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Alla memoria di 269 vittime
Presentazione - pag. 5
Premessa - pag. 9
LA PERIZIA DI PARTE CIVILE, di Floriano Calvino 15
CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO, di Sandro Nosengo e Giovanni Bassi - 29
LE COLPE DEGLI IMPUTATI, di Vanni Ceola - 49
LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO, di Paolo Berti - 75
IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA, di Francesco Borasi - 89
I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE, di Rita Farinelli - 113
LE OMISSIONI DI CURRO' DOSSI E PERNA, di Lorenza Cescatti - 129
IL RUOLO DEL DISTRETTO MINERARIO, di Sandro Gamberini - 143
DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA, di Sandro Canestrini - 161
Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei ministri - 179
Dall'articolo: «I bacini di decantazione dei rifiuti degli impianti di trattamento dei minerali» del prof. Giovanni Rossi (Industria Mineraria, nn. 10 e 11, 1973) - 193
LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO
Rappresento la signora Giorgina Delladio che il 19 luglio 1985 ha perduto, per colpa degli imputati, e nella frana dei bacini di Stava, un fratello e la cognata; e il signor Lucio Dellai che nella stessa occasione, ha perduto, buon per lui, soltanto beni materiali.
Faccio parte di quel gruppo di avvocati che sono stati definiti "avvoltoi" da alcuni personaggi di questo processo che fanno rimpiangere di non essere appunto nati bestie, di una specie qualsiasi, il che ci eviterebbe di spartire con costoro alcunché.
So di parlare ad un Tribunale che ha dimostrato di possedere grandi doti di pazienza, anche quando forse poteva non apparire del tutto giustificata e mi propongo di non abusarne evitando, ad esempio, dal fare cenno (a parte quello che sto facendo ora) ad illustri personaggi risparmiati dall'imputazione e dal processo. Rinunciamo ad azzardare spiegazioni, per altro sin troppo facili, per la grazia da costoro ricevuta, evitando così di inserire un processo nel processo.
Il problema dei "risparmiati" in questo, come in altri processi di un certo spessore, è un vecchio problema di cui si deve discutere prevalentemente in sedi diverse da questa.
Può sembrare persino ingenuo fare cenno al silenzio che molti vorrebbero fosse fatto soprattutto intorno a fatti tragici come quello di cui discutiamo in questo processo.
E' significativo ad esempio come nel fascicolo pubblicato da «La Repubblica» nel 1986 (in quell'anno il quotidiano celebrava i primi dieci anni di vita, dedicando a ciascuno di essi un fascicoletto contenente servizi ed articoli su fatti ed eventi rilevanti dell'anno in questione), esattamente nel supplemento al n. 117, del quotidiano del 20 maggio 1986, ma riferentesi ai fatti del 1985, non sia dato di riscontrare una riga che ricordi la tragedia di Stava.
In quel fascicoletto, accanto ad articoli sull'assassinio di Tarantelli, sul massacro dei tifosi italiani allo stadio di Bruxelles, sul nuovo Presidente della Repubblica Cossiga, sul sequestro dell'Achille Lauro, su alcuni sensazionali trapianti di cuore, si rinvengono articoli su Arbore e «Quelli della notte» e sulla mancata partecipazione di Pippo Baudo alla trasmissione di «Domenica in».
Ebbene, nelle novantotto pagine di quel supplemento, dedicato ai fatti rilevanti e significativi del 1985, non si paria di Stava e di quei 269 morti. E ciò non è nemmeno un fatto inspiegabile, come potrebbe apparentemente
sembrare: questo fatto andava rimosso perché dava fastidio.
Nessuno infatti potrà pensare che Eugenio Scalfari, direttore del quotidiano, sia stato così distratto da essersi dimenticato di Stava a pochi mesi soltanto da quel 19 luglio di fango e di morte.
Sarà anch'egli stato vittima di una sorta di automatismo indotto in lui e da lui nei lettori, nell'opinione pubblica, secondo cui certi terribili eventi, come la frana di Stava, devono avvenire perché è fatale che avvengano, come i terremoti, le alluvioni, le epidemie.
E così Stava non entrerà a far parte della storia d'ltalla ... Pippo Baudo
sì!
