di 150 metri più elevata degli insediamenti abitati.

Il terreno di base aveva pertanto un'inclinazione del 18% circa e sovrastava un insediamento abitato. E' vero che un errore di localizzazione così macroscopico può trovare "giustificazione" solo nella scarsa considerazione che veniva mostrata verso i problemi della salvaguardia dell'ambiente e della sicurezza civile. Ma trova "giustificazione" ancora nella logica della massimizzazione dei profitti!

L'impianto di stoccaggio degli sterili è una perdita secca per la società che gestisce l'impianto. Le conseguenze, sotto il profilo imprenditoriale, sono: costruirlo il più vicino possibile alla miniera; possibilmente in posizione meno elevata, per favorire lo scarico degli scarti senza costosi impianti di pompaggio. Si possono fare due scelte.

Una società civile puo accettarne solo una: non c'è spesa che tenga, la sicurezza degli uomini non può mai essere barattata con una scelta di economia aziendale. Se stoccare in paesi poco popolati (USA, Canada, URSS, Australia) può essere relativamente semplice, nei paesi densamente abitati può comportare costi non indifferenti. Ecco allora che, per esempio, in Giappone è stata costruita una condotta lunga oltre 70 km, per pompare al più vicino e adatto sito utilizzabile come discarica gli sterili delle miniere di solfuri misti di Akita. La scelta della Montedison è stata esclusivamente una scelta economica, del tutto disinteressata dei problemi di sicurezza dei cittadini.
E' stata una scelta criminale.

La progettazione

Che una progettazione dei bacini di decantazione sia indispensabile viene unanimememte affermato. Rossi parla di

- studio topografico;

- studio geologico;

- studio idrologico e idrogeologico;

- studio sismico;

- studio climatico;

- studio botanico.

Poco o nulla di questo è stato fatto per la costruzione del bacino inferiore. Nulla del tutto per l'edificazione di quello superiore. L'unica parvenza di progetto èquella tavola che sommariamente illustra una sezione dell'argine di base, una planimetria e una palificazione.

Rossi parla di opportunità di periodici controlli topografici e fotografici, utili a verificare la stabilità del rilevato. La stabilità del rilevato va controllata anche con piezometri: «La funzione di questi ultimi apparecchi che, se inseriti nei punti adatti del rilevato e delle sue fondamenta, consentono di seguire l'evoluzione della pressione dell'acqua interstiziale, è particolarmente importante. L'uso dei piezometri è entrato nella pratica corrente in vari rilevati e sui risultati conseguiti a Climax ha riferito diffusamente Windolph, mentre la loro importanza è messa in evidenza da dati riportati da Mc Iver». Va sottolineato che entrambi gli studi citati furono pubblicati nel 1961!

Rossi sottolineava l'importanza dell'ancoraggio del nucleo di base al terreno naturale.

Le buone regole prevedono l'eliminazione della parte superficiale di terreno fin a raggiungere uno strato roccioso impermeabile di sufficiente spessore nel quale ammorsare il rilevato, al fine di assicurare la tenuta dell'opera.

Se strati rocciosi si trovano a profondità eccessive occorre porre in essere una serie di opportuni accorgimenti tecnici come diaframmi, iniezioni impermeabilizzanti ed altri.

Un rudimentale e parziale ancoraggio venne realizzato per il bacino inferiore; non esiste assolutamente in quello superiore. Per nessuno dei due bacini si pensò poi ad un ancoraggio dei fianchi dei rilevati così come viene pressantemente raccomandato in letteratura.

Le buone regole prevedono ancora la predisposizione di un particolare filtro, da situare al piede del manufatto in corrispondenza del paramento di valle, col fine di frenare le acque permeate attraverso il corpo della diga ed evitare nel contempo l'insorgere del fenomeno di erosione interna, che può provocare la distruzione della struttura. La letteratura concorda sulla necessità della previsione del dreno.

I disegni della relazione Fluormine-Snam prevedono sempre l'esistenza di questo dreno di base. La letteratura e le regole del buon costruire prevedono poi la collocazione di ulteriori filtri di drenaggio nel corpo della struttura, al fine di drenare l'acqua. Di tali filtri non vi è traccia nei rilevati di Prestavel.

E arriviamo agli scarichi. Qui il saggio di Rossi diventa esplicitamente una memoria difensiva. Le regole dell'arte escludono la possibilità di inserire i tubi di scarico nel corpo dei rilevati. Questo anche quando il terreno di base è solido. Figurarsi quando è molle, sottoposto a cedimenti differenziati e soggetto a sottopressioni a cagione della falda.

