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Alla memoria di 269 vittime
Presentazione - pag. 5
Premessa - pag. 9
LA PERIZIA DI PARTE CIVILE, di Floriano Calvino 15
CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO, di Sandro Nosengo e Giovanni Bassi - 29
LE COLPE DEGLI IMPUTATI, di Vanni Ceola - 49
LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO, di Paolo Berti - 75
IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA, di Francesco Borasi - 89
I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE, di Rita Farinelli - 113
LE OMISSIONI DI CURRO' DOSSI E PERNA, di Lorenza Cescatti - 129
IL RUOLO DEL DISTRETTO MINERARIO, di Sandro Gamberini - 143
DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA, di Sandro Canestrini - 161
Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei ministri - 179
Dall'articolo: «I bacini di decantazione dei rifiuti degli impianti di trattamento dei minerali» del prof. Giovanni Rossi (Industria Mineraria, nn. 10 e 11, 1973) - 193
LE OMISSIONI DI CURRÒ DOSSI E PERNA
Voglio prendere le mosse per alcune riflessioni su questo drammatico crimine di pace non dall'inserto offerto dal quotidiano «La Repubblica» ai suoi lettori in occasione del decennale del 1986 e nel quale fra gli eventi significativi del 1985 non si riportava la tragedia di Stava e del quale ha parlato il collega Berti per rilevare la voluta lacunosità dell'informazione, de|la manipolazione delle notizle fatte, anche, nel non riportarle o nel dimenticarle subito quando i disastri dipendono dall'uomo, bensì da un ritaglio di giornale ritrovato sfogliando gli articoli del luglio 1985.
La strage di Stava non è frutto della fatalità. Si tratta di un'intervista rilasciata alla Repubblica il giorno 22 da Flaminio Piccoli, l'onorevole, nella quale si legge: «Come trentini siamo soprattutto addolorati per questa tragedia. Ma vorrei aggiungere che la sciagura di Stava come quella del Cèrmis è dovuta a fatalità. Vorrei dire ancora che questa terra è una terra ordinata, che vive nella legalità e nel rispetto delle leggi, e che vive soprattutto di turismo».
Ha il sapore di un'inconsapevole e anticipata difesa della gente trentina, dei suoi rappresentanti e dei suoi amministratori a livello locale e a livello Provinciale. Se non si tratta di un evento naturale, le cause vanno addebitate ad altri, ai gelatai bergamaschi o alle gestioni milanesi del colosso Montedison.
Questo dibattimento ha invece dimostrato che gravissime responsabilità sono addebitabili alla direzione politica e tecnica degli enti territoriali. La prima è stata trattata con guanti troppo bianchi sia dalla stampa che (ci spiace sottolinearlo perché avremmo voluto non fosse così) dall'Ufficio del pubblico ministero nell'istruzione e nel dibattimento.
I secondi, la direzione tecnica dei competenti uffici provinciali, sono sul banco degli imputati ma negano fino al parossismo le proprle responsabilità.
Il prof. Stella, in apertura della discussione, auspicava una sorta di riconciliazione fra la collettività di Tesero e gli imputati perché questi sono le ultime ruote del carro ma, a parte che la riconciliazione può nascero solo da un gesto di pentimento profondo e sincero, non credo che Perna e Currò Dossi possano interpretare la figura dello Schweizer, il manovratore del Cèrmis.
Si tratta di tecnici di nomina politica, vicini alle leve del comando e si tratta, anche, di professionisti che dovrebbero mostraro competenza in materia di miniere, considerati i loro studi specifici. Ed ancora: essi hanno rivestito dei ruoli cui sono collegate numerose possibilità di intervento nel campo delle miniere, che arrivano fino al potere di ordinare la chiusura dell'attività.