Una lezione da me ricevuta da questo processo, ma, per la verità, mi era
capitato altre volte, è stata la constatazione ancora una volta effettuata che
il modo di amministrare la giustizia in Italia, che pur avviene almeno
programmaticamente «in nome del popolo italiano», esclude proprio del
tutto il cittadinu della strada dalla possibilità di comprendere quello che
avveniva in quest'aula, durante l'istruttoria dibattimentale.
Se si considera poi che il pubblico presente in quest'aula, durante le vane
udienze, era prevalentemente composto da superstiti della frana, o da
congiunti delle vittime, per essi lo spettacolo oltre che incomprensibile deve
essere stato disgustoso (basterà ricordare le melensaggini formali di molti
avvocati, le reciproche complimentazioni, le finte polemiche, gli abbracci, i
baci inviati e sdegnosamente respinti: e alle spalle di tutto ciò 269 morti e
i parenti sopravvissuti di questi!).
E un gran parlare della ricerca della verità, solo di questa, di tutta la
verità, ha riempito le bocche di tutti, i difensori di tutte le parti, il P.M., il
Tribunale, i periti, in alcune centinaia di interventi hanno fatto di questa esigenza una premessa per le richieste più disparate: sì all'acquisizione di una foto, oppure no; sì all'escussione di un teste, oppure no; no alla richiesta di altre perizie, oppure sì; no all'opportunita di un sopralluogo, oppure sì; sì alla traduzione dall'inglese, ma con questo e non con quell'interprete (meglio un inglese, ma di madrelingua spagnola); no alla domanda fatta in quel modo, oppure sì; ancora, se fosse consentita l'acquisizione di nuovi dati; se fosse ammessa la domanda da perito a consulente, da perito a perito, da consulente a consulente, da avvocato a perito e a consulente, e via dicendo.
Che dire poi degli imputati? Pareva di assistere alla celebrazione di un rito tra compìti signori bene educati, un po' infastiditi dal dover perdere tempo nel venire tanto la mattina quanto il pomeriggio a sentir discutere su problemi non loro, ma di altri.
Avete mai avuto la sensazione che qualcuno di costoro - fatta eccezione forse per uno di essi - sia mai stato sfiorato dal sospetto di poter avere avuto in qualche modo un ruolo nella tragedia che è accaduta? Che qualcuno di costoro si ritenga responsabile di quei 269 morti e di quei lutti, e delle rovine e dei danni, della tragedia insomma?
Sono persuaso che costoro, tutti, si credano davvero innocenti, che davvero per loro questo processo rappresenti un'assurda ingiustizia, che li vuole loro sì vittime (almeno quanto quelle vere) di un perverso meccanismo di 'caccia al colpevole'.
Infatti, non hanno forse tutti difeso il loro operato, ricostruendo la vicenda processuale in modo tale da dare netta la sensazione che rifarebbero tutto quello che hanno fatto per il passato? gli sbagli nella scelta del luogo, gli sbagli nel metodo di costruzione, l'omissione di controlli e via dicendo.
E questo, nessuno può negarlo, giudici del Tribunale, è un dato sconcertante, sia perché è una riprova della grande presunzione di sè che ciascuno di costoro ha, sia per converso perché è una riprova dell'incapacità di riconoscere i propri errori, il che è tipico di chi crede di avere ragione.
Ma non hanno avuto ragione perché i bacini sono crollati ed il fatto non si è verificato certo né per caso fortùito, né per 'forza maggiore'.
E intanto i vivi, parenti dei morti, seguivano dal fondo di questa sala attòniti la grottesca rappresentazione ed ascoltavano le giustificazion! che gli imputati non rendevano, la correttezza del loro operato che gli stessi ribadivano, lo sdegno per ogni domanda mal posta, il rammarico per non essere stati capiti.
Anche altri personaggi di questo processo non hanno mancato di esibirsi: i CTU ed i Periti. Anche per costoro inchìni, complimenti, congratulazioni, strette di mano si sono sprecati (soprattutto nei corridoi, al riparo da occhi indiscreti).
In aula è accaduto di tutto: persino che taluno, uno dei periti di Montedison, manifestasse disprezzo nei confronti di tutti: una sorta di Garrone, di primo della classe, che ha tacciato di asini tutti gli altri (... solo che
Garrone era almeno educato).