Lo sfioratore del bacino superiore aveva poi un ulteriore difetto insanabile. Potrà anche essere vero che originariamente si pensò al bacino superiore ai fini limitati della rilavorazione degli sterili depositati nel bacino inferiore. Il bacino superiore avrebbe pertanto originariamente, nella mente dei suoi costruttori e committenti, dovuto raggiungere un'altezza limitata.

Nel momento in cui, rinvenuto in miniera nuovo materiale, si decide di utilizzare il bacino superiore per lo stoccaggio degli sterili, ci si dimentica della funzione a cui era stato adibito inizialmente il bacino superiore.

Ricordo che tale rilevato era completamente privo di ancoraggio, di dreni, e se per l'arginello di base del primo si utilizzarono 10.500 mc di materiale, per quello del secondo, che aveva un'estensione lineare più che doppia se né utilizzarono solo 3.500.
A quel punto sorse il problema dello sfioratore a torre, che era stato predisposto e che non avrebbe consentito ulteriori sopraelevazioni. Si pensò di raccordare lo sfioratore a torre ad uno sfioratore del tipo 'a condotta' appoggiata sul terreno, facendolo diventare sfioratore di emergenza. Sappiamo però che non venne mai utilizzato a tale scopo.

Veniamo invece ad avere un ulteriore elemento di insicurezza e di pericolo: un tubo dismesso, abbandonato nel corpo del rilevato.

I tecnici Montedison pensarono di creare un nuovo sfioratore del tipo 'a condotta' appoggiato sul terreno. La sua creazione e collocazione, oltre che il percorso che doveva seguire, erano condizionate dall'opera già iniziata:questo il motivo di un percorso irrazionale, estremamente tortuoso. Il condotto, infatti, contorna l'argine di sabbia, lo sottopassa diagonalmente ad una quota superiore a quella raggiunta dall'argine in terra, devia una prima volta all'interno dell'argine in sabbia, devia ancora per potersi immettere nel bacino inferiore.

E' del tutto evidente che la collocazione del condotto all'interno di una massa non consolidata accresce la fragilità del manufatto, che già non avrebbe dovuto esser sistemato nel corpo arginale. Se poi osserviamo la tortuosità del percorso, con le molte deviazioni, comprendiamo di quanto aumenti il pericolo di guasti. Lungo i condotti si creano vie d'acqua preferenziali, che aumentano l'instabilità dei rilevati.

Si è ancora una volta fatta una scelta ispirata ai principi dell'economìa. Sarebbe stato certo più costoso smantellare il rilevato superiore fino a quel momento costruito, ancorarlo al terreno, costruire validi sistemi di drenaggio e di sfioro.

I bacini a Prestavel: una scelta economica

Quello dell'economicità di gestione è un 'leit-motiv' nella storia delle discariche di Prestavel.

Il luogo scelto - per ragioni economiche - imponeva un metodo di costruzione 'a monte'. Tale metodo è il meno sicuro, ma anche il più economico. Le ragioni sono intuitive: le mostra anche la perizia Fluormine.

Col metodo 'a monte' l'argine ha uno spessore pari alla metà di quello edificato col 'metodo centrale' e di un terzo di quello 'a valle'. Se si fosse costruito l'argine col metodo 'a valle' si sarebbero dovuti utilizzare tre volte materiali di granulometria più grossa, con conseguente minore resa produttiva.
La seconda ragione di insicurezza dipende dal fatto che l'argine viene necessariamente sopraelevato in parte sui limi non consolidati del bacino stesso, con un notevole aumento di instabilità, dovuto alla scarsa resistenza dei limi al peso dell'argine. Va anche rilevato che col metodo 'a monte' le sabbie, che hanno migliori caratteristiche meccaniche rispetto ai limi, vengono utilizzate nella proporzione minima possibile.

Rossi, nella sua "memoria difensiva", riconosce la maggiore pericolosità del 'metodo a monte', affermando che la stabilità dell'argine dipende, in larga misura, dalle caratteristiche di resistenza al taglio del sedimento depositato a monte, che devono venir valutate in modo molto prudenziale.
Avverte che la falda freatica tende a correre in prossimità della superficie del paramento a valle, rimanendo separata da essa da uno spessore di sabbia relativamente esiguo: né consegue un coefficiente di sicurezza che è già modesto in condizioni normali e statiche di carico e che può diventare evanescente al verificarsi di fenomeni che producono la saturazione della coltre sabbiosa esterna.