Prima di ricostruire con l'aiuto della normativa all'epoca vigente la cosiddetta posizione di garanzia di cui e investito l'ingegnere capo del Distretto minerario, gli obblighi di intervento ad essa connessi, il rapporto di causalità normativa fra omessi controlli ed evento per passare poi a valutare la posizione dell'ing. Perna, vorrei partire dai documenti "sequestrati" o meglio gentilmente richiesti alla Provincia autonoma di Trento, ed al D.M. in particolare, per verificare che cosa era contenuto nel fascicolo intestato "miniera di Prestavel" al momento del disastro, avente ad oggetto specifico i bacini di decantazione.
Ovviamente riporterò solo quelli che mi paiono più significativi:
2. rapporto del perito minerario Agnoli 21 dicembre 1973. Si legge: «Gli
impianti esterni sono dotati di dispositivi di sicurezza e sono sottoposti
a verifiche periodiche»;
3. foglio indennità e rimborsi 2 agosto 1974, firmato Curro Dossi (cinque
giorni prima che pervenga al distretto minerario la richiesta del Coniune): «A Tesero visita diga Prestavel analoga a quella progettata a
Masseria per depurazione fanghi minieri»;
4. pervenuta al distretto minerario 7 agosto 1974 nota lettera coinu116 s
Tesero che chiede un controllo sulla consistenza del bacino di decantazione il quale sembra costituire un serio pericolo per l'abitato;
5. Indennità e rimborsi firmati Currò Dossi 24 dicembre 1974 per «visita
collegiale impianto flottazione»;
6. maggio 1975: indennità e rimborsi Agnoli per «visita bacino sterile miniera di Prestavel»;
7. agosto 1975: Agnoli indennita e rimborsi per «ispezione discariche e
impianti sterili miniera Prestavel»;
8. 25-26 agosto 1975: rapporto Agnoli che puntualmente descrive i vari livelli di sfruttamento della miniera, la seggiovia ed i bacini di decantazione. Conclude: «Le condizioni generali di sicurezza della miniera e degli impianti sono buoni»;
9. rapporto Fluormine, relazione tecnica senza firma;
10. lettera Currò Dossi/Comune di Tesero che inizia con la tragica frase: «Appare sussistano con la dovuta cautela le condizioni per eseguire il previsto sopralzo dell'arginatura superiore»;
11. aprile 1976: indennità e rimborsi Agnoli per «trasferta a Tesero per
problemi ampliamento bacino di Stava»;
12. maggio 1976: indennità e rimborsi Agnoli «a Tesero per problemi bacino
presso società Fluormine»;
13. comunicazione 27 febbraio 1980 indirizzata dall'ingegner capo D. Min. (Currò Dossi) a Fluormine, da Giunta provinciale nella quale si ricorda al concessionario che fino al subentro di altri la società è tenuta a conservare in condizioni di sicurezza e agibilità «tutti gli impianti esterni»;
14. verbale di accertamento delle pertinenze 1 aprile 1980 dei periti minerari Oberosler e Cadorìn, che descrivono i bacini di decantazione;
15. trasmissione dell'elenco pertinenze fra le quali sono ricompresi i due bacini di decantazione firmato da Currò Dossi alla Fluormine da parte dell'assessorato con lettera 27 maggio 1980.
16. comunicazione del dirigente servizio enti locali al distretto minerario 7 dicembre 1984 nella quale si chiede un parere sulla delibera del Comune di Tesero avente ad oggetto l'autorizzazione alla Prealpi di occupare 4.118 mq di bosco comunale col materiale di lavaggio proveniente dagli impianti della miniera.
Tali interventi non possono essere giustificati con l'eccessiva solerzia
dell'Agnoli né con un'assunzione volontaria di competenze non spettanti
al suo ufficio da parte del Dossi.
Sono espressione, invece, delle specifiche funzioni del Distretto minerario in capo al cui dirigente il decreto sulle norme di polizia mineraria n. 128 del '59 costituisce una specifica posizione di garanzia.