Credevamo, ingenuamente, che dare a nolo la propria coscienza fosse prerogativa, secondo una celebre annotazione di Dostojewsky, degli avvocati, di certi avvocati, che, in fin dei conti, non possono già considerarsi degli operatori scientifici e, comunque, non certo di una scienza esatta abbiamo appreso, invece, in questo processo (e con noi i morti e i loro parenti) che anche il dato scientifico è manipolabile, è fatto oggetto di scambio, può essere comperato con moneta contante.
E dato che parliamo di denaro non si può non ricordare l'eleganza, la
sobrietà, la signorilità con le quali un legale di Montedison, alla prima
udienza, ha assicurato il Tribunale, il P.M., i difensori di tutti i collegi
possibili, la stampa, il pubblico, i morti e i vivi, che i danni sarebbero stati
risarciti, in abbondanza, 'senza lesinare'.
Né la cosa veniva prospettata in termini di gretto utilitarismo processuale: non già per lucrare attenuazioni di colpe (tanto, dirà in proposito il
P.M., che evidentemente pensava anch'egli di potersi ritirare con il Tribunale in camera di consiglio per la sentenza, le attenuanti generiche prevalenti, concessa o no quella del danno risarcito, avrebbero travolto qualsiasi aggravante, compresa quella della previsione dell'evento, pur chiesta, ma negata, e ve né sarebbe in ogni caso stato d'avanzo).
La cosa veniva prospettata solo per ragioni di giustizia; l'impegno era quello di procedere rapidamente (sarebbero bastati quindici giorni).
Tra l'altro sarebbero così state tacitate alcune centinaia di parti civili e il processo si sarebbe snellito. In fin dei conti, la parte civile che pretende, nel processo penale?
Nulla; quell'onda odorosa di monete ha inebriato tutti, ha stordito qualcuno, ma è rifluita nelle tasche di Montedison e tutti sono rimasti al loro posto: i poveri, poveri; i ricchi, ricchi; i morti sono rimasti quieti e i loro parenti, ...convinti di aver capito male.
L'ultimo degli insegnamenti che possiamo trarre da questa vicenda processuale (altri non minori vanno necessariamente omessi) è stata la necessità di fornire la prova della nostra legittimazione al processo.
E' nell'esperienza quotidiana di tutti che la parte civile si presenti al dibattimento col proprio difensore, o ve lo invii dopo avergli fornito una procura speciale: mai la vedova ha dovuto provare di essere tale: il figlio, il fratello, il nipote.
In questo processo e accaduto anche ciò, il che ha imposto ai vivi e ai
morti la necessità di certificarsi per tali, esigendosi di ciò la prova autentica in carta da bollo (scrupolo delicatissimo di chi l'ha preteso e di chi l'ha
concesso).
L'economicità mal si coniuga con la sicurezza
Venendo al merito del processo (ma anche quello che abbiamo detto finora fa parte del processo!) ci rendiamo conto della difficoltà di fornire un contributo originale nella valutazione degli aspetti squisitamente tecnici di questa vicenda processuale: non né abbiamo alcuna preparazione (di rilevati in terra, sfioratori, resistenza al taglio e di quant'altro abbiamo dovuto occuparci solo in occasione di questo processo); altri né hanno a lungo dissertato e disquisito, tecnici questi, alcuni più credibili di altri della materia nello specifico (ma ci hanno rappresentato troppe verità in contrasto tra loro).
L'aspetto tecnico è stato è sarà anche nelle prossime udienze oggetto di approfondimento da parte di colleghi della difesa e della parte civile. Non posso tuttavia esimermi dal sottolineare alcuni dati che anche ad occhi profani, quali sono i miei, evidenziano le gravi coll'e attribuibili agli imputati. Non occorre, infatti, essere degli specialisti per rendersi conto delle omissioni, delle trascuratezze, delle dabbenaggini, dell'incuria, dell'approssimazione che hanno caratterizzato l'agire di questi 'uomini perbene'.
Il mio contributo nasce dall'esigenza di cercare di spiegare ai 269 morti e ai loro superstiti, qui dietro, perché i morti non sono ancora vivi.
Viene anche sottolineato dalle perizie di parte (Chandler) l'esistenza di zone umide, sorgenti e depressioni chiuse, tipiche di una circolazione sotterranea molto intensa.