Accanto a questo inconveniente (così lo definisce il Rossi) il metodo a monte presenta viceversa il pregio di richiedere quantità di sabbia di gran lunga minori e quello della maggior rapidità di esecuzione. Si tratta dunque di "pregi" unicamente di natura economica. Rossi esamina poi gli altri due metodi, che così definisce:

«Il metodo a valle ha il pregio, rispetto a quello a monte, rappresentato dalla stabilità di gran lunga maggiore del rilevato, dovuta sostanzialmente alla circostanza che all'interno di esso la falda freatica scende quasi repentinamente alla base, mantenendosi quindi ben distante dalla superficie del paramento a valle».

«Il metodo centrale costituisce un sistema intermedio tra i primi due, avendone sia i pregi, sia, in misura minore, i difetti».

Gravissima è stata poi la decisione di iniziare la costruzione del bacino superiore col metodo centrale per poi passare a quello a monte. Infatti tralasciando per ora le conseguenze dovute all'incisione dell'argine sui limi del bacino inferiore - diversa è comunque la tecnica costruttiva dell'arginello di base.

Col metodo centrale - infatti - si realizza un argine iniziale impermeabile e davanti a questo si prepara uno strato drenante, mentre col metodo 'a monte' l'argine iniziale deve essere filtrante.

Le buone regole non prevedono la possibilità di mutamento del metodo in corso d'opera, per l'evidente ragione che l'argine di base e gli strati drenanti devono essere realizzati PRIMA e sono predisposti in funzione del metodo scelto per la sopraelevazione dell'argine.

Preoccupante è il fatto che gli ingg. Marchini e Tomiolo insistano nel sostenere che non vi sarebbero invece controindicazioni.

Si è sostenuto che il sistema di accrescimento con cicloni mobili, utilizzato da Montedison e Fluormine, fosse il più valido.

Le risultanze processuali contraddicono questa affermazione. Il metodo di accrescimento con cicloni mobili ha il solo vantaggio di essere il più economico. E ritorniamo così al filo rosso che lega tutte le scelte imprenditoriali della Montedison a Prestavel: ridurre al minimo i costi.

L'ing. Rossi rientra in Italla dagli U.S.A., dove aveva imparato alla 'Colorado School of Mines' il sistema della ciclonatura. Eccolo pertanto sperimentarlo subito a Fenice Capanne e poi a Prestavel. E' ovvio il desiderio del giovane ingegnere di voler mostrare alla Montecatini come si poteva risparmiare nella gestione delle discariche.

Ma il metodo della ciclonatura è anche il più pericoloso, il meno sicuro. Prevede infatti che venga stesa sull'argine del bacino una sostanza fluida, contenente il 95% di acqua.

La torbida così ricca di acqua veniva sicuramente a costituire un pericolo per la stabilità dell'argine. I testi di geotecnica sconsigliano l'uso del ciclone nell'accrescimento dei rilevati in terra. Per tutti si legga il Terzaghi-Peck, parzialmente e scorrettamente citato nella perizia Montedison, per fargli affermare il contrario di quello che stava scritto: alle pagine 412 e 413 si legge: "I metodi per il costipamento della sabbia e della ghiaia sono, in ordine decrescente di efficacia, la vibrazione, l'irrigazione e la rullatura".

Il costipamento per irrigazione è basato sul fatto che la pressione di infiltrazione dell'acqua che passa attraverso il terreno dissocia i gruppi di granuli a struttura instabile, mentre il temporaneo allagamento elimina, almeno per breve tempo, le forze capillari; esso è comunque molto meno efficace delle vibrazioni. Per questo tipo di operazione vengono utilizzati due metodi ... Per ambedue i metodi sono necessari circa 1,5 mc d'acqua per mc di sabbia. E' stato accertato, confrontando le diverse porosità, che il grado di costipamento ottenibile sia con l'uno che con l'altro metodo è relativamente basso (Loos, 1936); non si può quindi che sconsigliarne l'adozione.

L'Albergo Dolomiti (foto)

L'assenza di 'spiaggia'

Una delle fondamentali regole dell'arte è quella che prevede la presenza di una 'spiaggia' o delta a ridosso dell'argine, tale da impedire o almeno di ridurre le infiltrazioni di acqua nel corpo del rilevato arginale.