Parlare dell'argomento significa parlare degli autori tedeschi, di Sgubbi, Fiondàca, Grasso, che da alcuni anni cercano di contemperare l'imputazione di un evento previsto dalla parte speciale del codice e dall'articolo 40 c. 2 del Codice penale con i princìpi di legalità e di personalità dell'imputazione penale, garanzie insuperabili contro una responsabilità di tipo oggettivo.
Poiché nel quotidiano ci troviamo più spesso a difendere che ad accusare
e perché ci è stretta l'immagine di Dostojevski dell'avvocato che affitta con la toga anche l'anima, nel ricostruire la disciplina abbiamo posto una particolare attenzione nel non infrangere le barriere previste dagli articoli 25 e 27 della Costituzione.
La posizione di garanzia
Che ci troviamo di fronte ad una posizione di garanzia e tutela rispetto
al bene primario della incolumità pubblica e nel contempo di signorìa sulla
fonte di pericolo costituita dall'attività mineraria, non c'è dubbio.
In ottemperanza della scala di valori che nella carta costituzionale
privilegia il diritto costituzionale ad una vita dignitosa e in salute rispetto
alle scelte economiche e produttive, la pubblica amministrazione si pone
come lo strumento per dare concreta attuazione a questa esigenza di
prevenzione e protezione dei bisogni reali.
Il D.P.R. 128/59 unitamente alle norme costituzionali che tutelano il
diritto alla vita, all'integrità fisica e ala salute intesa nella sua accezione
più vasta nonché all'articolo 97 che definisce i criteri sostanziali ai quali la
pubblica amministrazione deve informare la sua stessa attività, ricamano
intorno all'ingegner capo del Distretto minerario il ruolo di garante della
salvaguardia del bene protetto.
Questo vincolo di tutela rispetto al bene giuridico, determinato dall'incapacità o impossibilità del titolare del bene stesso di proteggerlo autonomamente (nessuna delle norme che regolano l'attività mineraria consente ai terzi che temono per la loro incolumità di accedere alla miniera per verificare il pericolo o per ovviarvi; l'articolo 46, anzi, vieta l'accesso agli estranei imponendo un obbligo di recinzione) comporta che il garante risponda dei risultati connessi al suo mancato attivarsi.
Più in particolare l'articolo di apertura precisa che le funzioni del decreto
sono quelle di tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori e assicurare
lo svolgimento della lavorazione «nel rispetto della sicurezza dei terzi».
Tali norme si applicano anche ai lavori che costituiscono le pertinenze della miniera ai sensi dell'articolo 23 del R.D. 1927 n. 1443, benché ubicati fuori del perimetro delle concessioni. Vengono quindi individuate delle specifiche attività di vigilanza, controllo, autorizzazione, obbligo di redigere verbale quando si accerti l'infrazione, ed infine gli articoli 672, 673 e soprattutto 674 e 675 precisano i poteri di signorìa sull'attività.
L'articolo 674 impone all'ingegnere capo, nel caso in cui sia riconosciuta una situazione di pericolo, sia pure non immediato, anche per cause che non costituiscono infrazione alle norme del decreto (e quindi anche per attività non espressamente regolamentate ma che facciano comunque riferimento ai lavori indicati nell'articolo 1), il dovere di intervenire, imporre un termine per ovviare alla situazione, comandare l'esecuzione di
determinate misure e prescrivere in via cautelare le misure di contingenza, oltre a salvaguardare la sicurezza, compresa la sospensione dei lavori pericolosi.
L'articolo 675 è ancora più particolare: prevede che nei casi di imminente pericolo per le cose e le persone (non parla di lavoratori e quindi fa riferimento sia ai minatori che alle collettività che vivono in prossimità della miniera) l'ingegner capo prescriva con immediata attuazione le prime misure di sicurezza.