Il concetto viene ribadito nella relazione Brauns-Genevois-Villa, ove si sottolineano condizioni strutturali dell'area che determinano un acquifero, entro il quale si possono realizzare pressioni idrauliche fortemente variabili nel tempo.
Di caratteristiche assolutamente inadeguate parlerà anche la relazione Calvino, che dirà che il terreno di fondazione era permeabile ed acquifero fino al livello della superficie (quindi in grado di contenere acqua che i pesi e rllevato avrebbero messo in pressione); che il terreno di fondazione era melma in alcuni punti, che era in pendenza e quindi tale da richiedere un coefficiente di sicurezza più ampio rispetto al terreno in piano, in quanto più sabbioso; che il terreno dominava un corso d'acqua, delle strade, numerose abitazioni, ed i primi insediamenti turistici.
Questi concetti sono stati ribaditi con rara chiarezza dal professor Nosengo, nostro perito, all'udienza del 6 maggio scorso: si è trattato di esporre con semplicità quello che altri avevano detto incomprensibilmente.
E' evidente allora che la scelta del sito è stata subordinata a criteri tutt'affatto diversi dairunico che avrebbe dovuto essere privilegiato: la sicurezza.
Anche la scelta del metodo o tecnica di costruzione dei bacini è stata
apertamente criticata dai C.T.U.: all'epoca in cui i bacini di Prestavel furono costruiti con il metodo della sopraelevazione degli argini mediante ciclonatura, esistevano metodi e tecnologie di gran lunga più progrediti e più sicuri.
La tecnologia usata a Prestavel era condizionata dal materiale rilevato e fino che veniva impiegato (scelta industriale, quindi!).
L'argine del secondo bacino poggiava sulla melma del primo. Il dato è
pacificamente acquisito al processo perché lo dicono i C.T.U., lo dicono le
relazioni Chandler, Brauns-Genevois-Villa, Calvino, Ballestrazzi e risulta
da documentazione fotografica di rara eloquenza.
Né gli imputati sono tutti concordi nel negarlo.
Morandi, ad esempio, al P.M. dirà testualmcnte: «Il passaggio tra i due bacini era inaccessibile in quanto, alla fine della scarpata del bacino a monte, c'era subito il bacino a valle». Lo stesso Morandi, al G.I. dira: «Il Fiorini mi aveva detto che il rilevato di base era stato fatto a una certa distanza dal bacino inferiore, ma di non ricordare se aveva accertato la circostanza esaminando le cartine».
Ciò suona come una rettifica già fatta davanti al G.I. e ribadita davanti
a questo Tribunale, ma in modo per nulla persuasivo).
Ancora Morandi dira: «Vero che dalla tavola 12 di perizia 5 sembrerebbe
che l'argine del bacino superiore insistesse in parte sui limi del bacino
inferiore, ma io ritengo di maggior pregio il riferimento a voce datomi da
Fiorini che mi assicurò il contrario, piuttosto che il dato cartografico
elaborato da Assi».
Al dibattimento (udienza 19 aprile 1988 ore 9), cadrà in contraddizione
perché una prima volta ribadirà quanto già detto al G.I. e cioè che il cartografo aveva commesso un errore; una seconda volta dirà che le dichiarazioni del Fiorini furono da lui confrontate con i disegni originali e che con essi concordavano.
Ma non voglio, giudici del Tribunale, venir meno ai limiti che mi ero imposto e insistere ancora a lungo sugli aspetti appena ricordati che sostanziano l'accusa rivolta agli imputati di ignoranza, di insipienza, di incoscienza.