Su questo tutti sono d'accordo: anche la Montedison che accusa Prealpi di non aver osservato, nel corso della sua gestione, questa fondamentale regola.

Rossi afferma che «il rifiuto dell'impianto di trattamento può venire utilizzato per la costruzione dei rilevati a patto che il regime di esercizio del bacino venga realizzato in modo tale da non aversi mai acqua, o 'torbida', a contatto del rilevato: è infatti evidente che, in caso opposto, diventerebbero inevitabili la penetrazione dell'acqua nella pervietà del rilevato, la liquefazione del medesimo e - infine - l'apertura di falle con fuga a valle dei fanghi semifluidi contenuti nel bacino».

La perizia d'ufficio è estremamente precisa nel segnalare che, almeno dal 1967, l'acqua ha sempre lambito l'argine del rilevato. Le osservazioni dei periti derivano in buona parte da documentazione Montedison.

Dal 1973 la distanza massima dell'acqua dal paramento interno dei bacini è stata sempre di 2 o 3 metri.

Lo dimostrano planimetrie e sezioni redatte da tecnici Montedison, dal disegnatore Assi, in particolare. Lo dimostrano inoltre lo foto aeree, allegate alla relazione della Commissione Quartulli. Lo dimostra ancora la relazione Fluormine del 1975, che della previsione di spiagge non parla.

Lo dimostrano infine alcune foto scattate dai periti nelle trincee e che illustrano come la sedimentazione dei limi sia avvenuta perfettamente in orizzontale e completamente a ridosso del rilevato arginale, senza che si possano notare accenni di 'spiagge'.

Abbiamo così posto in evidenza un ulteriore gravissimo errore di gestione. Che l'acqua poi dovesse necessariamente lambire l'argine del bacino inferiore risulta evidentemente dalla circostanza che lo sfioratore del bacino superiore immetteva la 'torbida' parzialmente chiarificata in una zona lontana dall'argine, spingendo conseguentemente l'acqua verso il paramento. Vi sono numerose foto a provarlo. L'ultima, quella scattata dai tecnici dello SPA il 15 aprile 1985.

Le perizie Montedison e Fluormine partono da un assioma errato: sostengono cioè che l'argine del bacino superiore non gravasse sui limi del bacino inferiore.

Molteplici sono gli elementi che smentiscono clamorosamente tale assunto.
La Commissione ministeriale mette in evidenza che gli argini del bacino superiore erano fondati su terreno naturale solo lungo le parti laterali, mentre lungo la parte frontale si appoggiavano sui limi depositati nel bacino di decantazione sottostante.

Il punto appare importante, perché l'interferenza denunciata è unanimemente valutata come una delle cause determinanti del crollo.

Nel 1968 la miniera appariva in via di esaurimento e si progettò il riutilizzo dei limi del bacino inferiore.

Occorreva un piccolo bacino di decantazione, che venne collocato in area Montedison, sopra il primo (questa è la tesi Montedison. I maligni potrebbero invece affermare che, siccome un ulteriore deposito di sterili avrebbe provocato uno sconfinamento dei limi dalla proprietà Montedison, si decise di abbandonare il primo bacino ed iniziarne uno nuovo più centrato nei terreni societari).
Il terreno di fondazione era, se possibile, meno idoneo di quello sui quale poggiava il bacino inferiore.

Basterà ricordare l'episodio della macchina operatrice che si impantanò nel fango provocato dalle risorgive del terreno.

La comunicazione interna 9 settembre 1968 della Divisione minerali e metalli della Montedison, approva il "progetto" di massima della costruzione del secondo bacino, ma consiglia di impostare l'argine a quota leggermente più alta per «evitare di incidere con il nuovo argine il vecchio bacino».
Va infatti notato come i disegni inviati a Milano dalla direzione della miniera - e che indicano un invaso destinato ad accogliere circa 15.000 mc di sterili - mostravano che il nuovo argine in terra confinava con i limi del bacino inferiore e per un tratto li interessava direttamente.

A seguito della citata comunicazione il piede viene arretrato da quota 1.356 e quota 1.357, circa 4 metri più a monte. Le prime passate del ciclone impostarono il rilevato secondo il sistema 'centrale'. Dopo due passate, l'argine veniva necessariamente ad interessare i limi del bacino inferiore.
Quando, dopo l'ampliamento della concessione, nel 1970, vennero individuati nuovi filoni di fluorite, l'accrescimento, sempre col metodo centrale fu molto rapido e l'interessamento dei limi del bacino inferiore sempre più vasto.