Poiché non c'è dubbio che i bacini, benché al di fuori dell'area di concessione fossero delle pertinenze ai sensi dell'articolo 23 del R.D. 1927 formanti un'unione strutturale con la stessa in un rapporto di servizio immediato ed attuale, nel ruolo di garante era ricompreso l'obbligo di tutela della collettività rispetto alle situazioni di pericolo provocate dalle discariche. (Sul rapporto di pertinenza rimando alle chiarissime pagine della relazione Quartulli).
Così ricostruita la posizione di garanzia si tratta ora di verificare quali
sono gli obblighi di intervento e come vengono tipicizzati. Premesso che la tradizionale teoria che fonda l'obbligo esclusivamente sul dato formale appare insufficiente a ricomprendere tutte le sfumature della fattispecle orientata in quanto se e solo la norma (penale o extrapenale) che individua l'obbligo tipico, non potrebbe configurarsi una responsabilità a titolo di colpa cosiddetta generica, per negligenza, imprudenza e
imperizia che sono ricavate dall'esperienza, la configurazione dello Sgubbi pare tener testa alle critiche. Del resto la stessa Cassazione (sez. III 24/2/67 e sez. III 22/5/62) acconsente a che l'obbligo possa desumersi da un complesso organico di norme costituenti una particolare disciplina dell'ordinamento giuridico.
In questa ricerca del parametro sostanziale l'autore osserva che nella colpa è sempre insito un momento omissivo e che la fattispecie costruita ex articolo 43, c. 3 Codice penale relativamente al delitto colposo si struttura, come quella costruita sull'articolo 40 c. 2 Codice penale, in un dato naturalistico (l'evento previsto dalla norma di parte speciale) ed un dato normativo costituito dalla condotta inosservante.
Anche il nesso fra condotta ed evento è di tipo non naturalistico ma "potenziale" ed il soggetto è legato al bene da un vincolo di funzionalizzazione, di compressione della sua libertà rispetto alla tutela del bene dato per prevalente.
Poiché l'articolo 43 c. 3 Codice penale copre la stessa area delimitata dall'articolo 40 c. 2 Codice penale, anche per il secondo caso la norma di prevenzione scatta dalla situazione concreta alla luce del criterio della prevedibilità, della rappresentabilità ed evitabilità dell'evento dannoso. Al soggetto potrà essere rimproverato soltanto di non aver fatto quanto era per lui possibile fare per prevenire e impedire l'evento, talché non viene violato ne il principio della tassativita in quanto l'obbligo e tipicizzato in
funzione preventiva, ne quello della personalità della responsabilità penale
in quanto gli obblighi nascono a misura del destinatario.
Quali erano gli obblighi in capo al Distretto minerario?
Considerato che i bacini per la loro stessa ubicazione in prossimità dell'abitato costituivano un potenziale pericolo per l'incolumità della collettività, ai sensi dell'articolo 674 Perna avrebbe dovuto innanzitutto imporre l'adozione di quei dispositivi che, descritti dal Rossi nell'atto confessorio del 1973, consentono di controllare costantemente la stabilità dei rilevati, lo stato dei limi, la falda freatica, la pendenza, gli eventual! cedimenti degli sfioratori. Rossi ritiene infatti indispensabile l'adozione di dispositivi usati secondo le buone regole dell'arte come:
1. piezometri;
2. spìe di pressione aventi i terminali e la centrale di lettura e registrazione incorporati nel quadro di controllo dell'impianto;
3. controlli sulla costipazione da eseguire mediante costanti prelievi nel
corpo del rilevato;
4. sonde telecomandate per intercettare i cedimenti lungo gli sfioratori;
5. controlli sul tasso di aumento delle quote dello specchio d'acqua e del
materiale sedimentato.
Ma considerato che la sicurezza va garantita anche per il periodo successivo alla cessazione dell'attività mineraria, l'ingegnere capo avrebbe dovuto imporre modalità di costruzione più sicure e, nell'ipotesi di cui avesse ritenuto non esserci alcuna cautela in grado di garantire dal rischio anche eventuale di un crollo, imporre la chiusura della discarica ex articolo 674.