Mi limiterò in estrema sintesi all'elenco delle malefatte compiute da
costoro. I bacini sono crollati perché questi signori:
2) hanno quindi sbagliato la scelta del luogo ove costruire i bacini (chissà
perché mai il Rossi non è qui tra costoro);
3) non è stato fatto un progetto dell'impianto;
4) non esisteva un direttore dei lavori (chissà perché Da Roit è stato prosciolto?!);
5) non è stato previsto quanto l'impianto si sarebbe sviluppato;
6) è stata scelta la peggiore tecnica di costruzione (sopraelevazione mediante ciclonatura);
7) tale errore è stato ancor più accentuato dal metodo di accrescimento
degli argini (prima 'centrale', e poi 'a monte');
8) non si sono create spalle di sostegno degli argini;
9) non si sono approntate opere di drenaggio;
10) non è stato predisposto un ancoraggio della base dell'argine, e del bacino - il secondo - al terreno sottostante;
11) l'innalzamento è costantemente avvenuto AL DI SOTTO degli indici di sicurezza;
12) si è appoggiato l'argine del secondo bacino sopra alla melma del primo;
13) è stato omesso ogni idoneo controllo della stabilità dell'impianto da chi lo stava costruendo;
14) ma ANCHE da parte dei funzionari dei Pubblici Uffici preposti!;
15) ci si è limitati a controlli "a vista" (ribaditi con passione, certo, ma senza
alcun senso del ridicolo);
16) si è continuato ad innalzare ed ampliare il secondo bacino;
17) si sono ignorati i contributi scientifici (non ultimo quello del Rossi che
assume il significato di una postuma resipiscenza);
18) si è preferito insomma aumentare la redditività dell'impianto a scapito della sicurezza dei vivi (tant'è che sono morti!!).
Nel tentativo di rendere più organico possibile il contributo delle parti
civili, all'interno almeno di ciascuno dei collegi in cui esse sono suddivise
mi spetta il compito di spendere qualche considerazione sulla posizione
deirimputato Fazio Fiorini.
Non mi sottraggo a questo compito, anche se non posso celare un minimo
di disagio nel dover parlare di un assente, che non ci è stato possibile
conoscere, di cui non abbiamo sentito le discolpe dirette al Tribunale; cui
non abbiamo potuto fare domande, che non è stato possibile porre
a confronto con altri coimputati.
Però di Fiorini parlano gli imputati Bonetti e Morandi, e di Fiorini
abbiamo l'interrogatorio reso al P. M. e la memoria istruttoria inviata al
G. I.
Il capo di imputazione, infatti, fa carico a questo imputato «di aver iniziato e proseguito la costruzione del secondo bacino senza alcun progetto, senza prevederne lo sviluppo, per aver fatto coincidere argine e limi, per non aver tenuto conto della pendenza, per non aver eseguito controlli».
A nostro parere la responsabilità del Fiorini assume una doppia rilevanza, uno spessore particolare sia:
1) per le colpe direttamente allo stesso attribuibili, ai più diversi titoli, come presto vedremo;
2) per le coll'e indotte dallo stesso in altri suoi coimputati.
L'imputato Bonetti, nell'interrogatorio reso al Giudice Istruttore, descrive il Fiorini come segue: «Il Fiorini era molto apprezzato per la sua preparazione, senso di responsabilità, intelligenza nei problemi, per questo dirigeva la miniera, nonostante il suo titolo fosse di perito» (soltanto).
E più avanti quando si rifà la storia dei costruttori del primo bacino e si ricorda che a un ingegnere minerario, Custer, era stato affiancato un tecnico, quale l'ingegner Rossi, Bonetti dirà: «La prassi era ormai talmente acquisita, che fu per tale ragione che non si ritenne necessario far assistere il Fiorini per la creazione del secondo bacino, da altro tecnico con preparazione specifica».
Quindi Fiorini era non solo preparato, responsabile e intelligente, ma aveva, a dire del Bonetti, una particolare esperienza in costruzione di bacini.
Ed è lo stesso Bonetti a fornirci, con evidente contraddizione, i limiti delle conoscenze del Fiorini quando dirà che «presso la Montedison esisteva un Ufficio Studi col preciso fine quello di adeguare le nostre attività alle più recenti tecniche e tecnologie e anche a contribuire con partecipazione a convegni anche all'estero alla preparazione dei nostri dirigenti. Il Fiorini non aveva partecipato a tali occasioni di formazione».
Sempre Bonetti poi, nel verbale dell'udienza del 20 aprile 1988, ci fornirà anche la misura di una certa inesperienza del Fiorini, in occasione di un episodio alquanto significativo: «Il Fiorini aveva proposto la creazione del secondo bacino, preparato e inviato alla sede della società disegni che costituiscono la prima base concettuale. Si trattava del disegno di impostazione dell'argine di base. Gli rispondemmo dando soprattutto disposizione di allontanare l'argine di base dal bacino inferiore. Siamo nel settembre 1968».