Vi sono dei disegni, precedenti alla costruzione del secondo arginello, che mostrano con chiarezza come a nord i limi del bacino inferiore si fossero disposti, seguendo le linee di livello, a semicerchio.
Andiamo a vedere ora le foto aeree dell'ottobre 1973 e seguenti. Osserviamo che la linea di demarcazione fra i due bacini è una linea rettilinea.

Il significato dell'osservazione è assolutamente inequivocabile: le sabbie dell'argine superiore si sono sovrapposte ai limi di quello inferiore. E ciò, in alcuni punti, per diversi metri.

Lo stesso disegno di cui parlavo poco fa, su carta millimetrata, in numerose sezioni situa i limi del bacino inferiore a contatto con l'arginello di base del bacino superiore. Vi è un altro disegno, che mostra il profilo di decantazione a ottobre 1970 e a ottobre 1973. Da esso si comprende che si è proceduto col metodo centrale l'intanto che secondo rilevato raggiunse un'altezza di circa 10 metri. Il che vuol dire si era spinto alla base, verso il bacino inferiore, per almeno 15 metri e l'area interessata dalla sovrapposizione del rilevato arginale sui limi del bacino inferiore variava da 10 a 15 metri.

Le riprese aeree sono precise conferme di quello che mostrano i disegni e le planimetrie Montedison.

I testi.

De Marco: «0ve non c'era acqua, all'inizio si poteva camminare, poi man mano che si entrava nel bacino si andava sprofondando nel fango. L'argine superiore, nella parte bassa, addolciva la pendenza e su tale parte si poteva transitare».

Il teste Canal, cacciatore, ha affermato che il passaggio fra i due bacini era ripido. Ciò non può che significare che il passaggio si trovava sull'argine del bacino superiore.

La perizia d'ufficio, le risposte che hanno dato i periti d'ufficio al Tribunale, sono ulteriore conferma della certezza circa la sovrapposizione fra i due bacini.

La mancata consolidazione dei limi

Si è sostenuto, da parte di alcuni periti degli imputati, che la metodologìa Montedison garantiva la consolidazione dei limi. L'affermazione è ampiamente smentita in atti come - purtroppo - nei fatti.

Rossi, nella sua memoria difensiva, afferma di «aver potuto constatare "de visu" che, ancora dopo cinque anni dall'inizio dell'invaso, e dopo che sulla superficie si era formata una crosta talmente resistente da reggere il carico di automezzi, a pochi metri di profondità la massa del deposito aveva la consistenza di un fango denso.

E' dunque ragionevole ritenere che, nella maggior parte dei casi, a ridosso dei rilevati di contorno dei bacini si trovino grandi masse semifluide».
Tale osservazione Rossi la fece a Fenice Capanne nel 1962, e ricorda che a sei metri di profondità il sedimento aveva la consistenza di una sabbia mobile con densità di 1,70 gr. x 3 cm.

A pagina 530 dello studio, Rossi afferma che tale identica densità dei fanghi viene constatata anche a Prestavel. Fin dal 1962, dunque, la Montedison era a conoscenza della mancanza di consolidazione dei limi e delle gravi conseguenze che né derivavano per la sicurezza dei rilevati.

La sottoconsolidazione dei limi è stata accertata anche dai periti d'ufficio, che - non bisogna dimenticare - hanno eseguito i loro esami sui limi più solidi, quelli rimasti in sito e, fra questi, sui limi più facilmente accessibili. Pertanto, i più solidi fra i più solidi.

Numerosi sono stati gli incidenti di discariche di sterili negli anni '60/primi anni '70.
Essi servirono a mettere in rilievo la tendenza dei depositi dei bacini di decantazione a mantenersi - anche per diversi anni - in uno stato di diffusa saturazione, dando origine ad una massa, in gran parte molto fluida, di elevata potenziale instabilità.

Si possono ricordare 2 episodi significativi, fra i tanti: Dobry e Alvarez, in uno studio relativo al disastro del 1965 di 'El Cobre', sottolineano la pericolosità di mantenere per vari anni materiali saturi all'interno dei bacini di decantazione e richiamano quindi l'attenzione circa la necessità di favorire il consolidamento dei depositi con continua evacuazione dell'acqua, evitando comunque ogni contatto tra fanghi saturi ed argini di contenimento.