La pericolosità non può essere considerata dal garante un elemento intrinseco allo stesso modo della produzione. Non era indispensabile costruire a Pozzole e se la Montedison lo fece per abbattere i costi di produzione (quello dello stoccaggio è una perdita secca per la società, quindi minore è il costo maggiore risulta il profitto) il Distretto minerario avrebbe potuto imporre di trasportare lo sterile fino alla discarica analoga per funzione di Mezzolombardo.
L'ingegner Perna
Perna appare maggiormente responsabile perché ha visto crescere i bacini fin dall'originale costruzione dell'arginello iniziale. Nella prima deposizione in qualità di teste riferisce di essersi trattenuto a lungo a discuterne col Rossi.
L'avv. Ceola e prima di lui il prof. Stella hanno perfettamente esposto i piani di costruzione e di gestione del bacino e pertanto non mi dilungherò a ripeterli. Voglio solo richiamare le lapidarle conclusioni dei periti contenute nella risposta al quesito n. 6: l'evento della miniera di Prestavel non appartiene alla categoria degli eventi inattesi o sconosciuti. Calvino ha parlato di 'vocazione al crollo' dei bacini io vorrei aggiungere 'vocazione al profitto' della Montedison e vocazione all'ignoranza, all'impermeabilità
rispetto al dubbio scientifico che deve costantemente accompagnare chi controlla.
Concludono i periti: «Pare siano mancate ai responsabili la normale capacità ed esperienza
non già per cogliere o percepire l'evento nei suoi termini reali, ma per avvertire lo stato di instabilità sia in forma generica che specifica. In queste condizioni non e stata avvertita la necessità di indagare sullo stato dei rilevati». E, a pagina 97, continuano: «La mancanza delle normali doti tecniche dei responsabili ha fatto venir meno la possibilità di avere dubbi e sospetti che, tradotti in indagine di non difficile svolgimento avrebbero messo in evidenza la mancata vocazione alla stabilità dei rilevati».
Le occasioni sono state numerose, iniziando, a ritroso, con gli ultimi ampliamenti autorizzati dal Distretto minerario nel 1984 e prima nel 1981 con l'entrata in vigore del D.M. sulle discariche; prima ancora nell'80 allorquando la concessione venne passata alla Prealpi ed ancora nel 1975 quando fu espressamente cbiesto al distretto minerario un controllo sulla stabilità dei bacini da parte del Comune di Tesero; nel 1972 quando la
Giunta provinciale amplio la concessione da 116 a 330 ettari e ci si pose sicuramente il problema degli scarti della lavorazione ed, ancora, negli anni 1969-71 quando la Montedison decise di costruire il secondo bacino per rilavorare lo sterile contenuto nel primo.
Questa circostanza ci pare fondamentale per comprendere come i bacini fossero talmente funzionali all'attività produttiva da poter rientrare nel ciclo di produzione mediante il riutilizzo del materiale di scarto.
E proprio perché rientranti nel ciclo di produzione, Perna avrebbe dovuto operare quei controlli di vigilanza e pretendere ai sensi dell'articolo 41 del noto testo del 1959 che nei programmi generali annual! dei lavori e delle coltivazioni la Montedison indicasse tutti gli elementi utili alla loro valutazione dal punto di vista statico.
Egli avrebbe dovuto intervenire e diffidare la Montedison a offrire garanzle per la sicurezza fino ad ordinare - in caso di inadempienza - la sospensione dei lavori ai sensi dell'articolo 672. Prima di passare alla valutazione della posizione dell'imputato Perna
sotto il profilo soggettivo, vanno svolte alcune riflessioni sull'obbligo di intervento, perché non tutti gli obblighi di intervento sono penalmente rilevanti.