Allora a proposito di questo genio che era il Fiorini, eccellente perito minerario, ancorché non ingegnere, apprendiamo che intanto aveva predisposto dei disegni sbagliati, proprio perché prevedevano una insistenza dell'arginello di base del secondo bacino sui limi del primo bacino. Allora è proprio di Fiorini la paternità di questa trovata della sovrapposizione dell'argine sui limi.
In proposito non vi sono dubbi, almeno a detta del Bonetti: «fu indicato al signor Fiorini di allontanare a monte l'arginello di base» (v. verbale udienza 20.4.1988, foglio 182); «il dato della sovrapposizione tra il nuovo argine e il vecchio bacino l'avevo tratto dai primi disegni inviatimi da Fiorini».
Questo grossolano errore «non destò preoccupazione circa la preparazione del Fiorini in questa materia proprio per la disparità di concezione circa la destinazione del nuovo bacino», del quale si è voluta ipotizzare perfino un'utilizzazione esclusivamente in chiave ecologica su sollecitazione dei pescatori che lamentavano un eccessivo inquinamento delle acque del rio Stava, dove confluivano gli scarichi del primo bacino.
Qualcuno deve avere però pensato che il Fiorini dava poco affidamento tant'è che Bonetti, sconsolatamente afferma: «Ghirardini (definito 'una riga sopra la persona più idonea della società') nel 1969 era impegnato in un altro impianto di grande importanza a Giro' Marina e non poté essere incaricato di aiutare il perito Fiorini nella costruzione del secondo bacino»
Ma come? Delle due l'una:
2) oppure Fiorini non era all'altezza della situazione, e allora il secondo
bacino non andava costruito da lui solo, ma anche da tecnici competenti
Se Ghirardini non c'era si doveva cercare quakun altro!
E' evidente che questa unicità di situazione avrebbe dovuto, da un lato far decuplicare studi, progettazioni, accorgimenti, controlli, eec, proprio perché si doveva affrontare una "novità"; d'altro lato far ritenere sommamente incauto lasciare il Fiorini in balìa delle proprie responsabilità nonostante la sua preparazione e la sua intelligenza (anche se quest'ultima avrebbe dovuto suggerirgli una maggior realistica valutazione dei propri
limiti).
Ma anche l'imputato Morandi, a ben vedere, finirà col subire le suggestioni del Fiorini. Al P.M., come si è visto in altra parte, dirà che il passaggio tra i due bacini era inaccessibile; poi sappiamo che spiegazione darà di questo assunto.
E un dato sicuro, al di là di ogni verosimile dubbio, è che la questione
dell'insistenza del rilevato di base del secondo bacino sui limi del primo, fu oggetto di discussione tra gli operatori della miniera e gli imputati per anni.
Morandi dice di non ricordare se rilevò direttamente la cosa o se si fidò delle assicurazioni fornitegli dal Fiorini o dal Da Roit.
Quando comparirà in scena il Ghirardini, nel 1975, fu Morandi ad assicurare quest'ultimo che il rilevato di base era fatto ad una certa distanza dal bacino inferiore «e ciò feci sulla base di quanto mi era stato descritto, come prima ho detto, dal Fiorini e dal Da Roit, senza alcuna specifica ricerca».
E in proposito aggiunge una "perla": «In tale opinione ero confortato dal
fatto che l'argine era rimasto in piedi e non dava segni di alcun rischio di stabilità, cosa che non era possibile già allora, se fosse cresciuto sia pure in parte sui limi del bacino inferiore».
Ancora: al dibattimento dirà che la distanza di 15 metri tra l'argine del secondo bacino e il primo bacino gli fu data per certa dal Fiorini: e ribadirà che i disegni del topografo Assi, che indicavano invece la sovrapposizione, 'erano sbagliati'.
Cade tuttavia in contraddizione quando afferma di avere constatato concordanza tra i disegni originari e le dichiarazioni del Fiorini. Sappiamo infatti che i disegni originari erano stati bocciati dal Bonetti, almeno a dire dello stesso.
Infine, sempre Morandi, «Fiorini mi diede garanzie e assicurazioni circa la validità dei metodi costruttivi e la stabilità del manufatto».