Il 21 ottobre 1966, ad Aberfan (GB), gli sterili provenienti da una miniera di carbone, accumulati su un pendìo ricco di risorgive, a monte del centro abitato, si trasformarono in una massa fangosa molto fluida, di circa 100.000 mc, che investì in pieno la scuola elementare e altri edifici contigui, provocando 144 vittime.

L'inchiesta giudiziaria dimostrò che era stato del tutto ignorato il rischio connesso alla localizzazione della discarica su un pendìo abbondantemente percorso da acque sorgentizie e che nessuna indagine geotecnica era stata fatta per verificare la stabilità degli accumuli.

Era diffusa convinzione da parte dei responsabili della miniera che eventuali fenomeni di instabilità si sarebbero manifestati solo attraverso colate lente e quindi ogni pericolo per le persone residenti a valle sarebbe stato preavvertibile.

Uno dei convegni più importanti fu quello che si svolse a Tucson, in Arizona, nell'ottobre-novembre 1972. In esso tennero una relazione i prof. Brawner e Campbell. L'articolo doveva essere letto e meditato da chi esercitava un'attività analoga.

Ed infatti, nello "studio Ghirardini" venne citata - seppure a sproposito - la famosa tabella dei coefficienti di sicurezza. Vale forse la pena di ricordare alcuni passi dello studio di Brawner e Campbell, e ripetere la domanda che si era posto Floriano Calvino: «Possibile che alla Fluormine non si fossero mai chiesti, leggendola, cosa stessero preparando a Prestavel?» «I bacini di decantazione devono essere progettati per rimanere stabili durante la costruzione e per molte generazioni a venire».

In considerazione della rottura di molti bacini nel passato e della crescente altezza da raggiungere, il progetto delle nuove strutture deve basarsi su sani princìpi d'ingegneria e non su regole empiriche obsolete.

Col metodo a monte, come l'altezza del bacino aumenta, la superficie potenziale di scorrimento si porta a sempre maggiore distanza dalla scarpata esterna e all'interno delle melme. Come risultato si ha che l'argine esterno contribuisce sempre di meno alla stabilità, al crescere dell'altezza.

Il coefficiente di sicurezza, allora, si riduce all'unità e a quel punto il bacino si rompe.

La massima pendenza accettabile della scarpata dipende dalla resistenza al taglio del materiale sterile e/o della fondazione, dalla densità del materiale, dall'altezza del rilevato e dalla distribuzione delle pressioni dell'acqua.

Noti la sezione del bacino, il metodo di costruzione, le proprietà dei sedimenti e delle fondazioni, si fa l'analisi per stabilirne quantitativamente la stabilità. Numerose superfici di rottura vengono analizzate. Quella che da' il coefficiente di sicurezza più basso rappresenta il coefficiente di sicurezza della scarpata o di scarpata e fondazione insieme.

Una delle decisioni più importanti è la scelta del coefficiente di sicurezza da adottare. I seguenti valori sono stati consigliati in una Guida preliminare al progetto di discariche minerarie in Canada»

Minimi coefficienti di sicurezza di progetto consigliati nel primo caso, quello relativo a località dove è prevedibile che persone o beni sarebbero danneggiati in caso di rottura del bacino.

Progetto basato su parametri della resistenza al taglio di picco: 1,5.

La richiesta del Comune, "girata" dal distretto minerario alla Fluormine, è stata l'occasione mancata di evitare il disastro.

Il bacino era già ai limiti di rottura. La perizia d'ufficio, i calcoli eseguiti dai periti Prealpi, dai nostri periti, dimostrano che il coefficiente di sicurezza era già nel 1975 inferiore ad 1.

L'ing. Ghirardini ottiene valori di 1,14 e 1,26, comunque inferiori ai valori di tabella, perché non calcola i cerchi di scorrimento critici, cioè dotati dei minimi coefficienti di sicurezza, come prescritto dal più elementare dei manuali. Nella primavera 1975 l'ing. Ghirardini visita per la prima ed ultima volta i bacini. Che ne fosse rimasto impressionato vi è prova nella nota 23 giugno 1975.

Ghirardini osserva che la scarpata presenta inclinazioni veramente eccezionali e che la stabilità è al limite; ravvisa l'opportunità di esperire le indagini del caso sulla natura e consistenza del materiale; afferma ancora che, in attesa di poter effettuare le dette indagini nel corpo arginale, è utile eseguire subito rilievi di materiale 'in sitll' e prove di permeabilità; occorre anche controllare l'altezza dell'acqua a monte dei due sbarramenti e la qualità dell'acqua del bacino di monte, di quello di valle e delle risorgive esterne. In attesa dei risultati ritiene indispensabile prevedere un addolcimento dell'argine esterno facendolo passare dai circa 40 gradi di pendenza a valori non superiori a 32-35 gradi.