Quest'ultimo, così come sopra delineato, è proprio quello tipico, vòlto ad impedire l'evento previsto dalla fattispecle di parte speciale o l'aggravarsi del rischio che l'evento accada. L'interesse immediato protetto dalle norme in materia di polizia mineraria è quello della tutela della pubblica incolumità.
I difensori degli imputati sosterranno l'esistenza di obblighi doverosi, facenti capo ad altri organi pubblici, Genio civile, servizio forestale, servizio all'urbanistica. Devo quindi, brevemente, soffermarmi a verificare se l'interesse direttamente tutelato dalle discipline richiamate sia quello della collettività alla propria esistenza.
Non tutti gli obblighi di intervento acquistano una rilevanza penale. Requisito primo è che l'obbligo, come dicevo, sia rivolto all'impedimento dell'evento del tipo di quello verificatosi. Mancherebbe, altrimenti, quel rapporto sostanziale fra la violazione della regola che trova le sue radici nella posizione di garanzia e l'accadimento esterno.
Non acquistano rilevanza penale né i mancati o i limitati interventi del servizio forestale poiché l'oggetto della tutela è il migliorare l'efficienza e la produttività del patrimonio forestale, favorire le sue risorse a vantaggio della collettività, elevare le condizioni economico sociali della montagna e l'accrescere la stabilità ecologica del territorio. Il fine più specifico contenuto nel regio decreto 1923 n. 3267 è quello di sottoporre a vincolo idrologico i terreni che, per loro natura o destinazione, possano subire denudazioni o stabilità o turbare il regime delle acque.
In un promemoria ai capi Distretto, sequestrato presso l'Ispettorato ripartimentale foreste, il dirigente richiama i propri collaboratori a non trasbordare in competenze non proprie.
Oggetto: rilascio autorizzazioni ai sensi dell'art. 20
Si è avuto modo di osservare che, nell'emettere le autorizzazioni di cui all'articolo 20 del Regolamento, parecchi Distretti déttano condizioni che esorbitano chiaramente dalle competenze affidate dalla legge all'Amministrazione forestale.
Si reputa opportuno al riguardo richiamare il dettato dell'articolo 1 della legge 30.12.1923, n. 3267: a questo scopo, si richiamano le prescrizioni di massima e ad esso deve quindi adeguarsi il comportamento dell'Autorità forestale nell'emettere le autorizzazioni affidatele dalla legge.
Pertanto, le prescrizioni attinenti ad opere di protezione per discariche, cave, eec. o il deposito di sostanze chimiche inquinanti appaiono non solo chiaramente arbitrarie ma possono costituire fonte di responsabilità che non competono.
Sono invece legittime, anzi doverose, le prescrizioni atte a prevenire ogni dissesto di carattere idrogeologico, e per meglio precisare, la denudazione e la perdita di stabilità dei versanti, od il turbamento del regime delle acque.
Il Capo dell'Ispettorato Ripartimentale
La difesa di Currò Dossi imputa le responsabilità additate al proprio assistito al Servizio all'urbanistica. Richiama la legge provinciale n. 12 del 6/9/1971, così come modificata dalla successiva legge provinciale 19/11/1979 n. 11 sulla tutela del paesaggio che all'articolo 4 impone ai concessionari di miniere nonché ai proprietari di discariche formate prima del 1971, di presentare domanda d'autorizzazione paesaggistica per il proseguimento dei lavori e delle oDe 1
In caso di mancata presentazione della domanda il Presidente della Giunta provinciale ha facoltà di ordinare la sospensione dei lavori. Immagino che il collega Zanin costruita in forza di tale ultimo potere un posizione di garanzia in capo al servizio all'urbanistica perché i Rota avevano in effetti presentato, senza coltivarla, una domanda in tal senso e
perché i dipendenti del servizio urbanistico provinciale ebbero ad eseguire un sopralluogo scattando le ultime foto dei bacini poco prima del crollo.