Ed è proprio nel continuo riferimento che Bonetti e Morandi fanno alle cose dette, fatte e disegnate dal Fiorini, alle assicurazioni da questo fornite ai primi due, che emerge il ruolo negativo svolto da Fiorini nell'intera vicenda: la sua ignoranza si è ripercossa sulla superficialità degli altri due: vi è insomma stato un contagio di insipienza trasmesso da ciascuno dei tre agli altri due.
Con ciò si esaurisce la responsabilità del Fiorini riferibile a quelle che ho chiamato le coll'e indotte da costui in altri imputati, che sono principalmente, come abbiamo visto, Bonetti e Morandi, ma che riguardano anche altri, pòsto che la figura del Fiorini, ideatore e costruttore del secondo bacino, si pone come quella del protagonista complessivo di tutta questa amara vicenda.
Ma è venuto il momento di valutare che cosa il Fiorini dice di sé e di come si scagiona. --------------------------Il ponte di Tésero (foto)
A questo punto non possiamo non rilevare alcune stranezze nelle risposte che il Fiorini dà, quando ad esempio gli viene contestato di avere solo esperienza nella conduzione dei bacini, ma non nella costruzione. Egli risponde: «Ma io non ho neppure visto un progetto del primo bacino» e lo ribadisce con candore: «Ripeto, per la costruzione del secondo bacino ci basammo unicamente sul fatto di ritenere che la zona su cui doveva allestirsi il secondo bacino era geomorfologicamente analoga a quella su cui insisteva il bacino inferiore».
E subito sotto aggiungerà: «C'era un particolare scrupolo da parte di tutti». E per convincerci che tutto veniva fatto con scrupolo, aggiungerà «Non esisteva un direttore dei lavori responsabile della costruzione delle infrastrutture del bacino superiore».
Ma vi rendete conto giudici del Tribunale, dell'enormità?
2) non è forse stato costruito il primo, senza progetti?
3) Ebbene, altrettanto si poteva fare - e ho fatto - anche con il secondo bacino.
Che conoscenze bisognava avere? «Bastava tirar su come avevano fatto
prima e c'era comunque tanto scrupolo da parte di tutti».
Stupefacenti, almeno tanto quanto le risposte sconclusionate date dal Fiorini in istruttoria, sono una serie di amnesìe e di omissioni che ne hanno caratterizzato l'interrogatorio reso al P.M:
2) non ricordo se sia venuto qualche funzionario del Distretto minerario;
3) non ricordo chi provvide ad allestire gli sfioratori;
4) non ricordo chi ha provveduto a preparare il terreno su cui poggiare i
suddetti manufatti;
5) non ricordo chi stabilì esattamente l'inclinazione e la direzione del
manufatti stessi;
6) non ricordo che nessuno mai sia venuto a vedere i lavori;
7) non ricordo di aver fatto alcuna domanda di autorizzazione ad alcuna
Autorità, non alla Forestale, non al Comune di Tésero, né ad altri;
8) non ricordo chi provvide a stilare il preventivo di spesa;
9) non ricordo se una macchina operatrice sia sprofondata nel fango;
10) non ricordo l'altezza dell'argine del bacino inferiore quando furono
iniziati i lavori del bacino superiore;
11) non ricordo di avere trovato progetti del primo bacino;
12) non ricordo se i funzionari del distretto minerario abbiano fatto osservazioni sul secondo bacino;
13) non ricordo se l'ing. Bonetti abbia parlato con me di indicazioni tecniche;
14) non ricordo che l'ing. Bonetti fece riferimento alle modalità di costruzione del secondo bacino
Questo è l'uomo preparato, intelligente, di cui parla Bonetti.
E' questo imputato, ad aver dato ai suoi successori ampie garanzie che tutto era stato fatto nel migliore dei modi e che non c'era motivo di temere di nulla e che erano "i disegni dell'Assi, sbagliati", e non l'opera.
Giudici del Tribunale, voi vi accingete ad una camera di consiglio in cui dovrete decidere se questo imputato è o no responsabile dei reati che gli sono stati contestati e, in caso affermativo, dovete condannarlo a una pena. Non compete a noi, parti civili, indugiare in tema di pena, tuttavia noi ci auguriamo che la vostra decisione sia di stimolo all'imputato Fiorini perché abbia a riflettere sui 269 morti e sui lutti che la sua spensieratezza ha provocato.
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