Afferma ancora: «Da un primo sommario esame appare l'opportunità, in vista di un sensibile sovralzo dell'argine del bacino superiore, di esperire opportune indagini geotecniche sui material! costituenti l'argine stesso».

In data 1° luglio 1975 la Solmine richiede alla Consonda di Milano offerte per l'esecuzione di tre sondaggi; vengono inoltre richiesti tre campioni disturbati estratti a due metri dal coronamento, a due metri dal piano di inondazione e in posizione intermedia. La Consonda inviò il preventivo, ma non venne più contattata. In data 16 luglio il direttore della miniera di Prestavel invia una lettera allo studio geotecnico stradale di Roma specificando che venivano inviati due campioni di sabbia da sottoporre ad analisi granulometrica prelevati dall'argine del bacino inferiore. La cosa è quantomeno sconcertante.

Di qui la redazione dello studio, che, in modo sicuramente inusuale, non viene sottoscritto da nessuno, quasi che nessuno se né volesse assumere la responsabilità.

Risulta chiaramente negli atti, nella perizia d'ufficio e nel verbale di sopralluogo del G.I. del 19 settembre 1985 che il collasso, la rottura, è iniziata sotto la berma prescritta da Ghirardini, interessando parzialmente l'arginello, e non come si cerca di affermare da parte dei periti di alcuni imputati, per uno scoronamento del bacino superiore.

Non è neppure il caso di discutere la perizia dell'ing. Tonelli, ricca di buone intenzioni, ma disancorata dalla realtà dei fatti. Sia le analisi col satellite, una valutazione della quale è stata esattamente data dal Tribunale, che la dinamica del crollo, si basano su osservazioni o insufficienti od errate.

L'ipotesi di Tonelli è che si sia verificato uno scoronamento con crollo della parte superiore dell'argine nel bacino inferiore. Ma chi avrebbe portato la corona dell'argine in perpendicolo sul bacino inferiore?
In altro parole, Tonelli dimentica - fra le altre cose - che l'argine ha sì un'angolazione eccessiva, ma non fino al punto di essere perpendicolare al suo asse.

- Il teorema di Poincaré

La lettura delle perizie Montedison e Fluormine mi ha riportato alla memoria la notizia giornalistica relativa alla risoluzione del teorema di Poincaré.

Nel 1907 venne offerto un premio alla prima persona che fosse riuscita dimostrare il teorema di Poincaré. Per decenni scuole di matematici si cimentarono inutilmente con questo rompicapo, finché, tre anni fa, ad un congresso scientifico, due matematici portarono un libro di 300 pagine, fitto di operazioni matematiche, che rappresentava lo svolgimento della spiegazione del teorema di Poincaré. Per loro il Nobel era ormai una certezza.

Ma un anno dopo, altri due matematici dimostrarono che, a pagina 144 della risoluzione un passaggio era stato sbagliato, e con quell'errore tutta la dimostrazione andava gambe all'aria. Addio Nobel... La morale della storia è elementare: non si possono assumere dati irreali quando si vuole cercare di dimostrare leggi scientifiche.

Basare i calcoli su materiali diversi da quolli di Prestavel. Costruire modelli matematici immaginando una costruzione a regola d'arte, con i suoi ancoraggi, con i suoi dreni, con solide fondazioni, serve solo a costruire una teoria, anche questa priva di fondazioni, sui limi dell'assenza di scientificità.

Credo, comunque, che l'imbarazzo dei consulenti Montedison alle contestazioni dei prof. Brauns, Chandler e Nosengo sia indice sufficiente della povertà della difesa scientifica Montedison. Ricordo che le "non risposte" dell'ing. Tomiolo hanno fatto perdere la pazienza persino al flemmatico, inglese prof. Chandler e al pacifico prof. Nosengo.

Da quanto rilevato mi sembra che non si possa che concludere che esistono a,carico di tutti gli imputati del gruppo Montodison - Fluormine numerosi profili di colpa.

Premesso che in materia di bacini di decantazione non esiste il 'rischio zero', la localizzazione non puo avvenire in siti ove, se si verifica la rottura dei bacini, si possano avere conseguenze dannose per le persone. E questo è l'elemento basilare.