A ben guardare, però, l'oggetto della tutela della normativa richiamata non è la pubblica incolumità bensì il paesaggio, l'ambiente naturale che presenti singolarità geologiche, floro-faunistiche, o che costituiscano strutture insediative di particolare pregio per i loro valori di civiltà oppure territori suscettibili di interesse turistico. In tale ottica il servizio autorizzò alla Prealpi negli anni '76-'78 una discarica in prossimità di una galleria di ricerca.
Se il fine primario (art. 2) è quello di vigilanza, coordinamento e stimolo per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio, quello della pubblica incolumità non può essere considerato che un interesse protetto in via mediata e occasionale. Il documento proviene dal Servizio all'urbanistica dd. 15/12/1978 prot. 1493/10-XII che consente alla Prealpi l'ampliamento di una discarica in località Varena ed è sintomatico con riguardo alle prescrizioni che vengono ordinate.
Trento, 15 dicembre 1978
Oggetto: L.P. 6.9.1971 n. 12 - art. 10 norme attuazione Piano urbanistico
provinciale - ampliamento discarica esistente C.C. Varena località
Pozzi - Prealpi Mineraria S.p.A. - via Marconi 20 Gazzaniga
In esito alla domanda sopra richiamata, si comunica che la Giunta provinciale con deliberazione n. 11479 dd 7 dicembre 1978 ha rilasciato l'autorizzazione per l'esecuzione delle opere di cui all'oggetto, condizionandola peraltro al rispetto delle seguenti prescrizioni:
Distinti saluti.
L'Assessore
Questa presuppone un diverso metodo costruttivo rispetto alle discariche quale quella di Prestavel. Nelle dighe, infatti, prima viene eseguita la progettazione, l'esecuzione, le prove sperimentali di invaso, il collaudo e poi iniziano, se in regola con la disciplina, a funzionare.
Nei bacini in questione, invece, gli argini crescevano a mano a mano che lo sterile veniva commassato di modo che non si sarebbe mai potuto eseguire un collaudo ex articolo 14 (che presuppone l'ultimazione dei lavori). Del resto lo scopo prevalente dei manufatti era quello di una discarica di sterili in cui solo la parte per ultima costruita in ordine di tempo poteva avere una funzione idraulica e di decantazione delle acque.
Se le dighe entrano in funzione nel momento in cui la costruzione può dirsi ultimata, nei manufatti di Stava, nel momento in cui si fosse smesso di alzare il rilevato, la funzione di chiarificare le torbide sarebbe contestualmente cessata residuando la prevalente caratteristica di deposito degli sterili.
Perna e Currò Dossi potevano impedire il disastro. Passando alle conclusioni, bisognerà soffermarsi su due aspetti dell'imputabilità al Perna dell'evento e cioè:
1 - se l'obbligo in concreto avrebbe, una volta rispettato, evitato l'evento. Se cioè era in grado di dominare i fattori capaci di impedire l'evento;
2 - se aveva la possibilità di agire nel senso richiesto (salute, competenze e mezzi).
Con riguardo al primo punto voglio ricordare anche a me stessa che il nesso di causalità in queste fattispecle è di tipo normativo e probabilistico. Ciononostante se noi interponessimo fra la costruzione e l'evento l'adempimento degli obblighi che incombevano su Perna, sotto il profilo del controllo di rischi, accertamento della stabilità, della costruzione e gestione dei manufatti, potremmo convenire che l'adozione delle misure di sicurezza sopra riportate avrebbero, con probabilità vicina alla certezza, evitato il disastro.
Con altre parole potremmo sostenere che il rischio sarebbe diminuito in modo significativo.