E' indispensabile un'adeguata progettazione. Ad essa va pretermessa una precisa campagna di analisi geologiche-idrologiche-sismiche-geotecniche, eec. E' necessario prevedere ancoraggi dell'argine di base e adeguati drenaggi. Gli indici di sicurezza devono tenere conto delle peggiori condizioni possibili.

Gli scarichi non devono assolutamente attraversare i bacini. Non è assolutamente accettabile che, una volta iniziata la elevazione con un metodo, si modifichi il sistema di costruzione.

E' indispensabile che l'acqua depositata nei bacini sia tenuta lontana dagli argini. Nulla di tutto questo e stato rispettato da parte degli imputati Montedison - Fluormine. E qui posso riallacciarmi per un breve accenno alla posizione Prealpi: i periti della Prealpi sono stati bravissimi. Hanno contribuito a mettere in luce i difetti "originari" dei bacini.

Ma non hanno spiegato perché gli imputati Prealpi non hanno interessato gli specialisti, non si sono preoccupati di indici di sicurezza inferiori a 1, non hanno mai tenuto l'acqua lontana dagli argini.

Per tre anni il bacino superiore, ricevuto già al limite del collasso, che aveva già superato l'altezza critica, è stato utilizzato ed ampliato senza alcuna cura e alcun controllo delle sue condizioni di staticità.

Sostengono i periti Prealpi di aver acquistato 'una macchina con un vizio occulto'. Vi potevano anche essere vizi occulti, ma c'era stato tempo e modo per scoprirli, negli anni di gestione Prealpi. E i vizi non erano poi tanto occulti.

- Le colpe degli imputati

Quella 'macchina' aveva quattro gomme lisce, anzi, né aveva 5 lisce, anche quella di scorta. E si vedevano!

Anche le responsabilità degli ing. Perna e Currò Dossi sono emerse in modo lampante in questo processo. Ne parleranno estesamente, per il nostro collegio, gli avv. Lorenza Cescatti e Sandro Gamberini, e alla loro trattazione rimando.
Con il mio intervento credo di aver affermato una serie di cose ovvie.

Ma, molte volte, e questo processo è stato testimone di quello che sto dicendo, sono proprio le porte dell'ovvio che vanno tenute ben aperte.

Credo sia emerso in modo inconfutabile che la tragedia di Stava sia diretta conseguenza di azioni ed omissioni ben precise, esattamente, anche se solo parzialmente indicate nel capo di imputazione.

Il bacino è crollato perché non progettato, perché costruito nel posto peggiore possibile, perché sopraelevato, gestito, controllato in modo indegno per una società civile.

Floriano Calvino ha lasciato un appunto, che, a conclusione del mio intervento vorrei citare:

«E vero. Nel caso di Stava non fu scritto su una cartolina: "che Dio me la mandi buona"; non furono compiute diligenti e quotidiane misurazioni del progresso verso il disastro, come nel caso del Vajont. Nessuno apparentemente temeva. Tutti speravano.
Eppure, quando si inizia a costruire un castello di carta, si sa già che non arriverà al soffitto; alla roulette russa è scontato, che prima o poi partirà il colpo fatale. Ma si spera, e si tira il grilletto a occhi chiusi».

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(1) - Si fa qui riferimento alla deposizione dibattimentale di Gianni Bazzanella, assessore all'epoca della tragedia di Stava, raggiunto da comunicazione giudiziaria, ed in seguito "promosso" presidente della Giunta della Regione Trentino-Alto Adige.

(2) - Si fa qui riferimento alla polemica sorta fra la parte civile ed il Procuratore della Repubblica nel mese di agosto 1985. In tale occasione i difensori di parte civile avevano con forza richiesto la trasmissione del fascicolo processuale al giudice istruttore, così come prevede la legge penale.
Il Procuratore della Repubblica, respingendo l'istanza, aveva affermato alla stampa che la stessa «aveva poco rilievo provenendo da difensori che rappresentavano i parenti di poche vittime». L'affermazione non abbisogna di commento.

(3) - Si tratta dei due studiosi americani che hanno collaborato nella difesa tecnica della Montedison. Essi sono stati criticati, nel corso del dibattimento, per alcune loro affermazioni non rispondenti alla realtà dei fatti.

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Un tempo, leggevi queste cose e ti trovavi su www.vajont.org.
Poi sbucarono - e vennero avanti - i delinquenti, naturalmente quelli istituzionali ....

  


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« VOMITO, ERGO SUM »

Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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