Il suo consulente ha tentato di dimostrare che a crollare fu la corona superiore dell'argine superiore. Se la tesi fosse scientificamenic corretta verrebbe senz'altro escluso il rapporto che lega l'evento all'obbligo di impedire. Ma lo stesso consulente, messo alle strette dal prof. Nosengo che gli faceva notare come la formula del getto libero nel vuoto si fondi su dati non rientranti nella normalità perché l'unico movimento possibile, anche ipotizzando lo scorrimento della sola parte superiore dell'argine superiore e quello dello scivolamento su una scarpata che ha un'inclinazione di 40¡ e che il materiale in movimento è costituito da sabbia incoerente che non
mantiene nel moto la sua compagine, lo stesso ing. Tonelli conveniva che questi dati non si rinvengono nella normalità.
L'argomento può dirsi chiuso ma vogliamo affondare il coltello nella ferita riportando le valutazioni espresso dai C.T.U. a verbale all'udienza del 9 maggio:
«Confermiamo l'opinione che il modello usato, dal punto di vista metodologico, non sia molto attendibile» e più avanti il prof. Colombo replica:
«La schematizzazione del prof. Tonelli non e attendibile, sembra piu
probabile che abbia cominciato a muoversi la parte bassa e poi quella alta».
Aveva il Perna la capacita di agire nel senso richiesto?
1. nulla gli impediva, come nel caso verificatosi a Lasa in Vallarsa, di avvalersi di personale competente e specializzato esterno al servizio;
2. egli aveva l'obbligo di aggiornarsi, di fronte alle problematiche che a mano a mano nascevano nel settore.
E' come un giudice che presiede un processo in materia tributaria, argomento che non è inserito fra quelli obbligatori del piano di studio. Può egli rifiutarsi di decidere, o gli incombe il dovere di studiare?
Eppure ha dichiarato, salvo poi smentirsi, di avere a lungo parlato dei metodi costruttivi del primo bacino con il prof. Rossi, unico esperto all'epoca in materia (il Rossi nel '60 aveva 32 anni) che riteneva i bacini compresi nell'ambito della concessione, che non era a conoscenza dell'autorizzazione data da altri organi, che aveva anche in seguito visitato numerose volte i bacini (lo conferma anche l'imputato Fiorini), cadendo poi in numerose
contraddizioni quando si è trattato di giustificare in seguito le proprie ritrattazioni.
I suoi mancati interventi hanno un'origine: tanto era un esperto studioso nel privato (si contano 78 pubblicazioni) tanto era impermeabile al dubbio sul lavoro, succube dell'immagine che la Grande Impresa con i propri Studiosi offriva di sè.
Il garante, il tutore dell'interesse della collettività alla vita, ebbe a dichiarare nel suo interrogatorio: «Poiché la miniera di Prestavel era in concessione alla Montecatini e poi alla Montedison, non c'era motivo di dubitare della competenza tecnica della direzione, in quanto le suddette società sono dotate di personale altamente qualificato».
Questa succube negligenza, questa volontaria impermeabilità al dubbio, è la causa della sua responsabilità, anche sotto il profilo soggettivo.
Passo quindi alle conclusioni, che ho lasciato per ultime anziché sbarazzarmene subito, perché il parlare di una particolare delle parti civili che rappresento mi commuove e mi angoscia. L'esporre questa situazione in apertura avrebbe potuto accentuare l'aggressività del mio intervento togliendogli quella riflessione indispensabile ad una valutazione equilibrata dei fatti.
Voglio parlare di Luciana Mich, che a Stava ha perso la figlia di 18 anni.
Ma la tragedia non le ha portato via solo quanto c'è di più prezioso, quel rapporto che lega la donna alla propria figlia più ancora che al suo compagno di vita, ma la fiducia negli uomini e in se stessa, la capacità di reagire e ricominciare.
E' stata tratta in salvo dalle acque gelide dell'Avisio, dove aveva cercato di porre fine alle sue sofferenze e da quel momento passa i suoi giorni da una clinica psichiatrica all'altra. Anche per questa donna chiedo una sentenza che ristabilisca la Giustizia
violata.
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